Sacramenti e Codice di Diritto Canonico (5)

LA PENITENZA  (cc. 959-997). La celebrazione. Il ministro. I peccati riservati. L’esercizio del ministero. Il penitente. La confessione dei fanciulli. La confessione frequente. Le indulgenze (cc 992-997) 

 

Nel sacramento della penitenza, i fedeli che confessano i peccati al ministro legittimo, se contriti e con il proposito di emendarsi, ottengono il perdono da Dio, mediante l’assoluzione impartita dallo stesso ministro, dei peccati commessi dopo il loro battesimo e vengono contemporaneamente riconciliati con la Chiesa che, peccando, hanno ferito (c. 959).

La celebrazione
La confessione individuale e integra e l’assoluzione costituiscono l’unico modo ordinario con cui il fedele, consapevole di peccato grave, è riconciliato con Dio e con la Chiesa.
Soltanto l’impossibilità fisica o morale può scusare da questo tipo ordinario di confessione, nel qual caso la riconciliazione si può ottenere anche in altri modi (c. 960).
Il Rito della Penitenza, promulgato dalla Congregazione per il Culto divino in data 2 dicembre 1973, prevede tre forme rituali per la celebrazione del sacramento della confessione:

1) Riconciliazione dei singoli penitenti (15-21): è la forma abituale dei secoli più recenti.
2) Riconciliazione di più penitenti con la confessione e l’assoluzione individuale: è la forma introdotta dopo il Concilio Vaticano II.
La confessione individuale ha spesso indotto i fedeli a considerare il sacramento della penitenza come un rapporto esclusivamente personale con la misericordia di Dio, senza riferimenti alla Chiesa e ai fratelli.
La celebrazione comunitaria della penitenza presenta valori ecclesiali di grande rilievo, in quanto evidenzia l’aspetto comunitario del sacramento che comporta la riconciliazione anche con la Chiesa e i fratelli.
I penitenti ascoltano tutti insieme la parola di Dio, che proclama la sua misericordia e li invita alla conversione, confrontano la loro vita con la parola stessa e si aiutano a vicenda con la preghiera.
Dopo che ognuno ha confessato i propri peccati e ha ricevuto l’assoluzione, tutti insieme lodano Dio per le meraviglie da lui compiute a favore del suo popolo, che egli si è acquistato col Sangue del suo Figlio (Rito…, 22).
La celebrazione comunitaria della riconciliazione sacramentale richiede un’accurata catechesi, adeguata preparazione e un sufficiente numero di sacerdoti disponibili, anche per non dover eccessivamente prolungare il tempo della celebrazione.
Per tutti questi motivi, la celebrazione comunitaria della penitenza non può essere esclusiva; ma deve essere riservata ai tempi liturgici più forti (Quaresima, Avvento, ecc.) e a particolari circostanze.
3) Riconciliazione di più penitenti con la confessione e l’assoluzione generale (31-35).
L’assoluzione a più penitenti insieme, senza la previa confessione individuale dei peccati, può essere impartita in modo generale quando si verifichi:
— un imminente pericolo di morte, e al sacerdote o ai sacerdoti non basti il tempo per ascoltare le confessioni dei singoli penitenti;
— una grave necessità; quando cioè per il gran numero di penitenti mancano confessori sufficienti per la confessione individuale e, senza loro colpa, i fedeli si troverebbero costretti a rinviare per molto tempo l’assoluzione e la sacra comunione.
Tale stato di necessità non si verifica quando non possono essere a disposizione i confessori in occasione di solennità o di pellegrinaggi con grande affluenza di penitenti.
Spetta al Vescovo diocesano, d’intesa con gli altri membri della Conferenza episcopale, determinare quali siano i casi di necessità che consentono l’assoluzione generale dei penitenti (c. 961).
La Conferenza episcopale italiana giudica che attualmente non si verificano casi di necessità tali da autorizzare l’assoluzione generale, e pertanto è proibito ai sacerdoti farvi ricorso al di fuori dei casi di emergenza con pericolo di morte, come è previsto dal diritto comune.
Affinché il fedele possa validamente fruire dell’assoluzione impartita simultaneamente a più persone, si richiede che non solo sia ben disposto, ma che abbia il proposito di ricorrere all’accusa personale dei singoli peccati gravi appena gli sarà possibile.
I fedeli debbono essere istruiti, e se possibile anche nell’occasione di ricevere l’assoluzione generale, sulla necessità della contrizione e sul grave dovere della successiva accusa individuale dei singoli peccati gravi (c. 962).
In mancanza del dolore e della detestazione del peccato, sia grave sia veniale, nessun peccato può essere perdonato, neppure con la confessione sacramentale.
Il dolore e la detestazione del peccato, con il proposito di non più peccare, possono avere due gradi; l’uno più perfetto, e cioè la contrizione; l’altro meno perfetto dell’attrizione.
La contrizione nasce dall’amore disinteressato di Dio nostro Padre e ci porta a volere la gloria di Dio e quindi a detestare il peccato che lo priva della gloria esterna cui ha diritto, e a rattristarsene. La contrizione ha per motivo supremo ed esclusivo Dio, pienezza di perfezione, degno di essere amato, senza alcun riguardo al nostro benessere e tornaconto.
L’attrizione nasce parimenti da un motivo soprannaturale ma inferiore al motivo dell’amore perfetto. Tale motivo può essere il timore delle pene nella vita presente o futura che Dio giusto giudice infligge per le trasgressioni della sua legge; la deformità del peccato in quanto è ingratitudine, disobbedienza e offesa a Dio Signore, Padre, benefattore, ecc.
Colui al quale sono stati rimessi i peccati gravi mediante l’assoluzione generale, non solo è tenuto a confessarsi individualmente appena possibile, ma, se non interviene una giusta causa, non può ricevere un’altra assoluzione generale (c. 963).
Il luogo proprio per ricevere le confessioni sacramentali è la chiesa o l’oratorio.
Per quanto riguarda la sede delle confessioni, compete alle Conferenze episcopali stabilire le norme, garantendo però che i confessionali si trovino sempre in un luogo ben visibile, provvisti di una grata fissa tra confessore e penitente, cosicché i fedeli che lo desiderano possano liberamente servirsene.
È vietato ricevere le confessioni sacramentali fuori del confessionale, se non per giusta causa (c. 904).
Il confessionale con la grata fissa, tra confessore e penitente, risponde, specialmente nel caso delle confessioni delle donne, a evidenti esigenze psicologiche, di carità e di prudenza.
Non si comprende come, proprio in sede di confessione dei peccati, si possa ignorare l’esistenza del peccato originale, con tutte le sue conseguenze, sia nel penitente sia nel confessore.
Il sacerdote confessore non creda facilmente al penitente che dice di preferire la confessione vis-a-vis: è un’affermazione alla quale il più delle volte non corrisponde un’intima convinzione.
“II confessionale, in quanto diaframma protettivo fra il ministro e il penitente, per garantire l’assoluto riserbo della conversazione loro imposta e loro riservata, deve rimanere. Si può ricordare, ad esempio, ciò che scrive Guitton circa un singolare sacerdote, maestro di spirito, pensatore finissimo, l’Abbé Guillaume Pouget, lazzarista, al quale andava facilmente ogni genere di persone, spesso rinomate e altolocate; andava nella sua stanza e spesso si confessava, perché era cieco” (Paolo VI, 3 aprile 1974).
La riconciliazione dei penitenti si può celebrare in qualsiasi tempo e giorno.
È bene però che i fedeli sappiano i giorni e le ore in cui il sacerdote è disponibile, in chiesa, per il ministero delle confessioni.
S’inculchi nei fedeli l’abitudine di accostarsi al sacramento della confessione fuori della celebrazione della messa, e preferibilmente in ore stabilite (Rito della penitenza, 13; cfr. Euch. myst., 35).
I giorni e le ore più indicate per il ministero delle confessioni sono le ore del pomeriggio dei giorni precedenti le feste di precetto e il vespro dei venerdì.
Se i sacerdoti in cura d’anime sono perseveranti nel trovarsi in chiesa nelle ore e nei giorni stabiliti per le confessioni, i fedeli si avvarranno via via della disponibilità che viene offerta di accostarsi al sacramento della riconciliazione senza quella frettolosità che caratterizza le confessioni negli intervalli o nel corso delle messe festive, e che pregiudica la fruttuosa celebrazione del sacramento.
Nel ministero delle confessioni si dedichi sufficiente spazio di tempo e premurosa disponibilità ai singoli penitenti, soprattutto quando si tratta di fedeli i quali raramente, o poco preparati, accedono al sacramento della riconciliazione con Dio e con la Chiesa.
Le vesti da usarsi dal sacerdote nel ministero delle confessioni sono la veste talare con cotta e stola oppure il camice con stola o, almeno, la veste talare con stola, secondo le norme del diritto particolare (Rito…, 14,39).
La veste liturgica è richiesta per tutte le celebrazioni liturgiche, e perciò non deve mancare nella celebrazione del sacramento della penitenza; essa aiuta il penitente a celebrare con spirito di fede il sacramento e a vedere in chi assolve non una persona qualsiasi, ma Cristo stesso, presente e operante nel suo ministro.

Il ministro
Ministro del sacramento della penitenza è il solo sacerdote. Per la valida assoluzione dei peccati si richiede che il ministro, oltre alla potestà di ordine sacro, abbia la facoltà di esercitarla sui fedeli ai quali imparte l’assoluzione.
Il sacerdote può essere dotato di questa facoltà o per il diritto stesso o per concessione fatta dalla competente autorità (cc 965-966).
La facoltà di ricevere le confessioni sacramentali è richiesta per la validità del sacramento. Chi, non potendo dare validamente l’assoluzione, tenta di impartirla oppure ascolta la confessione sacramentale, incorre ipso facto nella pena dell’interdetto e, se chierico, della sospensione (c. 1378).
Ipso jure hanno facoltà di ricevere ovunque le confessioni sacramentali dei fedeli, oltre al Sommo Pontefice, anche i Cardinali; così i Vescovi, i quali se ne avvalgono lecitamente ovunque, a meno che, in un caso particolare, il Vescovo diocesano non ne abbia fatto divieto.
Coloro che hanno la facoltà di ricevere abitualmente le confessioni sia in forza dell’ufficio, sia in forza della concessione dell’Ordinario del luogo di incardinazione o del luogo nel quale hanno il domicilio, possono esercitare la stessa facoltà ovunque, a meno che l’Ordinario del luogo, in un caso particolare, non ne abbia fatto divieto (c. 967).
In forza dell’ufficio, nell’ambito della loro giurisdizione, hanno facoltà di ricevere le confessioni l’Ordinario del luogo, il canonico penitenziere, il parroco e chi ne fa le veci (c. 968).
Soltanto l’Ordinario del luogo è competente a conferire a qualunque sacerdote la facoltà di ricevere le confessioni sacramentali di tutti i fedeli; tuttavia i presbiteri che sono membri degli istituti religiosi non ne usino senza la licenza almeno presunta del proprio Superiore.
Il Superiore dì un istituto religioso o di una società di vita apostolica (cfr c. 968, par 2) è competente a conferire a qualunque presbitero la facoltà di ricevere le confessioni sacramentali dei suoi sudditi e degli altri che vivono giorno e notte nella casa (c. 969).
La facoltà di ricevere le confessioni non deve essere concessa se non a presbiteri che sono stati riconosciuti idonei mediante un esame, oppure la cui idoneità consti da altra fonte (c. 970).
L’idoneità dei novelli sacerdoti ad esercitare il ministero delle confessioni sacramentali viene accertala con apposito esame. Ma l’idoneità viene meno se il sacerdote non si premura di dedicarsi costantemente allo studio della teologia morale.
Con il trascorrere del tempo, infatti, non soltanto si attenua la memoria della scienza acquisita negli anni di preparazione al sacerdozio, ma la tematica e la problematica dei comportamenti umani diventano più complesse a motivo del progresso delle scienze sacre e profane e del cambiamento delle situazioni familiari, professionali e sociali, soggette alla lettura e interpretazione, quasi sempre moralmente negative, del costume e della cultura corrente.
Allo studio personale, che difficilmente va esente dal rischio del soggettivismo, deve associarsi lo studio fatto in comune negli incontri periodici del clero, secolare e regolare, sollecitati e prescritti dal codice (c. 279), i quali favoriscono l’aggiornamento della conoscenza teologica e l’esatta risposta ai problemi e quesiti, spesso ardui, che i penitenti pongono al sacerdote confessore.
L’Ordinario del luogo non conceda la facoltà di ricevere abitualmente le confessioni a un presbitero, anche se ha il domicilio o il quasi domicilio nel territorio della propria giurisdizione, se prima non avrà udito, per quanto possibile, l’Ordinario dello stesso presbitero (c. 971).
La facoltà di ricevere le confessioni può essere concessa per un tempo sia indeterminato, sia determinato. La facoltà di ricevere abitualmente le confessioni sia concessa per iscritto (cc 972-973).
L’Ordinario del luogo o il Superiore competente non revochino la facoltà concessa per ricevere abitualmente le confessioni, se non per grave causa.
Una volta revocata la facoltà dell’Ordinario del luogo che l’aveva concessa, il sacerdote la perde per ogni altro luogo; se invece gli viene revocata dall’ordinario di un altro luogo, la perde soltanto entro il territorio di questo Ordinario (c. 974).
Oltre che per revoca, la facoltà di ricevere le confessioni sacramentali in forza dell’ufficio o della concessione dell’Ordinario del luogo di incardinazione o di domicilio, cessa con la perdita dell’ufficio o con l’escardinazione o con la perdita del domicilio.
Ogni sacerdote, anche se privo della facoltà di ricevere le confessioni, assolve validamente e lecitamente tutti i penitenti che si trovano in pericolo di morte, anche quando sia presente un sacerdote approvato per le confessioni (c. 976).

I peccati riservati
Non ogni sacerdote può assolvere da qualsiasi peccato; vi sono infatti peccati che, per la loro particolare gravità, sono riservati alla Sede Apostolica o all’Ordinario del luogo.
È riservata alla Sede Apostolica l’assoluzione di chi profana le specie consacrate (c. 1367); di chi usa violenza fisica contro il Romano Pontefice (c. 1370); del sacerdote che, anche se invalidamente (c. 977), assolve il complice in peccato turpe (c. 1378); del Vescovo che senza mandato pontificio consacra qualcuno Vescovo e di chi da esso ricevette la consacrazione (c. 1382); del confessore che viola direttamente il sigillo sacramentale (c. 1388).
All’Ordinario del luogo è riservata l’assoluzione dal peccato dell’aborto procurato ed effettuato (c. 1398) e dai peccati che si riserva o gli sono riservati dal diritto comune.
Al Penitenziere, sia della chiesa cattedrale sia della chiesa collegiale, compete la facoltà ordinaria, ma non delegabile, di assolvere in foro sacramentale dalle censure  latae sententiae non dichiarate, non riservate alla Sede apostolica (c. 508).
Il sacerdote confessore può rimettere in foro interno sacramentale la censura “latae sententiae” di scomunica o d’interdetto, non dichiarata, se al penitente sia gravoso rimanere in stato di peccato grave, per il tempo necessario a che il Superiore competente provveda (c. 1357, par 1).
Il confessore nel concedere la remissione deve imporre al penitente l’onere di ricorrere entro un mese, sotto la pena di ricadere nella censura, al Superiore competente o a un sacerdote provvisto della facoltà, e di attenersi alle sue decisioni; intanto deve imporre una congrua penitenza e la riparazione, nella misura in cui ci sia urgenza, dello scandalo e del danno. Il ricorso può essere fatto anche tramite il confessore, senza però fare menzione del nome del penitente (c. 1357, par 2).
Allo stesso onere di ricorrere sono tenuti, dopo essersi ristabiliti in salute, coloro che sono stati assolti in pericolo di morte (c. 976) da una censura inflitta o dichiarata, oppure riservata alla Sede apostolica (c. 1357, par. 3).
Incorre nella riserva del peccato, stabilita dalla legge o dal precetto, chi deliberatamente ha violato la legge o il precetto. Posta la violazione esterna, l’imputabilità si presume, salvo che non risulti altrimenti (cfr. cc 15, par 2; 1321 ss).

L’esercizio del ministero
Il sacerdote ricordi che nel ministero delle confessioni svolge un compito di giudice e di medico, e di essere stato costituito da Dio ministro della divina giustizia e misericordia perché promuova l’onore di Dio e la salvezza delle anime.
Il confessore, in quanto ministro della Chiesa, nell’amministrazione del sacramento aderisca fedelmente alla dottrina del Magistero e alle norme della competente autorità (c. 978), senza mai indulgere a opinioni personali o che sono materia di ricerca o di discussione teologica.
Per poter adempiere bene e fedelmente il ministero, il confessore deve sapere distinguere le malattie dell’anima per apportarvi i rimedi adatti, ed esercitare con saggezza il suo compito di giudice. Deve inoltre, con uno studio assiduo, sotto la guida del sacro Magistero e soprattutto con la preghiera, procurarsi la scienza e la prudenza necessarie a questo scopo (Rito della penitenza, 10).
Nel porre le domande, il confessore proceda con prudenza e discrezione, avendo riguardo anche della condizione e dell’età del penitente, e si astenga dall’indagare sul nome del complice (c. 979) e dalle domande minuziose e inutili specialmente sul sesto comandamento del Decalogo.
Se il confessore non ha fondati dubbi sulle disposizioni del penitente e questi chiede l’assoluzione, non gliela neghi né la differisca (c. 980); ma non può impartire l’assoluzione se non ha fondati motivi per giudicare il penitente sinceramente pentito.
A seconda della qualità e del numero dei peccati, e tenuto conto della condizione del penitente, il confessore imponga salutari e opportune soddisfazioni (satisfactiones), che il penitente è tenuto ad adempiere personalmente (c. 981).
La vera conversione si completa e si manifesta con la soddisfazione, cioè con le opere buone imposte dal confessore al penitente per i peccati commessi e con l’emendamento della vita e la riparazione dei danni arrecati alla gloria di Dio, alla Chiesa e ai fratelli.
Il genere e la qualità della soddisfazione si devono commisurare a ogni penitente, in modo che ognuno ripari nel settore in cui ha mancato e curi il suo male con una medicina appropriata ed efficace.
La pena deve quindi essere davvero un rimedio del peccato e tale da trasformare in qualche modo la mentalità e la vita (Rito della penitenza, 6). Imporre solo e in ogni caso la recita di alcune preghiere, non sempre giova a valorizzare il sacramento e a promuovere la conversione a vita nuova in Cristo.
Al penitente che si accusa, per esempio, di aver calunniato il prossimo, il confessore può certamente imporre la recita di una o più corone del Rosario o il pellegrinaggio a un lontano santuario; ma la “soddisfazione” sarà più salutare se al penitente viene prescritto, oltre che la doverosa riparazione del danno arrecato, qualche opera di carità spirituale o materiale.
Il sigillo o segreto sacramentale è inviolabile, e pertanto non è assolutamente lecito al confessore tradire anche solo in parte il penitente con parole o in qualunque altro modo e per qualsiasi causa.
All’obbligo di osservare il segreto sono tenuti anche l’interprete per la confessione, se c’è, e tutti gli altri ai quali in qualunque modo sia giunta notizia dei peccati dalla confessione (c. 983).
Il confessore che viola direttamente il segreto sacramentale incorre ipso facto nella scomunica riservata alla Sede Apostolica; se lo viola indirettamente deve essere punito proporzionalmente alla gravità del delitto (c. 1388).
La violazione diretta del segreto sacramentale si ha quando si manifesta la materia del segreto, insieme con la persona del penitente senza il suo consenso.
Non importa che il penitente sia conosciuto o sconosciuto da chi ascolta la rivelazione del segreto, e che rimanga sempre sconosciuto.
La violazione del segreto è indiretta, quando da un racconto o da una espressione può nascere il pericolo che qualcuno venga a conoscere qualche oggetto del segreto sacramentale e la persona del penitente.
È assolutamente proibito al confessore far uso della scienza di confessione, con aggravio del penitente, anche escluso qualsiasi pericolo di rivelazione.
Colui che è costituito in autorità ed ha avuto notizia dei peccati in una confessione ricevuta in qualunque momento, non può avvalersene in nessun modo per il governo esterno (c. 984).
Il maestro dei novizi e il suo aiutante, il rettore del seminario o di un altro istituto di educazione, non ascoltino le confessioni sacramentali dei propri alunni, che dimorano nella stessa casa, a meno che gli alunni in casi particolari non lo chiedano spontaneamente (c. 985).
Tutti coloro cui è demandata in forza dell’ufficio la cura delle anime sono tenuti all’obbligo di provvedere che siano ascoltate le confessioni dei fedeli a loro affidati, che ragionevolmente lo chiedano, e che sia ad essi data l’opportunità di accostarsi alla confessione individuale, stabiliti, per loro comodità, giorni e ore.
In caso di urgente necessità ogni confessore è tenuto all’obbligo di ricevere le confessioni sacramentali dei fedeli; in pericolo di morte del penitente, vi è tenuto qualunque sacerdote (c. 986).
La necessità è senz’altro urgente, e il relativo dovere del confessore è grave, quando si tratta di fedeli in pericolo di morte. Negli altri casi la gravita del dovere di prestarsi al ministero delle confessioni è da valutare in base all’ufficio pastorale del sacerdote e alle necessità del richiedente che possono essere urgenti quando, per esempio, si tratta di fedeli in procinto di celebrare sacramenti che esigono lo stato di grazia, come la confermazione, il matrimonio, ecc., oppure di fedeli i quali da lungo tempo non si accostano al sacramento della penitenza.
In concreto, i sacerdoti, qualsiasi possa essere il loro ministero o ufficio, se sono abilitati alle confessioni sacramentali e ne sono richiesti, non possono rifiutarsi, senza colpa più o meno grave, dall’ascoltare le confessioni sacramentali, eccetto il caso di legittimo impedimento.
La consapevolezza di essere ministri della grazia e della salvezza rende i sacerdoti non soltanto disponibili, ma desiderosi di prestarsi al ministero delle confessioni sacramentali, che sono mezzo particolarmente necessario o utile perché i fedeli rimangano e progrediscano nel cammino della fede e della santità.

Il penitente
Per ricevere il salutare rimedio del sacramento della penitenza, il fedele deve essere disposto in modo tale che, ripudiando i peccati che ha commesso e avendo il proposito di emendarsi, si converta a Dio (c. 987).
Essenziale e importantissima è la parte del penitente nella celebrazione del sacramento. Quando, debitamente preparato e pentito, confessa i suoi peccati, egli si inserisce, con i suoi atti, nella celebrazione del sacramento, che si compie con l’assoluzione impartita dal sacerdote.
In tal modo il fedele, mentre fa della sua vita l’esperienza della misericordia di Dio e la proclama, celebra con il sacerdote la liturgia della Chiesa, che continuamente si converte e si rinnova (Rito della penitenza, 11).
Il fedele è tenuto all’obbligo di confessare, secondo la specie e il numero, tutti i peccati gravi commessi dopo il battesimo, non ancora direttamente perdonati dalla Chiesa e non ancora accusati nella confessione individuale, dei quali abbia conoscenza dopo un diligente esame.
Si raccomanda però di confessare anche i peccati veniali (c. 988).
Ogni fedele, raggiunta l’età della discrezione, è tenuto all’obbligo di confessare i propri peccati gravi, almeno una volta nell’anno (c. 989).
Il precetto della confessione almeno annuale è in vigore in tutta la Chiesa sin dal Concilio Lateranense IV del 1215 (DS 812).
Il Concilio di Trento ha definito come verità di fede che la confessione sacramentale è di istituzione divina ed è necessaria alla salvezza per chi ha commesso peccati gravi dopo il battesimo (DS 1706).
Poiché l’accusa dei peccati deve essere integra e cioè comprendere tutti i peccati gravi, secondo la specie e il numero, per il penitente è doveroso un accurato esame di coscienza, alla luce della parola di Dio, del Magistero della Chiesa e dei propri doveri.
Quando il confessore ritiene che il penitente non abbia fatto precedere all’accusa un adeguato esame di coscienza, è suo dovere aiutarlo ad integrare l’accusa. È un compito che il confessore deve adempiere con discrezione e prudenza, adattando le domande ai singoli penitenti, in modo che ne ricevano salutare aiuto ed edificazione.
Il confessore deve essere di aiuto ai penitenti soprattutto nell’esaminarsi sui peccati dei quali di solito meno si preoccupano, quali, per esempio, contro la giustizia e la carità sia in opere sia per colpevoli trascuratezze e omissioni.

La confessione dei fanciulli
Per quanto riguarda l’obbligo dei fanciulli di confessarsi quando hanno raggiunto l’uso di ragione, è da ricordare il decreto Quam singulari di S. Pio X, che abbiano riferito allorché si è detto della prima comunione dei fanciulli.
Le Congregazioni per i sacramenti e il culto divino, e per il clero, con la Dichiarazione congiunta del 24 maggio 1974, hanno confermato la consuetudine di far precedere la confessione alla prima comunione dei fanciulli, secondo la norma stabilita da S. Pio X. Con la successiva Dichiarazione del 20 maggio 1977 hanno proibito gli esperimenti pastorali di far ricevere la prima comunione senza la previa confessione sacramentale.
Tale disciplina era stata ribadita nell’addendum al Direttorio catechistico generale, pubblicato l’11 aprile 1971 dalla Congregazione per il clero, e nel quale è confermato che i sacramenti della confessione e della comunione eucaristica debbono essere ricevuti all’età della discrezione, e cioè verso il settimo anno di età. Da quell’età sorge l’obbligo dì adempiere il duplice precetto della confessione e della comunione almeno una volta nell’anno (cfr. c. 11).
All’età della discrezione il fanciullo ha il diritto di ricevere entrambi i sacramenti della penitenza e della comunione. Sarebbe una discriminazione ingiusta, e violazione della coscienza del fanciullo ammetterlo soltanto alla comunione eucaristica.
La pratica catechistica comprova la grande utilità e il benefico influsso che la confessione sacramentale dei fanciulli, convenientemente preparata e adattata alla loro mentalità e sensibilità, esercita per tutta la loro vita.
È opportuno che la prima confessione preceda di qualche mese la prima comunione e che poi sia ripetuta nelle settimane che precedono la messa di prima comunione.
La catechesi deve mettere in grado il fanciullo di accedere alla confessione con animo sereno e nella consapevolezza di realizzare un incontro di grazia e di gioia con l’amore paterno e misericordioso di Dio.
Affinché i fanciulli possano convenientemente prepararsi alla prima confessione sacramentale senza trepidazione e ansietà alcuna, ma con animo quieto e sereno, il parroco ricorra alla preziosa collaborazione di idonei catechisti e, in particolare, delle mamme dei fanciulli stessi.
Atteso però che le mamme non raramente mancano di formazione e preparazione adeguate al compito da adempiere, il parroco le convochi per alcuni incontri, con i quali provvedere alla loro previa catechesi.
Il ministero della confessione dei fanciulli richiede particolare premura, disponibilità, delicatezza e intuizione. Si tenga presente che nelle anime ancora innocenti fa più presa l’amore di Dio che il timore dei suoi castighi.
L’impegno di evitare e di detestare il peccato, anche veniale, riesce quasi spontaneo al fanciullo se gli si fa capire l’amore paterno di Dio che trova la manifestazione più convincente nella passione e morte di Gesù suo Figlio Unigenito e nostro fratello e amico.

La confessione frequente
La confessione sacramentale, necessaria per la remissione dei peccati gravi, è molto utile per cancellare i peccati veniali, e conferisce forza e vigore per proseguire il cammino della comunione di vita con Dio, e verso la piena libertà dei figli di Dio.
Il Codice, pertanto, raccomanda ai fedeli di confessare anche i peccati veniali (c. 988, par 2).
La confessione frequente dei peccati veniali è assai lodevole e deve essere raccomandata ai fedeli.
Non si tratta di una semplice ripetizione rituale né di una sorta di esercizio psicologico. È, invece, un costante e rinnovato impegno di affinare la grazia del battesimo per conformarsi sempre più a Cristo e rendersi sempre più docili alla voce dello Spirito, e generosi nel servizio di Dio e dei fratelli (Rito della penitenza, 7).
L’espressione “confessione frequente” ha un significato obiettivo, nel senso che non può essere chiamata frequente la confessione che supera il mese; ma ha anche un significato soggettivo, proporzionato cioè all’impegno di crescita spirituale, e che portava, per esempio, S. Filippo Neri e S. Paolo della Croce a confessarsi ogni giorno.
Tutti i sacerdoti incoraggino la pratica della confessione frequente e ne siano esempio personale ai fedeli.
In altre parole è cosa buona ed edificante che i fedeli sappiano e vedano i sacerdoti accedere con regolare frequenza al sacramento della riconciliazione. È invece biasimevole che il sacerdote dissuada i fedeli dalla confessione frequente, che è mezzo validissimo di progresso spirituale.
Ogni fedele ha diritto di confessare i peccati al confessore che preferisce, legittimamente approvato (c. 991).
L’esercizio del diritto di liberamente scegliere il sacerdote confessore deve essere reso possibile dai pastori d’anime.
I motivi per i quali è diminuita la frequenza dei fedeli al sacramento della penitenza sono tanti; ma vi è anche quello della insufficiente disponibilità dei sacerdoti al ministero delle confessioni, con la conseguente scarsa possibilità, per i fedeli, di liberamente scegliere il confessore.
Affinché sia possibile scegliere, è necessario vi sia almeno un’alternativa; ma poiché nelle parrocchie, soprattutto rurali, vi è, quasi sempre, un solo sacerdote, i parroci debbono aiutarsi vicendevolmente nel ministero delle confessioni. Bisogna, in concreto, concordare giorni e orari per consentire al parroco di recarsi nella parrocchia del confratello, senza privare la propria comunità del necessario servizio pastorale.
Nella lettera indirizzata a tutti i sacerdoti per il giovedì santo del 1983, Giovanni Paolo II esortava “a trovare nel ministero del confessionale quell’insostituibile manifestazione e verifica del sacerdozio ministeriale, di cui ci hanno lasciato il modello tanti santi sacerdoti e pastori di anime nella storia della Chiesa, sino ai nostri tempi”.

Le indulgenze
(cc 992-997)
L’indulgenza è la remissione davanti a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa, che il fedele, debitamente disposto e a determinate condizioni, acquista per intervento della Chiesa, la quale dispensa e applica autoritativamente il tesoro dei meriti di Cristo e dei Santi (c. 992).
La colpa e la pena eterna, dovute al peccato grave, vengono rimesse con l’assoluzione sacramentale, oppure mediante la contrizione perfetta con il proposito della confessione.
Le pene temporali, dovute al peccato, devono essere scontate nella vita presente o in purgatorio; ma possono essere rimesse per mezzo del sacramento della penitenza e delle opere di volontaria riparazione e, in modo speciale, delle indulgenze.
L’indulgenza è parziale o plenaria, secondo che libera in parte o in tutto dalla pena temporale dovuta per i peccati (c 993).
Per quanto riguarda l’indulgenza parziale, è stata abolita la misura in giorni o anni. La nuova disciplina delle indulgenze prende in considerazione la stessa azione del fedele. Questa, oltre al merito che rimane sempre il suo frutto principale, può procurargli una remissione di pena temporale tanto maggiore quanto più grave è il sacrificio che essa richiede e più intenso è il fervore con cui essa è compiuta.
Il fedele, cioè, che, pentito delle sue colpe, compie un’azione alla quale è annessa l’indulgenza parziale, ottiene, in aggiunta alla remissione di pena temporale che percepisce con la sua azione, una eguale remissione di pena per intervento della Chiesa.
Eliminata in tal modo ogni misura numerica, è tolta anche la tentazione di far ricorso alle pratiche più abbondantemente indulgenziate, dimenticando che è molto meglio compiere fedelmente i doveri del proprio stato e praticare la carità verso i fratelli.
Ogni fedele può acquistare per se stesso o applicare ai defunti a mo’ di suffragio le indulgenze (c 994); ma non a persone viventi.
Le indulgenze possono essere elargite soltanto da coloro ai quali questa potestà viene riconosciuta dal diritto o è concessa dal Romano Pontefice.
Nessuna autorità sotto il Romano Pontefice può comunicare ad altri la facoltà di concedere indulgenze, se ciò non è ad essa concesso espressamente dalla Sede Apostolica (c 995).
Il Vescovo diocesano può concedere l’indulgenza parziale alle persone e ai luoghi di sua giurisdizione; la benedizione papale con indulgenza plenaria tre volte ogni anno in feste solenni da lui designate (l’Enchiridion indulgentiarum, 29 giugno 1968, 11).
Può lucrare indulgenze chi è battezzato, non scomunicato, in stato di grazia almeno al termine delle opere prescritte, e che abbia l’intenzione di acquistarle e di adempiere le opere ingiunte, nel tempo e nel modo stabiliti nella concessione dell’indulgenza.
L’acquisto dell’indulgenza plenaria richiede, oltre l’adempimento delle pratiche prescritte, anche la confessione sacramentale, la comunione eucaristica, la preghiera secondo le intenzioni del Sommo Pontefice e l’esclusione di ogni affetto al peccato, anche solo veniale.
Con una sola confessione sacramentale si possono lucrare, adempiendo però ogni volta le altre condizioni, più indulgenze plenarie; ma, nei singoli giorni, si può acquistare una sola indulgenza plenaria.
Sono da ricordare alcune indulgenze plenarie, lucrabili in tutti i giorni dell’anno con: l’adorazione della ss. eucaristia almeno per mezz’ora; la pia lettura della sacra Scrittura per almeno mezz’ora; il pio esercizio della via crucis; la recita, continuata e meditata, di almeno una terza parte del rosario mariano in una chiesa, in un oratorio pubblico o in famiglia.
Per concessione generale, l’indulgenza parziale può essere acquistata dal fedele che:
— nel compiere i suoi doveri e nel sopportare le avversità della vita, innalza con umile fiducia l’animo a Dio, aggiungendo, anche solo mentalmente, una pia invocazione;
— con spirito di fede e con animo misericordioso, pone se stesso o i suoi beni a servizio dei fratelli che si trovino in necessità;
— in spirito di penitenza, si priva spontaneamente e con sacrificio di qualche cosa lecita.
Per quanto attiene alla concessione e all’uso delle indulgenze, debbono essere osservate tutte le disposizioni contenute nelle leggi peculiari della Chiesa (c 997),
e in particolare nell’Enchindion indulgentiarum della Penitenzieria apostolica (29 giugno 1968). Per la dottrina sulle indulgenze, si veda la Costituzione Apostolica di Paolo VI indulgentiarum doctrina del 1 gennaio 1967.