L’ORDINE SACRO (cc 1008-1054). I gradi dell’ordine sacro. Le vocazioni sacerdotali. La celebrazione. Il ministro. Gli ordinandi. I requisiti. Irregolarità e impedimenti. Documenti richiesti e scrutinio.
L’ORDINE SACRO
(cc 1008-1054)
Per divina istituzione, con il sacramento dell’ordine alcuni fedeli, mediante il carattere indelebile con il quale vengono segnati, sono consacrati ministri sacri e destinati a pascere il popolo di Dio, adempiendo nella persona di Cristo Capo, ciascuno nel suo grado, le funzioni di insegnare, santificare e governare (c 1008).
Gli ordini sono l’episcopato, il presbiterato e il diaconato, e vengono conferiti mediante l’imposizione delle mani e la preghiera consacratoria, che i libri liturgici prescrivono per i singoli gradi (c 1009).
La materia unica degli ordini del diaconato, del presbiterato e dell’episcopato, è l’imposizione delle mani; la forma unica sono le parole che determinano l’applicazione di questa materia, perché esprimono chiaramente gli effetti sacramentali, cioè il potere di ordine e di grazia dello Spirito (Pio XII, Sacramentum Ordinis, 30 novembre 1947).
La diaconia del Cristo servo, pastore, sacerdote e re, è il principio costitutivo ed esemplare dei ministeri ordinati.
La natura ministeriale della Chiesa si fonda sui principi:
— della sacramentalità della Chiesa. Cristo cioè e il suo mistero vive e perdura nella Chiesa; e la Chiesa non fa altro che rendere attuale questo mistero di salvezza mediante la Parola, il Sacrificio e i sacramenti, mentre riceve in sé la forza dello Spirito Santo e la vita del suo Signore da testimoniare nel mondo;
— della ecclesiologia di comunione, che configura la Chiesa articolata e servita da ministeri, distribuiti con varietà e larghezza nei suoi membri;
— della complementarità del sacerdozio comune di tutto il popolo di Dio e del sacerdozio dei ministri ordinati.
Il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico, quantunque differiscano essenzialmente e non solo di grado, sono tuttavia ordinati l’uno all’altro, poiché l’uno e l’altro, ognuno a suo proprio modo, partecipano dell’unico sacerdozio di Cristo (Lg 10).
I gradi dell’ordine sacro
II Vescovo, insignito della pienezza del sacramento dell’ordine, è l’economo della grazia del supremo sacerdozio, specialmente nell’eucaristia, che offre egli stesso o fa offrire, e della quale la Chiesa continuamente vive e cresce (Lg 26).
I Vescovi reggono le Chiese particolari a loro affidate, come vicari e legati di Cristo, col consiglio, la persuasione, l’esempio, ma anche con l’autorità e la sacra potestà, della quale però debbono servirsi per elevare il proprio gregge nella verità e nella santità. Questa potestà, che personalmente esercitano in nome di Cristo, è propria, ordinaria e immediata, quantunque il suo esercizio sia in ultima istanza sottoposto alla suprema autorità della Chiesa e, entro certi limiti, in vista del- l’utilità della Chiesa o dei suoi fedeli, possa essere circoscritta dalla Sede Apostolica (Lg 27).
I presbiteri, pur non possedendo l’apice del sacerdozio e dipendendo dai Vescovi nell’esercizio della loro potestà, sono tuttavia a loro congiunti per l’onore sacerdotale e in virtù del sacramento dell’ordine, ad immagine di Cristo, sommo ed eterno sacerdote, sono consacrati per predicare il Vangelo, pascere i fedeli e celebrare il culto divino, quali veri sacerdoti del Nuovo Testamento (Lg 27; cfr PO 2,6).
I sacerdoti, saggi collaboratori dell’ordine episcopale e suo aiuto e strumento, chiamati a servire il popolo di Dio, costituiscono col loro Vescovo un unico corpo sacerdotale, sebbene destinato a diversi uffici. Essi, sotto l’autorità del Vescovo, santificano e governano la porzione di gregge del Signore loro affidata e debbono portare il loro contributo al lavoro pastorale di tutta la diocesi, anzi, di tutta la Chiesa (Lg 28; cfr PO 8).
Con la potestà sacra, di cui il sacerdote è insignito, forma e regge il popolo sacerdotale, compie il sacrificio eucaristico in persona di Cristo e l’offre a Dio a nome di tutto il popolo, mentre i fedeli, in virtù del regale sacerdozio, concorrono all’oblazione dell’eucaristia, e lo esercitano col ricevere i sacramenti, con la preghiera e il ringraziamento, con la testimonianza di una vita santa, con l’abnegazione e l’operosa carità (Lg 10; cfr PO 5).
I diaconi sono costituiti in un grado inferiore della gerarchia e vengono loro imposte le mani per il ministero. Sostenuti dalla grazia sacramentale, nel ministero della liturgia, della predicazione e della carità, servono il popolo di Dio, in comunione col Vescovo e i suoi sacerdoti (Lg 29; cfr Ag 17).
L’ordine del diaconato può essere conferito come tappa al presbiteriato, ma anche come proprio e permanente grado della gerarchia (Lg 29).
Con il motu proprio Sacrum diaconatus ordinem del 18 giugno 1967, Paolo VI affidava alle Conferenze episcopali di determinare, con l’approvazione della Santa Sede, i tempi e i modi di restaurazione del diaconato permanente nella Chiesa latina.
La Conferenza episcopale italiana ha introdotto il diaconato permanente nella Chiesa italiana con il documento pastorale Restaurazione del diaconato permanente dell’8 dicembre 1971 e con le successive Norme e direttive del 21 aprile 1972.
Il Codice di Diritto Canonico prescrive che i candidati al diaconato permanente siano formati a condurre una vita evangelica e siano preparati a compiere nel debito modo i doveri propri dell’ordine;
— se sono giovani, dimorando almeno per tre anni in una casa specifica, a meno che per gravi ragioni il Vescovo diocesano non abbia disposto diversamente;
— se sono uomini di età più matura, sia celibi sia coniugati, mediante un progetto formativo della durata di tre anni, determinato dalla Conferenza episcopale (c 236).
Le vocazioni sacerdotali
È dovere di tutta la comunità cristiana promuovere le vocazioni affinché si possa convenientemente provvedere alle necessità di sacro ministero in tutta la Chiesa. Hanno questo dovere specialmente la famiglie cristiane, gli educatori e in modo particolare i sacerdoti, soprattutto i parroci.
I Vescovi diocesani, ai quali spetta in sommo grado curare la promozione delle vocazioni, debbono rendere consapevole il popolo loro affidato sull’importanza del ministero sacro e sulla necessità di ministri nella Chiesa, suscitare e sostenere le iniziative atte a favorire le vocazioni, soprattutto mediante le opere istituite a tale scopo (c 233, par 1).
Il problema delle vocazioni al sacerdozio interessa tutti coloro che sono Chiesa per il battesimo e perciò debbono fare propria la sua missione di salvezza nella realtà storica del presente e nella prospettiva del domani.
La pastorale vocazionale deve anzitutto essere consapevole del fatto che è Dio a chiamare e quindi che l’azione umana ha una funzione soltanto mediatrice: questo significa che ogni attività pastorale vocazionale è compiuta nell’ascolto più totale e rispettoso delle mozioni dello Spirito in un clima di ricerca della volontà del Padre, che libera dai condizionamenti umani e realizza l’uomo nella sua pienezza.
L’azione pastorale tiene anche conto del fatto che il dialogo vocazionale tra Dio e l’uomo prende l’avvio da segni ed eventi incarnati nella storia, che hanno la funzione di significare la proposta divina attraverso la mediazione della creatura specialmente dalle attese e dai bisogni della Chiesa e del mondo.
La vocazione poi è radicata nell’essere dell’uomo, quindi cresce con lui nella storia, per cui non è sufficiente la proposta iniziale, se poi questo germe non viene sostenuto da condizioni ambientali adatte (Cei, La preparazione al sacerdozio ministeriale [1972], n. 323).
Momenti essenziali dell’animazione vocazionale sono specialmente la preghiera e la catechesi. La preghiera nasce dalla consapevolezza che ogni chiamata è dono dello Spirito e insieme rappresenta la fedele risposta al comando di Gesù di pregare il padrone della messe (Mt. 9,38; Le 10,2).
L’attuale crisi di vocazioni sacerdotali e religiose è dovuta in gran parte all’errata e diffusa opinione che il problema sia di competenza quasi esclusivamente dei Vescovi e dei sacerdoti.
Il Concilio Vaticano II ha sottolineato il dovere di tutta la comunità di dare incremento alle vocazioni sacerdotali, anzitutto con una vita perfettamente cristiana (Ot 2).
A tale riguardo, il massimo contributo deve essere offerto tanto dalle famiglie, le quali — se animate da spirito di fede, di carità e di pietà — costituiscono come il primo seminario, quanto dalle parrocchie, della cui vita fiorente entrano a far parte gli stessi adolescenti.
A differenza dei tempi passati, vi sono oggi genitori che, pur dicendosi cristiani, ostacolano le scelte vocazionali dei propri figli. È, questo, un atteggiamento gravemente lesivo della libertà personale dei figli e che pregiudica il loro vero bene.
Contrastare i figli nelle loro legittime scelte di vita è abuso d’autorità e significa assumersi la responsabilità di facilmente prevedibili scelte sbagliate e perciò destinate a gravi e irreparabili fallimenti.
I sacerdoti, specialmente se in cura d’anime, sono i più diretti responsabili della pastorale vocazionale e quindi debbono avere la massima cura nel far comprendere ai fedeli, con il ministero della parola, la direzione spirituale e la propria testimonianza di una vita in cui si rifletta chiaramente lo spirito di servizio e la vera gioia pasquale, l’eccellenza e la necessità del sacerdozio (Ot 11).
L’esperienza attesta che un gran numero di sacerdoti deve la vocazione, dopo che a Dio, a un sacerdote che ha saputo aiutarli a scoprirla e ad assecondarla, con l’esempio di una vita gioiosamente consacrata a Dio, alla Chiesa e ai fratelli.
Ai Vescovi italiani, riuniti in assemblea generale, Giovanni Paolo II ha detto: “È indubbio che, se i giovani sono seguiti, assistiti, educati nella fede da sacerdoti che vivono degnamente il loro sacerdozio, sarà agevole individuare e scoprire quelli tra loro che sono chiamati ed aiutarli a camminare lungo la via dal Signore indicata” (16 maggio 1979).
L’ambiente più consono e favorevole alla promozione delle vocazioni sacerdotali e religiose è quello delle associazioni giovanili in quanto più disponibile all’ascolto e all’accoglienza della chiamata del Signore. Va anzi detto che le predette vocazioni sono sicura riprova della ecclesialità delle associazioni e della validità del cammino di fede che esse sì propongono e perseguono.
Il Signore, che vuole la salvezza di tutti gli uomini (1 Tm 2,4) per mezzo del ministero dei sacerdoti (Mt 28,20; 2 Cor 3,6), non farà mancare alla sua Chiesa i sacerdoti di cui ha bisogno se l’intera comunità e ciascun suo membro, secondo il proprio ruolo nella Chiesa, offrirà un permanente contributo di consapevolezza, di preghiera (Mt 9,38; Le 10,2) e di crescita autenticamente cristiana.
La celebrazione
L’ordinazione va celebrata durante la messa solenne, in giorno di domenica, o in una festa di precetto; ma per ragioni pastorali si può compiere anche in giorno feriale (c 1010).
Normalmente l’ordinazione si celebra nella chiesa
cattedrale; tuttavia, per ragioni pastorali, può essere celebrata in un’altra chiesa o oratorio.
All’ordinazione debbono essere invitati i chierici e gli altri fedeli, affinché vi partecipino nel maggior numero possibile (c 1011).
Le azioni liturgiche non sono infatti azioni private, ma celebrazioni della Chiesa, che è sacramento di unità, cioè popolo radunato e ordinato sotto la guida dei Vescovi, e perciò tali azioni appartengono all’intero Corpo della Chiesa, lo manifestano e lo implicano (SC 26).
E poiché, con le sacre ordinazioni, la Chiesa manifesta la sua continuità e vitalità nell’adempiere la missione salvifica affidatale da Cristo Gesù, è richiesta, per un titolo del tutto peculiare, la partecipazione dell’intera comunità diocesana, guidata dal Vescovo e dai presbiteri.
La liturgia degli ordini sacri richiede cioè la partecipazione del clero e del popolo fedele della diocesi.
Partecipando al rito delle ordinazioni, i chierici ravvivano la grazia della loro ordinazione e l’impegno di fedeltà alla propria vocazione di generoso servizio alla Chiesa ed ai fratelli; mentre i fedeli vengono efficacemente coinvolti nella vita della Chiesa e nel problema delle vocazioni sacerdotali e di speciale consacrazione.
Affinché la partecipazione dei fedeli alla liturgia delle ordinazioni sia veramente consapevole e fruttuosa, occorre un’adeguata preparazione della Chiesa diocesana e, in particolare, della comunità nella quale viene celebrato il rito.
Un triduo, almeno, di catechesi è quanto mai opportuno se si vuole che dall’evento ecclesiale dell’ordinazione si possano ricavare frutti veri e duraturi. Se invece i partecipanti alla celebrazione del rito non sono ben preparati, potranno riceverne emozioni, ma poco o nulla di più.
Il ministro
Ministro della sacra ordinazione è il Vescovo consacrato (c 1012).
Il Concilio di Trento ha definito come verità di fede che la potestà dei Vescovi di conferire gli ordini sacri è loro propria e non anche dei presbiteri, e che i Vescovi possono validamente conferire gli ordini anche senza il consenso del popolo o del potere civile (DS 1777).
A nessun Vescovo è lecito consacrare un altro Vescovo, se prima non consta del mandato pontificio e, se non è stata concessa dispensa dalla Sede Apostolica, il Vescovo consacrante principale deve associare a sé almeno due Vescovi consacranti ed è assai conveniente che tutti i Vescovi presenti consacrino l’eletto insieme ad essi (cc 1013-1014).
Ogni promovendo deve essere ordinato al presbiterato e al diaconato dal Vescovo proprio o con le sue legittime lettere dimissorie (c 1015).
Le lettere dimissorie, che cioè autorizzano un altro Vescovo a conferire i sacri ordini, possono essere inviate a qualsiasi Vescovo in comunione con la Sede Apostolica, eccettuato soltanto (a meno che non vi sia un indulto apostolico) un Vescovo di rito diverso dal rito del promovendo (c 1021).
Le lettere dimissorie possono essere revocate o limitate dallo stesso concedente o dal suo successore, ma una volta concesse non si estinguono se viene meno il diritto del concedente (c 1023).
Spetta al Superiore maggiore di un istituto religioso clericale di diritto pontificio o di una società clericale di vita apostolica di diritto pontificio concedere ai propri sudditi, ascritti secondo le costituzioni in modo perpetuo o definitivo all’istituto o alla società, le lettere dimissorie per il diaconato e per il presbiterato.
L’ordinazione di tutti gli altri alunni di qualsiasi istituto o società è retta dal diritto dei chierici secolari, revocato qualsiasi indulto concesso ai Superiori (c 1019).
Vescovo proprio, relativamente all’ordinazione diaconale di coloro che intendono essere ascritti al clero secolare, è il Vescovo della diocesi nella quale l’ordinando ha il domicilio, o della diocesi alla quale ha deciso di dedicarsi; relativamente all’ordinazione presbiterale dei chierici secolari, è il Vescovo della diocesi nella quale l’ordinando è stato incardinato, e cioè ascritto, con il diaconato (c 1016).
Gli ordinandi
Può essere validamente ordinato soltanto il battezzato di sesso maschile (c 1024),
Per conferire lecitamente gli ordini del presbiterato o del diaconato, si richiede che il candidato, compiuto il periodo di prova a norma di diritto, abbia le dovute qualità, a giudizio del Vescovo proprio o del competente Superiore maggiore; non abbia irregolarità o impedimenti; vi siano i documenti prescritti e abbia superato lo scrutinio o esame canonico di cui ai canoni 1050-1052, dei quali si dirà tra poco.
Si richiede inoltre che, a giudizio dello stesso legittimo superiore, il candidato sia utile per il ministero della Chiesa (c 1025).
Per procedere lecitamente all’ordinazione non è quindi sufficiente che l’aspirante abbia le qualità richieste dall’ordine sacro; ma occorre che il Vescovo lo giudichi utile al ministero e alle necessità della Chiesa particolare al cui servizio viene ordinato, anche se “il dono spirituale che i presbiteri ricevono nell’ordinazione non li prepara a una missione limitata e ristretta, bensì a una vastissima e universale missione di salvezza, fino agli ultimi confini della terra, dato che qualunque ministero sacerdotale partecipa della stessa ampiezza universale della missione affidata da Cristo agli Apostoli” (PO 10).
L’ordine sacro non è infatti un riconoscimento di qualità o di benemerenze, ma è chiamata del Vescovo a servire, con il sacro ministero, la Chiesa e i fratelli.
I requisiti
Chi viene ordinato deve godere della debita libertà, ed è assolutamente illecito costringere alcuno, in qualunque modo o per qualsiasi causa, a ricevere gli ordini o distogliere un candidato canonicamente idoneo dal riceverli (c 1026).
Gli aspiranti al diaconato e al presbiterato debbono essere accuratamente preparati e adeguatamente informati circa gli obblighi che assumono, ed essere ordinati soltanto se, per prudente giudizio del Vescovo proprio o del Superiore competente, hanno fede integra, retta intenzione, scienza debita, godono buona stima e sono dì integri costumi e di provata virtù, e sono dotati di tutte le altre qualità fisiche e psichiche congruenti con l’ordine da ricevere (cc 1027-1029).
Il giudizio sulla idoneità del candidato deve essere attentamente ponderato e positivamente fondato, in modo da non lasciare ragionevole spazio al dubbio. Tutto questo per tutelare il vero bene sia dell’aspirante agli ordini sacri sia della Chiesa.
Il presbiterato può essere conferito solo a chi ha compiuto 25 anni di età e possiede una sufficiente maturità, osservato inoltre l’intervallo di almeno sei mesi tra il diaconato e il presbiterato.
Coloro che sono destinati al presbiterato possono essere ammessi al diaconato soltanto dopo aver compiuto i 23 anni di età.
La dispensa superiore a un anno dall’età canonica è riservata alla Sede Apostolica (c 1031).
Gli aspiranti al presbiterato possono essere ordinati diaconi soltanto dopo aver compiuto il quinto anno del corso degli studi filosofici-teologici.
Completato il corso degli studi, il diacono deve partecipare, per un congrue tempo, alla cura pastorale esercitando l’ordine diaconale prima dì essere ordinato presbitero (c 1032).
Per essere ammesso lecitamente agli ordini sacri, occorre aver ricevuto il sacramento della confermazione (c 1033).
L’aspirante al diaconato o al presbiterato non deve essere ordinalo se non avrà ottenuto in antecedenza, mediante il rito liturgico dell’ammissione, l’ascrizione tra i candidati, fatta previa domanda, redatta e firmata personalmente e accettata per iscritto dalla medesima autorità. Non è tenuto a richiedere la medesima ammissione chi è stato cooptato in un istituto clericale mediante i voti (c 1034).
Il rito dell’ammissione tra i candidali al diaconato e al presbiterato si celebra quando consta che il loro proposito, convalidato dalle doti richieste, ha raggiunto una sufficiente maturazione.
È conveniente celebrare il rito dell’ammissione in cattedrale o nella chiesa parrocchiale dell’aspirante e con la partecipazione, ben preparata, della comunità e, possibilmente, del presbiterio diocesano, a significare l’importanza dell’evento vocazionale che interessa tutta la Chiesa diocesana.
Prima del diaconato, il candidato deve aver ricevuto i ministeri di lettore e accolito e averli esercitati per un congrue tempo. Tra il conferimento dell’accolitato e del diaconato deve intercorrere un periodo di almeno sei mesi (c 1035).
L’ufficio liturgico del lettore è la proclamazione delle letture nell’assemblea liturgica. Il lettore deve quindi curare la preparazione dei fedeli alla comprensione della parola di Dio ed educare nella fede i fanciulli e gli adulti.
L’ufficio liturgico dell’accolito è di aiutare il presbitero e il diacono nelle azioni liturgiche e di distribuire ed esporre, come ministro straordinario, l’Eucaristia.
Il lettorato e l’accolitato possono essere conferiti dall’autorità competente non solo agli aspiranti al presbiterato, come tappe e funzioni transitorie assorbite poi dal presbiterato; ma anche a laici idonei a prestare tali servizi alla comunità (cfr. i motu proprio Ministeria quaedam e Ad pascendum, del 15 agosto 1972, di Paolo VI; Ministeri nella Chiesa della Cei, 15 settembre 1973).
Per poter essere ammesso al diaconato o al presbiterato, il candidalo deve consegnare, al Vescovo proprio, una dichiarazione redatta e firmata personalmente, nella quale attesta che intende ricevere il sacro ordine spontaneamente e liberamente e che si dedicherà per sempre al ministero ecclesiastico (c. 1036), il promovendo al diaconato permanente, che non sia sposato, e così pure il promovendo al presbiterato, non possono essere ammessi all’ordine del diaconato se non hanno assunto, mediante il rito prescritto, pubblicamente, davanti a Dio e alla Chiesa, l’obbligo del celibato (c. 1037).
Con la verginità o il celibato osservato per il Regno dei cieli, i presbiteri si consacrano a Dio con un nuovo ed eccelso titolo, aderiscono più facilmente a Lui con un cuore non diviso (1 Cor 7,32-34), si dedicano più liberamente in Lui e per Lui al servizio di Dio e degli uomini, servono con maggiore efficacia il suo Regno e la sua opera di rigenerazione divina. In tal modo si dispongono meglio a ricevere una più ampia paternità in Cristo (PO 16).
La disciplina del celibato sacerdotale nella Chiesa latina, fermamente riaffermata dal Concilio Vaticano II, è stata ribadita dai più recenti insegnamenti magisteriali della Chiesa.
“Il sacro celibato dei presbiteri è una legge capitale della nostra Chiesa latina, abbandonarla o metterla in discussione non si può. Retrocedere sarebbe venir meno a una fedeltà di amore e di sacrificio che la nostra Chiesa latina, dopo consumala esperienza, con immenso coraggio e con angelica serenità, sì è imposta nello sforzo secolare di severa selezione e di perenne rinnovamento del suo ministero sacerdotale, dal quale poi dipende la vitalità di tutto il popolo di Dio” (Paolo VI, 1 febbraio 1970).
Nella lettera ai Vescovi e ai sacerdoti per il giovedì santo del 1979, Giovanni Paolo II scrive che la Chiesa latina collega il celibato alla vocazione al sacerdozio ministeriale “perché il celibato per il Regno non è soltanto un segno escatologico, ma ha anche un grande significato sociale nella vita presente per il servizio al popolo di Dio”.
Prima di ricevere l’ordine sacro, i candidati debbono attendere agli esercizi spirituali per almeno cinque giorni nel luogo e nel modo stabiliti dal Vescovo diocesano (c. 1039).
Irregolarità e impedimenti
Non debbono essere ammessi agli ordini sacri coloro che sono affetti da qualche impedimento sia perpetuo, che è denominato irregolarità, sia semplice (c. 1040).
a) È irregolare a ricevere gli ordini sacri;
1° chi è affetto da qualche forma di pazzia o da altra infermità psichica, per la quale, consultati i periti, viene giudicato inabile a svolgere nel modo appropriato il ministero;
2° chi ha commesso il delitto di apostasia, eresia o scisma;
3° chi ha attentato al matrimonio anche soltanto civile, o perché lui stesso è impedito da vincolo matrimoniale o da ordine sacro o da voto pubblico perpetuo di castità dal contrarre il matrimonio, oppure ha attentato il matrimonio con una donna sposata validamente o legata dallo stesso voto;
4° chi ha commesso omicidio volontario o ha procurato l’aborto, ottenuto l’effetto, e tutti coloro che vi hanno cooperato positivamente;
5° chi ha mutilato gravemente o dolosamente se stesso o un altro o chi ha tentato di togliersi la vita;
6° chi ha posto un atto di ordine riservato a coloro che sono costituiti nell’ordine dell’episcopato o del presbiterato, o essendone privo o avendo la proibizione del suo esercizio in seguito a pena canonica dichiarata o inflitta (c. 1041).
b) È semplicemente impedito di ricevere gli ordini, sino a quando cioè l’impedimento permane:
1° L’uomo sposato, a meno che non sia legittimamente destinato al diaconato permanente;
2° chi esercita un ufficio o un’amministrazione vietata ai chierici e di cui deve rendere conto, fino a che, abbandonato l’ufficio e l’amministrazione e fatto il rendiconto, è divenuto libero;
3° il neofita, a meno che, a giudizio dell’Ordinario, non sia stato sufficientemente provato (c. 1042).
I fedeli sono tenuti all’obbligo di rivelare gli impedimenti ai sacri ordini, se ne sono a conoscenza, all’Ordinario o al parroco, prima dell’ordinazione (c. 1043).
c) È irregolare a esercitare gli ordini ricevuti:
1° colui che, mentre era impedito da irregolarità a ricevere gli ordini, li ha ricevuti illegittimamente;
2° colui che ha commesso il delitto di apostasia, eresia o scisma, se il delitto è pubblico;
3° colui che ha commesso uno dei delitti di cui sopra, al can. 1041, nn. 3, 4, 5, 6.
È impedito a esercitare gli ordini:
1° colui che, trattenuto da impedimenti per ricevere gli ordini, li ha ricevuti illegittimamente;
2° colui che è affetto da pazzia o da altre infermità psichiche di cui sopra al can. 1041, n. 1, fino a che l’Ordinario, consultato il perito, non avrà consentito l’esercizio del medesimo ordine (1044).
L’ignoranza delle irregolarità e degli impedimenti non esime dai medesimi.
Le irregolarità e gli impedimenti si moltiplicano a seconda delle loro diverse cause, non però per ripetizione della stessa causa, a meno che non si tratti dell’irregolarità da omicidio volontario o da procurato aborto, ottenuto l’effetto (cc 1045-1046).
d) La normativa circa le dispense dalle irregolarità e impedimenti da parte della Santa Sede e degli Ordinari è statuita nei cc 1047-1049.
Documenti richiesti e scrutinio
Per essere ammesso ai sacri ordini si richiedono i seguenti documenti: certificato degli studi compiuti a norma del canone 1032 sopra citato e del diaconato ricevuto se si tratta di ordinandi al presbiterato; se invece si tratta di promovendi al diaconato, occorre il certificato di battesimo e dì confermazione e dell’avvenuta ricezione dei ministeri del lettorato e dell’accolitato, e inoltre, se il candidato al diaconato permanente è sposato, i certificati di matrimonio e del consenso della moglie (c 1050).
Per quanto riguarda lo scrutinio circa le qualità richieste nell’ordinando, occorre vi sia l’attestato del rettore del Seminario sulle qualità richieste per ricevere l’ordine, e cioè la retta dottrina, la pietà autentica, i buoni costumi, l’attitudine ad esercitare il ministero, ed inoltre, dopo una diligente indagine, un documento sul suo stato di salute sia fisica sia psichica.
Il Vescovo diocesano può avvalersi anche di altri mezzi che ritiene utili ad accertare l’idoneità del candidato (c. 1051).
Per poter procedere all’ordinazione, il Vescovo deve essere documentato e certo dell’idoneità del candidato all’ordinazione.
Se, nonostante lo scrutinio e altri utili mezzi, il Vescovo per precise ragioni dubita che il candidato sia idoneo a ricevere gli ordini, non lo può ammettere all’ordine sacro (c. 1052).
Con coscienza dubbia, infatti, non è mai moralmente lecito porre atti o prendere decisioni, tanto meno nel caso che essi, come nel caso delle sacre ordinazioni, abbiano gravi conseguenze per il candidato o per la comunità.
Compiuta l’ordinazione, i nomi dei singoli ordinati e del ministro ordinante, il luogo e il giorno dell’ordinazione, debbono essere annotati nell’apposito libro da custodirsi diligentemente nella Curia del luogo dell’ordinazione. Tutti i documenti delle singole ordinazioni debbono essere accuratamente conservati.
A ciascun ordinato deve essere consegnato un certificato dell’ordinazione ricevuta (c. 1053).
L’Ordinario del luogo deve comunicare la notizia di ciascuna ordinazione celebrata al parroco del luogo del battesimo dell’ordinato perché sia annotata nel libro parrocchiale dei battezzati (c. 1054).