B. MARIA ANNA RIVIER (1768-1838).

La fondatrice (delle Suore della Presentazione di Maria per l’istruzione e l’educazione della gioventù) diceva sovente alle sue religiose: “Voi siete inviate nelle parrocchie per educarvi cristianamente i bambini e fare il catechismo… L’insegnamento della scrittura, della lettura e della grammatica è soltanto l’esca con cui attrarre i fanciulli”. Certi sindaci, liberi pensatori, avrebbero fatto volentieri a meno degli insegnamenti religiosi, ma la beata rispondeva: “Niente catechismi, niente suore. Preferirei che la casa crollasse perché è stata fondata soltanto per questo”. Nel 1803 scrisse a una sua figlia: “Soffro sempre più nel sapere che in tante parrocchie non c’è nessuno che mostra la via del cielo a tanti poveri fanciulli che si perdono. Quanto siamo pochi per fare conoscere e amare il Signore ovunque non è conosciuto e amato!”

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SS. CIRILLO (+869) e METODIO (+885)

Questi due Santi fratelli, apostoli degli slavi e compatroni dell’Europa dal 31-12-1980, nacquero a Tessalonica (oggi Salonicco), importante emporio marittimo e città-fortezza dell’impero bizantino, da Leone, vice del comandante chiamato stratega, il quale ebbe sette figli dalla moglie Maria. Il primo pare fosse Michele, chiamato poi Metodio, e l’ultimo Costantino, chiamato poi Cirillo.
L’evento che avrebbe deciso di tutto il corso ulteriore della loro vita fu la richiesta rivolta dal principe Rostislav della Grande Moravia all’imperatore Michele III di Costantinopoli (+867), tramite i suoi messaggeri: “Il nostro popolo ha rinunciato al paganesimo e si attiene alla religione cristiana; ma non abbiamo un maestro che ci spieghi la vera fede nella nostra lingua slava, affinchè anche altre genti e regioni vedano e imitino il nostro procedere. Quindi, Signore, mandaci un tale vescovo e maestro”.

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B. GERTRUDE COMENSOLI (1847-1903)

A dodici anni Caterina, con il permesso del confessore, fece il voto di ubbidienza, di non fissare in volto persone dell’altro sesso, di non andare a letto senza aver fatto prima la meditazione, di non commettere peccati veniali deliberati e di esercitarsi ogni giorno nella pratica dell’umiltà. Tuttavia le fu proibito di dormire per terra, di andare leggermente vestita d’inverno per sentire il freddo, di mangiare soltanto pane e acqua per portare la sua porzione di carne ai malati. Ogni giorno diventava sempre più seria, pensosa e raccolta con l’idea fissa nella mente di farsi santa. Scrisse nell’autobiografia: “Era una voce potente quella che mi chiamava. Mi dava grande pena tutto ciò che non tendeva a Dio e alla pratica della virtù; provavo come una specie d’agonia nelle conversazioni della sera… Mio babbo mi chiamava il piccolo leone, la fiera, la romita, e io provavo gran pena perché non comprendevano e non mi lasciavano libera da tante ciarle inutili”.

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GIORGIO MATULAITIS o MATULEWICZ (1871-1927)

Giovane sacerdote, P. Giorgio fu mandato dal vescovo di Kielce a fare da coadiutore a un parroco di campagna, ma dopo due mesi, la malattia di cui era affetto lo costrinse a ritirarsi e a recarsi per rimettersi in salute, prima a Kreuznach (Germania), e poi a Friburgo nella Svizzera, dove si iscrisse all’Università Cattolica per laurearsi in teologia. Per provvedere alla sue quotidiane necessità prestò aiuto al parroco di S. Giovanni in Basseville di lingua francese, nella cura dei poveri e degli operai. Poiché era costretto ad abitare in una camera molto umida, il suo male si aggravò talmente che dovette subire un intervento chirurgico alla gamba con l’inserimento di chiodi che portò fino alla morte.

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B. MARIA ENRICHETTA DOMINICI (1829-1894)

La Beata si distinse tra tutte per abnegazione e resistenza alle fatiche.  Sovente rimaneva fino a mezzanotte al capezzale dei colerosi, noncurante del loro vomito continuo e del sonno. Alle difficoltà che Suor M. Enrica incontrava ad ogni passo nel disimpegno dei propri doveri, si aggiunsero pene interiori alle quali cercava sollievo facendo una visita a Gesù sacramentato, leggendo in ginocchio un brano dell’Imitazione di Cristo, e riconfermando il proposito più volte fatto prima di entrare in religione “di essere pronta a soffrire la privazione di ogni conforto sia umano che divino” per amore dello sposo dell’anima sua. Suo motto era: “Dio, Dio solo, sempre e in tutto”.

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S. BENEDETTO ANIANE (750-821)

Non passò molto tempo che il fondatore di Aniane comprese la necessità di conformarsi alla regola che S. Benedetto aveva dato ai monaci dell’occidente come più confacente alle loro aspirazioni. Verso l’anno 787 fece costruire una sontuosa chiesa e un grande monastero. I monaci si adoperarono per riunire il materiale necessario, trascinati dall’esempio del loro abate, sempre il primo non solo al coro, ma anche al trasporto della terra, del legname e delle pietre. Nei momenti liberi dalle attività, Benedetto approfondiva lo studio della regola benedettina, visitava monasteri e si faceva istruire da religiosi competenti. Stabilì dei cantori, dei lettori, dei grammatici, degli esegeti perché tenessero regolari corsi ai monaci e anche ai chierici; fondò una biblioteca, riunì vasi e vesti sacre, e si procurò con sollecitudine quanto era necessario all’opus Dei. La sua abbazia fu presto conosciuta da tutti, e la fama di essa giunse alle orecchie del re.

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B. CLAUDIO de LA COLOMBIERE (1641-1682)

Iddio, che aveva predestinato Claudio ad essere il direttore ed il cooperatore di S. Margherita M. Alacoque (+1690) nella diffusione della devozione al Sacro Cuore di Gesù, gli fece capire che la Compagnia di Gesù era un asilo sicuro in cui avrebbe potuto praticare quella perfezione alla quale aspirava. Fece il gran passo senza entusiasmo. Più tardi scriverà: “Io so che avevo un’orribile avversione alla vita che ho abbracciato, quando mi feci religioso… I disegni che si fanno per servire Dio, non si eseguiscono mai senza una gran pena”. Claudio entrò nel noviziato dei gesuiti della provincia di Lione nel 1658. Un contemporaneo lo descrisse “di complessione robusta, di spirito vivace e naturalmente gentile, d’intelligenza ferma e sottile, di sentimenti onesti, abile e grazioso in ogni cosa”. Il Beato attestava di essere entrato nella Compagnia di Gesù per la stima che aveva delle sue sapienti regole e perché aveva veduto i superiori esigerne tanto l’osservanza che stimava cosa facile in essa santificare se stesso e gli altri.

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S. MICHELE FEBRES CORDERO (1853-1910)

Fratel Michele non si presentava in classe senza una minuziosa preparazione avendo la preoccupazione non di apparire brillante, ma di essere capito. A chi si meravigliava di vederlo studiare ancora dopo tanti anni di insegnamento, rispondeva: “Prepariamo con cura le nostre lezioni perché i laici non ci ritengano inferiori a loro. Essi pensano che noi insegniamo solo a pregare; ebbene, cerchiamo di dimostrare loro che noi conosciamo molto bene il programma di studio e lo insegniamo perfettamente”. E con il suo inalterabile buon umore e ottimismo favoriva la buona volontà degli scolari, anche dei meno dotati, le cui deficienze preoccupavano tanto i genitori.

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SS. PIETRO BATTISTA OFM e PAOLO MIKI S.J. e i loro 24 Compagni (+1597)

Appena i condannati a morte scorsero le croci che portavano scritto i loro nomi, s’inginocchiarono davanti ad esse e le baciarono. Ciascuno fu legato vestito a quella che gli era stata assegnata e tutti contemporaneamente furono sollevati in alto, fatti degno spettacolo non solo agli uomini, ma anche agli angeli. Luigi Ibarki era andato in cerca della sua di corsa e vi si era steso sopra, mansueto come un agnello, lietamente gridando: “Paradiso! Paradiso!” Al comando di Azamburo quattro guardie impugnarono le lance, il P. Pierbattista intonò allora il Benedictus e tutti lo terminarono insieme con un coraggio e una pietà che intenerì gli stessi pagani presenti persino alle finestre delle case circostanti. Il piccolo Antonio per conto suo intonò il salmo: “Lodate, fanciulli, il Signore”, al quale fecero eco gli altri due suoi compagni fino alla fine, Tommaso e Luigi. Il primo ad essere ucciso da due colpi di lancia fu Filippo Las Casas, l’ultimo il P. Pierbattista.

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SAN GIOVANNI de BRITTO (1647-1693)

Nel 1668 Giovanni chiese al generale della Compagnia di essere inviato missionario in Oriente. La sua aspirazione fu soddisfatta, ma prima fece il suo tirocinio come professore nel collegio di Sant’Antonio di Coimbra, quindi studiò teologia in vista del sacerdozio che ricevette nel 1673. Nonostante l’opposizione della madre, e l’intervento del Nunzio Mons. Francesco Ravissa, il P. de Britto ottenne di partire per la difficile missione del Madura (15-3-1673), nell’India sud-orientale. Passando per le Canarie e il Mozambico, egli percorse lo stesso cammino che oltre un secolo prima aveva percorso il Saverio, davanti al cui sepolcro, in Goa, egli rinnovò il voto di dedicarsi in perpetuo alla conversione degl’indiani.

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