Libro III – Cap. 15 La restaurazione in Europa

Prof. A. Torresani. 15. 1  La Francia da Luigi XVIII a Carlo X – 15. 2  La fine dell’esperimento liberale spagnolo – 15. 3  I decabristi in Russia – 15. 4  L’indipendenza della Grecia – 15. 5  La situazione tedesca – 15. 6 L’impero asburgico – 15. 7  Cronologia essenziale – 15. 8  Il documento storico – 15. 9  In biblioteca.

Se dall’Italia passiamo all’esame della situazione europea, emerge, fino al 1830, il prevalere di tentativi conservatori presso i governi del continente: solo la Gran Bretagna ap­pariva fiduciosa circa la possibilità di risolvere i propri pro­blemi senza intaccare il sistema fondato sulla libertà di stampa e di riunione nonché sulla capacità del Par­lamento di mediare tra loro spinte innovatrici e con­servatrici.
     In Francia, la costituzione “concessa” da Luigi XVIII appa­riva simile a quella inglese, ma sul continente non dette apprez­zabili risultati.
     In Spagna, dopo la perdita delle colonie d’America, fino al 1823 ebbe luogo l’esperimento democratico fondato sulla costitu­zione del 1812, poi intervenne l’esercito francese che  soppresse la costituzione.
     La Russia, sotto il regno dello zar Alessandro I,  la guerra patriottica contro Napoleone su­scitò un vivace nazionalismo slavofilo.  Molti intellettuali russi pensavano che il loro paese fosse destinato dalla Provvi­denza a redimere l’Europa caduta nel materialismo; al­tri, invece, vedevano nell’assunzione della cultura occidentale la soluzione dei problemi russi.
     Nell’impero turco, la pressione russa ebbe successo in Gre­cia perché si combinava col fervore di studi sull’antica civiltà greca: anche a costo di mettere da parte il programma politico elaborato a Vienna, Francia Gran Bretagna e Russia imposero il riconoscimento internazionale dell’indipendenza del­la Grecia.
     La Germania, dopo il fervore patriottico al tempo delle guerre contro Napoleone, sembrava ristagnare sul pia­no politico, mentre su quello culturale appariva in pieno svilup­po.
     In Austria i problemi creati dal nazionalismo furono avver­titi più acutamente che altrove, perché si scontravano da una parte il nazionalismo tedesco che aspirava a riunire gli Stati germanici in una confederazione, e dall’altra il nazionali­smo delle minoranze etniche presenti nell’impero, soprattutto magiari, italiani, cechi.  Vienna visse la sua straordina­ria stagione musicale, ma sul piano politico assunse la funzione di gendarme d’Europa.
     Verso il 1831 la Polonia, generosa e infelice, tentò di sol­levarsi.  La repressione russa non ebbe difficoltà a ristabilire l’ordine a Varsavia, ma a prezzo di sofferenze dei pa­trioti polacchi che  costatarono che nessun aiuto poteva giunge­re dall’Occidente, sempre più preoccupato di non provocare il co­losso russo.
 
15. 1 La Francia da Luigi XVIII a Carlo X
     La Francia sconfitta ebbe due trattati: quello del 1814 che non comportava l’occupazione straniera e l’indennità di guerra, e quello del 1815 che fu molto più duro, perché fino al 1817 si dovettero mantenere i soldati de­gli eserciti vittoriosi, pagando almeno 700 milioni di franchi di riparazione dei danni provocati da Napoleo­ne.
Luigi XVIII “concede” la carta costituzionale   Il conte di Provenza si era sempre ri­tenuto l’erede della tradizione monarchica. Dopo l’abdicazione di Napoleone, il senato francese adottò una costituzione concepita secondo il principio che il popolo era so­vrano e che esso “chiamava” Luigi XVIII ad assumere la guida del paese. Tale formula non era gradita a Luigi XVIII che tuttavia capì di dover fare qualche concessione. Il 4 giugno 1814 la Carta costituzionale fu pubblicata, rivelandosi un compromesso.
Caratteristiche della Costituzione Era ribadito il carattere dinastico, di diritto divino, della monarchia francese, tuttavia per “graziosa concessione” erano accolte le conquiste della rivoluzione: uguaglianza dei cittadini davanti alla legge; libertà di pensiero e di espressione; libertà di religione; il codice civile di Napoleone; i beni della Chiesa e degli emigrati rimanevano ai nuovi possessori; si confermavano titoli, onorificenze e pensioni concesse dal governo precedente; erano onorati gli impegni finanziari; il sistema ammini­strativo restava inalterato.
Il re conserva grandi poteri Il sovrano assumeva ampi poteri­: i ministri erano responsabili davanti al re e non davanti al Parlamento. Il re inoltre conservava parte del potere legi­slativo perché solo da lui partivano le proposte di legge. Gli elettori sarebbero stati una ristretta minoranza di cittadini perché il diritto di voto era subordinato al possesso di beni tassati per almeno 300 franchi all’anno. Questo regime politico, anche se ispirato a quello inglese, non si può definire parlamentare nel senso odierno, perché il governo non dipendeva dalla maggioranza del Parlamento.
Squilibrio tra Parigi e il resto della Francia  La Francia, nel 1815, appariva un paese per alcuni versi squilibrato. Parigi era un’enorme città con almeno 700.000 abitanti, ma solo Lione e Mar­siglia superavano i 100.000.  Il resto della popolazione abitava in cittadine e villaggi. L’agricoltura era l’attività di gran lunga prevalente e l’analfabetismo ave­va un livello alto, circa il 40% della popolazione.
Il problema delle proprietà confiscate  Il primo problema rimaneva quello dei beni acquistati nel periodo rivoluzionario. Luigi XVIII comprese che sulla questione dei beni nazionalizzati ci sarebbe stata bat­taglia, e che si sarebbero formati due partiti: da una parte gli antichi proprietari che si sarebbero schierati con la monarchia, ma su posizioni oltranziste, dall’altra i numerosi arricchiti dalla rivo­luzione che si sarebbero  schierati su posizioni democratiche an­che se i loro interessi materiali, quelli di classe sociale, li avrebbero dovuti accomunare ai primi. C’era poi il gruppo legato all’industria, alla finanza, al commercio che non aveva origini aristocratiche ed era liberale perché temeva il ritorno agli an­tichi sistemi di controllo statale sull’industria. Questa categoria era liberale soprattutto perché ostile all’aristocrazia, e anticlericale. La burocrazia era filogovernativa, perché il timore di perdere il posto era più forte di qualunque convincimento personale.
Ripresa economica  La capacità di ripresa di una nazione essen­zialmente agricola dipende dai raccolti. Anche in Francia, fino al 1817, il disordine climatico provocò penuria di viveri, ma in seguito le cose andarono meglio e il paese ebbe alcuni presti­ti internazionali che permisero di saldare i debiti esteri. Ma subito sorse il rumoroso gruppo degli emigrati che chiedevano l’indennizzo per il danno subìto con la confisca del patrimonio.
Le elezioni del 1815  Nell’agosto 1815 si tennero le prime ele­zioni e per l’occasione fu abbassata l’età, per gli elettori, da 30 a 21 anni, e per gli eletti, da 40 a 25. Il risultato delle elezioni sorprese tutti: la camera era affollata da realisti convinti, ge­neralmente giovani e subito chiamati ultras. Luigi XVIII affermò che quella era una camera introvabile, più realista del re.
Richelieu e Decazes   Il re nominò primo ministro Armand Emmanuel de Richelieu, un nobile di vecchio stampo che godeva di grande stima.  Durante l’esilio era stato in Russia. La sua amicizia con lo zar Alessandro I faceva ritenere che avrebbe ot­tenuto a Vienna migliori condizioni di pace per la Francia.
Gli ultras  Subendo le pressioni della camera ultras, furono vo­tate alcune leggi per punire i crimini del passato regime. La vittima più illustre fu il maresciallo Ney, la cui condanna apparve una specie di vendetta. Nel 1816 la politica re­pressiva cominciò a dare risultati negativi: i monarchici si di­visero in ultras irriducibili e in moderati, e perciò il governo si trovò in minoranza perché combattuto dalla destra degli ultras e dalla sinistra liberale. Luigi XVIII, perciò, fu co­stretto a sciogliere la camera introvabile, indicendo nuove ele­zioni.
Tentativo di una politica di centro Luigi XVIII si proponeva una politica di centro e cercava un’intesa coi liberali che fallì, da una parte a causa degli ultras; e dall’altra a causa della sinistra liberale comprendente re­pubblicani, orleanisti e bonapartisti.
La conferenza di Aquisgrana Nel 1818 ci fu ad Aquisgrana una conferenza della Santa Alleanza per esa­minare la situazione francese, giudicata abbastanza tranquilla anche se la diffusione di idee liberali preoccupava i governi della Santa Alleanza. Di ritorno dalla conferenza il primo ministro de Richelieu ritenne opportuno orientarsi più a destra: a lui si oppose il Decazes, deciso a seguire una politica di avvicinamento alla sinistra liberale. Il dissidio tra i due più importanti esponenti del ministero portò alla crisi politica.
Nuove elezioni Tuttavia, alle elezioni politiche del 1819 i li­berali ottennero un successo tale che anche il Decazes si preoc­cupò. All’inizio del 1820 avvenne un cruento episodio: il duca di Berry, nipote del re ed erede presunto, fu assassinato. L’impressione fu enorme e la responsabilità politica fu attribuita al Decazes, che dovette rassegnare le dimissioni.  Al suo posto fu richiamato il Richelieu.
Ritorno degli ultras nel governo Villèle Il nuovo governo era espressione degli ultras e il loro esponente più significativo, Joseph de Villèle, divenne primo ministro, un personag­gio abile negli scontri dialettici e dotato di fiuto per gli af­fari, tanto che la finanza francese non fu mai più prospera di allora. Ma Villèle non capiva nulla di politica estera e il suo governo appariva meschino, pacifista, utilitarista, ossia il meno gradito a una nazione che provava nostalgia della gloria passata.
Successi politici del Villèle Tuttavia, con Villèle furono ottenuti alcuni successi: i quadri dell’amministrazione furono occupati da persone competenti; la polizia sventò alcuni complotti carbonari; il governo si assunse il compito della repressione del movimento liberale in Spagna, un’impresa irta di pericoli, perché tutti ricordava­no gli insuccessi di Napoleone nella penisola iberica. Al con­trario, la nuova impresa fu coronata da successo e l’eser­cito uscì rinfrancato e devoto alla monarchia. Il governo approfittò della favorevole congiuntura per in­dire nuove elezioni, tenute nel marzo 1824: il partito di governo riportò una maggioranza schiacciante.
Nuovo successo degli ultras Proprio tale vittoria rivelò molti pericoli.  La scomparsa dal Parlamento della sinistra liberale, scatenò la destra ultras. Il Villèle volle liberarsi del troppo ingombrante ministro degli esteri, il Cha­teaubriand, che subito si mise a capo dell’opposizione di destra. Nel settembre 1824 morì Luigi XVIII e sul trono di Francia salì Carlo X, più vicino alle posizio­ni degli ultras.
Carlo X Il primo provvedimento di Carlo X fu la con­cessione di un indennizzo agli espropriati dalla rivoluzione, la “legge del miliardo” come si affrettarono a chiamarla i liberali. La legge aveva il significato politico di tacitare le rivendica­zioni degli antichi proprietari e di rassicurare i nuovi che si potevano recuperare alla causa monarchica. Il governo intensificò l’azione a favore della Chiesa cattolica: ora c’era un solo ministero per il culto e l’istruzio­ne pubblica affidato a un vescovo; le scuole religiose furono sottratte al controllo delle università; gli ordini religiosi ma­schili e femminili, in contrasto col concordato napoleonico, ri­tornarono in Francia. Subito si scatenò una campagna di stampa fatta di libelli e di denunce che mettevano in guardia dall’inquisizione, dai Gesuiti, dal ripristino delle de­cime, e così via. La campagna ebbe successo perché divise i mo­narchici, molti dei quali non avevano simpa­tia per la Chiesa cattolica. 
Sconfitta del ministero  Il governo fu scon­fitto su due provvedimenti. Il primo era il tentativo di reintrodurre il maggiorascato per limitare la fram­mentazione della proprietà fondiaria: l’opposizione fece cadere il progetto, presentato come un ritorno al pas­sato. La seconda sconfitta del governo avvenne sul progetto di censura della stampa, accusata di essere la causa della crescente impopolarità del governo, costretto a ritirare il progetto. 
Elezioni del 1827  Il Villèle chiese al re di nominare 72 pari di Francia al senato, e fece sciogliere le camere nel 1827. Le nuove elezioni non dettero al de Villèle la mag­gioranza prevista: dal nuovo governo, furono fatte no­tevoli concessioni alla sinistra liberale. In politica estera si manifestò l’orientamento liberale con l’aiuto fornito ai Greci per mantenere la loro indipendenza.
Il colpo di Stato di Carlo X Carlo X intervenne per formare un nuovo governo annunciato a sorpresa nell’agosto 1829, in cui figuravano per­sonaggi che passavano tra i più retrivi. Per colmo di stranezza, dopo aver messo insieme un ministero per lo meno discutibile, ci si limitò a preparare la spedizione per la conquista di Algeri, prendendo pretesto da una atto di pirateria. Nel discorso della corona, Carlo X accennò all’impiego della forza, ossia la sospen­sione della costituzione, se il governo avesse incontrato ostaco­li. Il Parlamento ribadì che la propria volontà doveva coincidere con quella del re, e che in caso di conflitto doveva prevalere la volontà del Parlamento.
Le ordinanze di luglio Il 5 luglio 1830 giunse a Parigi la no­tizia della conquista  di Algeri e il 26 luglio comparvero sul Moniteur quattro ordinanze: con la prima si dava al re la facoltà di emanare i regolamenti e i decreti necessari per la difesa dello Stato; con la seconda si limitava la li­bertà di stampa; con la terza si scioglieva la camera appena eletta e non ancora convocata; con la quarta veniva modificato il sistema elettorale per escludere quanto più possibile elettori liberali.  Provvedimenti così eccezionali non furono accompagnati da misure di polizia straordinarie: i liberali se ne accorsero e ne approfittarono per provocare gravi disordini in Parigi, guida­ti dal duca di Orléans. Carlo X, dopo tre giorni di barricate, cedette e il 2 agosto abdicò.
Abdicazione di Carlo X Carlo X cadde per il fallimento del ten­tativo di instaurare un regime fondato insieme sull’an­tico principio del potere divino dei re e sul nuovo principio della sovranità popolare; inoltre cadde perché il tentativo di nobiltà e clero, di limitare il potere della borghesia, era inattuabile.
Luigi Filippo d’Orléans Il vecchio Lafayette, idolatrato dalla nazione come reliquia vivente degli anni della rivoluzione, non fece altro che presentare alla folla il duca d’Orléans che, senza fatica, ereditò il trono di Francia.
 
15. 2  La fine dell’esperimento liberale spagnolo
     Il 1° gennaio 1820 il contingente di truppe pronte per l’imbarco verso le colonie americane fu indotto a sollevarsi e a marciare su Madrid dal colonnello Raphael de Riego, un ufficiale conquistato alle idee liberali. Ferdinando VII avanzò subito la richiesta alle potenze della Santa Alleanza di un intervento armato per schiacciare la rivoluzione.
Matura l’intervento in Spagna La repressione della rivoluzione a Napoli e in Piemonte, permise la riunione del congresso di Verona nel 1822: la Francia chiese di operare in Spagna quel che l’Austria aveva fatto in Italia. La Gran Breta­gna protestò, temendo la possibilità dell’unione di Francia e Spagna sotto un’unica dinastia, ma le altre potenze non avevano tale timore.  Nel 1823 il duca di Angoulême, invase la Spagna. I liberali spagnoli costatarono di essere una sparuta élite senza seguito: in poche settimane il loro governo fu costretto a fuggire a Cadice. La città, dopo un breve assedio, fu catturata e Ferdinando VII comandò la repressione dei liberali.
La successione di Ferdinando VII Nel 1829, Ferdinando VII, dopo la morte della terza moglie, era ancora senza figli. Si sposò per la quarta volta con Maria Cristina di Napoli da cui ebbe una figlia, Isabella.  Quella nascita inattesa tolse ogni speranza di successione a don Carlos, fratello di Ferdinando VII, capo del partito ultrareazionario. Sul piano costituzionale esi­stevano dubbi sulla legalità della successione in linea fem­minile. Così nacque il movimento carlista che per più di mezzo secolo fu grave fattore di disturbo della vita spagno­la. Quando nel settembre 1833 Ferdinando VII morì, la figlia Isabella II fu proclamata regina, sotto la reggenza della madre Maria Cristina, costretta a cercare l’alleanza coi liberali. 
Difficoltà di governo della reggente Anche Maria Cristina avrebbe potuto regnare secondo la tradizione assolutista, ma il controllo dell’esercito e della burocrazia non erano sufficienti per resistere ai Carlisti nelle cui file confluivano non solo gli ultraconservatori, ma anche i movimenti autonomisti basco e cata­lano. Con la costituzione del 1837, Maria Cri­stina fu costretta ad accettare il ritorno degli esiliati del de­cennio precedente, ma né la reggente né la figlia Isabella II ac­cettarono fino in fondo le implicazioni di un governo liberale.
Le guerre carliste La prima guerra carlista, combattuta sia  per motivi dinastici sia per motivi ideologici durò due anni, dal 1837 al 1839, nel corso dei quali il generale basco Zumalacárre­gui tenne in scacco le superiori forze costituzionali, ma infine la causa carlista ammise la sconfitta.  Il vincitore, il generale Espartero, raccomandò alle Cortes la con­ferma dei fueros (consigli provinciali) baschi, ma i liberali non compresero la necessità di dividere la causa del carlismo da quella dei regionalisti, facendo ampie concessioni a questi ulti­mi. Essi stabilirono invece di dividere la Spagna in 49 province secondo il modello francese. Subito divampò, incontenibile, la rivolta della Catalogna che costrinse la reggente Maria Cristina al ritiro dalla scena politica. Il generale Espartero assunse i pieni poteri che tenne per tre anni, finché anch’egli venne rove­sciato da un colpo di Stato di liberali e moderati.
Isabella II Nel 1843 Isabella II, all’età di tredici anni, fu dichiarata maggiorenne. Nel 1846, la questione del suo matrimo­nio sollevò una crisi internazionale. Infatti, per iniziativa della regina madre, fu deciso di celebrare un doppio ma­trimonio tra Isabella II e il cugino Francesco di Borbone, e tra la sorella minore, Maria Luisa e Antonio duca di Mon­tpensier, figlio del re dei Francesi Luigi Filippo. Se si tiene presente che il primo matrimonio era considerato privo di pos­sibilità di essere fecondo, e che perciò il trono sa­rebbe passato ai figli della seconda coppia nominata, si può com­prendere la viva preoccupazione del governo britannico che contribuì non poco alla caduta della monarchia francese nel 1848.
Caduta di Isabella II  Il malcontento della nazione, infine, si scatenò direttamente contro la dinastia dei Borbone. Nel 1868 l’ammiraglio Topete dette il segnale della rivolta a Cadice, ben presto seguito da quasi tutti i generali. Isabella II fu co­stretta all’esilio e, come era avvenuto nel 1810, il potere tornò nelle mani del popolo spagnolo.
 
15. 3 I decabristi in Russia
  Caterina II di Russia morì nel 1796. Il successore, lo zar Paolo, era uno squilibrato. Nel 1801 una congiura militare tolse di mezzo lo zar Paolo e il trono fu assunto dal giovanissimo zar Alessandro I.
La Russia all’inizio del XIX secolo A seguito di due spartizio­ni della Polonia, avvenute nel 1793 e nel 1795 approfittando del­la crisi francese, i confini della Russia divennero più o meno quelli attuali.  Verso l’anno 1812 la popolazione russa arrivava a 45 milioni di abitanti; nel 1825 raggiunse circa 55 milioni, quasi tutti concentrati nella Russia europea, perché l’immensa Siberia non superava i 2 milioni di abitanti. Il 90% della popolazione era dedito all’agricoltura: circa la metà dei contadini erano servi della gleba ossia legati alla terra che coltivavano, senza possibilità legale di cambiare attività. I servi della gleba erano tenuti a pagare una tassa personale (testatico) e a prestare il servizio militare, se erano sorteggiati, della durata di 25 anni.
La società russa La crescita della popolazione portò all’esten­dersi delle terre coltivate, ma la colonizzazione delle terre vergini non fu opera di coloni liberi, bensì di nuovi villaggi contadini fondati dalla nobil­tà che possedeva, con la corona, quasi tutta la terra. Il restante 10% della popolazione era formato da circa mez­zo milione di famiglie nobili, da un milione di soldati, da 250.000 funzionari e da circa 250.000 mercanti e imprenditori non nobili ma di condizione libera.
I servi della gleba I servi della gleba russi non avevano una condizione migliore degli schiavi negri d’America. Infatti, non avevano diritto di far causa ai padroni che potevano farli deportare in Siberia o farli arruolare nell’e­sercito o venderli insieme con la terra. L’unico limite ai diritti dei pro­prietari era il rispetto della vita del servo, ma un’azione giu­diziaria contro i padroni poteva essere promossa solo da un altro proprietario.
Le entrate fiscali Il fatto paradossale della storia russa è che lo Stato percepiva le tasse dai servi della gleba: oltre a fornire soldati che non do­vevano pretendere nulla, i servi della gleba mediante il testati­co fornivano allo Stato 2/5 delle sue entrate, una vera e propria tassa sulla povertà.
Semiliberi anche nell’industria Anche l’industria dipendeva in gran parte da manodopera servile: nelle fonderie degli Urali Pie­tro il Grande aveva trasferito interi villaggi di contadini, tra­sformandoli in operai che non avevano alcun diritto civile.
La nobiltà russa La nobiltà russa era inquadrata in quattordici gradi equivalenti a quelli militari, ciascuno dei quali dava ac­cesso a determinate cariche civili da esercitare alme­no per alcuni anni per non apparire indegni dei privilegi annessi alla nobiltà. Nel paese c’era una sola Università, quella di Mosca, considerata di infima qualità: se si voleva studiare sul serio, occorreva andare in Germania. 
Gli intellettuali russi Il termine “intellighenzia” significò sempre in Russia ciò che ora si intende col termine “dissidente”: ossia un intellettuale che cer­ca di far capire agli altri Russi la necessità di riforme civili. 
Mancate riforme in Russia Le guerre europee seguite alla rivolu­zione francese e protratte dal genio di Napoleone impe­dirono alla Russia di tentare la via delle riforme interne. An­zi, i successi seguiti all’invasione del 1812, esasperarono l’or­goglio nazionale facendo apparire quasi provvidenziale l’arcaismo della vita russa, i cui soldati-servi della gleba avevano sconfitto uno sterminato esercito.
Ritorno dei soldati in Russia Abbiamo già esaminato la parte svolta da Alessandro I nel corso del congresso di Vienna: ora è opportuno esaminare i contraccolpi interni dell’e­popea patriottica. I soldati furono elogiati dall’imperatore e si attendevano ricompense; gli ufficiali, specie quelli che avevano soggiornato in Francia e in Germania al coman­do delle truppe d’occupazione, si attendevano riforme. Ma, al contrario, allo zar libero pensatore, successe uno zar mistico che faceva discorsi degni di un predicatore.
Società segrete in Russia Fin dal 1816 si erano formati in Rus­sia alcuni gruppi rivoluzionari riuniti in società segrete che un poco alla volta  stabilirono accordi tra loro; le più importanti erano la Società del nord e la Società del sud responsabili del moto decabrista. Gli uffi­ciali che ne fecero parte erano rimasti colpiti dalle condizioni di libertà e progresso osservate nell’Europa occidentale, così in contrasto con la mancanza di libertà di parola, con lo spionaggio interno, con la corruzione amministrativa, con l’analfabetismo, con l’incompetenza presente fin nei gradi più elevati della società russa. 
Progressi delle società segrete La Società del nord, a questi malanni, contrapponeva una costituzione pensata secondo il modello americano.  La Società del sud, invece, per bocca di Pa­vel Pestel, proponeva riforme più radicali: suffragio universale ed elezioni annuali, subordinazione del clero allo Stato, depor­tazione degli ebrei, proibizione dei partiti politici, confisca dei patrimoni più grandi ecc. Dopo il collegamento delle due società, fu progettato l’assassinio dello zar, ma in seguito si optò per l’insurrezione dopo la morte di Alessandro I, avvenuta il 1° dicembre 1825. 
Successione di Nicola I Il primogenito di  Alessandro I, il granduca Costantino, aveva rinunciato al trono e sposato una bor­ghese polacca, e perciò il trono sarebbe passato al fratello di Alessandro I, Nicola, che però era stato tenuto all’oscuro della designazione. Nicola, perciò, fece proclamare zar il nipote Co­stantino, e solo dopo la sua formale rinuncia, divenne zar. Il 26 dicembre gli ufficiali della Società del nord fecero ammutinare i loro soldati che, tuttavia, non aprirono il fuoco contro le truppe rimaste fe­deli. Lo zar Nicola I fece intervenire l’arti­glieria contro i ribelli. Il pericolo era stato grande perché la folla simpatizzava per i ribelli e poteva creare difficoltà al governo. La Società del sud, invece, compì un tentativo disperato, fal­lito in partenza. La repressione fu severa e i processi lasciarono lunghi strascichi di odio. Le condanne a morte furono poche, mentre numerose furono le de­portazioni in Siberia. Alcune mogli seguirono i mariti e presto fiorirono epistolari che trasfiguraro­no la vicenda, iniziando una tradizione letteraria portata ai vertici dell’arte da uno scrittore come Puskin che iniziò la grande stagione della narrativa russa, culminata con Tolstoj, Go­gol, Dostoevskij.
Inizio dell’industrializzazione russa  Al tempo di Alessandro I la Russia compì i primi passi della sua industrializzazione, so­prattutto in campo tessile (cotone, lana, lino): negli anni 1804-30 gli operai all’industria cotoniera passarono da 8000 a 76.000; gli addetti all’industria della lana passarono da 29.000 a 67.000; gli operai dell’industria del lino, invece, ri­masero stazionari intorno a 28.000.
La Russia rimane un paese agricolo I progressi industriali del­la Russia, nel primo quarto dell’Ottocento, scalfirono superficialmente l’aspetto agrario del paese, rimasto tale fino alla rivoluzione bolscevica.  Mai come al tempo di Alessandro I fu possibile avviare a soluzione il problema della servitù del­la gleba, ma lo zar fu troppo incerto; e quando si tentò la solu­zione, si accorse che era troppo laboriosa.
 
15. 4 L’indipendenza della Grecia
     La rivoluzione francese provocò onde d’urto che andarono oltre i confini d’Europa, determinando contraccolpi anche nell’impero turco. Infatti, il risveglio del sentimento nazionale spinse i Serbi a recuperare la loro lingua, la loro storia, le loro tradizioni; in Moldavia e Valacchia (il nucleo della futura Romania) la lingua rumena cominciò a venir scritta; in Rumelia (più o meno l’attuale Bulgaria) si cercò di far rinascere l’unità dei Bulgari; ma soprattutto in Grecia si sviluppò un mo­vimento a favore prima dell’autonomia e poi dell’in­dipendenza.
Situazione dei Greci nell’impero turco La condizione dei Greci nell’impero turco era singolare.  Essi abitavano quasi sen­za presenza di Turchi nelle isole dell’Egeo dove c’erano numerosi e ricchi mercanti. A Costantinopoli, i Greci erano chiamati “fanarioti” perché abitavano un quartiere tutto per loro, avevano un patriarca ortodosso e godevano di notevole autonomia. I fana­rioti avevano finito per accentrare nelle loro mani il commercio estero dell’impero turco e anche gran parte del commercio inter­no, insieme con la minoranza armena.
Il sistema delle capitolazioni Quando i ricchi mercanti greci mandavano i loro figli a studiare all’estero, al loro ritorno po­tevano chiedere il privilegio della “capitolazione” ossia di non essere assoggettati alle leggi turche bensì a quelle del paese da cui venivano, mettendosi sotto la protezione del console di Gran Bretagna, di Francia o di Russia. Come si vede, la condizione dei Greci all’interno dell’impero turco era l’opposto di quella di una minoranza perseguitata.  Ai Greci si offrivano due possibilità:  operare dall’interno del­le strutture nazionali turche cercando di occupare una posizione economica e sociale sempre più autorevole; oppure, operando all’esterno mediante una rivoluzione politica, a base nazionalista, creare uno Stato indipendente dall’impero turco. I Greci seguirono entrambe le strade e da qui vennero i contrasti che opposero gruppi di greci tesi a salvaguardare i propri interessi materiali.
La spedizione di Napoleone in Egitto  Nel 1798, la situazione del vicino oriente fu complicata dall’arrivo di Napoleone in Egitto, ossia in un territorio che apparteneva all’impero turco, ma in realtà era dominato da una casta di soldati di professione, i mamelucchi. Appena giunto al Cairo, Napoleone trattò con deferenza la reli­gione islamica, asserendo che la moschea del Cairo aveva una tra­dizione che la rendeva superiore alla moschea di Costantinopoli. Forse avrebbe fatto la stessa cosa a Gerusalemme o a Da­masco, se vi fosse giunto, creando numerosi Stati satelliti della repubblica francese.
Sconfitta francese ad Abukir Tuttavia, il 1° agosto 1798 Nelson sorprese la flotta francese e l’affondò nella rada di Abukir. Poche battaglie influi­rono quanto quella sugli avvenimenti successivi. La sorte dell’e­sercito francese, senza rifornimenti, apparve segnata: Napoleone impiegò alcuni mesi prima di accettare le con­seguenze  della sconfitta. Poi, con la consueta indipendenza da ogni autorità, lasciò l’esercito al comando di sostituti e tornò in Francia per il colpo di Stato. Nei mesi trascorsi in Egitto, Napoleone fece proget­tare numerose opere pubbliche, tra cui un canale dal Cairo a Suez per congiungere il Mediterraneo col Mar Rosso. Infatti, dopo l’occupazione dell’Egitto, l’obiettivo era l’attacco al domi­nio britannico in India e la fondazione di un impero francese in Estremo Oriente, in concorrenza con quello britannico.  La scon­fitta di Abukir impedì tutto ciò per molti decenni.
L’Egitto dopo la partenza di Napoleone In Egitto, le truppe dei mamelucchi furono disperse e per alcuni anni ci fu una guerra civile, dal 1803 al 1807, fomentata dai consoli francese e britannico, dalla quale uscì vincito­re Muhammed Alì che nel 1806 si fece nominare pascià dell’Egitto. Il nuovo pascià, praticamente indipendente, riuscì a negoziare con gli Inglesi la loro partenza da Alessandria e fece buoni affari col commercio del grano egiziano. Muhammed Alì formò anche un esercito e una flotta. Nel 1811 Mu­hammed Alì iniziò una guerra, durata fino al 1818 contro la tribù rigorista dei Wahabiti che controllavano l’Hegiaz, la re­gione in cui si trovavano la Mecca e Medina, le città sante dei musulmani. In questa guerra si distinse Ibra­him, figlio di Mohammed Alì, che ricevette dal sultano di Costan­tinopoli il controllo di parte dell’Arabia e dell’Abissinia.  Ibrahin penetrò nel Sudan giungendo fino a Kar­tum.
Muhammed Alì Muhammed Alì, tuttavia, pur dipendendo in tutto dal commercio, e quindi da buoni rapporti con la Gran Bretagna, ritenne opportuno avvalersi di consiglieri economici e militari francesi. La sua politica doveva mantenere l’equilibrio tra una formale sottomissione al sultano e una sostanziale equidistanza tra Francia e Gran Bretagna.  Era un equilibrio precario che entrò in crisi in Grecia e in Siria, nel corso di due vicende dalle quali l’Egitto uscì sconfitto, ma sempre riprendendosi in forza dell’antagonismo tra Francia e Gran Bretagna.
La questione delle isole Ionie La cessione di Venezia all’Au­stria col trattato di Campoformio del 1797 comprendeva i domini veneziani del basso Adriatico. Le isole Ionie (Cefalonia, Corfù, Santa Maura e Zante) furono tenute dalla Francia fino all’anno 1800 quando il presidio francese fu sostituito da un presidio russo. Dopo gli ac­cordi di Tilsit del 1807, lo zar Alessandro I cedette le isole Ionie a Napoleone che però non poteva difenderle contro la flotta britannica. Durante l’occupazione rus­sa, un nobile di Corfù, Giovanni Capodistria, si pose al servizio della zar, concependo l’idea che la fede ortodossa e il futuro delle isole Ionie sarebbero stati maggiormente tutelati da uno zar ortodosso che dalla Francia o dalla Gran Bretagna.  Il Capodistria ben presto dovette difendere le isole Ionie dalla flotta di Muhammed Alì e, comprendendo che la piccolezza delle isole mal si prestava a fondare uno Stato, cercò collegamenti col vicino Peloponneso.
Gli irredentisti greci dell’Eteria  Già da qualche anno operava una società segreta di irredentisti greci, la Heteria Philiki (E­teria), ostile al dominio britannico sulle isole e alla presenza dei Turchi nel Peloponneso. La Eteria cercava collegamenti con le altre società segrete operanti in Europa per apparire espressione della volontà di tutti i Greci.
La situazione dei Balcani Alla fine dell’epoca napoleonica, nella regione dei Balcani, la confusione era massima. In gran parte il potere nominale apparteneva all’impero turco, il quale  vendeva la carica di ospodaro delle varie province a ric­chi greci fanarioti. La popolazione, tuttavia, era composta in prevalenza di slavi che aspiravano all’indipendenza nazionale e che perciò guardavano alla Russia, l’unico grande Stato sovrano popolato da slavi. Poiché Gio­vanni Capodistria e Alessandro Ipsilanti erano consiglieri dello zar russo, apparve naturale all’Eteria far riferimento a loro.
Ipsilanti  Ipsilanti, nel 1820, divenne capo dell’Eteria. Figlio di un ospodaro fanariota filorusso, era stato aiutante di campo di Alessandro I e aveva combattuto nella guerra contro Napoleone. Nel 1821, nel corso del congresso di Lubiana, lo zar Alessandro I si era trovato nella necessità di sconfessare il tentativo liberale culminato nei moti di Napoli e di Torino e perciò avrebbe dovuto sconfessare anche gli analoghi movimenti insurrezionali nei Balcani. 
La situazione del Peloponneso Nel Peloponneso la situazione era diversa. Qui la terra era posseduta per due terzi da proprietari turchi che tuttavia non arrivavano a un decimo della popolazione. I Greci godevano notevole autonomia favorita da una vivace rinascita della cultura greca classica.
Successi dell’Eteria A partire dal 1819 la Eteria raccolse un grande numero di adepti, sempre adottando un atteggiamento filo­russo e i metodi della massoneria. L’Eteria commise l’errore di appoggiarsi agli ospodari dei principati danubiani, di credere nell’aiuto di Alessandro I e, insieme, di far insorgere il Pelo­ponneso dopo aver operato l’eccidio di numerosi Turchi. 
La reazione turca Il governo turco reagì con durezza e il pa­triarca ortodosso di Costantinopoli fu impiccato sotto accusa di complotto contro lo Stato. Nelle isole avvennero numerosi massa­cri di Greci. Quando giunsero in Europa quelle notizie, l’Europa colta si sdegnò, ritenendo in pericolo gli ultimi eredi dei creatori della cultura europea. I governi, invece, erano più prudenti: la Gran Bretagna era an­siosa di impedire l’intervento russo; l’Austria di Metternich auspicava che l’insurrezione fosse stroncata. I Turchi non ave­vano i mezzi per far fronte all’insurrezione perché il Mar Egeo era battuto da una flotta di pirati greci. Tra gli insorti greci non esisteva concordia, tanto che a ogni tregua si temeva la guerra civile tra Greci, mentre comi­tati potenti come quello presieduto da Lord Byron radunavano imponenti aiuti finanziari e militari.
La flotta di Muhammed Alì  Il sultano si assicurò l’aiuto di Muhammed Alì, pascià d’ Egitto, al quale fu ceduta l’isola di Creta.  I pirati greci ora non potevano opporsi con successo all’azione della flotta turco-egiziana. Nel 1825 Ibrahim pascià sbarcò nel Peloponneso un esercito di circa 10.000 soldati, ma non riuscì ad occupare tutta la regione perché giungevano dall’Europa sempre nuovi vo­lontari.
Le fazioni greche si collegano Quando l’insurrezione sembrava sul punto di crollare, il governo provvisorio greco sta­bilì l’unità di azione  tra le fazioni greche, facendo eleggere Giovanni Capodistria presidente per sette anni.
Intervento anglo-franco-russo L’intervento diretto delle poten­ze occidentali decise a favore dei Greci una guerra che essi non avrebbero potuto vincere da soli. Nel 1826 i governi britannico e russo si accordarono per imporre alle parti contendenti la concessione dell’autonomia ai Greci, ma senza l’indipendenza dall’impero turco, con indennizzo delle proprietà sottratte ai Turchi. Dopo la caduta di Missolungi, l’assemblea greca accettò la discussione su queste basi, ma proprio allora lo zar Nicola I intimò al sultano la so­luzione dei problemi pendenti tra Russia e impero turco.
Trattato di Londra Nel luglio 1827, a Londra fu firmato un trattato tra Francia, Gran Bretagna e Russia che prevedeva l’in­vio nelle acque greche delle loro flotte, col compito di costringere le parti in causa a mante­nere la tregua. Il 27 ottobre 1827, l’ammiraglio britannico ritenne di dover reagire a una provocazione turca e nel corso di una confusa azione, la flotta turco-egiziana fu affondata nella baia di Navarino. Il Metternich parlò di “ter­ribile catastrofe”, il duca di Wellington, divenuto primo mini­stro nel 1828, parlò di “spiacevole incidente”: le truppe egiziane lasciarono il Peloponneso, occupato da un contin­gente francese. 
Intervento russo in Turchia Il sultano fu attaccato dalla Russia e sconfitto in una disastrosa campagna terminata con la pace di Adrianopoli nel 1829.
Inizi del regno di Grecia La Grecia non aveva ancora chiare frontiere. Il presidente Capodistria fu ucciso nel 1831 e per qualche tempo regnò l’anarchia. Infine, le grandi potenze decisero che la Gre­cia divenisse una monarchia: il trono fu offerto al re Luigi I di Baviera che  accettò a nome del figlio minore Otto di Wittelsbach. Questi, nel 1833 raggiunse il suo difficile paese d’a­dozione.
Nazionalismo turco Il nazionalismo greco ebbe notevole impor­tanza per la nascita del nazionalismo turco che si manifestò nel 1826 con l’eliminazione del corpo mercenario dei giannizzeri, segno di un passato ormai ripudiato.
 
15. 5 La situazione tedesca
     Nel panorama dell’Europa conservatrice, la Germania occupò nel secolo passato una posizione singolare. Da una parte aveva assistito alla più brillante fioritura culturale; dall’altra conservava, sul piano economico e sociale, istituti che la rende­vano simile a uno Stato medievale. Eppure, anche in Germania le guerre di Napoleone avevano sparso il seme del nazionalismo, ossia la certezza di appartenere a un’unica nazione che aspirava a divenire un unico Stato.
L’epoca delle riforme in Prussia  Tra il 1806 e il 1813, il principale Stato tedesco, la Prussia, aveva conosciuto un periodo di rinnovamento, ma si trattava di riforme venute dall’alto che non coinvolgevano i tre quarti della popolazione contadina. Fu riordinato l’esercito e la pubblica amministra­zione, la nobiltà, in gran parte  proprietari terrieri, fu rigidamente subordinata allo Stato. La Prussia presentava perciò lo strano anacronismo di uno Stato potente sul piano militare e ammini­strativo, sostenuto da una solida cultura, ma la cui popolazione non provava alcun sentimento patriottico ol­trepassante il cantone di nascita.
Riforma dell’esercito e delle finanze Nessuno dei riformatori dello Stato prussiano al potere in quegli anni – Stein, Harden­berg, Scharnhorst e Gnaisenau – era prussiano: sotto la spinta delle armate francesi, essi proposero al re di Prussia Federico Guglielmo III una serie di innovazioni che svecchiarono il regi­me. Essi misero in piedi un esercito rinnovato, sia per il reclutamento sia per l’addestramento dei soldati; realizzarono la perequazione del carico fiscale pur mante­nendo alla nobiltà privilegi che in Francia erano stati cancellati fin dal 1789.
Von Stein Il barone Heinrich von Stein divenne nel 1804 ministro delle finanze prussiane. Il suo modello di go­verno, come quello inglese, si fondava sull’autonomia delle pro­vince, stimolando la rinascita dello spirito pubblico e del sen­timento civico. La Prussia, fino al 1806, mantenne la pa­ce con la Francia per effettuare le riforme, ma nell’ottobre di quell’anno avvenne ciò che sembrava impossibile, ossia la sconfitta della Prussia nel corso di una campagna militare du­rata sei settimane. 
Fine della servitù della gleba Dopo la pace, le riforme furono riprese  con più energia: fu abolita la ser­vitù della gleba sulle terre di proprietà privata (già era sta­ta abolita sulle terre di proprietà della corona) in omaggio ai principi liberisti di Adam Smith che proprio allora si diffonda­vano in Germania. Poi fu permessa la recinzione della terra, favorendo la formazione di vasti pode­ri ben coltivati.
La riforma agraria è realizzata a metà Nel 1808 i Francesi obbligarono il cancelliere von Stein a fuggire in Boemia. Le riforme agrarie furono applicate a metà, ossia i contadini furono liberati, ma non affrancati dalle pre­stazioni di lavoro gratuito nelle terre dei nobili, i quali furono esentati, fino al 1861, dall’imposta fondiaria, in considerazione del fatto che esercitavano sulle loro terre la funzione di arruolatori delle truppe. A conti fatti, queste riforme furono più utili alla nobiltà che si trovò libera da ogni dovere nei confronti dei contadini obbligati a provvedere da soli alle loro necessità.
La struttura di governo Il secondo settore delle riforme prus­siane riguardò la struttura del governo centrale. Von Stein voleva un governo con cinque ministri: finanze, affari interni, affari esteri, guerra e giu­stizia. Insieme con altri consiglieri del re, dovevano formare un Consiglio di Stato presieduto dal re. Nel 1810 Hardenberg di­venne cancelliere col potere di rappresentare i ministri nei rap­porti  col re. La riforma del governo prussiano si fermò qui: la proposta di Wilhelm von Humboldt di introdurre una costituzione che prevedesse il principio della responsabilità dei ministri di fronte al Parlamento non fu accettata, e Hardenberg rimase al po­tere fino alla morte, avvenuta nel 1822, senza deflettere dalle sue ristrette vedute. Come vedremo, il Bismarck mantenne questo stile di governo anche nella seconda metà del XIX secolo.
Il governo delle città  Un altro progetto del von Stein, piena­mente attuato, fu la riforma municipale che rese le città responsabili della propria amministrazione.  Solo le forze di polizia e i tribunali furono sottratti al controllo locale, e riservati al potere centrale. Nelle città, gli elettori attivi sceglievano un consiglio che a sua volta nominava una giunta.  Avevano diritto di voto solo coloro che possedevano una casa, o un podere, o esercitavano l’attività di mercanti e negozianti.  
La riforma dell’esercito Questi cambiamenti ebbero come effetto la riforma dell’esercito, introducendo nella scelta degli ufficiali il principio della competenza: i candidati al posto di ufficiale furono sottoposti a esame di idoneità. Anche i borghesi, se capaci e meritevoli, entrarono nell’esercito. Il protagonista della ri­forma dell’esercito fu Gerhard von Scharnhorst, che fondò la nuova accademia militare di Berlino, dove ebbe tra gli allievi Carl von Clausewitz, il più famoso teorico della guerra. Il problema che i teorici dell’arte mili­tare dovettero affrontare era di spiegare le cause del rapido crollo dell’esercito prussiano nella campagna del 1806. La ri­sposta fu che un esercito di professionisti (soldati a lunga fer­ma e mercenari) non poteva resistere a un esercito patriottico, formato da soldati che oltre il necessario addestramento tecnico, comprendessero per che cosa combattevano. Si adottò il sistema francese della leva generale e ob­bligatoria con intenso addestramento di gruppi di soldati che poi erano assegnati alla riserva e sostituiti da reclute.
 
15. 6  L’impero asburgico
      L’altro polo del mondo tedesco era rappresentato dall’Impero degli Absburgo.  Dopo il grande regno di Maria Teresa, terminato nel 1780, seguì un periodo di dodici anni comprendente il regno di Giuseppe II e poi del fratello Leopoldo II.
Un impero plurinazionale  Per tutta l’epoca napoleonica, l’Au­stria dovette affrontare un problema simile a quello prussiano, ossia suscitare le forze popolari per contrastare gli ideali rivoluzionari propagati dalle armate francesi. L’Austria, tuttavia, era a capo di un impero plurinazionale in cui erano presenti numerose minoranze etniche. Il momento di crisi più acuta avvenne nel 1806 quando Francesco II fu costretto da Napoleone ad abolire il Sacro Roma­no Impero, divenendo imperatore d’Austria col nome di Francesco I. La politica estera austriaca era guidata da Johann von Stadion che presentò all’imperatore un programma di riforme per risvegliare il sentimento nazionale ger­manico, ma non quello delle altre minoranze. Questo periodo ebbe fine con la sconfitta austriaca di Wagram nel 1809. Da allora l’imperatore Francesco I si avvalse dell’aiuto di Clemens von Metternich rimasto al potere fino al 1848.
Il problema magiaro Fin dal 1792 i rapporti con l’Ungheria era­no il nodo principale da risolvere. La questione magia­ra era complessa: entro i confini dell’Ungheria di allora erano inclusi magiari e alcune minoranze slave – croati, sloveni, serbi, ruteni – che non avrebbero tollerato una trasforma­zione in senso nazionale dell’Ungheria. Le guerre napoleoniche esigevano la concessione di uomini e ri­fornimenti per l’esercito e tali richieste dovevano esser approvate dalla dieta magiara che in cambio chiedeva l’ac­coglimento delle proprie richieste. 
Il problema finanziario Dopo il congresso di Vienna, per almeno un decennio, il problema finanziario fu il più acuto perché le guerre napoleoniche avevano provocato un’enorme inflazione che fu necessario far rientrare mediante la cancellazione di debiti del governo.  Francesco I morì nel 1835. Il successore, Ferdinando I apparve un incapace. 
Inizio dell’industrializzazione Nel frattempo la popolazione era aumentata e, anche se il fondamento dell’economia dell’impero era ancora l’agricoltura, alcune città, in primo luogo Vienna, si avviavano a una nuova fase di sviluppo. In alcune regioni, specie in Boemia e nell’Austria in­feriore, si diffondeva l’uso di nuovi macchinari e si ponevano le basi della trasformazione industriale. Le costruzioni ferrovia­rie fecero sorgere una potente categoria di imprendi­tori dotati di crescente dinamismo. Nel 1847 quasi ovunque nell’impero i contadini avevano ottenuto la libertà personale, ma non era stato risolto il problema della di­stribuzione della terra, proprio nel momento in cui c’era una grave crisi agraria presente in tutta l’Europa (1846-1847), che produsse fame e morti: anche in Austria ci furono ri­bellioni, causa non ultima della rivoluzione del 1848. 
Il nazionalismo magiaro L’impero non fu mai messo in pericolo da problemi di natura sociale. Il pericolo maggiore rimase il nazionalismo magiaro. In Ungheria, le aspirazio­ni nazionaliste furono promosse dal conte Széchenyi che dopo aver viaggiato nell’Europa occidentale, si propose di far rinascere una nazione magiara autonoma.  Lo Scéchenyi era propenso a collaborare col governo di Vienna, ma verso il 1836 cominciò ad affermarsi un’altra tendenza, quella impersonata dal focoso radicale Lajos Kossuth, sostenitore di una più radicale riforma liberale e democratica.
Kossuth Nel 1837 il Kossuth fu arrestato insieme con altri li­berali e chiuso in carcere, mentre in Ungheria fu introdotto un regime poliziesco molto rigido.
Problemi interni dell’Ungheria  Il movimento per l’Ungheria li­bera era promosso da magiari, mentre era avversato dai non magiari che arrivavano quasi a metà della popolazione. In particolare i serbi ungheresi cominciarono a far riferi­mento a Belgrado, anche se per il momento chiedevano al go­verno di Vienna solo il rispetto dei loro diritti. Il dramma un­gherese si riprodusse in Transilvania i cui nobili volevano l’u­nione con l’Ungheria mentre gran parte della popolazione, di lin­gua e cultura rumena, si orientava verso i compatrioti di Moldavia e Valacchia, ancora sotto il giogo turco e che perciò potevano aspirare all’indipendenza solo con l’aiu­to dell’impero absburgico. Come si vede, la situazione della pe­nisola balcanica era esplosiva, complicata da un groviglio etnico che, dopo la prima guerra mondiale, produsse numerosi  Stati piccoli e poco vitali.
 
15. 7 Cronologia essenziale
 1812 I liberali spagnoli riuniti nelle Cortes rivoluzionarie di Cadice approvano una Costituzione avanzata, mai entrata in funzione.
1820  Il 1° gennaio si ammutinano le truppe concentrate a Cadice per essere inviate nell’America latina. In luo­go di imbarcarsi marciano su Madrid a sostegno dei liberali
1822  La Santa Alleanza nel congresso di Verona decide di affida­re all’esercito francese la repressione del moto liberale di Spa­gna.
1823  L’esercito francese inviato in Spagna conduce a termine ra­pidamente la repressione del moto liberale di Spagna.
1825  Fallisce in Russia il movimento decabrista, un tentativo di insurrezione dei militari di matrice liberale.
1830  Il re Carlo X abdica segnando la caduta dei Bor­bone.  Luigi Filippo d’Orléans inizia un regno liberale moderato.
 
15. 8  Il documento storico
      Il 15 gennaio 1822 (il 27 del calendario gregoriano) a Epi­dauro avvenne la proclamazione dell’indipendenza della Grecia. L’avvenimento era in contrasto con la politica della Santa Al­leanza che da pochi mesi aveva represso i moti di Napoli e di To­rino.
 
     “La nazione greca prende il cielo e la terra a testimoni che essa esiste ancora, malgrado il giogo spaventoso degli Ottomani che la minacciava di sterminio. Spinta dalle misure inique e di­struttrici di questi feroci tiranni, i quali, dopo aver rinnegato le capitolazioni e ogni spirito di equità, rendendole ogni giorno più opprimenti miravano alla distruzione del popolo soggetto, es­sa è stata obbligata a ricorrere alle armi per necessità di sal­vezza. Dopo aver respinto la violenza solo col valore dei suoi figli, essa dichiara oggi davanti a Dio e agli uomini per bocca dei suoi legittimi rappresentanti, riuniti in questo Congresso Nazionale convocato dal popolo, la sua indipendenza politica.
     Discendendo da una nazione gloriosa per il suo ingegno e la sua mite civiltà, vivendo in un’epoca in cui questa civiltà span­de con profusione i suoi benefici sugli altri popoli d’Europa, e avendo sempre sotto gli occhi lo spettacolo di felicità di cui questi popoli godono sotto l’egida protettrice delle leggi, pote­vano i Greci restare più a lungo in questa condizione terribile e vergognosa, e osservare con indifferenza quella felicità che la natura ha riservato ugualmente a tutti gli uomini? Motivi così possenti e così giusti non potevano senza dubbio che affrettare il momento del risveglio in cui la nazione, spinta dai suoi ri­cordi e dalla sua indignazione, doveva  riunire le sue forze per rivendicare i suoi diritti e liberare la patria da una tirannia di cui nulla eguagliava l’orrore.
     Queste sono le cause della guerra che abbiamo dovuto intra­prendere contro il Turco. Ben lungi dall’essere promossa da prin­cipi demagogici e rivoluzionari, e da avere per motivo degli in­teressi particolari, questa guerra è una guerra nazionale e sa­cra: essa ha per scopo solo la restaurazione della nazione e la sua reintegrazione nei diritti di proprietà, di onore e di vita: diritti che godono i popoli vicini a noi, ma che erano stati strappati alla Grecia da una Potenza spogliatrice.
     Delle pubbliche voci ostili alla nostra causa, poco degne invero di uomini nati liberi e cresciuti nel seno dell’Europa cristiana e civile sono giunte fino a noi! Ma dunque i Greci, so­li tra tutti gli Europei, dovevano essere esclusi, come indegni, da quei diritti che Dio ha fissato per tutti gli uomini? O erano essi condannati a una schiavitù eterna che perpetuava presso di loro le spogliazioni, i massacri e gli stupri? E infine la forza brutale di barbare orde venute, senza provocazione, a stabilirsi fra noi fra massacri e distruzioni, poteva mai essere legalizzata dal diritto delle genti europee? I Greci, senza averla mai rico­nosciuta, non hanno cessato mai di lottare contro di essa, ogni­qualvolta una speranza o una circostanza favorevole si è presen­tata.
     Fondati su questi principi e sicuri dei nostri diritti, non vogliamo e non reclamiamo altro che di essere riammessi nella so­cietà europea dove ci chiamano la nostra religione, i nostri co­stumi e la nostra posizione, di riunirci alla grande famiglia cristiana e di riprendere fra le nazioni il posto che una forza usurpatrice ci ha rapito ingiustamente.
     Con questa intenzione, altrettanto pura quanto sincera, ab­biamo intrapreso questa guerra, o piuttosto abbiamo fuse insieme le guerre parziali che la tirannia musulmana ha fatto scoppiare nelle varie province e nelle isole, e noi di comune accordo mar­ciamo verso la nostra liberazione col fermo proposito di ottener­la o di seppellire per sempre le nostre sventure sotto una rovina degna della nostra origine, che, in mezzo a queste disgrazie, non fa che pesare ancor più sui nostri cuori…
     Greci, voi avete voluto scuotere il giogo che pesava su voi, e ogni giorno più i vostri tiranni scompaiono dalle nostre terre. Ma solo la concordia e l’obbedienza al Governo possono consolida­re la vostra indipendenza.
     Voglia il Dio della luce illuminare colla sapienza i gover­nanti e i governati, perché conoscano i loro veri interessi e cooperino di comune accordo alla prosperità della patria.
Dato ad Epidauro il 15 (27) gennaio 1822, I della indipendenza.
Alessandro Maurocordato Presidente del Congresso”.
 
Fonte: E. ANCHIERI, Antologia storico-diplomatica ecc., I.S.P.I., Milano 1941, pp. 33-35.
 
15. 9 In biblioteca
      Per la storia francese si consulti di J. GODESCHOT, L’epoca delle rivoluzioni, UTET, Torino 1969.


Per la  vicenda del moto decabrista si consulti di F. VENTURI, Il moto decabrista e i fra­telli Poggio, Einaudi, Torino 1956.


Per la storia dell’indipen­denza della Grecia si consulti il ben informato libro di F. CO­GNASSO, La questione orientale, l’Erma, Torino 1934.


Per la Ger­mania si esamini di G. BARRACLOUGH, Le origini della Germania mo­derna, Vol. II, Sansoni, Firenze 1959.


Si legga anche di W.O. HENDERSON, La rivoluzione industriale in Germania, Francia e Rus­sia 1800-1914, Giannini, Napoli 1971.


 Notevole il lavoro di A. GERSCHENKRON, Il problema storico dell’arretratezza economica, Einaudi, Torino 1965.