Questa “donna forte”, fondatrice delle Suore della Carità Cristiana e madre dei ciechi, nacque il 3-6-1817 a Minden, nella diocesi di Paderbon (Westfalia), primogenita dei quattro figli che Detmaro, direttore della prefettura, protestante credente, ebbe da Bernardina di Hartmann, cattolica fervente.
Fu battezzata in casa con i nomi di Maria, Bernardina, Sofìa, Paolina e fu educata con molta cura nella fede cattolica dalla madre. Furono perciò felici i primi anni della sua vita specialmente quando, nel 1824, suo padre fu trasferito ad Aquisgrana, nella Renania, quale presidente del governo. La città difatti offriva ai genitori cattolici tutti i mezzi necessari per una educazione dei figli consona alla loro fede. I signori di Mallinckrodt spesero somme rilevanti per l’educazione della loro prole scegliendo per essa scuola e valenti maestri privati. Per la formazione religiosa di Paolina si valsero dell’aiuto del P. Claessen, futuro vescovo ausiliare di Colonia, allora consigliere governativo e concistoriale di Aquisgrana. Dal 1825 al 1827 Paolina frequentò una scuola privata al Seilgraben in cui dimostrò di essere una bambina affabile e caritatevole, particolarmente interessata a tutto ciò che riguardava la religione. Dal 1827 al 1831 frequentò la scuola cittadina di S. Leonardo, dove ebbe per maestra la convertita Luisa Hensen (+1876), che esercitò, con la sua pietà, un forte influsso su di lei e su diverse altre allievo, come la serva di Dio Chiara Fey (1815-1894), fondatrice delle Suore del Povero Bambino Gesù, e la B. Maria Francesca Schervier (1819-1876), fondatrice delle Suore dei Poveri di S. Francesco. A 10 anni fece la prima confessione e a 12 anni la prima comunione. La mamma era molto contenta della figlia. Il 7-3-1831 scrisse alla nonna: “Paolina è così alta e sana che ce ne compiacciamo davvero. Si comporta in tutto in modo eccellente, e non ci rimane niente da desiderare riguardo alla sua indole, al suo carattere e alla sua formazione. Posso essere orgogliosa di lei. Al buon Dio rendo molte grazie di questo…”.
Lasciata la scuola, Paolina ricevette, ancora per un anno, lezioni private da un professore di ginnasio, poi fu mandata per sei mesi a Liegi (Belgio) a perfezionarsi nel francese. Ritornata in famiglia, dalla mamma imparò a governare la casa e dal padre la maniera di istruirsi viaggiando attraverso la Svizzera. A causa della sua posizione sociale, a cominciare dai 18 anni, la Beata fu costretta a condurre una vita di società, per compiacere i genitori. Iddio però permise che per un certo tempo andasse soggetta a scrupoli, ansietà e tentazioni contro la fede. Ne fu liberata dopo una novena di preghiere, Nella sua Autobiografia scriverà: “Questa fede penetrò in me talmente chiara e salda, che io avrei creduto più ad essa che ai miei occhi”.
Dopo la morte della madre, avvenuta per tifo nel 1834, Paolina dovette prenderne il posto nel governo della famiglia e della numerosa servitù. Al mattino si alzava molto presto per andare in duomo a prendere parte alla Messa e a fare la comunione. I teatri e le danze, ai quali la sera prima doveva talora prendere parte, non le impedivano di coltivare la più intima unione con Dio. Durante il giorno sovente doveva fare gli onori di casa ai numerosi ospiti del padre. Tra essi non mancavano gli increduli e i mondani. Ciò nonostante, prima di assidersi alla mensa, non si vergognava di fare lentamente il suo solito grande segno di croce. Non cessava inoltre di dedicare i momenti, che gli obblighi verso la famiglia le lasciavano liberi, alla preghiera e alle opere di carità senza curarsi delle dicerie di amici e conoscenti.
A Paolina non mancarono le occasioni per contrarre nozze felici. A 13 anni si era parzialmente innamorata di un ufficiale protestante, ma nel 1835, otto giorno dopo che ricevette la cresima, ebbe la forza di rinunciare a quel matrimonio sia perché non era permesso dalla chiesa, e sia perché non era approvato dal padre. Continuò a prendere parte alla vita di società, alle passeggiate, alle gite, ai viaggi del padre tanto le era diventato abituale il rinnegamento della propria volontà per fare piacere al prossimo, ma non trascurò per questo il sollievo ai poveri, la visita ai malati e la lettura spirituale. Nel 1835 fece con il padre un viaggio a Parigi e l’anno successivo un viaggio in Belgio per completare la propria istruzione, specialmente quella artistica. Nonostante gli svaghi che il padre ogni tanto le procurava, la beata sentiva crescere in sé il desiderio di donarsi tutta a Dio. Il P. Claessen nel 1837 le permise di fare ogni giorno la comunione. A Luisa Hensel potè, quindi, scrivere esultante: “II SS. Sacramento è la mia vita, la mia felicità!”. Bramando di appartenere tutta a Gesù e di servirlo nei suoi poveri, rifiutò con fermezza tutte le proposte di matrimonio che le furono fatte.
A maturare nello spirito servirono a Paolina le visite che in primavera o in autunno faceva alla nonna materna nella tenuta di Borchen, presso Paderbon. Là ebbe modo di fare la conoscenza con il P. Enrico Gossier, amico di famiglia, che le procurò i libri di preghiera e di meditazione che aveva scritti. Il padre non voleva che la figlia si sottraesse agli influssi del mondo, ma ella restava decisamente salda nelle sue pratiche religiose anche se si sforzava di non farglielo notare compiacendolo in tutto, con rispetto e amore filiale.
Nel 1839, dopo aver ricevuto dal re di Prussia, Federico Guglielmo III (+1840), diverse alte onorificenze, il signor Detmaro lasciò Aquisgrana per stabilirsi nella sua tenuta di Bòddeken, presso Paderbon. Paolina dovette distaccarsi, con rammarico, dagli amici di gioventù, dai malati e dalle care vecchie di S. Stefano, di cui aveva cura insieme con la signorina Elena Fey. La chiesa parrocchiale alla quale i de Mallinckrodt appartenevano era in Weweilsburg, un villaggio distante circa mezz’ora di cammino. Ogni mattina Paolina vi si recava a piedi per fare la comunione. Al termine della Messa sovente i poveri la invitavano a visitare i loro malati. Nel villaggio non c’era nessun medico. La Beata era lieta di mettere a loro disposizione le nozioni di medicina che aveva appreso.
D’inverno Paolina si trasferiva a Paderbon nella casa dei nonni, che il padre aveva comperato e abbellito. Frattanto l’intimo proposito di consacrarsi a Dio diventava in lei sempre più saldo, ma non potendo abbandonare il padre, attese con pazienza l’ora di Dio.
Sotto la direzione del P. Gossier a Paderbon si era formata una associazione femminile per la cura a domicilio dei malati poveri. Paolina ottenne dal padre di farne parte. Le associate furono costrette ad occuparsi anche dei bambini degli operai le cui mamme erano malate. Nell’asilo, sistemato per volere del vescovo nell’ex-convento dei cappuccini, nel 1842 furono accolte pure alcune bambine cieche. Paolina prestò la sua collaborazione amorevole e costante a quest’opera che si trasformò più tardi, sotto la sua direzione, in una grande istituzione.
In quel tempo la Beata ebbe modo di fare, per la prima volta, gli esercizi spirituali secondo il metodo di Sant’Ignazio di Loyola alla “Brede”, un orfanotrofio diretto da una sua amica, sotto la guida del parroco Tewes. Dio le concesse la grazia di vedere il suo essere sotto una nuova luce, di fare la confessione generale e saldi propositi per l’avvenire. Quando ritornò a Paderbon trovò il padre colpito da itterizia. Lo assistette giorno e notte, come aveva già fatto con la mamma, fino alla morte. Il medico di famiglia, il Dott. Ermanno Schmidit, abile uomo di affari, molto le giovò nell’amministrazione e spartizione dell’eredità paterna. Gli ammaestramenti che da lui ebbe le giovarono assai, più tardi, nella fondazione del suo Istituto.
Prima di separarsi dai fratelli, Paolina decise di fare con loro un viaggio attraverso la Germania, l’Austria, l’Italia settentrionale e la Svizzera, per visitare oltre le opere d’arte, i conventi, le carceri, gli ospedali, gli asili infantili, i manicomi, gli istituti di beneficenza e studiarne l’organizzazione. Poiché pensava sempre di darsi a Dio, il P. Giovanni Boekamp, allora confessore delle Suore di Carità di Paderbon, più tardi vicario generale di Mons. Francesco Drepper, vescovo dal 1845 al 1855 della città, la consigliò di entrare tra le suddette religiose, ma trovò una decisa opposizione da parte dei parenti. Non osando la beata prendere una decisione, andò soggetta a grandi sofferenze morali. Poiché aveva ereditato dal padre molte ricchezze, anche i sacerdoti erano divisi nei suoi riguardi. Sentendo il bisogno di darsi interamente ai poveri, si stabilì a Paderbon, vicino alla casa di suo zio, il banchiere Fritz di Hartmann, per essere sotto la protezione dei parenti e sentirsi contemporaneamente indipendente.
Dopo un po’ di tempo, Mons. Drepper autorizzò la beata a stabilirsi nell’ex-convento dei Cappuccini, perché si prendesse più direttamente cura dei bambini dell’asilo e delle cieche. Personalmente pensava di farsi religiosa in quella congregazione che si fosse presa cura di quegli infelici. Si recò quindi ad Aquisgrana dove Madre Clara Fey aveva da poco fondato le Suore del Povero Bambino Gesù, ma per la scarsità del personale non le fu possibile allora accogliere la richiesta dell’amica. Proseguì il viaggio fino a Conflans, nei pressi di Parigi, dove tra le dame del S. Cuore si era fatta religiosa un’altra amica, Anna de Lommensen, ma la fondatrice dell’Istituto, S. Maddalena Sofia Barat (1779-1865), pose come condizione l’assenso del governo tedesco. Essendole stato rifiutato, la beata fu costretta a fare ritorno in sede, senza avere concluso nulla. Era però riuscita ad acquistare una certa esperienza di vita religiosa sia visitando a Parigi molti conventi e pie istituzioni, e sia vivendo in essi per alcune settimane. Ad Aquisgrana Paolina rivide Madre Cley e il suo parroco, Sartorius, ed essi la esortarono esplicitamente a fondare, come avevano fatto loro, una famiglia religiosa. Prima di ritornare a Paderbon la beata volle recarsi anche a Colonia per parlare con Mons. Claessen, suo antico confessore, ma anche egli la esortò a continuare tranquillamente l’opera intrapresa e a parlare dei suoi progetti con le competenti autorità ecclesiastiche. Qualora l’idea della fondazione di un nuovo Istituto non fosse stata condivisa da esse, promise che le avrebbe assegnato un campo di azione nella diocesi di cui era ausiliare. Paolina ne seguì docilmente il consiglio e Dio la benedisse.
Dopo il lungo viaggio, Paolina aveva ripreso le sue solite occupazioni accanto ai bambini dell’asilo e ai ciechi. Quando il vescovo trasformò l’ex- convento dei Cappuccini in seminario, la beata sistemò il suo Istituto in una casetta appartenente al banchiere suo zio, e poi nel grande podere che comperò davanti alla Porta Calessana.
Nel 1848 il vescovo di Paderbon approvò gli statuti della nuova congregazione delle Suore della Carità Cristiana. Il re di Prussia, Federico Guglielmo IV (+1861), il 21-2-1849 la riconobbe come corporazione, e Mons. Drepper, il 21 agosto dello stesso anno, ammise la fondatrice e le sue prime quattro compagne alla vestizione religiosa nella chiesa parrocchiale di Busdorf, e il 4-11-1850 alla professione dei voti. Madre Paolina non andò soggetta a incertezze. Difatti, dopo aver fatto testamento a favore della sua famiglia religiosa, esclamò: “Benedetta dalla S. Chiesa, fortificata dall’Amato, posso fare tutto!”. Le regole e le costituzioni furono scritte per volere di Mons. Corrado Martin, succeduto a Mons. Drepper nel governo della diocesi, con l’aiuto dei Padri Gesuiti.
Sotto la guida di Madre Paolina le Suore della Carità Cristiana presero subito un consolante sviluppo. Nel podere di Porta Calessana fece costruire la Casa Madre. Nel parco fece collocare una ventina di statue di santi affinchè le suore, contemplandole, si ricordassero delle loro virtù.
Nel corso di un ritiro spirituale annotò nel suo taccuino: “Ognuno dei santi aveva la sua massima speciale. La mia norma sarà l’umiltà e la carità”. E davanti al Signore protestava: “Se non dovessi far altro in tutta la mia vita che scopare una camera o stare come una cenerentola alla porta della tua casa, eccomi pronta”. Se oggi possediamo la sua fotografia dobbiamo dire grazie a Mons. Martin che gliela impose in occasione del 25° anniversario di fondazione dell’Istituto. Nelle sue figlie spirituali la beata tutto tollerava, tranne l’orgoglio e la vanità. Talora le riprendeva severamente dei loro difetti, ma appena si accorgeva di essere stata troppo impulsiva chiedeva loro perdono. Mons. Martin, ostinato nelle sue vedute, più di una volta la riprese, anche alla presenza della suore, forse perché gli esponeva i suoi progetti con assoluta franchezza, ma ella, poiché vedeva in lui la guida sicura che Dio le aveva assegnato, mai lo contestò. Un giorno, appena si allontanò dalla sua presenza, il vescovo sentì il bisogno di scusarsi del rimprovero che le aveva fatto dicendo a chi lo attorniava: “Debbo aiutarla a diventare santa”.
Dio aveva dotato Madre Paolina di grandi capacità direttive e amministrative. Ne approfittò per formare convenientemente le sue figlie spirituali all’esercizio delle opere di carità proprie della congregazione. Nell’assegnazione delle cariche non fece preferenze di persone. Non era ostinata e ne autocratica con le consigliere e con le superiore delle case che andavano moltiplicando.
Nelle lettere che scriveva loro, specialmente dopo le sue visite, sapeva unire alla chiarezza e alla franchezza del rimprovero la forma più gentile e più dolce. Nei suo scritti non si trovavano parole dure contro coloro che le erano ostili.
La beata fu modello di tutte le virtù alle sue religiose, ma specialmente di puntualità e di povertà nella vita comune. Le testimoni del suo processo asseriscono che disponeva di una sola veste. A chi le proponeva di procurarsene un’altra rispose un giorno: “II Signore ha detto che non disponeva neppure di una pietra su cui reclinare il capo… Io sono più ricca di lui perché dispongo anche di un letto”. In occasione del suo onomastico le suore le vollero fare omaggio di una veste nuova. Si limitò a sospirare: “Guastarmi la gioia in questo modo!”.
Madre Paolina ebbe vincere di carità per i ciechi, l’infanzia povera e abbandonata, i peccatori e le anime sante del Purgatorio. Nel 1856, per moltiplicare i suffragi alle anime dei defunti, dispose che nelle varie comunità della Congregazione si facesse, in novembre, tutti i giorni la Via Crucis, si celebrassero più Messe e, una volta la settimana, si meditassero le pene del Purgatorio.
La beata dimostrò di essere una “donna forte” soprattutto quando in Germania, dal 1871 la 1887, si scatenò la tempesta del Kulturkampf per opera di Otto von Bismarck (+1898), primo ministro dell’imperatore Guglielmo I (+1888). Alle suore di Dresda, afflitte per le leggi di espulsione degli istituti addetti soltanto all’insegnamento, scrisse: “La santa volontà di Dio si compia su di noi completamente. Questo deve essere il nostro unico desiderio; sia che siamo perseguitate, anzi crocifisse con Lui, sia che siamo glorificate con Lui. Sempre vogliamo lodarlo e benedirlo e tenerci ancorate a questa parola: Per coloro che lo amano tutto coopera al bene'”. Quando le giungeva una lettera da parte del governo che le annunciava la soppressione di qualche casa, esclamava: “Vediamo in tutto la Provvidenza divina e la mano paterna di Dio. Egli ha aperta la ferita, ma possiede anche il balsamo per guarirla”.
Per le Suore della Carità Cristiana, Madre Paolina cercò nuovi campi di attività in Boemia, in Austria, nel Liechtenstein, in Francia, in Belgio, e nelle Americhe, e li visitò ripetutamente. Nel 1876 andrà a Roma per ottenere da Pio IX l’approvazione delle costituzioni del suo Istituto.
Poteva quindi scrivere alle consorelle sfiduciate: “Fatevi coraggio! Il Padre ha un posto per tutte voi, e dal Padre anche la Madre riceve il posto per tutte voi, care suore, e per i bambini”.
Negli ultimi 10 anni di vita le sofferenze della Beata crebbero a dismisura per la morte della sorella Berta, del fratello Ermanno (+1874), fondatore in parlamento con Luigi Windthorst (+1891) e direttore del famoso Centro Cattolico in difesa della Chiesa, e soprattutto per il sequestro nel 1877 della casa madre della congregazione da parte del governo. Suo fratello Giorgio l’aveva comperata, ma dopo cinque successivi processi intentatigli dallo stato, ne era stato spogliato. Nel 1879 era riuscito soltanto a prenderla in affitto per le Suore della Carità Cristiana malate e le loro infermiere. Tra i vescovi esiliati per la loro strenua opposizione al Kulturkampf, figurò anche Mons. Martin (+1879), il sostenitore dell’opera di Madre Paolina. In simili situazioni, invece di perdersi d’animo, la beata pregava: “Signore, provo un specie di gioia inferiore quando tutti gli appoggi esterni si spezzano perché, allora, posso gettare in te tutte le mie preoccupazioni”.
Mentre sognava nuove fondazioni di case in paesi ancora giovani, come la Nuova Zelanda, Madre Paolina si ammalò di polmonite. Il desiderio del cielo, che aveva cominciato a crescere in lei dalla morte della mamma, le permise di andare incontro al Signore senza rimpianti e con molta serenità. Durante la malattia volle confessarsi tre volte e fare la comunione tutti i giorni rimanendo a digiuno dalla mezzanotte, nonostante la febbre molto alta. Per andare incontro allo sposo in maniera più festosa, aveva voluto che nella sua povera stanza fosse accesa una serie di ceri.
La beata morì senza agonia il 30-4-1881. Lasciava 420 suore ben formate al loro apostolato, distribuite in 45 case dell’Europa e delle Americhe. Dal 1963 i suo resti mortali sono venerati a Paderbon, nella cappella della Casa Madre, meta di continui pellegrinaggi. Giovanni Paolo II ne riconobbe l’eroicità delle virtù il 13-1-1983 e la beatificò il 14-4-1985.
Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 4, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 394-402.
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