DOCUMENTO DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA PER LA VITA
LA PROSPETTIVA DEGLI XENOTRAPIANTI
ASPETTI SCIENTIFICI E CONSIDERAZIONI ETICHE 26.09.2001
La chirurgia sostitutiva (trapianti) rappresenta la terapia d’elezione per diverse patologie umane. Tuttavia il fattore di limite al numero di trapianti che si possono effettuare è la carenza di organi e tessuti umani1. Lo xenotrapianto, ovvero il trapianto di organi, tessuti o cellule di una specie animale in un’altra specie, se applicato all’uomo, offrirebbe la possibilità di una enorme riserva di organi, tessuti o cellule per i trapianti rimediando così alla carenza “cronica” di donatori umani.
Prima, però, che lo xenotrapianto possa diventare una realtà clinica, è necessario risolvere alcuni problemi pratici. Uno di essi è il rigetto, processo mediante il quale il corpo della persona che riceve il trapianto (ricevente) cerca di sbarazzarsi del trapianto stesso. Un altro problema è assicurare il corretto funzionamento del trapianto nel nuovo ospite, superando la barriera di specie. Inoltre vi è la necessità di minimizzare la possibilità di introduzione, attraverso il trapianto, di nuovi agenti infettivi nella popolazione umana.
Oltre ai problemi scientifici, lo xenotrapianto solleva poi altre questioni che richiedono considerazioni di natura teologica, antropologica, psicologica ed etica, nonché l’esame di problematiche legali e di questioni procedurali.
Cenni storici
1. Fino ad oggi, abbiamo un’esperienza molto limitata di trapianti xenogenici (cioè, provenienti da specie diversa da quella del ricevente) di organi o tessuti in riceventi umani. I primi tentativi, compiuti usando la terapia immunosoppressiva per i pazienti riceventi, al fine di prolungare la sopravvivenza dell’organo trapiantato, sono stati effettuati negli anni ’60 e all’inizio degli anni ’70. In quel periodo il risultato più eclatante fu la sopravvivenza per nove mesi di un rene di scimpanzé trapiantato in un ricevente umano da Reemtsma e collaboratori2. Negli anni ’80, fu trapiantato in una bambina (Baby Fae) un cuore di babbuino, che sopravvisse per breve tempo3; dopo poche settimane, infatti, sopravvenne il rigetto. Negli anni ’90, due fegati di babbuino furono trapiantati in due pazienti da STARZL e collaboratori 4. Questi due pazienti sopravvissero l’uno per settanta giorni e l’altro per ventisei giorni. In particolare il primo paziente, al quinto giorno dopo il trapianto, fu sottoposto a dieta orale e passò la maggior parte dei suoi settanta giorni di sopravvivenza in una normale corsia, uscendo anche, in un’occasione, dall’ospedale per breve tempo5. Tuttavia, in uno dei due casi, sembra che un patogeno di babbuino (citomegalovirus) sia stato trasferito al paziente, anche se egli non sviluppò alcuna malattia6. In entrambi i pazienti si rilevò una massa epatica adeguatamente funzionante, sufficiente a sostenere la vita. Il fegato di babbuino sintetizzava proteine di babbuino che, in qualche caso, assumevano livelli ematici caratteristici del babbuino e non dell’uomo. La possibile incompatibilità molecolare di queste proteine costituisce un potenziale problema di funzionalità nell’uomo.
Furono anche tentati trapianti di cuore (tre casi) o di fegato (un caso) di maiale; tuttavia in nessun caso il paziente sopravvisse più di ventiquattro ore7.
Mentre, in passato, sono stati preferiti i primati non umani come fonte di organi, attualmente la comunità scientifica, nonché i preposti Organismi di quei Paesi che si sono occupati del problema, hanno escluso l’utilizzo di tali animali come fonte di organi, sia a causa del maggior rischio di trasmissione di infezioni, sia per altre considerazioni di ordine etico e pratico8. Di conseguenza, molti ricercatori hanno scelto di utilizzare i maiali come fonte potenziale di organi, tessuti o cellule per lo xenotrapianto9. L’uso dell’ingegneria genetica ha consentito di migliorare significativamente il tempo di sopravvivenza di un organo di maiale trapiantato in un primate non umano immunosoppresso10, anche se il tempo di sopravvivenza di tali organi non è ancora paragonabile a quello di organi umani trapiantati nell’uomo. Alcune barriere allo xenotrapianto, dunque, restano11.
L’ulteriore modificazione genetica degli animali donatori e/o l’uso di altri/nuovi farmaci immunosoppressori sono i due approcci attualmente considerati per prolungare ulteriormente la sopravvivenza di uno xenotrapianto12. Da quanto detto, risulta evidente come molte ricerche nell’ambito dello xenotrapianto siano ancora necessarie e debbano essere compiute.
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