Congregazione PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, Lettera This Congregation circa la traduzione della Bibbia per l’uso liturgico, Prot. 2071/01/L, 5 novembre 2001: Notitiae 37(2001), 521-526.
Eccellenza,
La Congregazione per il culto divino desidera esprimerle la sua profonda gratitudine per il lavoro che ha recentemente compiuto correggendo alcune incomprensioni in passaggi riguardanti l’Istruzione di questo dicastero Liturgiam authenticam sull’uso delle lingue vernacole nella pubblicazione dei libri della Liturgia romana. Nella lettera che sua eccellenza aveva scritto su questa materia, della quale è stata così gentile da trasmetterne una copia a questa Congregazione interpretava molto correttamente il modo in cui l’edizione Nova Vulgata delle sacre Scritture è compresa dall’Istruzione come un punto di riferimento per la traduzione liturgica nelle lingue vernacole. Questo dicastero partecipa alla preoccupazione di sua eccellenza che quanti sono impegnati in studi biblici specialistici comprendano che la loro legittima libertà di ricerca non è adombrata dal documento, ma anzi può persino ricavarne assistenza.
Data la natura di alcune affermazioni che sono diventate di pubblico dominio attraverso articoli, messaggi su Internet e simili, è purtroppo aumentata la possibilità che l’Istruzione, a causa di una lettura superficiale, rimanga incompresa.
Sembra infatti che alcuni siano perfino giunti all’erronea conclusione che l’Istruzione insista su una traduzione della Bibbia dalla Nova Vulgata latina piuttosto che dalle lingue bibliche originali. Tale interpretazione è contraria all’esplicita affermazione dell’Istruzione al n. 24, secondo la quale tutti i testi destinati all’uso liturgico “devono essere composti direttamente dai testi originali e cioè dal latino, per quanto riguarda i testi di composizione ecclesiale, oppure dall’ebraico, dall’aramaico o dal greco, secondo i casi, per quanto si riferisce alla sacra Scrittura”. L’Istruzione è infatti ancora più chiara sull’uso dei testi biblici originali come punto di partenza per la traduzione liturgica, rispetto alle norme precedentemente pubblicate nell’Istruzione Inter oecumenici, n. 40, del 26 settembre 1964 (AAS 56[1964], 885).
Un’ulteriore riflessione porta anche la Congregazione ad esprimere la sua perplessità sul fatto che ogni turbamento da parte degli studiosi sia causato dal principio, espresso nel sopra citato paragrafo di Liturgiam authenticam, che la Nova Vulgata “è normalmente da consultarsi come uno strumento ausiliare, nel modo altrove descritto in questa Istruzione, allo scopo di mantenere la tradizione di interpretazione che appartiene alla Liturgia latina”. È ragionevole pensare che i traduttori delle sacre Scritture dovrebbero naturalmente accogliere qualunque e tutti gli “strumenti ausiliari” che possano illuminare i testi stessi o il contesto al quale le traduzioni sono rivolte, in questo caso, le celebrazioni della Liturgia romana.
Il particolare genio della lingua latina ha contribuito ad una tradizione di interpretazione biblica che deve continuare ad essere una parte della comune eredità della Chiesa latina nel modo in cui ha trovato espressione in diverse maniere nella sua liturgia. Certamente, è ragionevole che un traduttore delle Scritture lavori con le lingue originali prima di consultare altre versioni, incluso il latino. In seguito, tuttavia, può essere solo benefico per un traduttore considerare il testo latino come una finestra attraverso cui osservare i testi ebraici, greci o aramaici dal punto di vista di una salutare benevolenza verso le migliori intuizioni della Chiesa latina attraverso i secoli. Questo è in sostanza quanto la recente Istruzione domanda riguardo alla preparazione delle traduzioni da usarsi nella Liturgia romana. Dal momento che la recentissima revisione del testo della Vulgata, reperibile ora nella Nova Vulgata, fu intrapresa con l’intento di preservare il più possibile la tradizionale “latinitas biblica christiana” (per usare la frase di Paolo VI, cf. Giovanni Paolo II, Costituzione apostolica Scripturarum thesaurus), aggiornando tuttavia il testo alla luce dei moderni studi biblici, la Nova Vulgata continua ad essere uno strumento adatto a tale scopo.
La proposta di questo strumento rende possibile coltivare il necessario apprezzamento verso il radicarsi di molti elementi distintivi dell’eucologia della liturgia romana nel testo della Volgata o della Neo-Volgata, per garantire una maggiore armonia nella traduzione fra la preghiera liturgica e il testo biblico stesso. Alla luce di queste considerazioni è difficile comprendere come l’avere simultaneamente sott’occhio la versione latina possa impoverire la traduzione vernacola biblica intrapresa per uso liturgico. Sotto ogni punto di vista è più ragionevole supporre che la traduzione ne sia grandemente arricchita.
Sua eccellenza è stata pure di grande aiuto quando ha sottolineato che la Nova Vulgata è praticamente indispensabile se le persone addette alla preparazione di un Lezionario devono determinare con precisione quale testo è prescritto per le letture liturgiche. Dal momento che le letture per la liturgia sono prescritte nell’Ordo lectionum Missae, con riferimento soprattutto alla loro versificazione nella Nova Vulgata, non c’è altro modo per preparare il Lezionario, in termini puramente pratici e assoluti. Una versione vernacola della Bibbia può aver usato un’altra numerazione dei versetti, cosicché le sole citazioni del capitolo e del versetto sono insufficienti senza l’uso della Nova Vulgata.
Allo stesso tempo va sottolineato che un problema più complesso sorge in alcune parti della Bibbia quando gli antichi manoscritti reperibili, nelle lingue originali o in recenti traduzioni, mostrano varianti che non sembrano derivare unicamente dalla copiatura o da errori di traduzione, glosse e simili, ma indicano piuttosto tradizioni testuali parallele, ma divergenti. La divergenza è evidente, ad esempio, fra i testi ebraici e greci di Samuele, in cui il traduttore può chiedersi non solo quale tradizione seguire, ma anche se sia possibile risolvere le difficoltà in un testo ricorrendo all’altro. Similmente, il testo del Siracide ci è stato consegnato in varie distinte tradizioni manoscritte originali, ebraiche e greche, e non esiste un testo ebraico che trasmetta l’intero libro. La scoperta di nuovi manoscritti, infatti, come quella avvenuta nel secolo scorso nei pressi del Mar Morto, ha dato solo maggior rilievo alla difficoltà generale di molteplici tradizioni. Quindi, per la preparazione di un Lezionario, l’Istruzione Liturgiam authenticam garantisce basi sicure per navigare tra una foresta di opzioni come provveduto dai dati testuali per tali parti delle Scritture, e per scegliere accuratamente il testo prescritto per la sacra Liturgia, dove una certa unità testuale è semplicemente necessaria. Il testo da tradurre deve corrispondere alla tradizione manoscritta riflessa nella Nova Vulgata.
Qui si vede chiaramente che se la Chiesa, per qualsiasi ragione, deve prescrivere l’uso di letture bibliche specifiche, in termini pratici è possibile farlo solo in riferimento a qualche edizione ufficialmente approvata delle Sacre Scritture. E mentre sembra che alcuni trovino da obiettare perché a tale scopo è designato un testo latino, non sembra che questi stessi critici abbiano avvertito che è precisamente la scelta di un testo latino, invece di un testo, ufficialmente approvato nelle lingue bibliche originali, che lascia alla critica testuale la libertà letteraria, che giustamente appartiene a questo compito, di ricostruire il testo originale con mezzi scientifici. A volte, la determinazione di una data tradizione manoscritta per mezzo della Nova Vulgata offre alla critica testuale il “datum” necessario per il suo lavoro di traduzione per uso liturgico, ma non limita l’esercizio della sua responsabile discrezione nel valutare varianti testuali all’intemo di quella tradizione.
Pur difendendo costantemente l’inerranza delle sacre Scritture in quanto tali, la Chiesa non ha mai reclamato un’inalterabile perfezione della sua edizione latina ufficialmente approvata delle Scritture e varie volte ha cercato di migliorarla. Non si può escludere, c’è anzi da aspettarsi, che tale lavoro continui in futuro. A questo scopo, tutti gli studiosi della Bibbia hanno la dovuta libertà di proporre, nel testo, correzioni o miglioramenti, sia che li considerino necessari o auspicabili, ricordando, naturalmente, che il loro criterio per il “miglior” testo o anche per il testo più “originale” non può in tutti i casi coincidere con i criteri della Chiesa per un testo canonico. Se propongono responsabilmente eventuali revisioni all’edizione ufficiale della Nova Vulgata oppure, con fondati motivi, all’Ordo lectionum Missae, degli studiosi della Bibbia si potrà almeno dire che lavorano nella loro area di competenza.
Determinare quali testi appartengano al canone della Chiesa e quali siano prescritti per la sacra Liturgia, rimane tuttavia fuori dall’area di competenza degli studiosi della Bibbia in generale, o dei critici testuali in particolare. È la Chiesa stessa, sulla basi della sua tradizione, che ha stabilito il canone, ed è l’autorità ecclesiastica competente che prescrive l’uso di testi specifici per uso liturgico. Riguardo ai riti della Chiesa latina, tale autorità è la Santa Sede. Non c’è nulla di non-scientifico in questa limitazione del campo di lavoro degli studiosi. Un microbiologo non può verificare la presenza di un determinato organismo guardando il vetrino sbagliato attraverso il microscopio sbagliato. Analogamente, un critico testuale non può propriamente determinare una lettura originale biblica per un testo liturgico prescritto lavorando sulla base di una tradizione manoscritturistica del tutto diversa da quella che la Chiesa desidera sia proclamata in un determinato momento liturgico. In alcuni casi, la scelta di una variante può rendere una traduzione meno rilevante o anche del tutto irrilevante nella situazione liturgica prescritta.
L’istruzione Liturgiam authenticam è stata in certi ambiti criticata perché prescrive le norme invece di presentare i vari metodi di esegesi reperibili in documenti come Divino afflante Spiritu di papa Pio XII, o il documento del 1993 della Pontificia Commissione Biblica sull’interpretazione della Bibbia nella Chiesa. Infatti, al n. 34 l’Istruzione afferma che le traduzioni delle Scritture per uso liturgico dovrebbero “essere approntate in accordo con i principi di una sana esegesi e un’elevata qualità letteraria, ma anche con uno sguardo alle particolari esigenze dell’uso liturgico per quanto riguarda lo stile, la scelta dei vocaboli e tra le diverse possibili interpretazioni” [il corsivo è della redazione]. Per la nuova Istruzione non sembrerebbe necessario, proprio a motivo del previo e ribadito insegnamento della Santa Sede in materia, entrare nel significato specifico di quei “principi di una sana esegesi”, azzardo che in ogni caso avrebbe oltrepassato la competenza della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti.
Dal dicastero ci si doveva invece aspettare che esso provvedesse i criteri tramite i quali una traduzione – essa stessa presumibilmente opera di studiosi della Bibbia che hanno usato i migliori mezzi letterari disponibili, secondo le norme prestabilite dalla Chiesa – possa essere considerata appropriata anche per l’uso nella Liturgia romana. Ciò è, infatti, quanto la Congregazione ha fatto.
Questo dicastero è molto grato per l’assistenza di sua eccellenza nel chiarire questa materia in occasione di pubblici dibattiti e di contatti privati, durante i quali normalmente c’è dibattito. Poiché sua eccellenza ha preso l’iniziativa di entrare in questa discussione, la Congregazione desidera non solo esprimerle i suoi ringraziamenti, ma coglie anche l’occasione di aggiungere le suddette proprie riflessioni, che considera in completa sintonia con quelle da lei espresse.
Con i migliori auguri e preghiere, rimango sinceramente vostro in Cristo,
+ Jorge A card. medina estévez, prefetto
+ Francesco Pio Tamburrino, arcivescovo segretario
Roma, 5 novembre 2001