Alberto Torresani
Storia greca
CAP. 7 – DA SPARTA A TEBE: LA LOTTA PER L’EGEMONIA
Il mezzo secolo seguito alla sconfitta di Atene continuò ad apparire luminoso sotto il profilo artistico e culturale, ma rimase instabile sotto il profilo politico. La Confederazione del Peloponneso era stata sollecitata dal comune timore nei confronti dell’imperialismo ateniese, non da una reale convergenza d’interessi tra Sparta, Corinto, Megara e Tebe. Distrutte le Lunghe Mura di Atene, i confederati si ripiegarono ciascuno sui propri interessi particolari. Sparta doveva guidare la politica greca nei confronti della Persia, ma la distruzione della grande flotta ateniese rendeva quel compito più difficile, più precario. Inoltre, Sparta aveva accettato grandi aiuti finanziari per sconfiggere Atene e perciò si trovava a competere con la Persia, sul piano diplomatico, da una posizione meno forte di quella tenuta da Atene. La pace di Antalcida, o del Re, come venne chiamata in modo molto significativo, segna un reale aumento di potenza della Persia rispetto alla pace di Callia, concordata al tempo di Pericle. Il segno più clamoroso fu l’assorbimento delle città greche della Ionia nelle satrapie persiane della Frigia e della Caria.
Racconta Senofonte, nel V libro delle Elleniche: “Gli Spartani, vinti a Cnido dalla flotta guidata da Conone, venuti a sapere che costui col denaro del gran re ricostruiva le mura di Atene, mandarono Antalcida dal satrapo di Sardi, Tiribazo. […] Antalcida, ritornato dall’Asia con Tiribazo disse di aver ottenuto per gli Spartani l’alleanza del gran re, anche se gli Ateniesi e i loro alleati non avessero accettato la pace quale il re desiderava accordare; ed eccone il tenore: ‘Il re Artaserse trova giusto che le città d’Asia e le isole di Cipro e di Clazomene restino sotto il suo dominio e che le altre città greche, grandi e piccole, siano libere ad eccezione di Lemno, Imbro e Sciro che apparterranno, come già un tempo, ad Atene. Quelli che rifiuteranno questa pace saranno da me combattuti, e con quelli che l’avranno accettata saranno da me vessati per terra e per mare, con le mie navi e con i miei tesori’. Gli Spartani, arbitri di questa pace proposta dal re di Persia, rimisero le città in libertà”.
La ripresa economica di Atene fu molto rapida: non essendo più necessario far fronte a grandi spese militari, il denaro poteva essere investito in attività lucrative: praticando una spregiudicata politica di equilibrio tra i potentati greci che rigettava come inutile qualunque valutazione meramente ideale, Atene raggiunse una notevole prosperità materiale che le permise di dar vita a una nuova Lega navale delle isole dell’Egeo in prevalente funzione economica, una specie di mercato comune dell’Egeo. Con Pelopida ed Epaminonda, Tebe compì una notevole innovazione nell’impiego della fanteria oplitica, ossia introdurre un nuovo tipo di manovra avvolgente nel corso del combattimento. L’egemonia di Tebe risultò effimera e riuscì solamente a indebolire ancor più la Grecia perché la nuova tattica di combattimento fu prontamente imitata dalla falange macedone quando arrivarono al potere due grandi personalità come Filippo II e il figlio Alessandro Magno.
7.1 L’EGEMONIA DI TEBE
La guerra del Peloponneso era stata combattuta per impedire ad Atene di asservire alla sua politica il resto della Grecia, ma in realtà ciascuno dei confederati aveva avuto mire particolari: Megara e Corinto cercavano di riconquistare la loro antica prosperità commerciale; Tebe mirava a imporre l’egemonia locale sulla Beozia; Sparta desiderava rimanere incontrastata nel Peloponneso. Dopo la caduta di Atene, queste città, esponenti di interessi contrastanti, entrarono in conflitto tra loro.
I problemi del mondo greco All’inizio del IV secolo a.C., il mondo greco dovette affrontare in occidente il rinnovato attacco dei Cartaginesi e in oriente la ripresa di attività politica dell’Impero persiano che, correttamente, giudicava indebolita la capacità di resistenza dei Greci. Per resistere, le varie città greche dovevano collegarsi tra loro, ma questa necessità rese evidente che l’assenza di Atene turbava l’equilibrio politico della Grecia.
Siracusa La funzione già svolta da Atene poteva venir assunta da Siracusa, ma la città siciliana appariva troppo lontana dall’Egeo e dalle città della Ionia, e per di più troppo impegnata dal conflitto con Cartagine per potersi occupare della Grecia orientale. Dopo aver devastato Selinunte e distrutto Imera nel 406 a.C., i Cartaginesi conquistarono Agrigento, mentre a Siracusa iniziava la sua carriera militare Dionisio I che un poco alla volta ricevette tutti i poteri, compresa la guardia del corpo per proteggere la sua vita (405 a.C.). Dionisio tenne il potere per quasi quarant’anni. Ermocrate, capo del partito oligarchico, fu ucciso durante un tentativo compiuto per riprendere il poter in Siracusa; Diocle, capo della fazione democratica, fu bandito da Dionisio: a Siracusa solamente un regime tirannico riusciva a controllare le spinte contrapposte. Una prima guerra scatenata da Cartagine si concluse con la decimazione dell’esercito siracusano a causa di una pestilenza (405 a.C.). Qualche anno dopo, nel 397 a.C. di nuovo la pestilenza piegò i Cartaginesi, permettendo a Dionisio di riconquistare gran parte della Sicilia e di estendere l’influenza siciliana anche su gran parte della Magna Grecia. Entrò anche in rapporto con i Galli Cisalpini quando costoro condussero la nota incursione contro Roma che fu presa e saccheggiata, a eccezione del Campidoglio, e liberata solamente dopo il pagamento di un forte riscatto (386 a.C.).
Sparta Vittoriosa nella guerra del Peloponneso, Sparta non aveva le caratteristiche per assumere la funzione di guida della Grecia perché non formava un centro economico, culturale e artistico con funzione di nucleo propulsore dei Greci, come Atene quando era alla testa di un vasto impero marittimo. Sparta era una città lontana dal mare, chiusa a ogni influenza proveniente dall’estero: gli Spartiati erano alcune migliaia di proprietari terrieri che vivevano come accampati nella loro città, praticando un regime di terrore nei confronti di perieci e iloti, di cui peraltro avevano bisogno per il commercio e per la coltivazione dei campi. Per sopravvivere, Sparta aveva bisogno di assegnare il potere nelle varie città greche alla fazione oligarchica, affascinandola con l’apparente solidità del governo spartano, con l’ordine pubblico, con l’assenza di contrasti di opinioni che in realtà erano la caratteristica propria della cultura greca. La politica spartana cercava di cancellare le realizzazioni del V secolo ripristinando le condizioni sociali del VI secolo, ossia di riportare al potere i proprietari terrieri, i quali dovevano pagare il tributo a Sparta che impiegava il denaro così raccolto per mantenere molti opliti a sentinella dell’ordine pubblico.
Restaurazione oligarchica ad Atene Lisandro favorì ad Atene il partito conservatore guidato da Crizia che presiedeva un comitato segreto di cinque membri. Costoro cooptarono un comitato di trenta membri con l’incarico di studiare la nuova costituzione quanto mai reazionaria. Ben presto quel comitato ricevette il nome di Trenta Tiranni, che largheggiarono in condanne a morte, esili, confische di patrimoni, protetti da settecento opliti spartani. I cittadini attivi furono ridotti a tremila. Le vittime del nuovo regime furono almeno millecinquecento: l’odio provocato dai Trenta Tiranni produrre l’inevitabile reazione.
Trasibulo A File, ai confini con la Beozia, i fuorusciti ateniesi si organizzarono. Riuscirono a occupare Eleusi, a battere il contingente spartano e a occupare il porto di Munichia provocando la caduta del governo dei Trenta Tiranni insediato da appena otto mesi (403 a.C.)). A capo dei fuorusciti c’era Trasibulo. Lisandro chiese aiuti a Sparta, ma fu osteggiato dal re Pausania che giudicava la sua politica troppo personale. Perfino Corinto e Tebe rifiutarono di aiutare il regime repressivo dei Trenta. Nell’ottobre 403 a.C. Sparta inviò dieci fiduciari col compito di porre termine alla guerra civile. Poi fu insediata una commissione di venti membri che ripristinò la costituzione di Solone e il diritto penale di Dracone, con le passate magistrature. Atene riebbe la costituzione democratica, comprese le indennità per chi partecipava alle commissioni statali. Rinasceva lo Stato ateniese, ma questa volta senza la possibilità di aspirare all’egemonia sui Greci e alla guida della lotta contro l’Impero persiano. La popolazione era diminuita per effetto della peste e della guerra; le campagne dovevano attendere la ricrescita degli alberi da frutta; molti profughi impoveriti erano ritornati dalle varie parti del passato impero. Tutti gli Ateniesi apparivano umiliati e desiderosi di trovar capri espiatori ai quali attribuire la colpa del declino della città.
Socrate Tra i personaggi più in vista c’era l’ormai vecchio Socrate di cui tutti conoscevano l’amicizia con Pericle e con Alcibiade. Socrate era un personaggio scomodo perché con le sue incalzanti domande metteva a nudo la presunzione e la falsa sicurezza dei demagoghi che cercavano di cancellare il passato in luogo di sforzarsi di capire le cause che avevano provocato il crollo di Atene. Un giovane poeta tragico, Meleto, e due democratici, Anito e Licone, si accordarono per muovere a Socrate l’accusa di attentare ai costumi della patria, di ateismo e di corrompere i giovani. Socrate ritenne necessario ribadire il suo esigente ideale etico, rifiutando di ricorrere ai mezzi che avrebbero potuto salvargli la vita, ma in qualche modo confermare la fondatezza delle accuse. Il racconto della sua autodifesa è stato fatto da Platone (Apologia di Socrate) in un dialogo drammatico, in cui le accuse antiche e recenti mosse a Socrate vengono confutate, ma i giudici ritennero di dover ugualmente condannare Socrate perché non mostrava di piegarsi alla volontà dei nuovi padroni di Atene: fu condannato a morte perché con lui si voleva togliere di mezzo un testimone scomodo la cui vita era un tacito rimprovero ai nuovi ideali borghesi tanto difformi da quelli antichi.
L’economia innanzi tutto Il nuovo clima culturale è ben rappresentato da Senofonte, discepolo di Socrate, ma pochissimo influenzato dagli ideali etici del maestro, filo spartano, attirato da una politica di pace che permettesse di pensare ai problemi della produzione, alla prosperità, all’industria che non impiegava più schiavi, bensì cittadini impoveriti. Lo stallo della politica greca aveva rialzato le sorti della potenza persiana. Quando i rapporti tra Sparta e la Persia divennero burrascosi, Atene si schierò con la Persia, illudendosi di poter riacquistare la sua passata influenza sulla Grecia, ma in una situazione ben diversa da quella avuta al tempo della pace di Callia, quando Atene poteva escludere dall’Egeo la presenza delle navi persiane.
7.2 LA RIPRESA DELLE GUERRE PERSIANE
L’Impero persiano non aveva rinunciato a riprendere il controllo sulle città greche della Ionia. Farnabazo, satrapo della Frigia, collaborò a lungo con Sparta: nel 404, su richiesta di Lisandro, fece assassinare Alcibiade, rifugiato presso di lui. Farnabazo aveva propugnato la rinascita della potenza navale persiana come mezzo per superare le resistenze della Grecia. Tissaferne, satrapo delle province costiere dell’Asia Minore, fu sospettato di aver preso parte alla congiura contro Dario II e perciò fu esiliato e sostituito da Ciro il Giovane che, come si è visto, aprì crediti illimitati agli Spartani permettendo la sconfitta di Atene.
La ribellione di Ciro il Giovane Alla morte di Dario II (405 a.C.), Ciro il Giovane, sostenuto dalla madre Parisatide, si oppose all’ascesa al trono del fratello Artaserse: assoldò diecimila mercenari greci e si diresse in Mesopotamia per sconfiggere il fratello e succedergli al trono. Nel corso della battaglia di Cunassa, avvenuta nel 401 a.C., Ciro il Giovane perse la battaglia e la vita. I diecimila mercenari compirono la famosa ritirata da Cunassa fino alle coste del Ponte Eusino, guidati da Senofonte (Anabasi). Quella ritirata, compiuta con successo, preoccupò non poco Artaserse II, tanto da indurlo a punire le città dell’Asia Minore che avevano fornito mercenari. Queste, a loro volta, sentendosi minacciate, chiesero aiuto a Sparta che decise l’invio di un esercito in Asia Minore. Tale esercito fu blandamente contrastato da Farnabazo e da Tissaferne che si proponevano di tirare in lungo la guerra per avere il tempo di suscitare l’alleanza di Atene, Argo e Tebe ai danni degli Spartani.
Conone a capo della flotta persiana Evagora, tiranno di Salamina di Cipro, per riconciliarsi con l’Impero persiano di cui era un satrapo ribelle, si adoperò perché l’ateniese Conone venisse posto a capo della flotta persiana da impiegare contro Sparta (397 a.C.). Le città greche più importanti rifiutarono ogni aiuto a Sparta che, tuttavia, proseguì la guerra contro la Persia.
Agesilao Lisandro ottenne che a capo delle forze spartane venisse posto il re Agesilao, figlio di Archidamo: questi era zoppo e già avanti con gli anni, ma se Lisandro riteneva di poterlo manovrare a proprio piacere, si sbagliava. Agesilao guidò la politica greca per circa quarant’anni con notevole abilità. Nel 396 a.C. dichiarò guerra a Tissaferne e si spinse fino a Sardi dove colse una grande vittoria. Sul mare, Conone si trovò in difficoltà., ma in seguito intercettò un carico di grano inviato dall’Egitto in rivolta ad Agesilao e ottenne il rinforzo di ottanta navi persiane, oltre al richiamo di Tissaferne che appariva infido. Agesilao fece bottino nella satrapia di Farnabazo assicurandosi una forte posizione sull’Ellesponto, ma quando Atene decise l’alleanza con Tebe e riuscì a sconfiggere e uccidere Lisandro ad Aliarto, tutti i Greci ritennero giunto il momento dell’attacco generale contro Sparta.
La battaglia di Cnido Nel 394 a.C., presso il fiume Nemea che scorre a occidente di Corinto, gli Spartani riuscirono ancora una volta vittoriosi. Agesilao accorse dalla Troade e batté di nuovo la coalizione greca a Coronea, sempre nello stesso anno. Tuttavia, pochi giorni prima, la flotta di Conone aveva distrutto quella spartana al largo di Cnido. Conone fece vela su un mare ormai liberato dalla presenza spartana verso Atene dove giunse con una forte somma di denaro persiano che permise la ricostruzione delle Lunghe Mura. Sparta reagì inviando il proprio plenipotenziario Antalcida presso il satrapo dell’Asia Minore Tiribazo, successore di Tissaferne, che passò dalla parte di Sparta e fece arrestare Conone perché era convinto che la rinascita della potenza ateniese fosse troppo pericolosa per l’Impero persiano. La guerra continuò con alterna fortuna, trasformata in operazioni di pirateria per procurare il denaro necessario a proseguire le operazioni militari.
La pace del Re Nel 386 a.C., per stanchezza generale, Atene finì per accettare le condizioni di pace proposte da Antalcida e dalla Persia. Esse prevedevano la definitiva cessione delle città greche dell’Asia Minore alla Persia; il ritorno di Cipro sotto il controllo persiano; la rinuncia di Tebe all’egemonia sulla Beozia; il divieto per Argo di unirsi a Corinto; l’abbandono di tutte le isole da parte di Atene a eccezione di Sciro, Lemno, Imbro. Come si vede, la pace del Re appariva favorevole alla Persia e a Sparta ma né l’una né l’altra ne ricavavano grande vantaggio, perché sia Sparta sia la Grecia erano dominate da forze che spingevano verso una sempre maggiore frammentazione del mondo greco.
La crisi persiana L’Impero persiano era dominato dai satrapi ciascuno dei quali sceglieva la politica a lui più favorevole, poco curandosi del bene comune dell’Impero. L’Egitto si poteva considerare perduto; Evagora, tiranno di Salamina di Cipro, fece atto di sottomissione, e rimase al suo posto.
Sparta Subito dopo la pace di Antalcida o del Re, Sparta provvide a imporre governi oligarchici a Corinto e Mantinea; poi occupò la rocca di Tebe, la Cadmea; impose la propria egemonia alla Focide, all’Acarnania e all’isola Eubea; infine si volse verso Olinto posta a capo della Lega calcidica. Approfittando della crisi dinastica della Macedonia, i Greci tentarono di occupare anche quella regione. Sembrava quasi che Sparta fosse riuscita nel difficile compito di unificare la Grecia nel solo modo possibile, ossia conservando molte autonomie locali e regionali, ma in realtà la situazione rimaneva molto fluida e nel silenzio si stavano radunando le forze che avrebbero rovesciato la situazione.
7.3 LA RIPRESA DI ATENE
Il fervore di attività che nel V secolo aveva dominato ad Atene riversandosi nelle accese competizioni politiche, nel IV secolo appare rivolto alle attività artistiche e letterarie, alla filosofia e alla storiografia.
La fioritura culturale di Atene La tragica sorte riservata a Socrate indusse Platone a ripiegare sulla ricerca di istituti politici in grado di funzionare almeno in uno Stato ideale. Il grande problema posto da Parmenide con la sua riflessione sulle caratteristiche dell’essere indusse Platone a elaborare la metafisica, ossia la scienza dell’essere in quanto essere, la ricerca di una realtà più profonda di quella colta dai sensi che si può scoprire solamente da parte dell’intelletto quando supera il velo delle apparenze. La contemplazione del mondo delle idee immutabili diveniva il compito principale del filosofo. Altri filosofi, che proseguirono in altra direzione l’insegnamento di Socrate come Aristippo e Antistene, svilupparono temi come la ricerca del piacere e il disprezzo delle convenzioni sociali (cinismo), tendenti a spostare l’interesse dei filosofi dalla politica ai problemi dell’individuo che finisce per ritenere di non avere altri doveri che non siano verso se stesso. Con Democrito la filosofia tornava a occuparsi del problema della natura, come avevano fatto i primi pensatori ionici da Talete a Eraclito.
La storiografia L’accennato ripiegamento della cultura greca su se stessa produsse nella storiografia l’abbandono di quella appassionata indagine sulle cause dei grandi rivolgimenti politici prodotti dalla guerra del Peloponneso compiuta da Tucidide. La nuova storiografia vede Senofonte (430-354a.C.) occuparsi di episodi di cronaca come l’Anabasi; Eforo (408-340 a.C.) compì ricerche erudite approdando alla storia universale.
Teatro Nel teatro, oltre alla replica del repertorio del secolo precedente, non si ebbero orientamenti nuovi; la commedia perdette il gusto per la satira politica, riducendosi a rappresentazioni di costume.
Le arti figurative La grande stagione monumentale della Grecia era terminata col venir meno della prosperità. Tuttavia, il gusto per le cose belle non cessò, permettendo lo sviluppo della pittura che, tra le arti figurative, è la più povera, non avendo bisogno di materiali costosi. Zeusi, Parrasio e Apollodoro sono per noi solamente nomi perché le loro opere sono andate perdute, ma dai racconti dei contemporanei dobbiamo arguire che essi sapessero gareggiare con la natura nel ritrarre ogni soggetto con stupefacente realismo. Rimane qualche copia della scultura di Scopa, Lisippo e Prassitele che impressero nel marmo e nel bronzo una linea quanto mai flessuosa, antieroica, intimista.
Il successo economico di Atene Come accennato, la perdita dell’egemonia politica si tradusse per Atene in un grande successo economico. Essendo la città più bella e più rappresentativa della Grecia, Atene conservò le sue relazioni commerciali già tanto estese nel secolo precedente. I porti della città, i cantieri navali, i magazzini rimanevano i più comodi e meglio attrezzati per agevolare gli scambi; inoltre tutte le monete venivano accettate e scambiate e le tasse non erano troppo esose. La fine delle incursioni in Attica permise di ripiantare gli olivi, i fichi e le viti che tornarono a produrre merci ovunque apprezzate. Anche i terreni abbandonati o mal coltivati sotto la spinta di una popolazione crescente, offrivano la possibilità di proficui investimenti di denaro in razionali coltivazioni. Inoltre, le relazioni tra Tebe e Atene, che tanto avevano pesato sull’Attica occidentale quando erano burrascose, ora che erano tornate buone permisero la valorizzazione di quel territorio.
Il ripristino della democrazia a Tebe Nel 379 a.C., dall’accordo di fuorusciti tebani presenti ad Atene con cittadini di Tebe ostili al governo oligarchico imposto da Sparta, scaturì una congiura terminata con l’uccisione dell’arconte e di tre polemarchi filo-spartani. Il colpo di Stato ebbe successo. La guarnigione spartana di millecinquecento opliti fu assediata nella Cadmea e le truppe di rinforzo spedite da Sparta non giunsero in tempo per impedire la resa della guarnigione. Il re di Sparta Cleombroto proseguì la marcia, ma solamente per rendersi conto che le sue forze erano inadeguate per ripristinare l’ordine. Atene e Tebe di fronte al pericolo spartano si allearono, riuscendo a fermare anche Agesilao che era accorso da Sparta (378a.C.).
Atene rinnova la Lega navale Per far fronte alla reazione spartana, Atene decise di rifondare la Lega navale, non più diretta contro la Persia, bensì a tutela della pace del Re che proprio Sparta aveva infranto con l’intervento in Beozia. Per assicurare gli alleati circa il nuovo spirito che animava la seconda Lega navale, Atene stabilì che i propri cittadini non potessero acquistare terra nel territorio degli alleati, il cui concorso finanziario era un contributo alla causa comune, non un tributo. Gli Stati greci aderenti alla seconda Lega navale furono settanta. Atene impose ai propri cittadini un’imposta sul patrimonio accertato che sostituì le antiche classi di censo istituite da Solone. Furono trovati anche comandanti capaci che mostrarono maggiore prudenza rispetto agli ammiragli del secolo precedente.
Tebe si rafforza Di fronte a queste preoccupanti novità, Sparta ritenne che fosse opportuno schiacciare l’avversaria ritenuta meno potente, Tebe, attaccata da Agesilao e da Cleombroto (377a.C.). I Tebani adottarono ancora una volta la tattica che aveva avuto successo nell’anno precedente, ossia evitare la battaglia campale, stando al riparo di terrapieni e trincee, cercando di attaccare per linee traverse il fianco degli avversari. Con questa tattica furono vinte le battaglie di Platea e Tagiro nel 375. Nel frattempo Tebe aveva unificato la Beozia sotto un regime democratico, aveva coniato una buona moneta comune e aveva dato vita a un nuovo ordinamento tattico della fanteria studiato per battere in campo aperto la fanteria spartana.
La Tessaglia A nord di Tebe, la Tessaglia, una regione rimasta fino a quel momento un poco ai margini del mondo greco, veniva unificata da Giasone tiranno di Fere che assunse la carica di tagos, ossia comandante federale dei Tessali, in grado di mettere in campo una famosa cavalleria di ottomila cavalieri e una fanteria di ventimila opliti. Giasone sognava l’egemonia sulla Grecia e la ripresa della guerra contro la Persia. Contrariamente alla sua fama, mentre per terra le truppe di Sparta non riuscivano a imporsi, per mare la flotta del Peloponneso riusciva a paralizzare il commercio ateniese. Finalmente, lo stratega ateniese Cabria diresse una fortunata battaglia navale che fruttò l’occupazione di Nasso e la distruzione della flotta persiana (376 a.C.).
La nuova pace Nel 374 a.C. a seguito di altre sconfitte spartane, si giunse a una nuova pacificazione della Grecia che, rispetto alla pace di Antalcida o del Re, conteneva la pacificazione della Grecia, il ritiro delle forze spartane dalla Beozia e il riconoscimento della Lega navale di Atene. I motivi di contrasto, tuttavia, non furono eliminati del tutto e la guerra riprese con alterna fortuna fin dall’anno dopo. Nel congresso panellenico di Sparta del 371 a.C., cui intervenne anche Aminta re di Macedonia, venne riconfermata la pace di Antalcida, ma al congresso di Sparta non partecipò Tebe, offesa perché non era stata riconosciuta come rappresentante di tutti i Beoti.
Leuttra Sparta decise la guerra contro Tebe penetrando nel territorio di Tespie. I Tebani ritennero giunto il momento di mettere alla prova il nuovo esercito guidato da due comandanti eccezionali, Pelopida ed Epaminonda, indicati dai biografi antichi come caso esemplare di collaborazione tra personalità diverse tra loro: il primo appariva ardito e risoluto nell’azione di comando con perfetta capacità di scelta del momento tattico favorevole; il secondo era lungimirante, attento ai risvolti politici successivi all’azione militare. La battaglia fu combattuta a Leuttra nel 371 a.C. e vide l’applicazione con successo della battaglia obliqua: invece di porre il nucleo più forte sulla destra del proprio schieramento, come era stato in uso fino a quel momento, per poi proseguire l’azione con l’accerchiamento delle forze nemiche, Epaminonda concentrò il nucleo più importante delle sue forze sulla sinistra del suo schieramento, spingendolo non contro la fronte, bensì contro il fianco nemico. Nonostante il fatto che le forze tebane fossero inferiori di numero, e non di poco rispetto a quelle spartane, la vittoria di Epaminonda risultò schiacciante.
7.4 L’EGEMONIA DI TEBE
La vittoria di Tebe a Leuttra rimescolò gli equilibri della Grecia. Sparta usciva umiliata da una sconfitta campale, ossia nel settore in cui era apparsa fino a quel momento invincibile.
Giasone di Fere La sconfitta militare e il ridimensionamento politico di Sparta sembrarono a Giasone di Fere un’occasione unica da cogliere per stabilire la propria egemonia sulla Grecia. Dapprima occupò Eraclea Trachinia e attaccò i Focesi, poi volle erigersi mediatore tra i due maggiori contendenti per cogliere la possibilità di un’alleanza con gli Spartani e ridimensionare i Tebani che sarebbero stati stretti come da una morsa. Una congiura ordita forse dal fratello spazzò via Giasone e una possibile egemonia della Tessaglia sulla Grecia fu travolta sul nascere (370 a.C.). L’autorità di Tebe risultò rafforzata su tutta la Grecia centrale, a eccezione dell’Attica e dell’Etolia, una regione quest’ultima ancora ai margini della Grecia.
Conseguenze della battaglia di Leuttra Nel Peloponneso divampò la rivolta contro Sparta sotto forma di ribellione contro i governi oligarchici, specialmente ad Argo. In Arcadia, le città costruirono le mura cittadine a propria difesa contro un possibile ritorno offensivo degli Spartani, come fece Mantinea che in seguito propose una confederazione delle città della regione cui si associarono anche Argo e l’Elide. Tebe approfittò della crisi spartana inviando un esercito guidato da Pelopida ed Epaminonda, giunto fin nella valle dell’Eurota, il fiume che bagna Sparta. La spedizione non ebbe successo, ma provocò la ribellione degli iloti e la conquista da parte degli Arcadi di alcune città di confine. La città di Messene, ricostruita sottraendo il territorio più fertile di Sparta, attirava gli schiavi fuggitivi dalla Laconia, i cui abitanti furono perciò costretti a coltivare la loro terra, come non avevano fatto da molto tempo. Con la fondazione di Messene, i Tebani si procurarono un’alleata fedele. Il successo di Tebe, come sempre era accaduto, preoccupò gli altri Stati greci. Ben presto le città dell’Istmo si allearono con Sparta attirando nella combinazione anche Atene. Una nuova spedizione di Epaminonda, condotta nel 369 a.C., permise ai Tebani l’occupazione di Sicione, ma non ebbe altri risultati. In ogni caso, la Confederazione dell’Arcadia si rafforzò mediante l’istituzione di un’assemblea popolare di almeno diecimila membri, di uno stratega, di un consiglio permanente e di un organo esecutivo federale che disponeva di una cassa comune e di propria moneta: per eliminare possibili fonti di attrito venne fondata una nuova città federale, Megalopoli (369 a.C.). Per evitare l’allargamento del conflitto, Dionisio di Siracusa e il re di Persia offrirono i loro buoni uffici per mettere fine alle guerre in Grecia che, tra l’altro, avevano l’inconveniente di sottrarre mercenari da arruolare al loro servizio.
La guerra prosegue Il congresso panellenico radunato a Delfi non ebbe successo. L’Arcadia proseguì la sua lotta contro Sparta, con l’aiuto di Argo e Messene, ma il compito si rivelò superiore alle forze degli Arcadi che furono sconfitti senza perdite per gli Spartani.
Alessandro di Fere In Tessaglia aveva assunto la carica di tagos un nipote di Giasone, Alessandro di Fere, tiranno di questa città dal 369 al 358 a.C. Pelopida intervenne in Macedonia dove un pretendente al trono aveva scatenato la guerra civile. La spedizione in Macedonia fu coronata da successo favorendo la successiva alleanza fra Tebe e quella regione che inviò a Tebe come ostaggio il principe Filippo, il futuro dominatore della Grecia. La spedizione in Tessaglia, divenuta alleata di Atene, al contrario, non ebbe successo: Pelopida fu fatto prigioniero e solamente l’abilità di Epaminonda permise la sua estradizione.
Fallimento dei tentativi di pace Ancora una volta Dionisio di Siracusa e il re di Persia, ciascuno per i propri scopi, cercarono di riportare la pace in Grecia. Atene si alleò con Dionisio, ma costui poco dopo morì (367 a.C.) e il successore, Dionisio il Giovane, in quel momento sembrava desideroso solamente di scrivere un manuale della filosofia di Platone, sebbene sconsigliato dal filosofo. Siracusa era sempre minacciata dall’espansionismo cartaginese e anch’essa aveva bisogno dell’intervento dei Greci della madrepatria. La Persia cercò l’alleanza di Tebe per imporre un freno alla flotta di Atene. La guerra riprese con la terza spedizione di Epaminonda nel Peloponneso: il risultato fu l’adesione dell’Acaia alla Lega tebana, ma il tentativo di introdurre ordinamenti democratici nelle città riportò quella piccola regione nell’orbita di Sparta. Nel 366 a.C. ci fu un nuovo tentativo di pacificazione generale sulla base dello statu quo: solamente Sparta e Tebe rimanevano in guerra tra loro.
Atene si volge al mare Atene non poté sopportare più a lungo il costo della guerra sul continente e perciò si rivolse ancora una volta al mare per assicurarsi il possesso dell’Ellesponto che garantiva i rifornimenti di frumento e l’assorbimento dei suoi prodotti. La direzione degli affari pubblici tornò nelle mani di Timoteo, un ammiraglio che seppe recuperare Samo. Il fatto suscitò molti timori tra gli alleati della Lega navale e perciò nel 363 a.C. Bisanzio lasciò la Lega. Timoteo fu costretto a condurre una spedizione contro Bisanzio, che fruttò anche la conquista di Sesto, di Torone e di Potidea, ma non di Anfipoli e di Olinto. Anche la Macedonia fu riportata sotto l’influenza ateniese.
Morte di Pelopida ed Epaminonda Tebe giudicò essenziale espandersi in direzione della Tessaglia. Nel 364 a.C. Pelopida condusse una campagna vittoriosa contro Alessandro di Fere, ma rimase ucciso in combattimento. Epaminonda, rimasto solo al comando delle forze tebane, considerò di vitale importanza assumere il controllo dell’Ellesponto e perciò si volse all’Eubea che gli fornì la flotta, ottenendo l’adesione ai suoi progetti anche di Ceo, Chio, Rodi, e Bisanzio. Questo brillante progetto, tuttavia, fu vanificato dall’insorgere di discordie tra l’Elide e l’Arcadia. L’occasione del conflitto fu offerta dal tentativo degli Arcadi di impadronirsi del tesoro del tempio di Olimpia. Nella regione si giunse alla contrapposizione tra Tegea e Megalopoli da una parte insieme con le città rette a democrazia, e dall’altra Mantinea con le città rette a oligarchia. Un maldestro tentativo di pacificazione tentato da Tegea fece divampare il conflitto. Tebe si schierò dalla parte dei democratici e accorse contro Mantinea che fu sconfitta (362 a.C.), ma Epaminonda rimase ucciso in combattimento.
Declino dell’egemonia tebana Con la morte dei suoi geniali comandanti, Tebe che aveva un’economia essenzialmente agricola e quindi era danneggiata dall’eccessiva durata della guerra che sottraeva forze di lavoro ai campi, non fu più in grado di scendere in campo con la sua famosa fanteria e non aveva forze finanziarie per assoldare mercenari. Anche se non fossero morti tanto presto, Pelopida ed Epaminonda non sarebbero stati in grado di impedire il declino dell’egemonia tebana. Sparta e Atene, al contrario, mantenevano la loro capacità di resistenza: la prima aveva conservato la sua struttura militare; la seconda il dominio dei mari. La meteora dell’egemonia tebana era valsa solamente a indebolire ulteriormente la Grecia di fronte a potentati fin allora disprezzati come la Tessaglia e la Macedonia. Tebe ebbe ancora la forza di compiere due spedizioni, in Eubea nel 357 a.C. e nel Peloponneso nel 352, ma senza modificare l’equilibrio delle forze.