Rafael Gambra Ciudad
LE DIVERSE SCUOLE DELL’OPPOSIZIONE CATTOLICA ALLA RIVOLUZIONE FRANCESE (*)
Juan Vázquez de Mella y Fanjul (1861–1928)
[…] Benché l’origine dell’opera [di Vazquez de Mella] non possa trovarsi in fonti intellettuali, ma piuttosto in un ambiente spirituale, dobbiamo indicare le correnti di pensiero che confluiscono nella genesi di questo ambiente — e pertanto nel pensiero di Mella — per comprendere la posizione tipica e cruciale della sua opera all’interno del tradizionalismo politico europeo.
Il processo si deve fare risalire, a mio giudizio, all’ultimo decennio del XVIII secolo, a quella che è stata chiamata la prima reazione contro la Rivoluzione, che è anche la prima autocoscienza dell’Antico Regime, fino ad allora non messo in discussione nei suoi fondamenti politici e spirituali.
Burke.
La prima testimonianza critica sulla Rivoluzione francese si deve all’irlandese Edmund Burke. Benché i primi attacchi contro l’autorità e la fede siano venuti dall’Inghilterra, toccò a un britannico avere per primo la visione, nell’ordine politico pratico, della grande catastrofe che sarebbe stata per la libertà concreta e per la convivenza reale degli uomini quel violento attacco al regime storico dei popoli. Così voleva il suo straordinario senso politico. Nelle sue Riflessioni — comparse già nel 1790 — trova già espressione, con la massima vivacità, l’orrore per l’ideologismo astratto che produsse la Rivoluzione, idea che si manterrà in tutto lo sviluppo del pensiero tradizionalista. La presa della Bastiglia, in nome della Libertà, scritta con la maiuscola, rappresenta per Burke l’attacco contro un potere plurisecolare, politicamente insostituibile, e la sostituzione di un regime nato dalla storia e adatto alle necessità concrete dei gruppi con un apriorismo ideologico forzatamente debole ed estraneo alla vita reale umana. La distruzione di un ordine politico che era di tutti gli uomini, e la irruzione di una classe dirigente formata da teorici e da utopisti, esclusivamente cittadina e intellettuale.
Da questo orrore per il linguaggio astratto e magniloquente delle società di pensiero rivoluzionarie derivano tutti gli spunti critici contenuti nelle Riflessioni. Critica, in primo luogo, dei “Diritti dell’uomo”, astrattamente considerati. Esistono diritti concreti di uomini e gruppi determinati, riconosciuti da poteri o franchigie reali; il resto è letteratura distruttiva. Critica del carattere impersonale delle nuove istituzioni, origine di una meccanicizzazione della vita politica e distruzione dei vincoli umani di lealtà e rispetto; critica, infine, del semplicismo pseudogeometrico della nuova società che annulla il senso reale e la necessaria complessità delle realtà politiche e sociali.
Maistre e Bonald.
Sette anni dopo, il conte Giuseppe de Maistre pubblicava le sue Considerazioni sulla Francia, dimostrando, non “da fuori” e dai suoi effetti, come Burke, ma “da dentro” e per ragioni che gli parevano necessarie, il forzato fallimento della Rivoluzione sulla base dell’ordine naturale che conculcava. La natura e la storia hanno creato in sintonia un ordine politico, opposto, nella sua radicale struttura, al regime uniforme, “tutto d’un pezzo”, che la Rivoluzione tentava di fondare.
Lo stesso accento positivo e, in un certo senso, mistico, prende la Contro-Rivoluzione sulle labbra di de Bonald, l’altra grande figura della prima reazione monarchica in Francia. Secondo lui, la ragione individuale non può portare a un sapere vero ed efficace se non è fecondata dalla divina parola trasmessa dalla tradizione, “la sapienza misteriosa dei secoli”. Così, nella vita collettiva, la tradizione ha forgiato un regime saggio e adatto alla natura dell’uomo. La Rivoluzione invece, volendo costruire soltanto sulla ragione speculativa dell’individuo, ha laicizzato la convivenza sociale e ha creato un meccanicismo politico destinato a soffocare la vita dei popoli. L’opera della tradizione, della monarchia legittima, consistette nella santificazione del potere e nel vincolarlo ereditariamente a una famiglia. La società era a questo modo penetrata da impulsi morali, la carità circolava in essa e il suo spirito di comunità la trasformava in una grande famiglia.
La prima spaccatura: Comte.
Dopo de Bonald il pensiero tradizionalista subisce una netta biforcazione. Ne è causa, senza, dubbio, Auguste Comte, la cui influenza giunse in tutti i campi. Il positivismo di Comte è forse la migliore formulazione sistematica del clima spirituale prodotto dalla Rivoluzione francese, ma anche una delle più feroci critiche della Rivoluzione in concreto come sistema politico. Nella sua opera si anticipa chiaramente il processo dialettico che porterà più tardi dalle democrazie liberali al dirigismo totalitario. La sua teoria dei tre stadi attraverso cui passa l’umanità rappresentò la credenza, caratteristica del periodo “illuministico”, in un progressivo trionfo della ragione oltre le nebbie della superstizione e della ignoranza. L’antica società organica, basata sulla fede religiosa — stadio teologico —, è sostituita da un periodo critico nel quale gli antichi idoli e dei sono rimpiazzati da teorie e princìpi metafisici più o meno oscuri. Questo periodo, che è essenzialmente di transizione e di decadenza, si risolverà nel periodo pienamente razionale e definitivo — “positivo” —della umanità. In esso non vi saranno più né dogmi né sistemi metafisici — nulla di assoluto —, ma soltanto il regno dei fatti concreti e relativi, conoscibili empiricamente attraverso la scienza positiva.
Per Comte, l’epoca della Rivoluzione costituisce questo stadio critico, distruttore della età organica e teologica, semplice periodo di transizione verso la fase definitiva e reale della umanità. E il regime politico da essa fondato può essere soltanto qualcosa di effimero, perché si basa su quella astrazione (metafisica) che è l’“individuo”. La scienza non studia l’individuo — inattingibile e irreale —, ma l’umanità, questo grande essere nel suo sviluppo progressivo. La società futura si adatterà scientificamente all’uomo, all’umanità, che è fatta più di eredità che di individualismo, più di famiglie che di individui.
Per giungere però a questa meta definitiva non si può abbandonare la marcia della umanità nelle mani della anarchia individualistica e del predominio delle opinioni creato dalla Rivoluzione. è necessario spingere e orientare la società sulla via reale del progresso, liberandola dai nuovi idoli e dai tiranni della superstizione, che attaccano continuamente il debole e assurdo regime liberal-democratico. La causa del progresso della umanità esige la soppressione della libertà di pensiero individuale, del parlamentarismo inorganico, della critica di professione. è necessario ritornare, su basi positive, a una gerarchia sociale, a un potere superiore, a un pensiero prestabilito, anche a una religione nella quale i1 “Grande Essere” o Uomo sostituisca le caduche credenze teologiche. Così Comte, volendo cercare una sistemazione stabile per la società e per fare sì che questa avanzi verso il suo fine — qualunque esso sia —, ricorre a un regime così simile a quello monarchico medioevale che si è arrivati a dire che il suo sistema equivale a “cattolicesimo meno cristianesimo”.
Nasce il “tradizionalismo” di sinistra.
Tutto questo apriva le porte a una nuova interpretazione del regime tradizionale che non è più quella di de Maistre e de Bonald, animata da una fede interna, e neppure quella semplicemente critica ed estetica di Burke; la visione di questo ordine storico “come il regime scientifico o strettamente naturale”, creato dalla stessa evoluzione dell’uomo, plasmato secondo le sue reali necessità, e dal suo adattamento all’ambiente. Questo modo di vedere le cose lo farebbe considerare piuttosto una formazione naturale e biologica che una creazione morale dello spirito umano.
A partire da questa influenza comtiana, si possono distinguere nel pensiero tradizionalista le due correnti che qualcuno ha chiamato tradizionalismo “di destra” e tradizionalismo “di sinistra”.
Quest’ultimo, quello influenzato dal positivismo di Comte, procede in Francia su strade empiristiche e organicistiche da Renan a Taine, passando attraverso Barrès, fino a Charles Maurras e Paul Bourget, fino al movimento noto come l’“Action Française”. La tragica fine per la Francia della guerra franco-prussiana, dà a questa corrente un accento e un significato particolari. La sconfitta e la “Comune” sono “interpretate” come il logico fallimento di un popolo ostinato nel seguire indirizzi innaturali — pertanto impolitici — e contrari alla sua tradizione e alla sua storia. La vittoria della Prussia significa soltanto il trionfo dell’Antico Regime gerarchico e storico sull’ugualitarismo annientatore del regime napoleonico, di origine rivoluzionaria. Renan lanciò il grido: anche se non possiamo più credere all’origine divina del potere regale, affermiamo la sua necessità pratica: “una famiglia, i Capeti, in novecento anni ha creato la Francia! restauriamola!”. Questa bandiera poteva attirare, per il suo aspetto empiristico, molte persone indifferenti ai valori spirituali dell’Antico Regime.
Taine aggiunge a questa corrente la consapevolezza esistenziale della libertà concreta dell’uomo reale profondamente minacciato dalla legge del numero, dalla oppressione delle maggioranze, dal centralismo geometrico dello Stato napoleonico. Barrès, dal canto suo, esprime con accento nuovo il sentimento della patria considerata come una realtà affettiva, viva, quasi carnale. Ciascuna delle sue regioni è un prodotto insostituibile della storia comune, in cui è contenuto l’essere stesso dei suoi figli, e che oggi è sottoposto a un processo di brutale livellamento sull’altare di alcune idee principali pseudogeometriche.
Maurras.
Ma la figura in cui culmina questo tradizionalismo naturalista ed empirista è, senza, dubbio, Charles Maurras. L’idea madre del pensiero maurrassiano è la dimostrazione quasi matematica che il sistema politico “scientifico” coincide con il regime storico e tradizionale. è necessario superare il sentimentalismo del passato, del puro richiamo alle piccole e cordiali società vicine al calore familiare, ai vecchi costumi o allo spirito ancestrale. Queste prospettive, o agiscono ormai soltanto su persone già convinte, dal momento che il sentimento segue abitualmente la convinzione, o raggiungono solo le posizioni — diremmo noi — “poeticamente carliste, ma praticamente repubblicano-socialiste” alla Valle-Inclán. Al contrario, è necessario volgere lo sguardo alla natura stessa delle cose, osservare ciò che la realtà e la storia hanno scelto spontaneamente nel corso dei secoli, senza chiedere agli individui. Osservare che cosa succederebbe ai popoli se fra la loro vita reale e la loro vita politica non si fosse frapposto lo schema prefabbricato di alcune convenzioni intellettuali o teoriche.
Il pensiero maurrassiano costituisce la rivendicazione di un regime creato dai fatti stessi, un rifiuto della “ideocrazia” che governa a partire dalla Rivoluzione, una riconciliazione della politica con la vita reale degli uomini. Il Medioevo raggiunse un regime meraviglioso che non conobbe nessun tipo di problema sociale, e la cui continuità politica dominò anche l’elemento contingente e incerto dei fatti storici. Noi possiamo pensare che ciò va attribuito all’incidenza della fede e dello spirito della vera religione su quella epoca, cioè alla virtualità sociale del cristianesimo.
Maurras e i suoi prescindono da questa interpretazione e vedono soltanto una formazione naturale nell’ordine politico. Il cattolicesimo, che non è pura interiorità come il protestantesimo, ma dogmatica concreta e dominio personale delle coscienze, è la sola religione “politica”, favorevole alla formazione di stabili convivenze.
Maurras, con un criterio più realistico e storico di quello di Comte, accetta il cattolicesimo, ma per le stesse ragioni che ispirarono a Comte quella religione positiva e sociale che sbozzò sullo schema della Chiesa cattolica. L’opera di Maurras è una visione “da fuori”, estranea allo spirito o principio interno che creò la società medioevale, molto adatta a penetrare in una vasta zona di opinione con la forza apodittica che nel mondo moderno possiede tutto quanto è sperimentale e scientifico — forse per questo l’Enquête sur la Monarchie è nonostante tutto la principale raccolta di argomenti a favore della monarchia tradizionale —, ma incapace di creare lo slancio e i sentimenti che potrebbero produrre una restaurazione.
La sopravvivenza in Spagna: Donoso e Balmes.
Ritornando ora al punto di biforcazione di entrambe le correnti, il tradizionalismo che abbiamo chiamato “da dentro” e che raccoglie piuttosto la ispirazione di de Maistre e di de Bonald che quella di Burke, ci offre in Francia figure come Blanc-de-Saint-Bonnet e Frédéric Le Play il grande cantore della stabilità delle condizioni di esistenza come strumento per una vita umana e feconda. E in Spagna, le due grandi figure di Donoso Cortés e Balmes, seguiti, a distanza di tempo, da quella di Menéndez Pelayo.
Donoso è il grande sistematizzatore filosofico di quello che potremmo chiamare antirazionalismo o umiltà tradizionalista. In materia di princìpi filosofico-politici Mella ha tratto ispirazione da Donoso in molti punti concreti.
Balmes è il maestro della semplicità che illumina, con una visione di insieme e una ponderazione poco comuni al suo tempo, tutti i temi politici, sociali, storici e religiosi che esamina. Tuttavia, né in essi, né in Menéndez Pelayo — i tre grandi maestri del pensiero tradizionalista spagnolo — c’è l’intento di presentare un sistema globale e coerente nell’ordine politico. Donoso propende per i princìpi filosofici; Balmes per le questioni sociali, sempre concrete e diverse; Menéndez Pelayo difende la tradizione nazionale attraverso la critica storica.
In Germania: Vogelsang.
Una figura straniera che si situa in questa corrente e trae ispirazione da Blanc-de-Saint-Bonnet e da Donoso influirà a sua volta, in modo molto diretto, su Mella: il barone di Vogelsang. Grande lottatore sociale cattolico apporta all’opera di Mella l’influenza più sana e apprezzabile della corrente democratica cristiana in cui si trovano Ketteler, Manning, il conte de Mun e La Tour du Pin, ma interpretata da un modo di pensare essenzialmente storico e politico, tragicamente posto di fronte ai problemi più concreti. Lo spettacolo dell’Austria del suo tempo (1840), socialmente atomizzata e in mano al monopolio commerciale ebraico, fece rivolgere gli occhi di Vogelsang ai tempi in cui la società formava un corpo ben strutturato e gli uomini vivevano legati a un lavoro e a un ambiente, vivificati da impulsi morali, fraterni. Egli ebbe una conoscenza superiore, non solo teorica, ma anche storica, della vita medioevale, della sua organizzazione e del suo spirito interno; e concepì prima di altri l’idea di ispirarsi, più che all’Ancien Régime, alla vita organica e profondamente solidale delle popolazioni medioevali. Le sue campagne anticapitalistiche e corporativistiche sul periodico Vaterland avevano sempre questa ispirazione ideologica.
Questa idea medioevalistica o, ancor meglio, integratrice della tradizione politica immediata con le sue più pure fonti del passato cristiano, è caratteristica del pensiero di Mella. Lo si deve dunque situare in questa corrente o, più esattamente, in un ambiente spirituale creato tanto dagli apporti di tutti questi pensatori quanto dallo spirito e dalla fede conservati in Spagna dalla società in generale e dal popolo carlista in particolare. Il pensiero contro-rivoluzionario culmina in Spagna con Mella e nella stessa epoca in Francia con l’opera di Maurras.
Mella: dal nostalgismo a un sistema coerente.
La rivoluzione del ’68 — primo movimento di carattere sociale — attirò al campo del carlismo un gruppo di pensatori che fino ad allora si erano presentati come “neocattolici” Villoslada, Manterola, Gabino Tejado e, soprattutto, Aparisi Guijarro, intraprendono allora una campagna dottrinale in cui il carlismo cessa di sembrare di fronte alla opinione pubblica una sopravvivenza politica e si trasforma in bandiera della restaurazione nazionale.
Ma il compito di unire in un sistema coerente e globale il mondo ideale del tradizionalismo politico era riservato al giovane giornalista asturiano [Mella], che, inoltre, avrebbe saputo presentarlo al suo tempo in un modo nuovo e suggestivo: non come un partito o una scuola politica, ma come l’anima stessa della patria, di cui rappresenta la continuità e il futuro. Questo fatto, unito alla sua eloquenza, avrebbe determinato il miracolo di una grande rinascita del carlismo proprio nei momenti in cui attraversava la tremenda crisi della seconda guerra perduta.
In questo senso si può anche dire che in Mella confluiscono, in un certo modo, le due correnti del tradizionalismo che abbiamo differenziato a partire da Comte. Come Maurras, Mella riesce a presentare il tradizionalismo in una sintesi politica di insieme e non come qualcosa di puramente teorico o conseguenza di una posizione religiosa, ma nel suo aspetto pratico, concreto e vivibile. è chiaro che soltanto in questo senso si può parlare di una confluenza di Mella con la corrente che culmina in Maurras.
Mella conobbe, naturalmente, l’opera dell’Action Française e con il suo fertile acume ne trasse indubbiamente ispirazione e vigore. Ma il suo spirito interno è radicalmente diverso: forse per questo non la cita mai tra le sue fonti né in qualche altro modo. Attenendoci alla sua intima ispirazione, possiamo situarlo soltanto nell’altra corrente, che è proprio la sola capace di alimentare la fede di un’autentica impresa restauratrice. Mella non suggerisce la restaurazione di un sistema soltanto per i suoi risultati, il ritorno a un’area centrale, luogo di una possibile e sana convivenza; né difende alcuni prìncipi per la loro pura efficacia pratica, per il loro carattere empirico o scientifico, e neppure per il fatto che sono soltanto adeguati alla natura umana. Mella crede nella verità profonda, religiosa e nello spirito vivificante che ha creato tutto questo sistema. Solo per questo è efficace, empirico e conforme alla natura dell’uomo che lo stesso Dio ha creato.
Dall’epoca in cui cadde l’Antico Regime — il regno di Ferdinando VII — la concezione di Mella nel corso della sua vita di oratore e di giornalista rappresentò forse la più chiara autocoscienza di ciò che significava l’ordine tradizionale. I primi monarchici e carlisti — all’epoca della prima guerra e di Balmes — conobbero indubbiamente, in un modo più diretto e vivido l’ambiente e l’atmosfera tradizionale, però non possedettero la chiara coscienza di quanto quello rappresentava, dei presupposti su cui si appoggiava, della sua unità con il passato spagnolo, di ciò che era fondamentale e accessorio. Difendevano una realtà vivamente sentita di fronte ad alcune idee che reputavano eretiche e straniere.
Mella, invece, con congetture geniali e una formidabile capacità di sguardo di insieme, vede la sintesi profonda di fede e di vita, di filosofia politica e di storia, che costituisce l’ordine tradizionale, la grande realizzazione politica della nostra vecchia monarchia. Incorpora nella sua concezione lo spirito medioevale, forgia la teoria delle coesistenti sovranità sociale e politica, quella della sovranità tradizionale per la formazione del potere, l’idea, infine, della tradizione nel suo senso dinamico, la cui portata non è stata ancora pienamente valorizzata.
Rafael Gambra Ciudad
(*) Questo testo è comparso in Il Resto della Verità, n. 3, del 3-3-1973 con questa premessa:
- Il testo che segue è ricavato dal volume La monarquia social y representativa en el pensamiento traditional (Ediciones Rialp S.A, Madrid 1954) del professor Rafael Gambra Ciudad, uno dei massimi esponenti attuali del pensiero carlista, cioè del pensiero contro-rivoluzionario cattolico spagnolo. In detta opera l’Autore espone la dottrina di Juan Vazquez Mella (1878-1928), figura di particolare rilievo nel quadro del tradizionalismo iberico, e a essa introduce tracciando le grandi linee del pensiero contro-rivoluzionario europeo. L’occasione delle considerazioni ne spiega quindi il taglio particolare, ma non ne sminuisce il valore; mi paiono anzi di particolare utilità 1) per fondare le nozioni di “tradizionalismo di destra” e di “tradizionalismo di sinistra”, 2) per orientare all’interno della letteratura contro-rivoluzionaria sempre più presente sul mercato librario italiano, 3) per ampliare quanto detto dal prof. Plinio Corrêa de Oliveira in Rivoluzione e Contro-Rivoluzione alle pp. 131-132 [1a ed.]. Il testo che segue corrisponde alle pp. 16-22 dell’opera citata [2a ed., Madrid 1973].