B. PIETRO di S. GIUSEPPE DE BETANCUR (1626-1667).

Tutti i giorni, da buon congregato mariano, prendeva parte alla Messa, quattro volte alla settimana faceva la comunione, alla sera, o con i suoi colleghi di lavoro o con chi l’ospitava, recitava il rosario. Nelle vigilie delle feste e dei venerdì, si incappucciava e, al chiarore delle stelle, faceva la Via Crucis portando una grande croce dalla chiesa di S. Francesco all’eremo del Calvario, dove il P. Espino stava facendo costruire una chiesa con le elemosine dei fedeli e la collaborazione del beato, da lui incaricato della sorveglianza dei lavori.

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B. EGIDIO MARIA di S GIUSEPPE (1729-1812)

Finché visse, Fra Egidio passò tra i napoletani facendo del bene a tutti, consolando gli afflitti, mettendo pace nelle famiglie e consigliando i dubbiosi. Con il passare degli anni oltre che dalla sciatica egli fu afflitto anche dall’asma e dalla idropisia di petto. Quando dalla sua cella fu trasportato all’infermeria supplicò i confratelli che gli mettessero sul petto le immagini della Madonna e di S. Giuseppe che aveva sempre venerato, e che iniziassero la novena alla Madonna del Pozzo perché al termine di essa sarebbe morto. A chi gli chiese come si sentiva rispose: “Parto per la casa mia”. A un confratello che era andato a trovarlo per chiedergli un ricordo disse: “Osserva la regola con esattezza e non avere paura di niente”.

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BB. G. SALÈS (1556-1593) e G. SALTAMOCHIO (1557-1593).

Caratteristica di tutta la vita del Beato P. Salès fu una fervente devozione alla SS. Eucaristia, allora molto combattuta dai calvinisti. Non passava giorno che non andasse più volte ad adorarla e, quando diceva la Messa, non c’era pericolo che si distraesse. Non meraviglia quindi che i suoi confratelli sperimentassero un calore particolare ogni volta che facevano i ritiri spirituali sotto la direzione di lui.
(…)
Coloro che conobbero Fratel Guglielmo asseriscono che, anche se esternamente appariva trascurato, timido e impacciato, era “così eminente per la sua applicazione all’orazione, per la sua ingenua semplicità, per la dolcezza del carattere e specialmente per l’ubbidienza, da sembrare di essere nato soltanto per il martirio. Coloro che lo conobbero intimamente lo stimavano un angelo sceso dal cielo, rivestito di corpo umano”.

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S. MARGHERITA da CORTONA (1247-1297)

Un giorno Margherita pregò: “Aiutami, Signore, a non essere stimata dal mondo in proporzione dei tuoi doni, tanto grandi che io non posso tacerli, poiché tu sai che io non voglio le lodi di questo mondo”. Per tutta risposta Gesù le mostrò un trono d’indicibile bellezza mentre le diceva: “Figlia, io ti collocherò tra i serafini, dove stanno le vergini ardenti per carità”. Avendo deciso di fare di lei una rete con cui prendere i peccatori che nuotavano nei flutti del mondo, le faceva gridare nella notte la Sua Passione nell’ordine con cui si era svolta, la costringeva ad uscire di cella e aggirarsi per le strade dove c’erano le donne che sparlavano di lei, perché non conoscevano i carismi di cui era stata dotata. Veniva raggiunto così, lo scopo che le era stato assegnato: quello di amare Dio e farlo amare.

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S. GILBERTO di SEMPRINGHAM (1083-1189)

Il santo era un abile direttore e organizzatore. Eppure si riteneva incapace di governare la sua famiglia spirituale. Eugenio III, quando lo incontrò in Francia, si rammaricò di non averlo conosciuto prima di designare un titolare per l’arcivescovado di York. Dio permise che l’esemplare fondatore fosse esposto alla persecuzione del re Enrico II, capostipite della dinastia di Angiò-Plantageneto. Costui aveva costretto a fuggire in Francia S. Tommaso Becket, arcivescovo di Canterbury e primate d’Inghilterra, perché aveva coraggiosamente difeso il privilegio del foro ecclesiastico accettando la legge eversiva del parlamento soltanto con la riserva salvo ordine nostro et jure Ecclesiae. Gilberto fu accusato di aver inviato soccorsi al prelato in esilio. L’accusa era falsa, ma il santo preferì essere gettato in prigione, correre il rischio di vedere soppresso il suo Ordine, anziché dare l’impressione di condannare un atto giusto e buono in se stesso. Si salvò solo perché era troppo grande la stima che godeva presso il re.

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S. STEFANO di THIERS (1048-1124)

Il principale redattore della raccolta degli insegnamenti del Santo fu Ugo di Lacerta, un cavaliere quarantenne dei dintorni che, verso il 1109, si era unito al piccolo gruppo di Stefano e ne era diventato il confidente. Il suo Liber Sententiarum ci fa conoscere l’ideale religioso del Santo, preoccupato più dell’osservanza dell’evangelica povertà che della organizzazione claustrale, nella pratica di una vita di preghiera e di lavoro. L’elemosina dei beni materiali e spirituali, indifferentemente dati e ricevuti, costituiva un aspetto importante della sua vita eremitica, che in seguito fu trasformata in cenobitica.

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B. STEFANO BELLESINI (1774-1840)

P. Bellesini si era dedicato con vera arte pedagogica e squisita carità alla riorganizzazione delle scuole comunali nella speranza che il governo austriaco restituisse agli agostiniani il convento di San Marco e permettesse loro di riprendervi la vita claustrale. Nel 1817, vedendo inappagate le sue attese, rinunciò all’incarico affidatogli ed espatriò clandestinamente da Trento per ricongiungersi alla sua famiglia religiosa che frattanto si era ricostituita a Bologna. Il governo austriaco lo richiamò a Trento comminandogli pene, ma avendo egli preferito restare fedele ai suoi voti, fu bandito per sempre dallo stato. Il beato in cuor suo ne esultò, ma perché fosse palese la sua innocenza, scrisse al fratello Angelo: “Ecco la solita paga del mondo, ecco come vanno a finire le sue ampie promesse”.

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B. NICOLA da LONGOBARDI (1650-1709)

    Nel 1681 il beato fu mandato nel convento di S. Francesco da Paola ai Monti, in Roma, perché aiutasse il parroco nell’assistenza religiosa al popoloso quartiere e facesse da portinaio. Ebbe così modo di venire a contatto di tanti poveri, di dire loro una buona parola e di soccorrerli nelle loro necessità con l’aiuto di benefattori. Quando non riusciva a soddisfare le loro necessità, i bisognosi lo insultavano con le parole più volgari, ma egli le sopportava con pazienza, in silenzio, in riparazione dei propri peccati. I parrocchiani e i devoti di S. Francesco da Paola, però, si avvidero presto di quante virtù fosse adorno l’umile oblato, basso di statura, ossuto, macilento, ma forte e agile nelle fatiche. Tutti lo ricercavano per confidargli le loro pene e raccomandarsi alle sue preghiere.

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S. SCOLASTICA (+547)

S. Scolastica – stando almeno alla tradizione risalente forse a S. Gregorio il Grande (+604) – fu la sorella gemella di S. Benedetto. Gli unici dati biografici attendibili li desumiamo dai Dialoghi di papa Gregorio, opera scritta non con intenti storici, ma a scopo di edificazione e tuttavia molto attendibili nelle linee fondamentali. Quando Zotone, duca longobardo di Benevento, distrusse il monastero benedettino (589), i monaci trovarono rifugio a Roma presso il Laterano, e Gregorio ebbe modo di conoscere dalla loro viva voce quanto ci ha tramandato. Per tutto il corso della vita di Benedetto, egli ci fa ricomparire dinanzi Scolastica solo tre giorni prima della morte di lei. Non è improbabile che la Santa lo avesse già seguito a Subiaco per restare nel raggio della sua influenza spirituale.

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BB LUIGI VERSIGLIA (1873-1930) e CALLISTO CARAVARIO (1903-1930)

Conseguita nel 1893 la laurea in filosofia, Versiglia per tre anni fu assistente e insegnante dei novizi a Foglizzo, mentre attendeva allo studio della teologia. Coloro che lo conobbero attestarono che da tutti esigeva l’osservanza della regola, ma che egli era il primo a praticarla. Benché fosse per temperamento severo, godeva la stima e l’affetto di tutti perché imparziale, signorile nel tratto e fine psicologo. Nelle ricreazioni e nei passaggi che faceva con loro parlava sovente della bellezza della vita missionaria e del desiderio che ne provava.(.).
Benché la famiglia non fosse in grado di mantenere il figlio agli studi, nel 1917 i salesiani accolsero Callisto ugualmente nell’Oratorio di Valdocco come interno. I professori rimasero subito ben impressionati di lui per la compostezza, l’attenzione nella scuola e l’assiduità alla comunione e alla visita al SS. Sacramento. Nel 1918 fu ammesso al noviziato di Foglizzo (Torino) durante il quale dimostrò quanto grande fosse il suo ardore per le missioni.

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