S. VINCENZO PALLOTTI (1795-1850)

Il Pallotti visse sotto il burrascoso pontificato di sei papi. La massoneria imperava e i patrioti provocavano sollevazioni per affrettare l’unificazione d’Italia. Quando, con l’assassinio di Pellegrino Rossi, Pio IX si trovò solo, il nostro santo fu tra i pochi che ebbero il coraggio di andarlo a confortare e confessare. Quando il papa fuggì a Gaeta, egli, cercato a morte, si ritirò nel Collegio Irlandese da dove scrisse lettere animatrici a Ferdinando II, re di Napoli, ai cardinali, agli studenti del Collegio Urbano, al presbiterato inglese e ai suoi figli spirituali: D. Raffaele Melia e D. Giuseppe Faà di Bruno, che a Londra lavoravano per l’erezione della chiesa di San Pietro per gl’italiani.

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B. LAURA VICUNA (1891-1904)

In quattro anni, sotto la sapiente guida spirituale di Don Augusto Crestanello, confessore nell’attiguo Collegio dei salesiani, Laura si sarebbe santificata e avrebbe consumato il suo olocausto per la conversione della mamma. Appena la Beata, a contatto delle suore, comincio a conoscere meglio la verità della fede e le preghiere, propose di “essere sempre buona”. Per non venire meno al suo proposito, con umiltà e semplicità era solita chiedere loro spiegazioni circa la maniera di praticare questa o quella virtù, dando così a vedere di possedere, secondo la direttrice, “un criterio superiore alla sua età e una vera inclinazione alla pietà”.

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SS FABIANO E SEBASTIANO

Narra Eusebio di Cesarea nella Storia Ecclesiastica (VI, c. 29) che, mentre clero e popolo, riuniti, stavano discutendo per dare un successore al defunto pontefice, una colomba discese dall’alto e andò a posarsi sul capo di Fabiano il quale se ne stava confuso in mezzo all’assemblea senza che nessuno pensasse a lui. Il popolo ne rimase commosso; giudicandolo degno del papato, lo sollevò sulle braccia e lo collocò sulla cattedra vescovile nonostante la sua riluttanza. Una riproduzione di questa scena è stata ritrovata nel bassorilievo di una catacomba della via Appia.

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B. GIUSEPPA MARIA DI S. AGNESE (1625-1696)

Quando vestì l’abito religioso, stando in orazione, disse al Signore che era disposta a patire per amor suo tutti i dolori che le avrebbe mandato. Dopo una grave malattia la Beata udì una voce interna che la esortava a scegliere se restare tre anni paralitica o muta. Per non essere di peso alla comunità scelse di restare muta. “L’infermità l’aiutò a restare più unita a Dio. Anche quando lavorava non interrompeva la sua orazione mentale. Quando guarì prese a osservare il silenzio non solo nelle ore stabilite, ma anche nei momenti di distensione. A chi gliene muoveva rimprovero rispondeva: “È bene tacere e restare in casa”, cioè conservare un abituale raccoglimento.

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B. GIUSEPPE NASCIMBENI (1851-1922)

In perfetta concordia con il parroco, Don Donato Brighenti, che gli concesse piena fiducia e libertà di azione, Don Giuseppe, in meno di due anni, con l’aiuto dei parrocchiani, specialmente dei giovani, da lui sapientemente mobilitati e organizzati, restaurò la vecchia chiesa parrocchiale, riorganizzò le istituzioni e le confraternite già esistenti, ne istituì delle nuove come quella delle Madri cristiane, del Terz’Ordine Francescano e della Madonna del Carmine. Ripristinò la funzione delle cosiddette “Quarantore”, del mese di maggio, la Compagnia e la Festa del Rosario e la funzione del Perdono di Assisi benché la parrocchia contasse soltanto un migliaio di anime.

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BB GIOVANNI BATTISTA TURPIN DU CORMIER e 18 COMPAGNI (1732-1794)

La maggior parte dei sacerdoti della Mayenne aveva rifiutato il giuramento alla costituzione civile del clero benché fosse stata sancita dal re Luigi XVI (1790), perché rifletteva lo spirito giansenistico e gallicano in quanto pretendeva sottrarre il clero all’ubbidienza al papa, fondando una Chiesa nazionale scismatica, soggetta al potere civile. Coloro che si opposero al giuramento furono seguiti e sostenuti dalla maggior parte del popolo. Tuttavia le autorità incaricate di applicare la legge non li tolleravano. Per sorvegliare più da vicino i refrattari, il direttorio del dipartimento aveva ingiunto loro (1792) di andare ad abitare a Laval, e di rispondere ogni giorno all’appello.

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S. AGNESE (III secolo)

Confessa Eusebio di aver assistito al taglio della testa di una così grande moltitudine di persone nello stesso giorno, che il ferro omicida si ottundeva. Gli stessi carnefici, spossati, erano costretti a darsi ogni tanto il cambio. I martiri, sostenuti dalla grazia, sotto i colpi della spada e della scure, noncuranti dei tormenti, cantavano inni e ringraziavano Dio fino all’ultimo respiro. Anche la piccola Agnese subì una delle tante atroci pene escogitate dai persecutori.

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S. EUTIMIO IL GRANDE (377-473)

La Chiesa greca considera Eutimio come uno dei principali organizzatori della sua liturgia. Essa gli attribuisce insieme con S. Caritone, S. Teotisto e S. Saba, la prima codificazione delle leggi monastiche e dei dettagli del servizio divino, che passarono nel Typicon o formulario di S. Saba e del monastero costantinopolitano di Stoudion. Nella laura di Sahel si seguiva la liturgia della chiesa di Gerusalemme: la sinassi non si celebrava che il sabato e la domenica e in poche solennità dell’anno.

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S. EUSTOCHIA CALAFATO (1434-1485)

Quando esercitava le funzioni di badessa Suor Eustochia non dava ordini perentori. Preferiva fare appello alla buona volontà di ogni religiosa dicendo semplicemente: “Chi di voi vorrà fare questo?” Quando le vedeva cadere in qualche colpa, ne soffriva atrocemente perché detestava qualsiasi peccato e non tralasciava di correggerle amorevolmente. Evitava particolarismi anche con sua sorella. Aveva soprattutto in odio ogni ipocrisia e vanagloria. Stava molto attenta a non perdere tempo.

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B. MARCELLO SPINOLA y MAESTRE (1835-1906)

Desiderando santificarsi, il Beato unì all’esercizio del suo lavoro la frequenza ai sacramenti e lo studio della teologia fuori del seminario. Per darsi più completamente al servizio del prossimo rinunciò all’avvocatura e all’antico titolo di marchese di Spinola, e volle essere ordinato sacerdote il 21-5-1864 dal suo vescovo, il card. Ludovico de Lastra e Cuesta. Fece allora proprie le massime: “O la santità o la morte”; “prima morire che peccare”.

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