Prof. A. Torresani. 8. 1 Pipino III rifonda la monarchia dei Franchi; 8. 2 Carlo Magno rifonda l’Impero romano; 8. 3 La legislazione di Carlo Magno; 8. 4 Ludovico il Pio in lotta coi figli; 8. 5 La caduta dell’Impero carolingio; 8. 6 Cronologia essenziale; 8. 7 Il documento storico; 8. 8 In biblioteca
Cap. 8 Carlo Magno e il Sacro Romano Impero
Verso la metà dell’VIII secolo le forze trainanti in Europa erano la monarchia dei Franchi e la Chiesa cattolica; l’espansione araba sembrava perdere intensità e la potenza bizantina era impegnata nel difficile compito della propria conservazione. Il papato e la monarchia dei Franchi sembravano destinati a incontrarsi perché il papato aveva bisogno di un solido presidio politico in grado di controllare i sommovimenti seguiti alle invasioni barbariche, mentre i maggiordomi franchi avevano bisogno del riconoscimento del colpo di Stato ai danni della dinastia di Clodoveo che si apprestavano a compiere.
Carlo Magno era dotato di grandi qualità umane che lo facevano un capo indiscusso: l’ampiezza delle sue imprese militari stupì i contemporanei e ancor più i posteri che videro in lui un modello di regalità. Durante il regno di Carlo Magno l’Europa conobbe un’autentica fioritura culturale contenente germi che si svilupparono con maggiore vitalità dopo il Mille.
Appena due generazioni dopo Carlo Magno la ripresa delle invasioni barbariche distrusse in gran parte il risultato della prima sintesi europea: il IX e X secolo furono particolarmente duri e difficili tanto che il papato si ridusse a oggetto di contesa tra le grandi famiglie feudali della Campagna romana, e la dinastia di Carlo Magno si estinse, riducendo il titolo imperiale a ricordo del passato, fino alla sua restaurazione sotto la dinastia dei duchi di Sassonia. Le forze che avevano promosso la prima sintesi non erano scomparse e quando anche i nuovi barbari furono assorbiti si avviò impetuoso il movimento che portò l’Europa a espandersi oltre i propri confini.
8. 1 Pipino III rifonda la monarchia dei Franchi
A metà dell’VIII secolo la singolare situazione esistente in Francia che i discendenti di Clodoveo regnassero senza poter prendere alcuna decisione politica, spettante ai maggiordomi, apparve suscettibile di modifiche.
Translatio imperii I Franchi conoscevano l’episodio biblico in cui il profeta Samuele unse come nuovo re d’Israele un semplice pastore di nome Davide, perché Saul era venuto meno ai suoi doveri di re: un cambio di dinastia era dunque possibile, se il segnale fosse venuto da Dio e se il papa, rappresentante di Dio in terra, l’avesse sancito.
Rapporti tra papato e Franchi I legami tra il regno dei Franchi e il papato erano stati forti al tempo di Gregorio Magno. In seguito si erano allentati, per tornare saldi al tempo della crisi iconoclastica quando ai papi Gregorio II e Gregorio III apparve chiaro che la difesa della Chiesa non poteva venire da Costantinopoli, bensì dalle vigorose popolazioni germaniche dell’Europa settentrionale, dopo che si fossero convertite alla fede di Cristo.
Fioritura della Chiesa d’Inghilterra Nel VII secolo i progressi più confortanti della Chiesa cattolica erano apparsi in Britannia dove l’evangelizzazione promossa da Gregorio Magno e condotta da Agostino di Canterbury aveva prodotto frutti mirabili, mantenendo con la sede papale stretti rapporti tanto che la Chiesa britannica appariva un’espansione della Chiesa di Roma.
L’evangelizzazione dei Sassoni Nell’VIII secolo si imponeva con urgenza l’evangelizzazione dei Sassoni del continente. I territori a est del Reno erano ancora pagani. Turingi, Vestfali, Ostfali e Sassoni occupavano il territorio tra il Reno e l’Elba. Più a Oriente c’erano i Vendi e gli Slavi. I primi missionari che operarono a est del Reno non furono franchi, perché la Chiesa sotto i re fannulloni non ebbe grande vitalità, bensì irlandesi come san Colombano o san Gallo che però non avevano un piano organico di evangelizzazione, affidandosi all’impulso del momento. Più tardi, dopo il successo della missione di Gregorio Magno in Britannia, furono monaci inglesi i prescelti per l’opera di evangelizzazione della Germania. Il più famoso di quei monaci fu Vinfrido che assunse il nome di Bonifacio. Costui, nato intorno al 672, sbarcò in Frisia e poi si recò a Roma dove fu consacrato vescovo. Ricevette rincalzi dalla Britannia che gli permisero la fondazione di monasteri maschili e femminili. In seguito Bonifacio fu nominato metropolita della nuova circoscrizione ecclesiastica, ma senza l’indicazione di una residenza precisa. Nel 743 riunì il primo concilio franco-orientale nel corso del quale fece prestare ai nuovi vescovi un giuramento di fedeltà al papa; ordinò ai preti di non prendere parte alle guerre. Nel 746 Bonifacio fondò il monastero di Fulda nel quale venne sepolto dopo aver subito il martirio a opera dei Frisoni insieme con altri 52 compagni (754).
Significato dell’opera di Bonifacio L’opera di Bonifacio ha grande importanza perché egli fu mediatore dell’alleanza tra i Franchi e il papato quando Pipino pose il famoso quesito al papa Zaccaria “se era giusto che chi esercitava le funzioni di re dovesse essere anche re”. La risposta fu affermativa e Bonifacio, o un suo rappresentante, nel corso di una cerimonia che ricordava l’investitura dei re dell’Antico Testamento, unse col sacro crisma Pipino III il Breve come nuovo re dei Franchi. Nel frattempo i Longobardi tentarono la conquista di Roma nella speranza di subentrare ai Bizantini nei territori da essi posseduti in Italia. Nel 754 il papa Stefano II si recò in Francia, dopo il fallimento delle trattative a Pavia condotte con Astolfo impaziente di annettere al suo regno i territori italiani non ancora occupati dai Longobardi. In Francia, a Ponthion e Quierzy, avvennero alcuni fatti simbolici: Pipino resse le briglie del cavallo del papa come palafreniere, una funzione che era propria degli imperatori d’Oriente; il giorno dopo il papa, vestito di sacco con cenere sul capo, si inginocchiò davanti a Pipino chiedendo protezione contro i Longobardi.
Interventi in Italia di Pipino il Breve Pipino il Breve scese due volte in Italia per costringere i Longobardi a desistere dai loro progetti su Roma. I territori controllati dal governo papale furono confermati come donazione ai santi Pietro e Paolo: era nato lo Stato della Chiesa come segno dell’incontro tra sacerdotium e imperium, tra Chiesa e Stato. Forse in questo periodo sorse la leggenda di san Silvestro e il documento che va sotto il nome di Donazione di Costantino. Secondo quel documento, Costantino ammalato di lebbra sarebbe stato guarito dal papa Silvestro. Per gratitudine, tutto l’impero d’Occidente sarebbe stato donato al papa e la capitale sarebbe stata trasferita a Costantinopoli “perché là dove c’era il rappresentante di Dio non poteva stare il rappresentante di una potenza terrena”. Il documento fu dimostrato falso da Lorenzo Valla nel XV secolo sulla scorta di considerazioni di natura filologica. Le falsificazioni medievali furono numerose e tutti vi fecero ricorso: in un’epoca violenta le affermazioni di diritto avevano un’importanza relativa. L’iperbole stessa – tutto l’Occidente appartiene alla Chiesa – mira a giustificare l’esistenza indipendente almeno del piccolo territorio intorno a Roma per evitare la difficile coabitazione che si realizzava in Oriente tra imperatore e patriarca di Costantinopoli.
Cresce l’importanza del regno dei Franchi Dopo le due spedizioni del 754 e del 756 il regno di Pipino si aprì agli influssi culturali d’Italia e dell’Oriente, ricevette libri e perfino un organo, il primo comparso in Occidente: i cantori della sua cappella furono istruiti secondo l’uso romano; doni e ambasciatori arrivarono anche da Baghdad, inviati dal califfo al-Mansur, un segno che i più avveduti uomini di Stato riconoscevano al regno di Pipino grande importanza.
Riforma del clero franco Pipino convocò quattro sinodi per completare l’opera di riforma del clero franco iniziata da Bonifacio: furono decise regolari ispezioni per verificare il rispetto dei doveri del clero.
Conquista dell’Aquitania Una campagna militare fu condotta contro i Sassoni cui venne imposto il tributo. Nel 760 Pipino iniziò una lunga campagna contro il duca di Aquitania dopo aver occupato la città di Narbona tolta agli Arabi. Nell’estate del 768 tutta l’Aquitania era stata sottomessa. Pipino visse solo il tempo necessario per annettere al suo regno l’Aquitania che aveva l’aspetto di un paese straniero, perché a sud della Loira non c’erano Franchi: all’Aquitania fu concessa la sua antica legislazione e il diritto di convocare un’assemblea locale dei nobili che, con i rappresentanti dei re franchi, avrebbe preso le decisioni civili e religiose.
Gli eredi di Pipino. Pipino aveva due figli: a Carlo, il maggiore, fu ceduta l’Austrasia, gran parte della Neustria e la metà occidentale dell’Aquitania – ossia il nord e l’Occidente della Francia -; a Carlomanno il mezzogiorno e l’Oriente della Francia. Pipino morì a Saint-Denis: le sue grandi imprese furono eclissate da Carlo che in realtà non fece altro che completare ciò che il padre aveva iniziato.
8. 2 Carlo Magno rifonda l’impero romano
Da Eginardo, biografo di Carlo Magno, sappiamo che il futuro imperatore nacque nel 742. Nel 768 successe al padre; in seguito sorsero divergenze tra Carlo e il fratello Carlomanno, probabilmente fomentate dai consiglieri politici di quest’ultimo.
La politica di Berta e il suo fallimento Gli aquitani tentarono una sollevazione domata dal solo Carlo perché Carlomanno si rifiutò di aiutarlo. La madre Berta riuscì a riconciliare i fratelli: dopo aver compiuto un lungo viaggio in Baviera e in Italia, combinò un’alleanza matrimoniale: una sorella di Carlo sposava Adelchi figlio di Desiderio; Desiderata (o Ermengarda) sposava Carlo; Tassilone duca di Baviera sposava un’altra figlia di Desiderio: i tre Stati rivali erano così collegati da parentele strette. Quei matrimoni allarmarono non poco il papa Stefano III che temeva il crollo della sistemazione politica faticosamente impostata negli anni precedenti. A Roma accaddero torbidi che permisero al partito longobardo di prendeva il sopravvento. Desiderio di diresse alla volta di Roma facendo insospettire Carlo. Dopo un anno dal matrimonio, Carlo ripudiò Desiderata. Carlomanno morì all’improvviso nel 771, quando sembrava imminente una guerra tra i due fratelli. La vedova e due figli piccoli si rifugiarono a Pavia, mentre Carlo poneva tutta la Francia sotto il suo dominio diretto, usurpando i diritti dei nipoti. La politica di pace con i Longobardi era finita e Berta non ebbe più alcun influsso sulla politica di Carlo.
Direzioni dell’espansione franca Iniziò così un grande regno che nelle intenzioni di Carlo doveva riunire le popolazioni germaniche d’Europa: solo più tardi, quando gran parte del progetto sembrava realizzata, il cattolicesimo fu assunto come giustificazione ideale di quanto era avvenuto. Seguendo le orme di Pipino, il primo passo fu compiuto in direzione dell’Italia; il secondo in direzione della Spagna; il terzo in direzione della Baviera e della Pannonia occupata dagli Avari; il quarto in direzione della Germania contro Sassoni e Slavi.
a) La conquista d’Italia
La situazione italiana era fluida. I Longobardi occupavano il nord e il centro della penisola, a eccezione di Venezia e di Roma che con i castelli di Nepi e Sutri formava il Patrimonium Sancti Petri. I papi, tuttavia, miravano al controllo di tutta la Romania, l’antico esarcato di Ravenna comprendente l’attuale Romagna, la Pentapoli (le attuali Marche), la Pentapoli annonaria (l’attuale Umbria). I ducati di Spoleto e di Benevento erano sotto il dominio longobardo anche se di fatto apparivano autonomi, specie il ducato di Benevento, isolato e desideroso di espandersi ai danni di Napoli, Salerno e Bari perché la potenza bizantina declinava. Si delineavano così tre Stati principali: uno a sud di tradizione bizantina anche dal punto di vista ecclesiastico; al centro lo Stato della Chiesa basato unicamente sul prestigio del papa; al nord uno Stato tendenzialmente germanico, collegato alle vicende storiche dell’Europa settentrionale.
La situazione politica in Italia Carlo si rese conto delle difficoltà in cui si trovava il regno longobardo di Desiderio: nonostante la sua ortodossia, l’occupazione di Roma l’avrebbe messo in conflitto col papato, ma l’esistenza dello Stato della Chiesa impediva anche la definitiva occupazione del sud, approfittando della debolezza bizantina, massima durante la crisi dell’iconoclastia. Carlo condusse trattative con Desiderio volte a mantenere la divisione dell’Italia a vantaggio della propria politica di egemonia, peraltro preferita dai papi a quella dei Longobardi, perché Carlo non avrebbe mai fatto di Roma la capitale del suo regno. Le trattative fallirono e perciò Carlo dichiarò guerra.
Assedio di Pavia Nel 773 iniziò l’assedio di Pavia, mentre contro Verona fu inviato un distaccamento. Adelchi fuggì a Costantinopoli per tenere vivo il movimento legittimista. Nella primavera del 774, durante l’assedio di Pavia, Carlo fece un viaggio a Roma: in aprile egli confermò solennemente la donazione dell’Italia bizantina al Patrimonium Sancti Petri, anche se conservò su di esso, col titolo di patricius, la tutela militare. Tornato al nord, anche Pavia cadde: Desiderio fu trasferito in Francia.
Falliscono le ribellioni dei duchi longobardi Il duca del Friuli si ribellò nel 775, ma fu sconfitto così come avvenne a un successivo tentativo compiuto dai duchi di Spoleto, Benevento e Chiusi in collaborazione con un esercito greco: anche questo tentativo fu schiacciato da Carlo sceso nuovamente in Italia nell’inverno tra il 780 e il 781. Carlo non aveva alcuna intenzione di cedere il dominio diretto sull’Italia: si trattava solo di venire incontro alle esigenze locali di carattere amministrativo, come era avvenuto per l’Aquitania al tempo di Pipino il Breve.
Annessione dell’Istria L’Istria fu aggiunta al regno d’Italia nel 790; la Dalmazia e Venezia ne fecero parte negli anni tra l’805 e l’810, ma in seguito tornarono sotto sovranità bizantina.
Il ducato di Benevento Nel ducato di Benevento Arechi, nipote di Desiderio, teneva il potere in una situazione di sostanziale indipendenza. All’inizio del 787 Carlo si trovava a Roma dove ricevette il figlio di Arechi, Romualdo, recante doni e assicurazioni di pace per stornare una possibile conquista da parte dei Franchi. Carlo avanzò fino a Capua dove ricevette nuove assicurazioni e un figlio di Arechi, Grimoaldo, come ostaggio. Sempre nel 787 morirono prima Romualdo e poi Arechi: i beneventani chiesero a Carlo di inviare loro Grimoaldo che prestò giuramento di accettare l’alta sovranità franca. Nello stesso anno Adelchi tentò di sollevare l’Italia meridionale, ma i duchi di Spoleto e di Benevento rimasero fedeli a Carlo.
b) La formazione della Marca spagnola
L’intervento di Carlo in Spagna non fu determinato dal progetto di liberarla dagli Arabi. Nel 777 alla dieta di Paderborn il governatore arabo di Barcellona e Gerona chiese a Carlo aiuto contro il califfo omayyade di Cordova. Occorre ricordare che fin dai tempi di Pipino il Breve i Franchi avevano riconosciuto gli Abbasidi di Baghdad, ponendo le premesse per un intervento nella Spagna omayyade.
Spedizione in Spagna Nel 778 un esercito franco discese in Spagna. La prima operazione militare fu l’assedio di Pamplona, abitata dai cristiani del regno di Asturia; poi i combattimenti languirono perché i nemici dell’omayyade Abd al-Rahman non si misero d’accordo sul modo di farlo cadere. Carlo avanzò fino a Saragozza che occupò per breve tempo, poi tornò indietro verso i Pirenei. Mentre il grande esercito franco era sgranato lungo le gole dei Pirenei, la retroguardia con le salmerie e il bottino spagnolo fu attaccata dai Baschi cristiani e distrutta: perirono il conte palatino Anselmo, il siniscalco Eggiardo e il prefetto della marca bretone Orlando, ossia tre alti personaggi del seguito di Carlo. L’epopea si impadronì della battaglia di Roncisvalle (15 agosto 778) trasfigurandola nel più importante combattimento di Carlo a difesa della fede, cantata nella Chanson de Rolland dell’XI secolo. Sul piano militare la spedizione del 778 fu un fallimento, ma indusse Carlo a rafforzare il controllo dei passi pirenaici. Nel 795, tutto il territorio ai piedi dei Pirenei fu conquistato e reso tributario col nome di Marca spagnola. Nell’801 i Franchi occuparono anche Barcellona, seguita da Pamplona e dalla Navarra. Tutto considerato la Marca spagnola aveva solo il compito di controllare i passi pirenaici per rendere sicuro il confine meridionale del regno franco.
c) La conquista di Baviera e Pannonia
La dura politica di egemonia scelta da Carlo appare più chiara se si considera il caso della Baviera. Tassilone aveva abbandonato con i suoi Bavari Pipino il Breve nel 763 durante la campagna di Aquitania. A Tassilone si rimproverava il fatto di voler condurre una politica indipendente.
Tassilone Nel 781 Tassilone fu convocato al campo di maggio di Paderborn. Più tardi sorsero divergenze circa il diritto sui territori posti nella valle dell’Adige; nel 787 Tassilone chiese al papa Adriano I di favorire il ristabilimento di cordiali rapporti con Carlo il quale giudicava severamente il comportamento di Tassilone. La mediazione papale fallì e la Baviera fu invasa da truppe franche. Tassilone rifiutò il combattimento, preferendo consegnare il ducato a Carlo, ricevendolo subito dopo come feudo franco. La guerra scoppiò perché con tutta probabilità Tassilone aveva indotto gli Avari ad attaccare i Franchi. Tassilone fu arrestato e condotto al campo di maggio celebrato a Ingelheim nel 788 dove fu condannato a morte. In seguito Carlo lo graziò.
Sconfitta degli Avari Gli Avari erano imparentati con gli Unni, mantenendo i loro usi nomadi nei tre secoli di insediamento nella pianura ungherese. Tra il Danubio e il Tibisco sorgevano i loro ring, fortezze circolari che racchiudevano i villaggi abitati nel periodo invernale. Nel 788 gli Avari avanzarono verso Occidente ma furono sconfitti. Nel 791 Carlo condusse una grande campagna dimostrativa fino al fiume Raab. Nel 795 il margravio del Friuli, con l’aiuto di Slavi, distrusse il più grande ring avaro, facendo un grande bottino al punto che alcuni storici fanno risalire a quel tesoro la possibilità per Carlo di coniare il suo famoso denaro d’argento, rimasto per secoli la base della monetazione occidentale. Nel 796 Pipino, figlio di Carlo, condusse un’altra spedizione che distrusse altri ring. Subito dopo iniziò l’opera di penetrazione di missionari inviati da Aquileia, Salisburgo, Passau.
d) La conquista della Germania
Le campagne di Carlo di gran lunga più difficili furono compiute nella Germania settentrionale per sottomettere le fiere tribù sassoni poste tra il Reno e l’Elba. I Sassoni erano rimasti pagani conservando l’ordinamento tribale (Ostfali, Angri, Vestfali). Le guerre sassoni durarono dal 772 all’804, ma solo a partire dal 775 Carlo si propose la sottomissione definitiva della Sassonia.
Invasione della Sassonia Entrato nel territorio degli Angri, Carlo occupò la fortezza di Eresburg e distrusse l’Irminsul, una colonna sacra di legno ritenuta l’asse del mondo. Gli Angri fecero atto di sottomissione e consegnarono ostaggi, ma appena Carlo lasciò il loro territorio si affrettarono a cancellare ogni traccia di dipendenza. Nel 774 Carlo si trovava in Italia e perciò i Sassoni poterono compiere un’incursione ai danni della fortezza franca di Fritzlar. Ritornato Carlo, nel campo di maggio del 775 fu presa la decisione suprema: procedere attraverso il territorio dei Vestfali fino al Weser, così da domare le tre tribù. Nel 776 scoppiò un’altra insurrezione che costrinse i Franchi a erigere alcune fortezze, con l’obbligo di accettare il cristianesimo. Il vestfalo Viduchindo, eroe della resistenza sassone, fuggì in Danimarca.
Cristianizzazione forzata dei Sassoni Nel 777 l’annuale campo di maggio fu convocato a Paderborn: fu stabilito di diffondere il cristianesimo tra i Sassoni che, in caso di rivolta, sarebbero stati trattati da ribelli, non da semplici nemici. Nel 778, durante la campagna spagnola, i Sassoni si sollevarono saccheggiando tutta la regione, ma furono affrontati da Carlo reduce dalla Spagna e ancora una volta domati.
Carlo impone una nuova legislazione ai Sassoni Nel 780, si avanzò fino al Weser. Al campo di maggio del 782 parteciparono anche i Sassoni, a eccezione di Viduchindo. Carlo nominò conti i nobili sassoni imponendo loro la Capitulatio de partibus Saxoniae, una serie di leggi assai severe: la pena di morte era prevista per furti e incendi di chiese, per l’uccisione di un ecclesiastico, per chi praticava l’antropofagia o faceva sacrifici umani, o anche per chi rifiutava il battesimo e rimaneva pagano per poter fare tutte le cose precedenti. In alcuni casi la pena di morte era sospesa se il reo accettava di confessarsi e di assolvere la relativa penitenza. Queste ordinanze esasperarono i Sassoni: Viduchindo guidò un’insurrezione generale che sconfisse un esercito franco sul Weser. Carlo fu costretto ad assumere il comando delle sue truppe conducendo una campagna spietata che finalmente piegò i Sassoni. Viduchindo fuggì e i Sassoni accettarono di consegnare i ribelli: a Verden ne furono decapitati oltre 4500 e la notizia non sembra esagerata (783).
Battesimo di Viduchindo Nel 784 fu condotta un’altra campagna: per la prima volta i Franchi svernarono in Sassonia per impedire insurrezioni. Nel 785 il campo di maggio fu convocato a Paderborn, poi l’esercito raggiunse l’Elba inferiore infrangendo ogni resistenza. Infine, il giorno di Natale di quell’anno, Viduchindo accettò il battesimo ad Attigny ritornando in patria carico di doni.
Organizzazione ecclesiastica Dopo il 785 l’organizzazione ecclesiastica della Sassonia fece sostanziali progressi: il northumbro Willehad fu consacrato vescovo di Worms con una diocesi comprendente i bacini del Weser, dell’Elba e dell’Ems: a Brema egli fece erigere la chiesa di San Pietro affidata al primo vescovo sassone (789).
Deportazioni di massa Ma le ribellioni non erano cessate: grave fu quella del 792 proclamata contro Dio, contro il re e contro i cristiani: ciò significa che i Franchi confondevano troppo spesso religione e politica utilizzando la prima al servizio della seconda. Nel 795 Carlo ricorse a un provvedimento terribile: un terzo della popolazione sassone fu deportata e dispersa in Francia, portando in Sassonia un ugual numero di Franchi. Il provvedimento fu replicato negli anni successivi fino all’804.
Potenza di Carlo L’autorità di Carlo aveva assunto un aspetto teocratico e universale che appariva superiore a quello del papa, perché Carlo poteva estendere il cristianesimo più efficacemente del papa, se la dottrina di Cristo doveva raggiungere i confini della terra. Nel famoso mosaico del Laterano si vede san Pietro seduto in trono che consegna al papa Leone III il pallio e a Carlo il vessillo della città di Roma. In realtà al tempo di Carlo il potere del re dei Franchi appariva superiore a quello del papa, perché egli decideva anche in questioni teologiche: consultava i vescovi di sua fiducia e poi chiedeva al papa di sancire le nuove norme.
Rinascita dell’impero d’Occidente Non sembra che Carlo avesse il desiderio di cambiare la sua titolatura ufficiale di “re dei Franchi e dei Longobardi, patrizio dei Romani”, eppure nel corso dell’anno 800 avvenne qualcosa che lo indusse ad accettare il titolo di imperatore del Sacro romano impero.
Difficoltà del papato Nell’VIII secolo esistevano le premesse perché avvenisse la ricostituzione su nuove basi dell’impero romano d’Occidente e l’iniziativa spettò al papa Leone III, succeduto ad Adriano I nel 795. Il papa Leone III suscitò notevoli opposizioni nell’ambiente romano tanto che nell’aprile 799 fu assalito dai suoi avversari, malmenato e rinchiuso nel monastero di Sant’Erasmo. Di notte riuscì a fuggire rifugiandosi in San Pietro, dove era atteso da messi franchi,. Leone III fu condotto fino a Paderborn, ricevuto splendidamente da Carlo. Poi giunsero anche i suoi accusatori che gli ingiunsero di discolparsi o di rinunciare alla dignità papale.
Leone III Carlo rimandò a Roma Leone III, perché gli accusatori di Leone III non poterono provare le accuse. L’inchiesta aveva preoccupato non poco Leone III che temeva un aumento di potere di Carlo, quasi che il re potesse fungere da giudice del papa. Nell’autunno dell’800 anche Carlo si recò a Roma. Una settimana dopo, nel corso di una solenne cerimonia, fu deciso che il papa si discolpasse con un giuramento prestato liberamente, senza costrizione, per togliere ogni sospetto. Il 23 dicembre il papa ripeté in San Pietro che Carlo era venuto con i suoi nobili e i suoi sacerdoti per investigare le accuse rivolte contro il papa, dalle quali per volontà propria, da nessuno costretto o condannato, si dichiarava innocente.
Natale dell’anno 800 A Natale, nel corso della solenne veglia, Leone III pose sul capo di Carlo una corona mentre tutti i presenti per tre volte ripeterono l’acclamazione “A Carlo Augusto, coronato da Dio, grande e pacifico imperatore dei romani, vita e vittoria”. Questa, in sintesi, la narrazione degli annali ufficiali. Eginardo, invece, nella sua Vita di Carlo aggiunge che Carlo Magno gli avrebbe detto che se avesse saputo quanto Leone III aveva in animo di fare, non sarebbe andato alla cerimonia. Nella breve biografia di Leone III contenuta nel Liber pontificalis, si dice al contrario che Leone III aveva discusso con i dignitari di Carlo le modalità dell’incoronazione. Si ha l’impressione che i due protagonisti abbiano giocato una complessa partita, ma che alla fine Leone III abbia preso l’iniziativa per non dover cedere ancora di più. Carlo non ritenne d’aver ricevuto più di quanto già avesse per diritto proprio, ma presso i suoi successori l’incoronazione papale dipese sempre più dal libero consenso del papa. Carlo utilizzò la nuova titolatura solo dopo l’anno 806, quando insorse il conflitto con l’impero d’Oriente a proposito di Venezia e della Dalmazia, ma per il resto procedette secondo i costumi franchi, per esempio quando decise di dividere l’impero tra i suoi tre figli: solo il fatto che due gli premorirono permise a Lodovico il Pio di mantenere unito l’impero. Si ha l’impressione, infine, che Carlo non abbia compreso il punto di vista del diritto romano, secondo il quale lo Stato è un’entità indivisibile, di diritto pubblico, mentre la concezione franca rimaneva quella patrimoniale considerante lo Stato alla stregua di una proprietà privata che alla morte del titolare è divisa in parti uguali tra i figli maschi. Il fatto che il titolo imperiale fosse unico dava solo maggiore dignità a chi ne era insignito.
La cultura nell’età di Carlo Magno Carlo amava la cultura: oltre la lingua germanica parlava il latino e capiva qualche parola di greco, ma non sapeva leggere e scrivere. Secondo il racconto del suo biografo Eginardo, Carlo si faceva leggere la Città di Dio di sant’Agostino durante i pasti.
L’Accademia Palatina Quando la maggior parte delle sue imprese era compiuta, volle radunare accanto a sé l’Accademia Palatina, una specie di scuola itinerante al suo seguito, comprendente gli uomini di spicco della cultura del suo tempo. Il più famoso tra costoro era Alcuino di York, erede della grande tradizione dei monasteri della Northumbria che avevano prodotto Beda il Venerabile. Alcuino di York operò un’ampia revisione dei libri liturgici franchi e diresse di fatto la politica culturale fino alla morte, avvenuta nell’804. Pietro da Pisa fu un acclamato grammatico, in grado di arrestare la vistosa decadenza della lingua latina di cui si era dimenticata perfino l’ortografia. Il longobardo Paolo Diacono scrisse una stupenda Historia Langobardorum, un capolavoro e anche un caldo omaggio al suo popolo. Parecchi anni dopo la morte di Carlo Magno, Eginardo scrisse la già ricordata Vita Karoli. La visione del mondo di Eginardo si può prendere come espressione letteraria della visione di Carlo Magno, ossia una religiosità autentica che non sbocca nella mistica, come in Oriente, bensì nella moralità, perché il vertice del cristianesimo, per Carlo Magno, è l’imperatore cristiano al quale devono adeguarsi i sudditi: una moralità sociale che tende a sopravanzare ogni intimità spirituale.
Riforma del clero franco Pipino il Breve e Carlomanno avevano iniziato con l’aiuto dell’anglosassone Bonifacio la riforma del clero e dei monasteri di Francia. Carlo, dopo aver assunto il potere, s’accorse che restava ancora molto da fare perché il clero francese appariva troppo ignorante. Non è esagerato dire che la riforma scolastica di Carlo Magno è il fondamento del medioevo latino: dallo studio della retorica carolina si ricava una messe di metafore impiegate, a partire dall’XI secolo, anche nelle letterature popolari scritte nelle nuove lingue romanze.
8. 3 La legislazione di Carlo Magno
Il titolo di imperatore prese il posto di quello di patricius che finì per scomparire dagli usi occidentali. Tutti sapevano che la sede dell’imperium era Costantinopoli e perciò Carlo cercò il compromesso con l’impero d’Oriente, realizzato nell’810 con la rinuncia da parte di Carlo alla sovranità su Venezia e sulla Dalmazia: nell’812 gli ambasciatori bizantini salutarono Carlo ad Aquisgrana col titolo di basileus (imperatore). Forse fu questo l’atto formale che sancì il riconoscimento dell’impero d’Occidente.
La legislazione di Carlo Molto importante risulta l’esame degli atti legislativi di Carlo. Il nuovo imperatore si proponeva di mantenere la pace dopo le interminabili guerre sassoni e intendeva dedicare le sue energie allo sviluppo del tenore di vita dei sudditi. Dai suoi capitolari (leggi da osservare in tutto l’impero) emerge la cura per lo sviluppo del commercio, per la sicurezza dei traffici, per la viabilità. Si occupò di pedaggi e di dogane, promosse la navigazione dei fiumi, dato lo stato di degrado delle strade romane. Si cercò di uniformare il sistema dei pesi e delle misure per rendere più agevoli i rapporti commerciali. Come si è detto, Carlo fece coniare una moneta d’argento che pesava 1/240 di libbra, ossia quasi due grammi di metallo nobile: da “libbra” deriva la nostra “lira” che non era una moneta bensì un’unità di conto. La libbra era divisa in venti solidi, da cui deriva il termine “soldi”, e ogni solido valeva dodici denari.
Tentativi di difesa dei poveri Erano numerosi i decreti che regolavano il commercio: il grano non poteva venir esportato da una regione se il raccolto era risultato scarso. Carlo cercò di fissare anche il prezzo dei principali prodotti cercando di alleviare le sofferenze dei più poveri: alla loro assistenza dovevano provvedere i monasteri. È lecito supporre che quei programmi d’assistenza siano falliti perché le rendite dei monasteri non potevano far fronte alla massa dei poveri.
L’impero cristiano L’ideale teocratico fu una grande forza sociale per edificare la nuova concezione dello Stato e stabilire i poteri del re. Fino alla metà del secolo VIII la funzione di re era associata a determinate famiglie che incarnavano la concezione eroico-sacrale del potere secondo i Germani, come era avvenuto per la famiglia degli Amali tra gli Ostrogoti, dei Balti tra i Visigoti, degli Asdingi tra i Longobardi, dei Merovingi tra i Franchi. Secondo Carlo, invece, il potere era una sorta di servizio sociale per edificare la cristianità, la quale ha un fine soprannaturale, ossia raggiungere la vita eterna, e un fine naturale quello di assicurare lo sviluppo della città terrena facendo in modo che non ci fossero impedimenti per conseguire il fine superiore. Il sacerdotium e l’imperium compendiano questi due poteri che devono cooperare tra loro, discendendo da un’unica fonte, Dio, che ha posto la cristianità sotto un solo pontefice e un solo imperatore. Finché visse Carlo, la sua potente personalità fu in grado di controllare qualunque forza centrifuga, ossia gli interessi di un determinato popolo o di una determinata Chiesa locale. Ma già sotto il suo successore, gli interessi particolari del regno orientale (la Germania), del regno occidentale (la Francia) e del regno d’Italia cominciarono a discordare tra loro e richiesero interventi specifici.
Tramonto delle tradizioni germaniche Molte tradizioni germaniche caddero in desuetudine al tempo di Carlo, per esempio l’uso del carro trascinato da buoi per recarsi al campo di maggio o l’elevazione del nuovo re sugli scudi, sostituita dalla cerimonia di consacrazione da parte di un vescovo. Dopo l’unzione col crisma episcopale avveniva l’incoronazione sempre per mano di un ecclesiastico, un altro segno del rilievo assunto dalla concezione circa l’origine divina del potere. Il suddito doveva al re obbedienza incondizionata, perché il re aveva il diritto di bannus, ossia di emanare ordinanze con valore obbligante. La disobbedienza era infedeltà e comportava, a seconda del reato, l’esilio, la confisca dei beni, la morte.
Tribunale e cancelleria Tra gli organi di governo c’era il tribunale di palazzo che fungeva da corte d’appello di suprema istanza, e la cancelleria che si occupava della redazione dei documenti ufficiali, presieduta da un ecclesiastico perché a quell’epoca solo gli ecclesiastici sicuramente sapevano leggere e scrivere. Gli ecclesiastici a corte formavano la cappella (in origine il nome del luogo in cui si conservava il tesoro e la cappa di san Martino di Tours).
Proprietà della corona Le entrate per mantenere la corte erano fornite dai poderi personali dell’imperatore che facevano di lui il più grande proprietario terriero d’Europa. Per far fronte alle crescenti spese d’amministrazione Carlo emanò una famosa ordinanza, il Capitulare de villis in cui si trovano istruzioni per la coltivazione dei poderi. Il re era anche proprietario delle terre che non fossero di proprietà privata, degli animali selvatici, dei fiumi, dei tesori nascosti, delle miniere e delle cave. Poteva cedere ai privati l’uso di parte di quei beni dietro pagamento di un canone. Altra fonte di entrate erano i tributi dei sudditi e il bottino di guerra. I sudditi non erano considerati in primo luogo come contribuenti, come ai nostri giorni, bensì come persone che dovevano prestare servizi personali, in primo luogo il servizio militare, ma anche servizi di lavoro per mantenere le strade e altri manufatti. Altri servizi personali prevedevano l’alloggio o il cibo per i soldati, per i messi del re ecc. Ben presto cominciò l’usanza di farsi esentare dalle prestazione personali sostituite da un canone in denaro.
I giudici Carlo creò un corpo di giudici chiamati scabini, che i suoi funzionari dovevano reclutare in numero piuttosto ampio tra le persone più rispettabili di ogni contea: costoro erano responsabili dell’amministrazione della giustizia e dovevano assistere i conti quando fungevano da giudici. Le vive preoccupazioni di Carlo per la giustizia fanno comprendere che stava avvenendo una grande evoluzione sociale in forza della quale le persone libere ma povere erano escluse dal potere posseduto un tempo in seno all’assemblea generale degli uomini liberi (arimanni). L’estensione dell’impero impediva di fatto che si potessero tenere assemblee generali di tutti gli uomini liberi: esse furono sostituite dai campi di maggio, che fino al tempo di Pipino si tenevano a marzo, convocati in seguito a maggio per permettere le operazioni agricole primaverili. Al campo di maggio partecipavano i nobili, gli ecclesiastici e i laici importanti: questa assemblea aveva un carattere spiccatamente militare. Ogni anno si teneva un’assemblea più ristretta, in autunno, per fissare le linee generali della politica dell’anno seguente. A tale assemblea partecipavano solo i nobili di rango più elevato ed aveva un carattere più politico: la partecipazione popolare col passare del tempo cessò del tutto. Anche il campo di maggio decadde e fu sostituito dal raduno dei nobili di una provincia per ascoltare gli ordini dei missi dominici inviati dall’imperatore.
Divisioni amministrative dell’impero Carlo Magno ordinò che fossero messe per iscritto le leggi consuetudinarie e inoltre fece redigere leggi nuove che costituiscono un aspetto importante della sua opera. Il governo carolingio delle province era basato sulla divisione in contee, ossia distretti sottoposti all’autorità di un conte. L’antica istituzione di duca fu accantonata: l’ultimo rappresentante fu il duca di Baviera Tassilone. Dopo la destituzione di costui, la Baviera fu divisa in contee, come il regno franco. Solo i Baschi del golfo di Biscaglia e i Bretoni della Bretagna conservarono l’antica carica di duca, in parte governatore locale per diritto proprio e in parte funzionario del governo centrale. La carica di conte durava a vita, ma in caso di infedeltà o di incapacità la carica era revocata. L’autorità del conte era molto estesa perché abbracciava tutti i poteri dello Stato: era supremo giudice della contea e presiedeva le assemblee del distretto. Le sentenze di morte erano emanate solo dal conte, il quale era anche il supremo comandante militare e soprintendeva alle operazioni di leva. Infine, il conte doveva occuparsi delle questioni ecclesiastiche in collaborazione col vescovo, anch’egli considerato funzionario dello Stato.
Le marche di frontiera Carlo organizzò anche alcune marche, le contee più estese poste ai confini dell’impero e fornite di maggiori mezzi di difesa a protezione di tutti. Le principali marche erano la spagnola, la sassone, la soraba, quella avara e quella del Friuli. I conti a capo delle marche furono chiamati margravi o anche duchi ed avevano giurisdizione su più di una contea. I conti avevano alle loro dipendenze missi del conte e vicecomites (visconti), centenarii gli antichi giudici che dovevano risolvere le cause di minore importanza.
I missi dominici Dopo aver organizzato il governo locale, l’imperatore si pose il compito di stabilire il collegamento tra il governo centrale e quello periferico. Carlo ideò il sistema dei missi dominici, i rappresentanti in missione itinerante dotati di ampi poteri, forse l’istituzione più caratteristica del sistema di governo carolingio. I missi dominici esercitavano la funzione giudiziaria di ultima istanza, controllavano l’operato dei giudici locali, intervenivano nelle questioni ecclesiastiche, ispezionavano i monasteri e prendevano provvedimenti a carico dei funzionari. In genere, i missi erano due: un arcivescovo e un conte, personaggi che si riteneva difficile corrompere. Tutto l’impero fu diviso in missatica che forse corrispondevano alle province ecclesiastiche metropolitane. I missi facevano un giro ogni anno, poi dovevano stendere la relazione del loro operato, sottoponendo i dubbi al giudizio dell’imperatore. I missi dovevano entrare in contatto con le popolazioni per conoscere direttamente i motivi di scontento e per difendere i deboli dalla prepotenza dei grandi.
Fragilità dell’impero di Carlo L’impero istituito da Carlo non durò a lungo. Dopo l’anno 840 si realizzò la libera collaborazione di un certo numero di regni fratelli; poi, in seguito all’intensificarsi delle scorrerie normanne, si affermò il regime feudale, il modo escogitato dall’Occidente per provvedere alla difesa locale contro forze che si proponevano il saccheggio e non l’occupazione stabile di un territorio.
8. 4 Lodovico il Pio in lotta coi figli
Nel gennaio 814, dopo breve malattia, Carlo Magno morì. Tra i figli maschi era sopravvissuto solo Lodovico, re di Aquitania. Il nuovo imperatore, soprannominato il Pio per la condiscendenza verso i monaci, in particolare Benedetto di Aniane riformatore dei monasteri di Aquitania, si affrettò a raggiungere Aquisgrana dove la corte di Carlo fu epurata dalle persone che vivevano in modo scandaloso.
Successo della regola benedettina A Inden presso Aquisgrana, Lodovico fece costruire un nuovo monastero per Benedetto di Aniane che nell’817, per incarico dell’imperatore, preparò il Capitulare de rebus ecclesiasticis in forza del quale la regola benedettina diveniva obbligatoria in tutti i monasteri dell’impero.
Incoronazione di Lodovico il Pio Il papa Leone III era morto nell’816, sostituito da Stefano IV. Questi, accompagnato da Bernardo re d’Italia, nipote di Lodovico, raggiunse l’imperatore a Reims dove ebbe luogo la solenne incoronazione dell’imperatore. Stefano IV morì nell’817 e il successore Pasquale I si affrettò a far ratificare dall’imperatore la propria elezione. Alla morte di Pasquale I (824), Lodovico inviò in Italia il proprio figlio Lotario per discutere col papa Eugenio II le clausole di una nuova Constitutio Romana intesa a salvaguardare coloro che vivevano sotto il dominio dell’imperatore e del papa: a giudicare da questi provvedimenti di Lodovico il Pio sembrerebbe che l’imperatore, senza cercare di estendere l’impero, cercasse di rafforzare la sua supremazia sulle regioni periferiche.
Tentativo di conversione dei Danesi Nei primi anni di regno la sicurezza dello Stato non era ancora minacciata dalle incursioni normanne, dirette verso le isole britanniche che non appartenevano all’impero. Lodovico tentò la cristianizzazione dei Danesi, inviando in Danimarca Ebbone vescovo di Reims col monaco Ansgario, ma senza successo. Ansgario fondò il vescovado di Amburgo e il monastero di Corvey col compito di difendere i territori di frontiera dagli influssi pagani. Nell’826 il principe danese Aroldo si fece battezzare, ma la conversione non fu seguita dagli effetti sperati e per di più i Danesi avevano scatenato le loro terribili scorrerie che avevano il carattere di una guerriglia incessante con effetti distruttivi.
Invasioni di Slavi Anche gli Slavi minacciavano le frontiere tra la Sava e la Drava lungo il medio Danubio: il marchese del Friuli, fu inviato contro di loro, ma morì in battaglia e gli Sloveni invasero il territorio imperiale (820). Nell’827, Lodovico il Germanico, figlio dell’imperatore, dovette affrontare i Bulgari dilagati in Pannonia. Ribellioni accaddero anche nella Marca spagnola e nella Marca bretone.
Problemi di successione Ad Aquisgrana, nel corso di una dieta avvenuta nell’817, erano state decise le modalità della successione imperiale. Lodovico il Pio concesse al figlio maggiore Lotario il titolo imperiale e l’Italia; a Pipino fu assegnato il titolo di re con la Guascogna, Tolosa e le contee borgognone; a Lodovico il Germanico la Baviera con la sovranità su Carinzia e Boemia; il resto dell’impero doveva appartenere a Lotario. L’imperatore cercava di prevedere anche i rapporti che dovevano intercorrere tra i fratelli dopo la sua morte: i due re godevano le tasse e i proventi dei loro regni, avendo solo l’obbligo di consultare il fratello maggiore nelle le questioni importanti. Ogni anno dovevano recarsi a corte con doni per conferire con l’imperatore. A seguito di tali decisioni Bernardo d’Italia si sentì minacciato e si lasciò irretire in un complotto prontamente sventato: il ribelle fu torturato e poco dopo morì (818). Più tardi Lodovico il Pio fece pubblica ammenda per la crudeltà impiegata nei confronti di Bernardo: il gesto, nobile in sé, era politicamente errato. Un altro errore fu il secondo matrimonio dell’imperatore.
Secondo matrimonio di Lodovico il Pio Dopo la morte dell’imperatrice, sembrava che il marito volesse ritirarsi in convento. Invece, decise di risposarsi scegliendo Giuditta di Baviera, famosa per la bellezza e l’intelligenza. Nell’823 essa ebbe un figlio, chiamato Carlo, soprannominato il Calvo per distinguerlo dagli omonimi. L’ordinamento dell’impero sancito nell’817 non aveva previsto una nuova nascita e perciò Carlo il Calvo rischiava di non aver diritti alla successione. Lodovico il Pio volle assicurare un trono anche al figlio di Giuditta. Nell’829, alla dieta di Worms, egli assegnò al figlio più giovane il titolo di duca su Alsazia, Rezia e parte della Borgogna.
Guerra civile Nell’830 Lodovico il Pio volle rafforzare con una guerra in Bretagna la sua posizione, ma i figli Lotario, Pipino e Lodovico il Germanico si allearono marciando contro i padre. Le condizioni poste dai ribelli furono l’allontanamento della regina Giuditta. Lotario cercò di indurre il padre a farsi monaco, ma l’imperatore rifiutò, iniziando a trattare con Pipino e Lodovico il Germanico un ampliamento dei loro regni ricavato dal regno di Lotario che sarebbe stato diseredato: questi progetti furono discussi nella dieta di Nimega nell’estate dell’ 830.
Ribellioni dei figli di Lodovico il Pio Nell’831 Pipino e l’anno dopo Lodovico il Germanico si ribellarono. Il secondo fece atto di sottomissione quando s’accorse che il padre non cedeva; Pipino, invece, subì la devastazione dell’Aquitania e l’arresto. Il suo regno fu assegnato a Carlo il Calvo, ma la ribellione dell’Aquitania costrinse Lodovico il Pio a una rovinosa ritirata. Nel gennaio 833 Lodovico il Pio raggiunse la Francia settentrionale giusto in tempo per costatare la nuova ribellione di Lodovico il Germanico e di Lotario i quali temevano un trattamento simile a quello riservato a Pipino.
Lodovico il Pio recupera la libertà A partire dall’833 il dissenso tornò a serpeggiare tra i fratelli perché Lodovico il Germanico si oppose al trattamento riservato al padre che fu detronizzato e relegato in un monastero. Il grande teologo Rabano Mauro scrisse un’Apologia dell’ex imperatore suscitando un movimento a lui favorevole. Lodovico il Germanico e Pipino si coalizzarono contro Lotario, abbandonato a sua volta dai sostenitori e perciò costretto a rimettere in libertà sia Lodovico il Pio sia Carlo il Calvo.
Incursioni dei Vichinghi Queste penose vicende avevano messo a dura prova l’impero: i Vichinghi avevano devastato la Frisia arrivando fino ai porti della costa atlantica nel corso di ricorrenti spedizioni. Nell’835 fu saccheggiato il grande emporio di Dorestad sul mare del Nord: l’impudenza vichinga arrivò al punto di chiedere l’indennizzo per gli uomini morti nel corso delle razzie.
Si riaccendono i contrasti di famiglia Nell’837 Lodovico il Pio elaborò un nuovo piano di divisione dell’impero allargando la porzione di Carlo il Calvo fino a includere gran parte dei Paesi Bassi. Subito Lodovico il Germanico, sentendosi defraudato, si alleò con Lotario e perciò il padre lo privò della Baviera. Nell’838 Pipino d’Aquitania morì, semplificando i problemi della successione. La campagna per cacciare Lodovico il Germanico dalla Baviera non fu difficile, ma nell’840 il vecchio imperatore si ammalò e morì su un’isola del Reno davanti a Ingelheim: Lodovico il Germanico fu perdonato e Lotario fu proclamato imperatore.
Morte di Lodovico il Pio Un giudizio sull’opera politica di Lodovico il Pio non può essere benevolo. Era un uomo paziente, ma incapace di mantenere a lungo le decisioni: la clemenza che spesso dimostrò era interpretata dai nemici come debolezza, aizzandoli a far peggio. Nel corso del suo regno si manifestarono i pericoli che avrebbero travolto l’impero: l’insubordinazione dei nobili e le scorrerie vichinghe.
8. 5 La caduta dell’impero carolingio
Lotario, dopo la notizia della morte del padre, si recò a Strasburgo per ricevere il giuramento di fedeltà dei personaggi più importanti dell’impero, mentre i fratelli si preparavano alla lotta.
Si riaccende la guerra civile Lotario non attaccò immediatamente i fratelli, bensì accettò di partecipare a un congresso per procedere alla divisione dell’impero. Ma al convegno Lotario non andò perché stava raccogliendo truppe per affrontare i fratelli sul campo. La battaglia avvenne a Fontenoy presso Auxerre, e Lotario risultò sconfitto dopo una strage che decimò la nobiltà franca e sbalordì i contemporanei.
Divisione dell’impero Lotario si rifugiò ad Aquisgrana dove reclutò perfino Vichinghi, ma ancora una volta non riuscì a sconfiggere i fratelli che avevano rinnovato l’alleanza mediante il giuramento di Strasburgo, in forza del quale ciascuno si impegnava a non fare una pace separata con Lotario (842). I due fratelli coalizzati riuscirono a conquistare Aquisgrana dove furono raggiunti da proposte di pace. Nell’agosto 843, a Verdun fu siglato il trattato definitivo che prevedeva la divisione dell’impero in tre strisce verticali: Lotario ebbe quella di centro comprendente l’Italia e la valle del Reno; Lodovico ebbe la striscia orientale; Carlo il Calvo la striscia occidentale fino alla Spagna. Come si vede, il regno di Lotario risultava assurdo e indifendibile. Carlo il Calvo, invece, conservava il nucleo principale della popolazione franca, mentre a Lodovico il Germanico andò la maggior parte della Germania. Non è esatto dire che il trattato di Verdun abbia creato l’Europa delle nazionalità contrapposte, con un territorio centrale – la Lotaringia o Lorena – perennemente disputato tra Germania e Francia, ma anche i contemporanei capirono che era avvenuto qualcosa di grave all’impero.
La Lotaringia All’ideologia dell’impero unico fu sostituita quella dei tre regni pari in dignità e potere. Lotario possedeva le due capitali dell’impero, Roma e Aquisgrana.
Incursioni dei Saraceni a Roma I pericoli causati dalle incursioni vichinghe e saracene crescevano: nell’846, al tempo del papa Sergio II (844-847), i Saraceni sbarcarono a Ostia, risalirono il Tevere e saccheggiarono le basiliche di San Pietro e di San Paolo. Nell’847 fu eletto papa Leone IV, un vigoroso personaggio che indusse i Romani a costruire intorno a San Pietro un muro per unire la basilica a Castel Sant’Angelo (città leonina).
Incursioni dei Vichinghi in Francia Il regno più minacciato era quello di Carlo il Calvo: nell’842 i Vichinghi avevano saccheggiato l’emporio di Quentovic; l’anno dopo avevano risalito la Loira fino a Nantes che fu saccheggiata e il vescovo ucciso. I Bretoni compirono anch’essi scorrerie ai danni dei Franchi, e gli Aquitani rifiutarono di sottostare ai Franchi. Nell’845 Carlo il Calvo concesse l’indipendenza alla Bretagna. Sempre nell’845 i Vichinghi risalirono la Senna e costrinsero Carlo il Calvo a pagare una forte somma di denaro, mentre i Danesi saccheggiavano la Sassonia. I tre fratelli, sotto la sferza delle scorrerie vichinghe, migliorarono le loro relazioni. Nell’851 i Danesi devastarono l’Aquitania prendendo di mira i monasteri e i santuari. Nell’853 fu incendiata Tours e la chiesa di San Martino, la più venerata di Francia, andò distrutta.
Morte di Lotario I L’imperatore Lotario I morì nell’855, dopo aver diviso il regno tra i tre figli. A Lodovico II, il maggiore, andò il titolo imperiale.
Difficoltà di Carlo il Calvo La situazione più critica rimaneva quella di Carlo il Calvo. Mentre costui stava inseguendo i Vichinghi, il fratello Lodovico il Germanico entrò in Alsazia nell’858 costringendo Carlo il Calvo a portarsi in Lorena per iniziare laboriosi negoziati nel corso dei quali i nobili richiesero sempre maggiori concessioni da parte del re per rimanergli fedeli.
La questione del matrimonio di Lotario II Nel decennio successivo (860-870) la vita dei tre regni principali fu turbata da un problema matrimoniale che divenne una questione di diritto internazionale. Lotario II, re di Lorena, era stato indotto dal padre a sposare Teutberga, ma egli aveva da tempo un’amante di nome Gualdrada dalla quale aveva avuto tre figli. Divenuta gelosissima della moglie ufficiale, Gualdrada mise in atto la sua influenza per ottenere che Lotario II divorziasse e i propri figli ereditassero la Lorena. Teutberga fu accusata di incesto: un campione di Teutberga accettò di sottomettersi a un giudizio di Dio mediante acqua bollente e ne uscì vincitore. Teutberga fu perciò proclamata innocente e Lotario II costretto a riprendere con sé la moglie.
La vicenda matrimoniale davanti al papa La vicenda matrimoniale fu portata davanti al papa Nicolò I (858-867) che seppe resistere alle pressioni di chi voleva annullare il matrimonio. Nel 865 Nicolò I decretò la validità del matrimonio e Lotario II fu costretto a giurare obbedienza per evitare la scomunica e la perdita del regno. La morte di Nicolò I permise la riapertura della vicenda relativa al divorzio di Lotario II. Il nuovo papa Adriano II, più debole del predecessore, dipendeva dall’imperatore Lodovico II per la difesa di Roma dagli attacchi saraceni. Lotario II andò a Roma per difendere personalmente la sua causa: forse Lotario II riuscì a convincere il papa a convocare un altro concilio da manipolare secondo i propri desideri, ma la morte lo sorprese sulla via del ritorno in Francia (869).
Trattato di Mersen Carlo il Calvo approfittò della morte del nipote per impadronirsi della Lorena, provocando la reazione di Lodovico il Germanico che ottenne una spartizione della Lorena tra i due maggiori regni carolingi (Trattato di Mersen, 870).
Lodovico II Danneggiato da questa spartizione appariva Lodovico II, fratello del defunto, trattenuto nell’Italia meridionale dalle guerre contro i Saraceni. Lodovico II morì nell’875 e ancora una volta i due zii dei regni orientale e occidentale si disputarono la sua eredità. Carlo il Calvo aveva dalla sua parte l’appoggio del papa Giovanni VIII che sperava di ricevere aiuto per difendere l’Italia dai Saraceni. Carlo il Calvo si affrettò a scendere in Italia, ma anche Lodovico il Germanico inviò due dei suoi figli, Carlomanno e Carlo il Grosso, per porre un’ipoteca sulla penisola. Nell’876 anche Lodovico il Germanico morì e il suo regno fu diviso tra tre figli. Carlo il Calvo fece un ultimo tentativo di occupare la parte di Lorena assegnata dal trattato di Mersen al regno orientale, ma fu sconfitto.
Capitolare di Quierzy Mentre si sviluppavano queste vicende i Vichinghi avevano proseguito le loro scorrerie, al punto che per l’anno 877 era stato necessario raccogliere un tributo speciale, il tributum normannicum di cinquemila libbre d’argento per ottenere la partenza dei Vichinghi accampati nella valle della Senna. A Quierzy, nel giugno 877 Carlo il Calvo concesse il famoso capitolare in forza del quale i feudi maggiori erano riservati ai figli dei titolari morti al servizio del re. Carlo il Calvo poté radunare forze sufficienti per mettersi in marcia verso l’Italia solamente dopo questa concessione, ma nell’ottobre 877 anch’egli morì. Con la sua morte si può considerare concluso il passaggio dall’impero di Carlo Magno al regime feudale che rendeva visibile la debolezza del potere centrale a vantaggio di poteri locali variamente stratificati, incapaci di assicurare protezione alla popolazione dagli attacchi provenienti dall’esterno.
8. 6 Cronologia essenziale
760-768 Pipino il Breve conquista l’Aquitania.
772-804 Per tutto questo periodo divampano le guerre sassoni concluse con la vittoria franca.
774 Carlo Magno conquista il regno d’Italia sconfiggendo Desiderio ultimo re dei Longobardi.
778 Carlo Magno interviene in Spagna assediando Pamplona e Saragozza, ma a Roncisvalle la sua retroguardia è sconfitta.
795 La potenza degli Avari è distrutta e il loro tesoro condotto in Francia.
800 Il giorno di Natale Carlo Magno è incoronato imperatore dal papa Leone III.
814 Morte di Carlo Magno. Gli succede il figlio Lodovico il Pio.
840 Morte di Lodovico il Pio dopo un regno reso infelice dalla guerra tra l’imperatore e i figli.
844-847 I Saraceni sbarcano a Ostia e saccheggiano le basiliche di San Pietro e di San Paolo.
855 Muore l’imperatore Lotario.
877 Carlo il Calvo concede il capitolare di Quierzy e poco dopo muore, ultimo grande rappresentante dei carolingi.
8. 7 Il documento storico
La battaglia di Roncisvalle, in modo simile alla guerra di Troia per il mondo antico, è divenuta il punto culminante dell’epopea medievale. Il documento che segue, tolto dalla Vita di Carlo scritta da Eginardo, riporta in modo scarno i fatti, dai quali si desume che non furono i musulmani a distruggere la retroguardia di Carlo Magno, bensì i Baschi che praticavano la guerriglia sui Pirenei.
“Mentre dunque combattevano coi Sassoni questa continua e quasi ininterrotta guerra, disposti dei presidi lungo i punti strategici dei confini, Carlo entrò in Spagna col più grande apparato militare possibile, e superata la catena dei Pirenei ricevette la resa di tutte le fortezze e i castelli che incontrò nell’avanzata, ritornandone con l’esercito integro e incolume; eccetto che, al ritorno, proprio sulla catena dei Pirenei, gli toccò sperimentare per breve tempo la perfidia dei Baschi. Infatti, mentre l’esercito procedeva allungato nello schieramento come consentiva la strettezza del passo, i Baschi prepararono degli agguati sulla cima di un monte (poiché il luogo, per la densità dei boschi che lì sono foltissimi, è molto adatto agli agguati) e fecero incursione dall’alto, rovesciando nella valle sottostante le ultime colonne delle salmerie e quanti, marciando in appoggio alla retroguardia, erano di sostegno a chi li precedeva; quindi, ingaggiata battaglia con questi, li uccisero tutti fino all’ultimo, e saccheggiate le salmerie, profittando della protezione della notte che già stava sopraggiungendo, si dispersero in varie direzioni con la massima rapidità.
In questa circostanza aiutò i Baschi l’armamento leggero e la conformazione del luogo dove avvenne il fatto, mentre al contrario l’armamento pesante e l’impraticabilità del terreno rese i Franchi inferiori ai Baschi. In questo scontro caddero uccisi Eggiardo, sovrintendente alla mensa del re (siniscalco), Anselmo, conte palatino, e Rolando, prefetto della marca di Bretagna, con molti altri. E questo fatto non poté esser vendicato subito perché il nemico, compiuto il misfatto, si era disperso in modo tale che non rimase neppure la possibilità di sapere dove mai potesse essere cercato”.
Fonte: EGINARDO, Vita di Carlo Magno, Salerno Editrice, Roma 1981, pp. 54-55.
8. 8 In biblioteca
Nel libro di G. TESSIER, Carlomagno, Ist. Geogr. De Agostini, Novara 1971, il lettore può trovare una raccolta di fonti dell’età carolingia. La fonte classica per la biografia di Carlo Magno è EGINARDO, Vita di Carlo Magno, Ed. Salerno, Roma 1981. Molto noto il libro di J. CALMETTE, Carlo Magno, La Nuova Italia, Firenze 1948. Per la storia della cultura si consulti J. BOUSSARD, La civiltà carolingia, il Saggiatore, Milano 1968. Importanti messe a punto delle conoscenze sull’età di Carlo Magno si trovano in AA. VV., Nascita dell’Europa ed Europa carolingia, Centro It. di studi sull’Alto med., Spoleto 1981. Specifico per i rapporti di Carlo Magno con l’Italia il libro di G. FASOLI, Carlomagno e l’Italia, Patron, Bologna 1968.