La metà di quel sec. XIII inaugura il tempo di Rodolfo d'Absburgo in Germania, di s. Ferdinando in Ispagna, di s. Luigi IX in Francia, del maturarsi delle monarchie parlamentari in Inghilterra, il prevalere definitivo dei governi a popolo nei nostri comuni industriali e marinari. Esso coincide col massimo slancio dei nostri commerci in tutto il Mediterraneo, nel levante e fino alla estrema Cina; e con esso un fiorire spontaneo, variopinto, diffuso di lettere, di arti e di scienze, ed un dispiegamento di multiforme ed esuberantissima vitalità sociale, che segna il meriggio smagliante della civiltà italiana e che accompagna quasi festevole corteo il trionfo universale della democrazia nella «repubblica dei popoli cristiani».
La pretesa «evoluzione sociale della Chiesa» (1)
Da: Riv. internaz. di scienze sociali ed ecclesiastiche, 1894, v. V I
IV
I. Ma pure dalle mani sapienti e materne della Chiesa veniva talora strappato anco nell'età di mezzo per subitanea violenza questo provvido governo della società, la quale ricadeva per poco in preda di socialistici commovimenti.
La forma, infatti, di socialismo teoretico e pratico, sotto maschera di eresia (come sempre dal nascere del cristianesimo fino all'esordire dell'età moderna), più insidiosa, più corruttrice, più furibonda e diffusa rapidamente nel seno delle più ricche e civili popolazioni dell'età di mezzo, quali la Francia, l'Italia settentrionale e centrale, fu quella degli albigesi (catari, paterini). (15) Essa toccò il culmine del parossismo nel primo quarto del sec. XIII, aduggiando le fibre e scuotendo le fondamenta della onestà familiare, della libertà civile e della operosità economica in seno a quella nascente democrazia; e prorompendo in guerre selvagge di religione in Francia ripercosse più tardi in Italia e fin dentro Firenze, ove la croce al Trebbio rammenta ancora la vittoria (1244), con cui i cavalieri di Santa Maria per impeto di popolo guidati da Pietro da Verona, sconfissero l'idra che attentava al cuore della città del fiore. (16) Eppure di questo, come di altri terribili commovimenti socialistici dell'età di mezzo è pronta la disparizione e il restauro in breve completo.
Non è difficile scoprirne la ragione proporzionata. Contro alle sette ereticali-socialistiche, durante il loro dilagare funesto o poco appresso le loro maggiori devastazioni, scorgesi ognora la Chiesa, coadunando e stringendo intorno a sé tutte le forze sociali e dei governi, ma più avvalorandosi della vitalità del proprio organismo, dispiegare e profondere tutte le sue virtù in una grandiosa opera riparatrice. Ciò in tutti i tempi, da quelli primitivi fino a Gregorio VII e Innocenzo III, (e nei moderni fino a Nicolò V e Pio V), non cessando da quest'ufficio salutare anco più tardi, ma compiendolo più che mai manifestamente nel medio evo in tre modi principali.
Si moltiplicano in tali occasioni i concili, le autorevoli sentenze pontificie e dell'episcopato, confortate dalla scienza scolastica e filosofica, a disvelare, confutare, condannare solennemente, insieme agli errori dogmatici, quelli pure antisociali, come avvenne sempre contro gli esseni; contro i manichei, ecc. e come si avverò anche ora contro i patarini; e di ricambio si ribadiscono, si svolgono, si illustrano le somme verità religiose rinnovatrici degli stessi principi d'ordine sociale. (17) Si introducono severe riforme disciplinari nel clero, ben memori che esso «è il sal della terra e la luce del mondo», affinché questo riprenda con autorità ed efficacia sulle popolazioni la sua missione spiritualmente e socialmente. Si riprovano e troncano abitudini popolari che fossero affette di tendenze socialistiche od occasione e fornite a fame propaganda. S'impugnano con rinnovato vigore gli atti lesivi di giustizia e di carità da parte delle classi superiori, che avevano addensato materia agli odi popolari; e si infrena la prepotenza politica di principi e re, che avevano screditato la santità delle leggi, e che facendosi delle sofferenze o delle passioni dei popoli sgabello allo assolutismo, preparavano remotamente l'eguaglianza socialistica nella comune servitù.
Così le gigantesche lotte di Gregorio VII contro la simonia ed il concubinato, nonché quelle per le investiture, affinché il clero rimanesse puro, libero, operoso a sollievo del popolo, e non aulico nell'atmosfera corrotta delle corti, non guerriero e politicante a servizio di principi feudali o d'imperatori nemici di libertà. Così la proibizione delle processioni dei penitenti bianchi, dei flagellanti, dei fraticelli, per cui si perpetuavano nelle moltitudini peregrinanti dell'uno all'altro territorio abitudini di comunanza, di vita vagabonda, senza vincoli e virtù di famiglia, di lavoro, di patria. Così più incalzante e inesorabile, in tali momenti, la condanna di nuove forme di usure; la quale nel sec. XIII prende aspetto di una specie di persecuzione contro il nascente capitalismo in danno del lavoro popolare; e per converso la riprovazione del «compagnonnage», per cui i salariati tendono a stringersi in società di resistenza contro i maestri. Così finalmente le immani battaglie condotte con sapiente ardimento e con mirabile continuità di pensiero da Gregorio VII, Alessandro III, Gregorio IX, Innocenzo III, contro Enrico IV, che sconvolgeva la base popolare della gerarchia ecclesiastica, contro Federico I, che i legisti chiamava in danno della incipiente democrazia, contro Federico II, che dei saraceni e paterini facevasi sgabello al suo illuminato dispotismo; e ciò per salvare con la indipendenza religiosa della Chiesa la sua missione perenne in favore della civiltà dei popoli.
2. E allorché questi ordinari presidi del suo organismo gerarchico sembrano ancora insufficienti alla grand'opera di restaurazione, la Chiesa allora suscita dal proprio seno, di mezzo alle popolazioni, i riformatori sociali, (18) uomini di fede incrollabile e di santità sfolgorata che per riformare gli altri cominciano col riformare se stessi, uomini di popolarità estesissima guadagnata con l'eroismo dell'abnegazione e delle virtù, che trascinano dietro alla parola infuocata le moltitudini attonite; che condannano le invidie delle plebi con lo spettacolo della nuda e rigida povertà; che con santa franchezza smascherano i sordidi guadagni dei ricchi, rinfacciano ai principi le loro scostumatezze e tirannie; che riamicano le parti, inculcano la correzione delle leggi inique, suggeriscono la riforma degli statuti, e profondono dovunque la carità a pro dei deboli, dei sofferenti, dei miseri, con le prestazioni, col denaro, con le istituzioni, col sacrifizio della vita. Tali un s. Francesco (1182), un s. Antonio (1195), una s. Caterina senese (1382), un s. Bernardino da Siena (1444), e poco di poi un s. Antonino da Firenze (1455) e Nicolò di Cusa (1464) fino a Savonarola; – ultimo e men perfetto, ma pur sempre splendido tipo, di questi riformatori sociali dell'età di mezzo e anzi dei soli e veri riformatori cattolici di ogni tempo, che non lasciano dietro a sé né lagrime né sangue, ma ad immagine del divino maestro, un mondo rinnovellato nella verità, nella giustizia e nell'amore.
3. Vuolsi a questo termine abbracciare di un guardo gli effetti concreti di simile lavorio di riparazione dopo il periodo formidabile degli albigesi? Avvertasi come il furore di quella rivoluzione sociale e della repressione alla sua volta violentissima si avverasse nel primo quarto del sec. XIII, quando per questi avvenimenti pareva spinta all'orlo dell'abisso la civiltà, e quando pure un pontefice nelle sue visioni contemplava sgomento traballare le colonne del tempio. Or bene, si lascino trascorrere dal quel momento non più di venticinque anni fino al memorando 1250 che segna la morte di Federico II imperatore e il trionfo dell'opera restauratrice di Innocenzo III. E la metà di quel sec. XIII inaugura il tempo di Rodolfo d'Absburgo in Germania, di s. Ferdinando in Ispagna, di s. Luigi IX in Francia, del maturarsi delle monarchie parlamentari in Inghilterra, il prevalere definitivo dei governi a popolo nei nostri comuni industriali e marinari. Esso coincide col massimo slancio dei nostri commerci in tutto il Mediterraneo, nel levante e fino alla estrema Cina; e con esso un fiorire spontaneo, variopinto, diffuso di lettere, di arti e di scienze, ed un dispiegamento di multiforme ed esuberantissima vitalità sociale, che segna il meriggio smagliante della civiltà italiana e che accompagna quasi festevole corteo il trionfo universale della democrazia nella «repubblica dei popoli cristiani».
Tutto questo alla distanza di un quarto di secolo dopo il torrente desolatore del socialismo. Ciò dimostra con ogni asseveranza che quella bufera socialistica era riuscita a fiaccare ancora le fronde e i rami dell'albero annoso dell'ordine sociale cristiano, non ancora a svellerne e mortificarne le radici; le quali anzi, dopo quella prova, ripullularono in breve più vigorose di prima. Ciò misura insieme all'efficacia preventiva e concomitante (di cui discorremmo) dell'opera della Chiesa di fronte al socialismo, anche la vis medicatrix di essa, ossia la sovrumana sua virtù restauratrice.
V
A questo termine soffermiamoci a meditare coscienziosamente su tale periodo della storia ed ascoltiamone gli ammaestramenti.
I. Gli osservatori superficiali e i dubitosi fra i cattolici stessi, che con l'odierno indirizzo sociale della Chiesa credono di essere sospinti per vie incerte e quasi misteriose di cui non si possano scorgere gl'indefiniti meandri né l'uscita remotissima, vogliano paragonare serenamente l'atteggiamento presente della Chiesa di fronte alla questione sociale coi ricordi storici testè compendiati. Con uno sguardo sintetico si abbracci quanto fece la Chiesa negli ultimi decenni: le definizioni dogmatiche conciliari o pontificie rinnovate e ribadite; la parola del papa frequente, solenne, incalzante; le riprovazioni di errori e di abusi morali con mirabile concordia di spirito dovunque ripetute e fatte valere dalla gerarchia episcopale; la scienza tradizionale rinverdita e volta a rigenerare l'ordine civile; l'azione sociale e politica sospinta e vigorosamente indirizzata a sollievo popolare; il laicato al seguito della Chiesa arruolato e combattente; la correzione delle leggi indetta e promossa; e ancora novelli riformatori sociali suscitati di mezzo alla società contemporanea a propugnare la causa del popolo nei sodalizi, nei « meetings», nelle aule parlamentari; e veggasi la mirabile corrispondenza con quel programma sapiente, ampio, sistematico, che essa ha già sperimentato nei lunghi secoli della sua esistenza per la salvezza sociale.
Nel passato glorioso d'ieri voi trovate la spiegazione più soddisfacente dell'oggi. Né soltanto nei principi da cui il movimento sociale religioso si di parte e nel termine cui mira, ma ancora nei procedimenti, nei mezzi, nei presidi concreti, positivi, reali di applicazione; per cui ciò che qui apparisce abbozzato, colà trovasi analiticamente disegnato, rigorosamente dedotto nelle sue conseguenze, lungamente sperimentato nelle sue definitive risultanze sociali, cosicché noi possiamo col passato intendere il presente e ancora di piè fermo attendere l'avvenire. Quale scuola scientifica o quale partito di riforma sociale può, con la malleveria della storia, mettere innanzi un programma più certo, più definito, più promettente? Non si ripeta pertanto la trepida ed offensiva interrogazione: «che cosa fa oggi mai la Chiesa con codesta evoluzione sociale?» Uomini di poca fede e fors'anco (si può rispondere) di scienza angusta o pregiudicata. «Essa fa ciò che sempre ha fatto!».
Però, a ridarci in un prossimo avvenire l'eguale premio del passato, cioè la restaurazione sociale, una sola condizione essa richiede da noi, che ci rendiamo docili alla sua sapienza direttiva, fidenti nella sua virtù rigeneratrice. Nessuna grande idea ha quaggiù trionfato senza fede inconcussa nella eccellenza della causa e senza disciplina severa fra i combattenti per essa. Tutti i secoli sono momenti rapidi davanti alla Chiesa; ed espertissima conobbe bene altre e diuturne lotte, coronate da vittoria. Da noi non richiede nei più pericolosi incontri che un atto di affidamento totale; ed essa ci grida ad ogni istante: «Gettatevi nelle mie braccia, io non vi lascerò cadere».
2. Ma la Chiesa drizzandosi oggi a pertrattare e sciogliere le questioni sociali non fa opera per avventura di alta opportunità, piegandosi con ciò alle esigenze ed allo spirito dei tempi?
Certamente essa compie un atto eminentemente opportuno. Il fatto non vuolsi negare, né sminuirne la importanza. La Chiesa che fin dalle origini, con ardita innovazione ha proclamato la distinzione – non la separazione – delle ragioni di Cesare da quelle di Dio, e che perciò non trovasi chiusa nella cerchia rigida e angusta di alcuna forma di governo o di alcun programma politico e che con il suo ordinamento gerarchico tocca simultaneamente a tutti i punti del globo, non poteva illudersi intorno all'immanenza di una crisi universale della civiltà, che accerchia e flagella le fondamenta stesse della società, ed al cui paragone si scolorano e dileguano le più vivaci e complicate questioni politiche; ed usa ad accorrere dove più preme il bisogno, essa non dubitò un istante ad affrontare il massimo problema del secolo, quello del socialismo democratico.
La Chiesa perciò oggi si volge al popolo. Ma, avvertasi bene, con quest'atto stesso di sapiente opportunità essa non obbedisce ad un pensiero subitaneo ed accidentale, ciò che contrassegna l'opportunismo, bensì prosegue il suo storico programma di condotta. Veggasi brevemente.
Se fu sempre nella storia caratteristica delle istituzioni destinate a perennità feconda l'attitudine di accomodarsi alle successive necessità dei tempi, senza fallire ai loro principi, questa virtù mirabile di adattamento al genio di ogni periodo storico formò sempre il privilegio della Chiesa cattolica e quasi il suggello di sua perpetua giovinezza. Sempre identica a se stessa per la origine e per i fini, e quindi per le verità eterne e le virtù soprannaturali di cui si decora e munisce, ma chiamata a vivere perennemente nei secoli, essa possiede in giusta proporzione il culto immutato dell'ideale ed il senso mutevole della realtà. Per chi giudichi pertanto da codesto alto e sicuro punto di veduta, la Chiesa con questa recente conversione del suo indirizzo sociale, non fa che aggiungere un atto al maestroso dramma della sua esistenza storica Per esso, erasi già piegata dapprima con sapienza longanime a raccogliere ed avvivare le reliquie del crollante panteismo romano, poi si rialzò per affrontare ed ammansire la rozza individualità germanica, più tardi si atteggiò a contenere e santificare la balda gioventù medioevale, all'aprirsi dell'età moderna si applicò alla profonda opera di sistematica riforma cattolica da contrapporsi alle riforme pseudoreligiose dovunque insinuantisi; né diversamente oggi si drizza fra gli stessi problemi più stridenti di una crisi sociale al popolo a cristianeggiare la democrazia. Nulla di nuovo o d'incoerente nei procedimenti odierni di questa massima potenza di civiltà.
Ma essa ancora si volge al popolo non già per semplice ragione di calcolata utilità o convenienza, altro carattere dell'opportunismo, ma a titolo di giustizia sociale. Perocchè la Chiesa che ha presente a sé tutti i secoli, non dimentica, che nel lungo ciclo dell'evo moderno, la prima rivoluzione religiosa sociale del sec. XVI in Germania andò a profitto anche economico dei principi e del feudalismo politico, e il popolo ne fu vittima. La rivoluzione inglese del sec. XVII avvantaggiò vieppiù d'iniqui acquisti e privilegi l'aristocrazia terriera, e il popolo vide di ricambio legalmente statuita la sua spoliazione; e infine la rivoluzione del sec. XVIII in Francia, propagata poi dovunque, sollevò il ceto medio procacciante con tutte le forme del capitalismo, e il popolo dopo di essa, fra le affermazioni di libertà, vide generalizzarsi la sua depressione e quasi la sua servitù. Ammaestramenti solenni che essa non ebbe d'uopo di apprendere dalle declamazioni di un neosentimentalismo democratico, ma che ad essa rivelò, per così dire, la sapienza dell'amore verso i deboli e gli oppressi; e che poi la scienza odierna illustrò con la critica più ampia e rigorosa. Ed è per queste ragioni solide e giustificate dall'esperienza, che essa oggi intende a invocare a pro del popolo non già qualche spediente prudenziale e passeggero, ma una grande giustizia riparatrice.
Finalmente la Chiesa scende ai dì nostri fino al popolo; ma non già senza la guida di alcun fermo principio (ultimo contrassegno che tradisce l'opportunismo), bensì per coscienza della sua perenne missione religiosa, per la quale diviene già ed è ognora la generatrice prima dell'ordine sociale. In grazia di questa sua missione religiosa e sociale insieme essa è consapevole che in ogni tempo, ma più in quelli di profonda crisi, un moto rigeneratore riuscirebbe impossibile senza discendere fino alle fondamenta della convivenza, le quali si celano fra gl'infimi strati delle moltitudini. Criterio generale di sapienza civile che rinviene più speciale giustificazione nello stato presente delle forze sociali. Ed invero, in particolare ai dì nostri, a chiunque riuscirebbe difficile, per non dire impossibile, poggiare il fulcro di questa ricostituzione sociale fuorché sulle classi numerose, ormai arruolate al servizio d'ogni buono o malo movimento sociale o politico; classi numerose, le quali comunque disgraziatamente pervertite e travolte a pro della rivoluzione, trovansi pur sempre dai disinganni e dalle sofferenze stesse disposte o tratte lor malgrado a porsi al seguito di un'opera rinnovatrice. Ed oggi in tale urgente opera di rinnovamento sociale, la Chiesa scorge di poter contare ben poco sulle dinastie, che da secoli paganizzate ebbero in sospetto o in persecuzione la sua missione sociale; ben poco sopra la nobiltà del sangue, assottigliata e obliosa dei suoi doveri sociali; meno ancora sopra le classi medie opulente per ricchezza e troppo spesso cagione massima delle presenti ingiustizie e dei disquilibri sociali, o su quelle soprastanti per cultura, che la esclusione della Chiesa dall'azione civile eressero a teoria; e pertanto in questo universale dissolvimento la Chiesa torna in mezzo agli umili e ai reietti per ricominciare di qua, come già alle sue origini prime, il lavorio di rigenerazione della società.
In tal maniera l'odierna condotta sociale della Chiesa, che pur si riconosce come il maggiore avvenimento del secolo che muore, smentisce tutti i caratteri di un vieto opportunismo, per non serbare che la maestà di un processo normale dell'incivilimento cristiano.
Che se di questi intendimenti sociali negli ultimi anni fa professione più aperta e vigorosa che non accadesse nei tempi immediatamente anteriori, di questo apparente contrasto non è da addebitarsi la Chiesa. Furono i governi, che dal dì della riforma fino ad oggi, inebriati della onnipotenza di Stato, sia principesco o parlamentare, per quasi quattro secoli a vario grado e talora sotto maschera di libertà politica, col regalismo, con le leggi giurisdizionali o col dogma della laicità, respingendo la Chiesa entro il dominio interiore delle anime, la rimossero dalla sua azione sociale esteriore e la tolsero, per così dire, dalle braccia del popolo. Ma ora sotto la pressura d'immani pericoli comuni, riconquistata qualche parte della sua libertà, essa ripiglia il suo primitivo e legittimo ufficio sociale.
Così non è dessa che accostandosi al popolo oggi si pieghi con novità avventurosa alle necessità dell'età contemporanea, quasi cedendo all'atmosfera che la circonda; ma piuttosto è dessa che ritorna alle sue tradizioni antiche, ripigliando sulle sue braccia il popolo da cui era stata strappata; e con esso e principalmente per esso affrontando la soluzione dei problemi sociali.
Di qui anzi rifulge in tutto il suo splendore la espressione grandiosa del fatto. Ben altrimenti che una subita e impreveduta mossa strategica, tale condotta esprime l'avvenimento per cui la Chiesa riprende il suo legittimo ufficio sociale sui popoli, conforme alla sua perenne missione di civiltà. Essa segna il momento solenne che chiude il funesto ciclo della riforma che aveva respinto l'autorità religiosa del romano pontificato dai rapporti esteriori civili, per rianno darsi ai secoli medioevali del suo primato civile universale. Così veramente, come si disse, questo fatto chiude un periodo storico e ne inaugura un altro.
3. Di qui facciasi ragione finalmente dell'accusa che code sta condotta od evoluzione della Chiesa, come la chiamano, mascheri ipocritamente un programma reazionario, pronto a sfruttare le sofferenze popolari e le passioni socialistiche, per rimettere sulle ruine del liberalismo moderno il dispotismo d'ieri; o almeno che sia un'evoluzione pericolosa, che sulle spalle del popolo tende ad erigere non so quale teocrazia, da cui poi le libertà popolari rimarrebbero tralignate o compresse; in ogni caso un'evoluzione troppo sistematicamente nemica dello spirito moderno da non poter comprendere l'avvenire della democrazia sociale.
Atroce accusa e maligni sospetti, in qualche parte accolti anche da uomini credenti. Ma quale dei dottrinari liberali o dei riformatori democratici o dei neoconvertiti al socialismo sentimentale (dispensandosi, per tutta risposta, da ogni giustificazione teoretica) può appellarsi con tanta sicurezza all'unica testimonianza oggi accettata, quella cioè della storia? Chi può rispondere come i cattolici: «Volete sapere l'avvenire che noi prepariamo alla società? Leggete il nostro passato!».
Dal dì che dalla culla di Betlemme si annunziò primamente la buona novella agli umili ed ai dispregiati, non fu forse deposto il seme di ogni affrancazione e nobilitazione popolare di fronte ai pochi privilegiati? Ma. quando quei germi pervennero a maturanza, e la Chiesa poté nel pieno medio evo gloriarsi di avere costruito intorno a sé il nuovo ordine sociale cristiano, e sovr'esso e sovra tutti gli ordini politici di aver eretto il proprio primato o se si voglia dire la teocrazia pontificale, quello fu certamente il periodo storico di ogni forma di assolutismo dovunque combattuto, di tutte le libertà dovunque propagate, della democrazia dovunque trionfante; né per caso que' tempi furono chiamati i secoli del popolo! In nessun altro tempo rinvenne più ampia e splendida dimostrazione sociale, la promessa delle sacre carte: «Veritas liberabit vos».
Edoardo Bellamy nel suo romanzo socialista Looking backward si raffigura che da qui a duemila anni, dopo che il socialismo avrà ottenuto piena attuazione ed anco la consacrazione dell'abitudine, taluno di mezzo a quella immobile vita egualitaria volgendosi addietro a contemplare la inconstante e fiera lotta per la vita che ci preme e ci assedia quotidianamente negli attuali ordinamenti economico-civili, si meravigli che l'umanità abbia potuto perdurare sì a lungo in condizioni sociali cotanto penose e innaturali. Questo però è un sogno di romanziere ed un ideale sconfessato ed inattuabile di socialista.
Ma quando la Chiesa a quanti l'accerchiano d'insidiose interrogazioni, per prevedere quali saranno le riposte sue mire e i risultati dei suoi sforzi presenti in un prossimo o lontano avvenire, con serena franchezza risponde: volgetevi addietro, – essa adduce a giustificazione e pegno delle sue promesse non già un'utopia ma una realtà storica incontestata, che la critica moderna stessa con gli studi eruditissimi sul medio evo ha assodato ed illustrato mirabilmente, siccome un effetto della virtù e sapienza di lei.
Nessun legislatore politico e nessun corifeo socialista potrebbe, com'essa, addurre una prova sì convincente di ciò che vuole e sa fare, additando ciò che per tanti secoli ha fatto. Essa sola fra tante promesse ingannevoli di libertà, che preparano novella servitù, e fra un morboso sentimentalismo di neodemocratici, che infiorano la via al socialismo progrediente, essa sola, con la testimonianza della storia, può proclamare senza presunzione che il programma suo dell'avvenire si confonde con quello della progrediente democrazia e della civiltà; democrazia e civiltà che da essa appunto s'intitolano e da essa storicamente derivano. Essa sola può offrire malleverie positive, chè non solo sa comprendere le aspirazioni legittime della prossima società avvenire, ma, quel che più monta, che possiede virtù e mezzi adeguati per soddisfarle.
Così l'odierna condotta sociale della Chiesa riceve una nuova e più ampia significazione; essa esprime un movimento duraturo e fecondo, che non intende soltanto a salvare la società dall'abisso del socialismo, ma a preparare ancora con la democrazia del sec. XX un rinnovamento di civiltà.
Mario Rapisardi scrivendo testè a Napoleone Colaianni (19) intorno ai recenti moti di Sicilia, prediceva che le repressioni non avrebbero interrotto il corso già iniziato del socialismo nell'isola.
«L'idea valanga, soggiungeva, è già staccata dal vertice e seguirà fatalmente il suo corso. O unirsi ad essa o rimanere stritolati nel fango. È la storia che passa».
Ben più a ragione e con ben altre previsioni noi cattolici possiamo dire: «La condotta della Chiesa verso la società ed i suoi problemi ha ripreso il suo corso; essa non si arresterà finché non l'abbia rigenerata un'altra volta col popolo e per il popolo. È Cristo che passa».
Questi richiami storici sembrano averci condotto a dare una giusta interpretazione al fatto odierno della cosiddetta evoluzione sociale della Chiesa e ad estimarne tutta l'importanza.
Ma gli uomini sinceri disposti ad aprire tutto intero l'animo agli ammaestramenti che vengono dai fatti, consentiranno che le conclusioni che se ne possono legittimamente ritrarre trascendono i modesti limiti della interpretazione di un fenomeno di storia contemporanea. Essi ci abilitano a proclamare che soltanto la Chiesa cattolica può offrire con la testimonianza di lunghe e solenni esperienze storiche, promesse e guarentige di un programma dottrinale e pratico valevole per tutti i tempi a restaurare, in mezzo ai più insidiosi assalti del socialismo, la ristorazione dell'ordine sociale. Anche socialmente pertanto può ripetersi con le più certe dimostrazioni positive: fuori di essa non v'ha salute. E ciò che sentono e confessano ogni giorno più i pensatori forti e indipendenti di ogni paese. (20)
NOTE
(1) Cons. E. SPULLER, L'évolution politique et sociale de l'Église, Paris, Alcan, 1893; A. LEROY-BEAULIEU, La papauté, le socialisme et la democratie, Paris, Calmann Levy, 1892; P. BUREAU, Les nouvelles tendances dans l'Église catholique. À propos d'un discours de mgr. Ireland in Science sociale, fevrier 1894; P. H. MARTlN, Conversion et evolution de l'Église in Études relig. philos. hist., mars, 1894; R. PINOT, L'Église et l'esprit nouveau in Science Sociale, avril, 1894; abbé F. KLEIN, Nouvelle tendances en religion et en litterature, Paris, Lecoffre, 1892; L. GRÉGOIRE, Le pape, les catholiques et la question sociale, Paris, Perrin, 1893; abbé F. KLEIN, L'Eglise et le siècle, conf. et disc. de mgr. Ireland, Paris, Lecoffre, 1894.
(15) Teologicamente e filosoficamente questa setta si riannoda al concetto del dualismo, proprio dei vecchi manichei. Gli albigesi ammettevano la coesistenza dei due principi, l'uno buono e l'altro cattivo; e perciò vedevano il peccato nell'amor delle cose e delle creature materiali; quindi condannando il matrimonio e la proprietà, ed estendendo la ribellione contro i prelati che dicevano aver perduta l'autorità per le loro ricchezze e vita mondana, disconoscevano anche nelle autorità civili la facoltà di far leggi specialmente punitive. La propaganda facevano bene spesso coi mezzi violenti. Dai paesi slavi, specialmente dalla Bulgaria, ove la setta esisteva fin dal sec. X, trapassò in occidente e prima nell'Italia settentrionale all'esordire del sec. XI, radicandosi poi nella Francia meridionale, donde ripassò in Italia centrale, e la prima volta in Firenze nel 1177. Vedi l'opera di SCHMIDT, Histoire et doctrine de la secte des cathares ou albigeois, Paris, 1848; citata come fondamentale anche dagli storici ecclesiastici (in E. BRUCK, Istituzioni di storia ecclesiastica, trad. ital., Bergamo, 1888) e tra i recenti, M. RÉVILLE, Les albigeois, in Revue des deux mondes, 1° mai, 1874; e un cenno esatto dal punto di vista del socialismo in JOLY, Le socialisme chrétien, Paris, Hachette, 1892.
(16) Per i paterini nell'Italia centrale e specialmente in Toscana, vedi T. T. PERRENS, Histoire de Florence, Paris, Hachette, 1877, tomo I, l. 1, cp. III.
(17) Non si apprezzerà mai abbastanza l'importanza propriamente sociale dei sinodi locali, dei concili nazionali, specialmente di quelli ecumenici. Ne scrisse brevemente ma con profitto A. DU BOIS, De l'influence sociale des conciles; e il tema meriterebbe di essere ampiamente trattato sulle tracce dell'opera vasta di C. J. VON HEFELE, Conciliengeschichte nach Quellen (continuata dal card. Hergenrother), Freiburg im Br., Herder, 1855-1890 (nove volumi). Vedi in questa ultima opera il lavorio incalzante, sia dogmatico che disciplinare, dei sinodi e concili contro gli albigesi, v. 5, pt. II, 1. 35 e 36; – i sino di indetti contro gli albigesi dal principio del sec. XIII fino al duodecimo concilio generale (4° lateranense) 1215; – ulteriori sino di per occasioni degli albigesi dal 1222-1225; – la fine della guerra degli albigesi e il sino do di Tolosa, 1229; – nuovi sino di contro gli albigesi fra il 1231 e 1232; – i sinodi di riforma negli anni 1232 e 1235; – finalmente il decimoterzo concilio generale in Lione nell'anno 1245.
(18) Anche questo tema è degno di studi speciali. Ne tratta con particolare interesse, C. CANTÙ, Storia degli italiani, ediz. Pomba, v. 3, «I pacieri D, pp. 525 e ss. – Per i riformatori che accompagnano e seguono le agitazioni ereticali e socialistiche di Wykliffe ed Hus, L. PASTOR, Storia dei papi dalla fine del medio evo (trad. ital.), Trento, 1890, v. I, 1. I, cp. II «Lo scisma e le grandi agitazioni ereticali, 1378-1406» .
(19) N. COLAIANNI, In Sicilia. Gli avvenimenti e le cause, Roma, Perino, 1894, «Prefazione».
(20) Meriterebbe veramente istituire uno studio ponderato e compiuto sopra il movimento del pensiero contemporaneo, che dal seno di tutte le scuole religiose e filosofiche si leva a riconoscere nelle dottrine e nell'azione sapiente della Chiesa cattolica l'unica salvezza di fronte alla odierna crisi sociale. Basti qui di ricordare quasi a caso i nomi di J. Simon, Benoist, Challemel-Lacour, M. De Vogué, Bonghi, oltre a quelli qui espressamente ricordati, e senza dire del movimento vigoroso che nel medesimo senso si manifesta in Germania, Gran Bretagna, Stati Uniti di America. È questa la vera e consolante evoluzione della scienza sociale verso il cattolicesimo, che contribuirà a rendere più solenne innanzi alla storia questa fine di secolo.