Luigi, terzo di tre fratelli, tutti sacerdoti, segue le orme dei fratelli, entra in seminario e viene consacrato nel duomo di Udine il 31 marzo 1827. Nella Regione, al tempo poverissima, provvede con alcuni preti e un gruppo di maestre all'educazione delle ragazze in difficoltà. Ne nasce la Congregazione delle Suore della Provvidenza. A 42 anni entra nell'Oratorio di san Filippo Neri. Morirà a Udine nel 1884. È stato canonizzato il 10 giugno 2001. Scrosoppi è patrono dei malati di Aids.
Il beato Scrosoppi, fondatore delle Suore della Provvidenza e prete dell'oratorio di S. Filippo Neri, nacque a Udine, sotto il dominio dell'Austria, il 4-8-1804, secondogenito di Domenico, orefice e membro della Confraternita del Crocifisso, e di Antonia Lazzarini, vedova di Francesco Filaferro, dal quale aveva avuto due figli: Carlo, nato nel 1786, e Giovanni Battista, morto in tenera età. Luigi fu battezzato nella chiesa del SS. Redentore, e con il fratello maggiore Giovanni Battista crebbe praticamente sotto la guida del fratellastro Carlo Filaferro, studente nel seminario di Udine, associato ai Filippini dell'Oratorio dal 1806 e sacerdote dal 1809 nella chiesa di S. Maria Maddalena.
Spinti dai buoni esempi del fratellastro, i due Scrosoppi entrarono anche loro, in tempi diversi, nel seminario di Udine. Sotto la guida di esperti maestri crebbero nelle virtù proprie degli aspiranti alla vita clericale. Luigi soprattutto eccelleva, se non per l'intelligenza, per la santità dei costumi. Il 31-3-1827, a ventitré anni, egli celebrò la sua prima messa tra l'esultanza dei parenti, in modo speciale di P. Carlo il quale, per tutta la vita, gli sarà di esempio e di guida.
Anche Don Luigi si preparò a poco a poco a un più vasto ministero, nella chiesa di S. Maria Maddalena. Si alzava alle sei del mattino, faceva un quarto d'ora di orazione vocale, mezz'ora di meditazione, e poi celebrava la Messa alla quale faceva seguire un quarto d'ora di ringraziamento. Propose: "Allorquando mi sarà pesante la pratica della povertà, dell'umiltà e del patire, penserò che cosa vorrei aver fatto in punto di morte… reciterò giaculatorie nel corso della giornata, e pregherò anche camminando, e nel letto quando non potrò dormire". E promise al Signore "di soffrire qualunque cosa e la morte stessa" anziché offenderlo con colpa veniale, di non parlare di sé, nemmeno di desiderare la stima degli altri essendo convinto di essere "un ammasso di putredine". Effettivamente finché visse fu riservato circa se stesso e di poche parole. Non permise di essere fotografato neppure sul letto di morte. Suo motto era: "Operare, patire e tacere". Di statura media, sempre poveramente vestito, camminava con la testa un po' curva, ma lieto in volto.
Nel 1822 il P. Carlo Filaferro fu nominato Direttore della cosiddetta Casa delle Derelitte, una modesta fondazione privata esistente in città da qualche anno, Nel 1829 gli fu affiancato come Vicedirettore Don Luigi Scrosoppi. In quel tempo l'Istituto era in crisi per le ristrettezze economiche. P. Carlo, oltre che a governarlo, si era impegnato a pagare l'affitto dello stabile che lo ospitava. Don Luigi invece si interessava dei problemi delle orfanelle con tenacia di volontà non disgiunta da una riservata tenerezza. Per alleggerire al fratello il compito dell'amministrazione imparò a stendere la mano per le vie e per le campagne di Udine nonostante le umiliazioni che di tanto in tanto doveva affrontare.
Quando faceva ritorno alla Casa delle Derelitte con il barroccio tirato da un asinello e carico di ogni ben di Dio, le bambine gli correvano incontro festose e qualcuna gli si aggrappava alla tonaca gridando: "Gigi, dammi cicin!".
Non lontano dall'Istituto era stato riaperto un convento di Cappuccini che Napoleone I aveva soppresso nel 1807, Nel passarvi sovente davanti, Don Luigi, che amava la vita solitaria, per un po' di tempo pensò di ritirarvisi, ma poi scartò l'idea perché comprese che per santificarsi non occorreva vivere in un monastero, ma operare il bene a servizio dei poveri.
Per migliorare la vita delle derelitte, i due fratelli decisero di acquistare e ampliare la casa che le ospitava. Complessivamente spesero oltre 62.000 lire austriache, una somma già allora considerevole e furono il frutto delle elemosine dei cittadini, delle collette e delle questue di Don Luigi. Nessuno immaginava che sarebbe diventata la sede di una nuova famiglia religiosa avente lo scopo dell'istruzione e dell'educazione della gioventù povera e abbandonata. Nel 1837 fu inaugurata e quasi subito popolata dalle bambine che erano rimaste orfane a causa del colera scoppiato in città l'anno precedente. Di esse molte erano "interne" e risiedevano nell'Istituto, altre erano "esterne" e alla sera ritornavano nelle loro famiglie. I due gruppi non si mescolavano anche se ricevevano una identica educazione. Alle "interne", cioè alle ragazzine dalla storia più dolorosa, era rivolto l'impegno più zelante di Don Luigi e delle maestre. L'Istituto non era forse stato ampliato per le più bisognose di aiuto sotto la protezione di S. Giuseppe e di S. Gaetano?
Per esse fu studiato un regolamento, un orario, una scuola, un lavoro, il più possibile conformi alle disposizioni del governo austriaco. Le orfanelle venivano esercitate in tutti i lavori femminili dal cucito alla tessitura, dalla bachicultura all'incannatura della seta. Quando Ferdinando I, imperatore d'Austria, nel 1838 visitò Udine, i due fondatori, tramite la consorte di lui, Maria Anna di Savoia, in visita alla Casa delle Derelitte, gli fecero pervenire la supplica con cui ne chiedevano il riconoscimento come "istituto privato ed esente", egli l'approvò. Il suo decreto è del 6-6-1839. P. Carlo e Don Luigi ne resero grazie a Dio perché così, nella loro opera, senza intralci da parte delle autorità laiche, avrebbero potuto conseguire le finalità spirituali che si erano proposte.
All'inizio le orfanelle furono istruite e assistite da alcune "maestre" e due "inservienti". In seguito costoro crebbero tanto che il 1-2-1837, in numero di 9, formarono un primo abbozzo di comunità con un abito uniforme. Don Luigi trascorreva l'intera giornata nella Casa delle Derelitte, ed educava tutte, maestre e inservienti, al nascondimento, all'umile e gioioso servizio di chi ai loro occhi rappresentava il volto del Signore Gesù. Il P .Carlo invece si recava all'Istituto soltanto una volta al giorno, vi rimaneva circa un'ora, dava le disposizioni generali e poi ritornava alla chiesa di S. Maria Maddalena in cui svolgeva un intenso ministero spirituale. Si fidava del fratello perché questi eseguiva quanto suggeriva o comandava senza la pretesa di imporre il proprio punto di vista. In seno alla comunità il Beato fungeva da lievito con la santità della vita anche se talora era costretto ad apparenti rudezze per superare debolezze e contraddizioni continuamente risorgenti.
Nel 1835, al tempo della ricostruzione della Casa delle Derelitte, il P. Carlo prese accordi con la marchesa Maddalena di Canossa per affidare la sua opera alle Figlie della Carità da lei fondate a Verona. Il progetto non ebbe successo perché la Santa poco tempo dopo morì. Si delineò allora in lui l'idea di fondare una nuova congregazione con il personale di cui l'opera disponeva sotto la guida della contessa Giulia di Colloredo, superiora dal 18-3-1842 con il nome di Madre Giovanna (+1871). Don Luigi, nei viaggi che faceva per le campagne e i paesi della diocesi, cominciò a ricercare per le orfanelle, oltre il pane, giovani volenterose di cui non potevano fare a meno per l'assistenza, l'istruzione e l'educazione.
Il P. Carlo si industriò ancora una volta di affidare la Casa delle Derelitte alle Suore della Provvidenza, fondate dall'abate Antonio Rosmini (+1855), ma essendo fallito anche questo tentativo, lasciò al fratello l'arduo compito di dare vita a una Congregazione nuova. Nel Natale del 1845 quindici giovani vestirono l'abito religioso per la prima volta e undici di esse emisero i voti privati. Anche per Don Luigi l'impegno a tendere alla perfezione divenne più esplicito il 26-5-1846, giorno in cui rinsaldò con P. Carlo la fraternità spirituale facendosi come lui membro dell'oratorio di S. Filippo Neri. Per fare progredire l'incipiente sua famiglia religiosa nella spiritualità cristocentrica a lui tanto cara, fece costruire e adornare una chiesetta dedicata a S. Gaetano. Ad essa potevano accedere gli esterni e le suore per la Messa , i ritiri, la recita dell'Ufficio della Madonna e la preghiera personale.
Da tutta la vita del B. Scrosoppi emersero sempre due note spirituali caratteristiche: la predilizione per le orfane e l'illimitata fiducia nella Provvidenza. Con le alunne P. Luigi usava la maniera forte e dolce a un tempo.
Da loro esigeva l'impegno nella scuola alla quale egli stesso dedicava molte ore del giorno sia supplendo le maestre impedite, sia sorvegliando le aule. Si interessava dei loro progressi e ne godeva. "Questo mi fa più piacere – diceva – che un borsellino di monete d'oro, anche se ne ho tanto bisogno". Seguiva personalmente le orfane meno intelligenti e più ribelli e le dirozzava con infinita pazienza. In nessuna bambina tollerava le bugie. Era molto indulgente con loro solamente quando notava che mancavano più per vivacità che per malizia. Per ciascuna derelitta si sforzava di essere padre, maestro e persino compagno di giuochi.
Era difficile che il Beato rifiutasse le orfanelle che i parroci gli presentavano. Una sera, non disponendo più di letti, fece dormire una di loro per la prima notte in una cesta da bucato pur di non lasciarla in mezzo alla strada. Nel presentarle alla guardarobiera perché le vestisse diceva con trasporto: "Queste sono le mie gioie: abbiate cura che non manchino di nulla". Oppure: "Queste menano la Provvidenza in casa per il cumulo di meriti che si acquistano servendole per amore di Dio". E andava ripetendo che quando in casa scarseggiavano i viveri anche quelli si dovevano dare ai poveri perché la Provvidenza avrebbe pensato a moltiplicarli. La cuoca gli diceva ogni tanto che era rimasta senza pane, senza carne o senza latte? Le rispondeva invariabilmente: "Il Signore è nostro Padre e provvederà". Quando le suore vedevano giungere alla porta dell'Istituto quintali non ordinati di legna, di grano, di riso, di farina da polenta, oppure buste di denaro in misteriosa concomitanza con lo scadere di debiti pressanti, non potevano fare a meno di esclamare: "Il Padre è davvero un Santo!" Per meritare gli aiuti necessari da Dio egli viveva molto poveramente. Alle suore era praticamente impossibile fargli accettare nel giorno del suo onomastico un paio di scarpe nuove o una sottana non lisa perché egli destinava tutto ai chierici più bisognosi del seminario.
In mezzo a tanta attività P. Luigi non trascurava la propria santificazione. Le pratiche di devozione che gli stavano più a cuore erano la Messa, la Via Crucis e l'Ora Santa, durante le quali pregava per tutte le necessità della Chiesa, delle Derelitte, dei peccatori e in modo particolare delle anime del Purgatorio. Ogni anno faceva gli esercizi spirituali secondo il metodo di S. Ignazio. Nel 25° anno di sacerdozio propose di emendarsi "a qualunque costo" delle mancanze in cui cadeva, di "perfezionare le opere quotidiane", "di abbracciare il terzo grado di umiltà", "di essere regolare ed esatto in tutti i doveri", di "perseverare nel regolamento di vita stabilito, a costo di qualunque sacrifìcio" e di leggerlo una volta la settimana. In altri appunti da lui scritti dopo il 1857 leggiamo: "Adempirò ai miei doveri di Terziario, e di aggregato alle Confraternite del S. Cuore di Gesù, della Cintura del Preziosissimo Sangue, del S. Cuore di Maria V., e come ascritto alla Propaganda Fede, alla Santa Infanzia, e Confratello dei Sacerdoti… Nel lunedì, mercoledì e venerdì mi darò la disciplina, e in questi giorni farò l'esercizio della Via Crucis".
Dopo la morte del fratello Carlo (+1854), l'azione del beato nei confronti delle suore e delle orfane divenne più unitaria e incisiva. Sua principale preoccupazione sarà quella di suscitare in essa la santità con la corrispondenza alla propria vocazione. Nelle conferenze che faceva loro le induceva a proporre: "Ancorché avessi per tutta la vita a patire, voglio seguire la vocazione perché non sono mia, ma di Dio".
In quel tempo il Beato abitava ancora nella casa paterna. Nel 1855 la vendette per ripristinare il Convitto della Congregazione dell'Oratorio in cui stabilì la sua dimora. L'anno successivo fu nominato rettore di Santa Maria Maddalena e superiore dei membri del Convitto dell'Oratorio.
Dopo l'annessione del Veneto all'Italia nel 1866 fu soppresso. Allora P. Luigi si stabilì definitivamente in due stanzette dell'Istituto delle Derelitte insieme al fratello Don Giovanni Battista (11879), costretto dagli anticlericali del tempo a ritirarsi dalla arcipretura di Sacile (Pordenone).
Nella direzione della congregazione e negli insegnamenti che impartiva alle orfane, alle novizie e alle religiose sapeva essere austero e dolce nello stesso tempo, esigente e comprensivo. Le suore dicevano di lui che, nei riguardi delle anime, aveva "buon naso". Rivelò difatti una maestria non comune nel dirigere spiritualmente le anime più inquiete e tentate. Con una prontezza sorprendente intuiva i bisogni di ciascuna anima.
Aveva imparato da S. Filippo Neri (11595) a correggere chi mancava ai propri doveri quasi celiando, senza gravare la mano. Quando qualche novizia incontrava difficoltà nella vita comune le diceva: "Figlia mia, non aspettarti che questo. In convento le cose vanno come l'altalena, un po' su, un po' giù, liscia per oggi, e per qualche giorno, poi capitano le contrarietà… Non sei qui per seguire Gesù benedetto? Vedi, figlia mia, che via faticosa egli salì per arrivare al Calvario! E tu non vuoi sopportare niente per amore suo". Alle suore ripeteva: "Bisogna sacrificarsi volentieri per la santificazione delle anime".
Le lezioni che ogni giorno il B. Scrosoppi impartiva a tutte le sue figlie Spirituali sulla necessità della preghiera, sul modo di comportarsi in coro, sull'esercizio dell'obbedienza e della umiltà erano molto chiare ed efficaci perché avvalorate dall'esempio che egli stesso di continuo offriva.
Di fronte ad esse era difatti pronto a umiliarsi come un bambino. Quando doveva parlare con la superiora della casa si alzava in piedi e teneva la berretta in mano. Un giorno una educanda lo sorprese inginocchiato davanti ad essa mentre si accusava di avere rotto un piatto e gliene chiedeva la penitenza.
Nei primi 22 anni le Suore della Provvidenza stentarono a moltiplicarsi forse per l'eccessiva cautela seguita dal fondatore nell'accettare le postulanti. Prima di morire il Signore gli concederà di diffonderle in 12 case. Per questo scriverà molte lettere, viaggerà sovente noncurante dei disagi, e provvederà a tutte le necessità della sua famiglia religiosa con l'energia di un giovane e l'assennatezza di un vecchio.
La prima fondazione avviata dal P. Luigi ancora vivente il fratello Carlo fu quella di Orzano, a 8 chilometri da Udine, che divenne luogo di villeggiatura e casa di riposo per le malaticce. Nel 1853 in essa aprì una scuola per le figlio dei contadini, e nel 1877 fece costruire la chiesetta della Madonna di Loreto, in cui dispose di essere sepolto. Nel 1857 mons. Andrea Gasasela, vescovo di Concordia, gli offerse l'ospedale di Portogruaro (Venezia), ed egli accettò di mandarvi le sue Suore già specializzate nella cura dei malati fin da quando, nel 1855, a Udine era scoppiato il colera. Nel 1864 l'asilo di "Maria Immacolata" sorto in città per i bambini più poveri stava agonizzando. Le suore del B. Scrosoppi lo fecero rifiorire. Oramai non ponevano più limiti alla loro carità perché nel marzo del 1862 Pio IX aveva fatto pervenire loro la sua approvazione con il decreto di lode. Pure l'imperatore d'Austria, Francesco Giuseppe (+1916), il 19-12-1865 riconobbe come ente morale la nuova congregazione composta di suore coriste, converse e terziarie.
Il Beato approfittò delle approvazioni ottenute per intensificare la diffusione delle sue religiose in tutto il Veneto. Nel 1866 l'Ospedale di Primiero (Trento) era talmente disorganizzato che i malati ricusavano di farvisi ricoverare. Appena vi giunsero le suore della Provvidenza l'ospedale fu completamente rinnovato. A Cormons (Gorizia), saputo che era in vendita il convento costruito nel 1714 dalle Consorelle di Carità, P. Luigi andò a vederlo e decise di comperarlo per la sua congregazione con l'aiuto dei buoni e soprattutto con i 500 fiorini d'oro avuti in dono da Ferdinando I e Maria Anna, ex-sovrani d'Austria. Con la pace di Vienna del 3-10-1866 gli austriaci consegnarono il Veneto e il Friuli all'Italia, tramite Napoleone III, a conclusione della sfortunata terza guerra d'indipendenza. Le leggi votate dal parlamento italiano nel 1861-62 allo scopo di promuovere la soppressione delle Congregazioni religiose sarebbero state operanti anche nelle province venete. Il B. Scrosoppi, d'accordo con Mons. Casasola, eletto arcivescovo di Udine, della superiora generale, Madre Teresa Fabris, e con la licenza dell'arcivescovo di Gorizia, Mons. Gollmayer, per evitare la soppressione delle Suore della Provvidenza trasferì momentaneamente la casa madre a Cormons in territorio austriaco. Secondo la legislazione italiana le autorità civili avrebbero dovuto ridurre l'Opera delle Derelitte di Udine a "ente morale", ma il beato, che non tollerava l'ingerenza dei laici in essa, ottenne di dirigerla fino alla morte dandole uno statuto e rinunciando a favore di essa a tutti i suoi crediti.
Nonostante tanto ardore di carità, quando camminava per strada, il P. Luigi ogni tanto ebbe l'amarezza di sentirsi chiamare dai monelli "gobbo" o "sacco di carbone". Gli anticlericali del tempo, succubi della massoneria e del liberalismo imperante, si limitavano a chiamarlo "gesuita" per l'attaccamento che dimostrava a Pio IX e le offerte che gli faceva pervenire dopo la presa di Roma.
Di mano in mano che invecchiava il B. Scrosoppi non perdeva la sua abituale energia. Benché non fosse afflitto da particolari acciacchi volle prepararsi alla morte con un singolare noviziato. Propose difatti di obbedire in tutto "in foro esterno" alla maestra delle novizie. Nel 1880 impose a costei in virtù di santa obbedienza di visitarlo un certo numero di volte la settimana, di correggerlo aspramente dei difetti riscontrati in lui e di imporgli penitenze dure e umilianti il più possibile. Nel suo comportamento di novizio il beato fu ineccepibile, poté così mettere in pratica il terzo grado di umiltà da S. Ignazio espresso con queste parole: "Per imitare e assomigliare effettivamente al Signore, voglio e scelgo piuttosto povertà con Cristo povero che ricchezza; obbrobri con Cristo pieno di essi che onori; e desidero più di essere stimato stolto e pazzo per Cristo… che savio e prudente in questo mondo".
All'inizio del 1884 il B. Scrosoppi fu assalito da una dolorosa infermità: il pemfigo o dermatite bollosa a contenuto purulento. Il medico lo costrinse a spogliarsi del busto, della cintura di cilicio e dello scapolare lungo e largo di lana bianca e mettersi a letto. Fino alla morte fu assistito giorno e notte dal Sac. Luigi Costantini nel quale l'infermo aveva piena
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fiducia. Alla Madre generale, Maria Cecilia Piacentini, che era andata a visitarlo, fece coraggio dicendo: "Così è piaciuto al nostro buon Padre che è nei cieli, e così deve piacere anche a noi". Sembrava un lebbroso con tutto il corpo coperto da vesciche purulenti grosse come una nocciola.
Eppure, anche quando soffriva di più sia per le aridità di spirito e sia per la dermatite sospirava: "Buon per me, Signore, che mi hai umiliato. Tu sei il Santo, il Giusto, io un peccatore e meriterei l'inferno. Oh Maria, madre cara, aiutaci!". Congedava chi lo andava a trovare dicendo invariabilmente con letizia: "Arrivederci in paradiso!".
Prima della santa unzione, al morente, secondo la sua stessa affermazione, comparvero, per consolarlo, S. Anna, S. Maria Maddalena, Maria Cleofe e Maria Salome che in vita aveva sempre invocato. Negli ultimi giorni di esistenza tra l'altro disse alle sue figlie spirituali: "Amatevi! Vivete nella carità… Salvate le anime e salvatele con la carità… Vi prego di dire sempre: Morire sì, ma offendere Dio, no, no!". Colpito da paresi cerebrale, morì il 3-4-1884. Fu sepolto nella chiesetta di Orzano, ma dal 1952 le sue reliquie sono venerate nella cappella di S. Gaetano delle Suore della Provvidenza di Udine. Paolo VI il 12-6-1978 ne riconobbe l'eroicità delle virtù, e Giovanni Paolo II lo beatificò il 4-10 1981.
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 4, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 46-54
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