Le ragioni di un mito
Si è da poco celebrato il quattrocentenario della morte di Giordano Bruno, arso in piazza Campo de’ Fiori la mattina del 17 febbraio 1600, e numerosissimi interventi di storici, filosofi e teologi hanno accompagnato questo anniversario con riflessioni volte a chiarire ancor meglio il senso complessivo della sua figura e del suo pensiero.
In effetti non molti altri protagonisti della cultura moderna hanno visto accendersi intorno a sé un dibattito critico intenso come quello che si è svolto attorno alla figura di Bruno. Molteplici i motivi di questo interesse oltre, ovviamente, a quelli derivanti dal valore del suo pensiero. In età risorgimentale Bruno è lentamente divenuto un “caso”, utilizzato dalle forze laiche e liberali di ispirazione massonica (come è noto erano affiliati a logge della massoneria molti dei protagonisti del Risorgimento, da Mazzini, a Cavour, a Garibaldi, a Crispi, etc.) come elemento di punta in quella accesissima battaglia anticlericale e antipapista che accompagna e segue il processo che conduce all’unità d’Italia. Lo Stato Pontificio rappresenta infatti un ostacolo formidabile sulla via dell’unificazione della penisola e, anche dopo la presa di Roma nel 1870, il Vaticano continua ad essere sentito come un insidioso nemico, da combattere con ogni mezzo. E’ in questo clima di latente “guerra civile” che sorge e trova alimento il mito di Bruno come martire del libero pensiero, presentato come un vero e proprio Socrate moderno, morto per non tradire le sue idee e per difendere il diritto al libero esercizio della ricerca filosofica, al quale saranno intitolate innumerevoli logge e onorificenze massoniche sia in Italia, che all’estero. Precedentemente a questo mito ne era sorto un altro ad esso speculare, sulla scorta delle invettive di Voltaire e degli illuministi nonché del successivo giacobinismo europeo, ovvero quello della Chiesa Cattolica come di una istituzione retriva e biecamente conservatrice, che trova la sua essenza ben rappresentata da una sua particolare istituzione : il tribunale inquisitoriale. La settecentesca “leggenda nera” dell’Inquisizione diventa così lo scenario ideale su cui si staglia ancor più nettamente la modernità di Bruno : il suo diventa lo scontro fra i lumi della ragione e la presunta barbarie e l’oscurantismo ecclesiastici. Leggenda nera che va considerata appunto tale in quanto i dati relativi alle condanne alla pena capitale, ad esempio nella città di Roma, ammontano in totale a 97 persone per il periodo che va dal 1542, quando l’Inquisizione viene nuovamente istituita, al 1761 : una media di meno di una condanna ogni due anni, che basta a far comprendere con quanta moderazione e prudenza procedesse l’istituzione che doveva difendere il cattolicesimo dal pericolo rappresentato dall’eresia protestante.
Fortunatamente negli ultimi decenni gli studiosi del filosofo di Nola (questa la città in cui Bruno nasce nel 1548) hanno saputo illuminare con grande acume molti aspetti della sua vita e del suo pensiero, andando oltre la tradizionale immagine retorica ed agiografica, ed evitando di utilizzarlo in una battaglia ideologica anticlericale sterile quanto scontata. Si sono inoltre enormemente arricchiti gli studi sull’Inquisizione, e possiamo perciò dire di avere tutti gli elementi per comprendere in modo rinnovato lo scontro che ha opposto, nell’ultimo decennio del Cinquecento, Bruno alla Chiesa.
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