B. MARIA CATERINA KASPER (1820-1898)

Madre Maria Caterina dedicava alla formazione sia delle novizie chi delle professe tutto il tempo di cui poteva disporre. Alla sua scuola esse non ebbero il tempo di annoiarsi o di fermarsi per fare delle scelte. Diceva loro: “Se volete diventare davvero delle brave Ancelle di Gesù Cristo dovete diventare molto semplici, umili e modeste”. Per aiutarle a raggiungere lo scopo raccomandava loro: “Tutto si deve fare per Dio, con Dio e in modo che Dio agisca attraverso noi. Dovunque siamo, siamo presso Dio”. Insegnava loro: “Solamente se si cerca felicità, pace e gioia nell’adempimento della volontà di Dio, si troverà la felicità nel convento! Non è difficile eseguire la volontà di Dio; è difficile conoscerla”. “Se facciamo la volontà di Dio, Egli farà la nostra”.

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B. MARIA di GESÙ DELUIL-MARTINY (1841-1884)

E’ la fondatrice delle Figlie del Cuore di Gesù. (.) Caratteristica della sua congregazione fu l’unione dei cuori. Ella la ottenne coltivando nei suoi membri l’amore alla verità e all’umiltà. Aveva difatti in orrore qualsiasi sentimento di orgoglio. In occasione del decimo anniversario della fondazione, la beata espresse così il desiderio di immolazione in una lettera alle suore: “O agnello del Padre Celeste, accettaci come tuoi agnelli, uniscici a te sulla croce e sull’altare e forma i nostri cuori secondo il tuo Cuore di vittima. E se la mia miserabile vita può servirti a condurre le anime di cui ha sete il tuo cuore, prendila, amor mio, te ne supplico, ma almeno trionfa come sposo sulle anime dell’Istituto e come re su tutti i cuori”. Come si era già offerta vittima secondo le intenzioni di Pio IX, Madre Maria di Gesù rinnovò la sua offerta di vittima nel 1882 anche secondo quelle di Leone XIII. (altro…)

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S. GIOVANNA de LESTONNAC (1556-1640)

Prima di morire la santa volle bruciare gli scritti contenenti gl’intimi segreti del suo animo, ma i buoni esempi da lei dati non si cancellarono più dagli occhi delle sue figlie. Era sempre la prima al coro e al refettorio, quando bisognava praticare le solite penitenze. In memoria della Passione del Signore, di cui era devotissima, ogni venerdì scendeva in cucina per lavare i piatti, e ogni sabato serviva al secondo turno di mensa riservato alle sorelle coadiutrici. Praticò con vero rigore la povertà. Il giorno della settimana riservato alla Comunione, secondo l’uso del tempo, faceva una sola refezione; il venerdì si contentava di pane e acqua, e la quaresima di cibi non conditi. Dopo la morte fu trovata coperta di strumenti di penitenza.
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S. CATERINA de’ RICCI (1522-1590)

La vigilia del Natale 1542, Caterina vide il “piccolo Bambolino” posto sul fieno tra due animali. S. Tecla, che accompagnava la Vergine Maria, le presentò allora tre corone: una di spine, una d’argento e l’altra d’oro.
Caterina, con un pianto dirotto, s’inchinò subito a ricevere la corona di spine per rassomigliare di più al celeste bambino che aveva stretto al seno e coperto di baci. A breve distanza da quella visione il capo verginale della santa fu visto imporporarsi di tracce sanguigne in forma di spine, e la spalla destra di lei apparve solcata da una lividura larga tre dita scendente a metà del dorso. Un giorno del 1543, dopo la comunione, appena rientrata in cella, Caterina fu riscossa dalla voce del Crocifisso. Si era staccato dal legno del suo supplizio, fitti ancora i chiodi nelle mani e nei piedi, per andarle incontro, abbracciarla, e raccomandarle tre solenni processioni nel monastero per implorare misericordia sui trascorsi degli uomini.

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B. ANDREA CARLO FERRARI (1850-1921)

Don Giovanni Rossi, suo segretario, attestò di lui: “Non lo vidi mai un istante inoperoso: o pregava o scriveva o parlava”. “Sue prerogative erano: la proprietà in tutto, l’ordine in ogni cosa, la celerità dei mezzi”. “Suo motto era: “Fare molte cose e farle tutte bene””. A chi si lamentava della nequizia dei tempi, rispondeva: “Lamentarsi è inutile; bisogna fare, fare,  fare!” oppure: “Ad ogni iniziativa cattiva opporne un’altra buona”. A nessuno dava del tu e tanto nelle circostanze più solenni quanto nei momenti più intimi, con il suo contegno non indulgeva mai a familiarità. Secondo Don Rossi, quest’uomo, che visse un programma tutto di umiltà e di nascondimento, non palesò mai al di fuori, a chicchesia, le stupende meraviglie della sua vita interiore”.

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B. GIOVANNA FRANCESCA della VISITAZIONE (1843-1888)

Poiché diffidava di se stessa, la beata, prima di prendere una decisione importante, chiedeva abitualmente consiglio a chi la dirigeva e persino a Don Bosco. Il canonico Nicco non condivideva la sua idea che l’Istituto dovesse vivere soltanto di questua e delle offerte dei benefattori. Su questo punto Madre Giovanna Francesca fu irremovibile come S. Chiara d’Assisi con le “Damianite”. Un giorno fu trovata in un angolo della casa che esclamava piangendo: “Signore, dammi un’anima che mi comprenda, mandami un sacerdote che mi aiuti!” Costretta a sostenere da sola il suo punto di vista più volte fu udita dire: “Dovessi cominciare dieci, cinquanta volte l’istituzione la comincerei perché sono sicura che è voluta da Dio”. (altro…)

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B. EMANUEL DOMINGO y SOL (1836-1909)

Questo infaticabile sacerdote, fondatore dell’Istituto secolare detto dei Sacerdoti Operai Diocesani del S. Cuore, non trascurava il suo personale perfezionamento specialmente nell’esercizio del distacco dalle dignità, dagli uffici onorifici e dalle comodità della vita. Nel 1871 volle farsi terziario francescano e praticare in maniera più evangelica la virtù della povertà. Si servi dei beni che aveva ereditato per aiutare in mille diverse maniere poveri vergognosi, le vedove e gli orfani, i malati, gli sfrattati, gli indebitati, le religiose senza dote o inferme, o conventi privi di risorse. (altro…)

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S. FRANCESCO DI SALES (1567-1622)

Il santo liberamente si offerse per la conversione dei 30.000 abitanti del Chiablese, passati nel 1536 al calvinismo. Si dedicò a quella missione apostolica, sollecitata dal bellicoso duca di Savoia, Carlo Emanuele I (1562-1630), con giovanile entusiasmo, insieme con il cugino canonico Luigi di Sales. Per i primi tre anni non ebbe quasi uditori, di modo che fu costretto a scrivere e a far stampare, su fogli volanti, le verità più conculcate della fede che, riuniti nel 1672, diedero origine alle Controversie. Risalgono pure a quel tempo La Difesa dello stendardo della S. Croce, un Trattato sulla demonomania e varie dissertazioni, sermoni, lettere e memorie. Nonostante la scarsezza dei frutti, gl’insistenti richiami del padre e i ripetuti attentati alla sua persona, Francesco perseverò nella predicazione tra inaudite sofferenze.

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B. GIUSEPPE TIMOTEO GIACCARDO (1896-1948)

La formazione all’umiltà era uno dei temi su cui Don Giaccardo si fermava di più nel dettare le meditazioni. Diceva: “Per me il Vangelo è il libro dell’umiltà”. Ne deduceva la necessità quindi, di “farsi piccoli, sentirsi piccoli, restare piccoli”. Esortava; “All’umiltà non dite mai di no perché più entrate nell’umiltà, più assomiglierete a Gesù Cristo… Umiliamoci anche quando dovessimo inchiodare con Gesù la nostra volontà alla croce”. Perché “l’amore alle comodità non fa mai i santi”, mentre “chi uccide l’io, trova Dio”. Stimolava i suoi uditori a praticare qualsiasi virtù in maniera pronta, facile e dilettevole. Sottolineava sempre e specialmente l’ultimo avverbio perché era convinto che “un uomo scontento è un uomo a metà”.

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