Proprio quando S. Agnese era in procinto di seguire gli esempi di S. Chiara d’Assisi, “pianticella primogenita di Frate Francesco”, da lui stabilita nel 1211 presso la chiesa di San Damiano affinchè servisse Dio nella più assoluta povertà, ricevette altre offerte matrimoniali prima da Enrico VII il quale aveva in animo di ripudiare Margherita d’Austria e sposare lei, allo scopo di rafforzare il suo potere nei confronti di Federico II, suo padre; e poi dello stesso Federico II, il quale non poteva guardare con indifferenza al fidanzamento del figlio. La santa ormai, giovane matura, non si lasciò allettare dalla possibilità di diventare regina. Preferendo a uno sposo terrestre quello celeste, per mezzo di uomini di fiducia, ne diede notizia a Gregorio IX (+1241). Il padre di tutta la cristianità la confermò nel santo proposito e le promise la sua protezione.
La canonizzazione di questa figlia spirituale di Santa
Chiara di Assisi (+1253), una delle figure più autentiche e più grandi del
francescanesimo della prima ora, ha destato un’ondata di entusiasmo nei suoi
connazionali, i cechi, i quali nel corso dei secoli ne hanno costantemente
venerata la memoria, esaltata la vita povera e penitente e celebrato la
vittoria dello spirito sulla materia. Quanto sappiamo di lei lo ricaviamo soprattutto
dalla Legenda scritta in latino da un anonimo francescano nella prima
metà del secolo XIV, probabilmente nell’intento di favorirne l’introduzione
della causa di canonizzazione, in seguito alle richieste delle Clarisse, dei
Frati Minori di Praga e della stessa sovrana Elisabetta, moglie di Giovanni di
Lussemburgo, re di Boemia dal 1310 al 1346.
Il codice che la contiene fu scoperto nel 1896 da Mons.
Achille Ratti, in seguito papa Pio XI, nella biblioteca del capitolo della
Basilica di Sant’Ambrogio di Milano, quando era prefetto della Biblioteca
Ambrosiana.
Agnese nacque a Praga circa nel 1205, al tempo in cui in
Assisi (Perugia), S. Francesco (+1226) s’impegnava a restaurare la chiesa di S.
Damiano che minacciava rovina. Suo padre fu l’ambizioso Premysl Ottocàr I, re
di Boemia, e sua madre la regina Costanza, sorella di Andrea II Arpad, re
d’Ungheria e padre di S. Elisabetta di Turingia. Federico II lo Svevo (+1250)
non lo aveva ancora riconosciuto come re, che egli pensava già a consolidare la
propria dinastia e ad estenderla al nord e al sud moltiplicando le parentele
con i matrimoni, secondo un costume nel medioevo presso le famiglie nobili,
all’insaputa della persona interessata.
Agnese aveva appena 3 anni quando fu fidanzata dal padre
con un figlio del duca di Siesta. Il progetto fallì dopo 3 anni per la morte
del pretendente alla mano di lei. La presenza di Agnese in quella corte dovette
incidere molto profondamente nel suo animo. S’incontrò difatti con la bavarese
S. Edvige (+1243), dal 1186 moglie di Enrico I il Barbuto (+1238), figlio
primogenito del conte Boleslao di Slesia, residente a Breslavia. Nel 1202 ella
aveva fondato a Trebnitz, sotto la guida della figlia Geltrude, il primo
monastero femminile del paese per l’educazione delle figlie della nobiltà, e fu
fervente animatrice e devota imitatrice di S. Francesco d’Assisi, come S.
Elisabetta (+1231) sua nipote, la quale, dopo la morte del marito Ludovico,
duca di Turingia (+1227), si era fatta terziaria francescana e aveva servito i
poveri del grande ospedale di Marburgo che aveva fatto costruire.
Agnese di Praga rimarrà soggiogata dagli esempi delle due
sante principesse e, più avanti negli anni, ne seguirà le orme. Frattanto,
però, dovendo ancora sottostare alla volontà del padre che la voleva dare in
sposa a Enrico VII, figlio dell’imperatore Federico II, il quale risiedeva alla
corte di Leopoldo VI, duca d’Austria, (+1230), in attesa di essere nominato re,
la santa, di otto anni, dovette interrompere gli studi che stava compiendo nel
monastero delle Premonstratensi di Doksany (Boemia), e trasferirsi alla corte
d’Austria in attesa che si adempissero le condizioni stabilite per contrarre il
matrimonio con Enrico. Il fidanzamento, però, fu bruscamente interrotto da
Leopoldo il quale, con intrighi e inganni, indusse Enrico VII a sposare sua
figlia Margherita anziché Agnese. Il padre della santa, indignato, richiamò la
figlia in patria e dichiarò guerra al duca austriaco. Al fiero Ottocàr I non
sarebbe mancato l’animo di condurla a termine se la figlia non gli si fosse
dimostrata assolutamente contraria. Ella nel proprio cuore aveva già fatto
un’altra libera scelta: consacrarsi interamente e per sempre al servizio di
Dio. Perciò quando alla corte reale d’Inghilterra e da parte dello stesso
imperatore Federico II, rimasto vedovo nel 1223, le pervennero nuove proposte
di matrimonio, ella non se ne lasciò lusingare.
A confermarla nel suo proposito molto giovò ad Agnese
l’arrivo a Praga nel 1225 dei Frati Minori, mandati dal P. Cesario da Spira
della stretta osservanza, dal 1221 primo ministro della provincia germanica.
Con la loro vita umile e povera, essi divennero presto una calamità di
attrazione tanto per il popolo, quanto per la nobiltà. La santa li scelse a
consiglieri del suo spirito e sull’esempio della cugina Elisabetta di Turingia,
si dedicò al servizio di Dio e del prossimo. A radicarla in questo proposito le
giovò non poco la morte del padre (+1230), e lo svincolamento dai suoi progetti
politici da portare a termine con buoni matrimoni.
Agnese approfittò della sua nuova condizione di vita per
intensificare le sue pratiche di devozione e di penitenza. All’alba prendeva
parte con le dame di compagnia nella reggia, nel duomo o in qualche chiesa di
Praga a quante più Messe venivano celebrate. Di giorno amava immergersi in
lunghe preghiere davanti a Gesù sacramentato e a Maria SS., benché il diavolo
ogni tanto la importunasse per distoglierla dal proposito della propria
santificazione. Sotto le splendide vesti portava il cilicio e, di notte,
sovente, invece di dormire nel soffice suo letto, amava prendere il riposo
distesa sopra un pungente strato di paglia.
Proprio quando S. Agnese era in procinto di seguire gli
esempi di S. Chiara d’Assisi, “pianticella primogenita di Frate
Francesco”, da lui stabilita nel 1211 presso la chiesa di San Damiano affinchè servisse Dio nella più assoluta povertà, ricevette altre offerte
matrimoniali prima da Enrico VII il quale aveva in animo di ripudiare Margherita
d’Austria e sposare lei, allo scopo di rafforzare il suo potere nei confronti
di Federico II, suo padre; e poi dello stesso Federico II, il quale non poteva
guardare con indifferenza al fidanzamento del figlio. La santa ormai, giovane
matura, non si lasciò allettare dalla possibilità di diventare regina.
Preferendo a uno sposo terrestre quello celeste, per mezzo di uomini di
fiducia, ne diede notizia a Gregorio IX (+1241). Il padre di tutta la
cristianità la confermò nel santo proposito e le promise la sua protezione. Il
fratello di lei, Venceslao, re di Boemia dopo la morte del padre, se ne servì
per convincere Federico II della volontà della sorella di farsi religiosa.
L’imperatore, tra la meraviglia di tutti, gli rispose: “Se una simile ingiuria
ci fosse stata arrecata da qualsiasi altro uomo, non cesseremmo mai di
vendicare l’oltraggio di un così disonorevole disprezzo. Ma dal momento che
Agnese preferì a noi un più nobile sovrano, non considereremo mai questa sua
scelta come un affronto, ma l’accetteremo come volontà di Dio”. E le fece
persino pervenire ricchi donativi.
Ignoriamo il motivo per cui Agnese cercò di realizzare la
sua vocazione in un ordine religioso mendicante e, per giunta, di recente
formazione in cui non poteva sperare onorificenze, anziché in un monastero
cistercense o premonstratense, in quel tempo assai diffusi in Boemia, con
regole confermate da lunga storia e con una solida sistemazione economica,
oppure nel grandioso monastero, chiamato “Porta Coeli”, che sua
madre, Costanza, aveva fondato a Tisnov in Moravia. La santa rimase soggiogata
dalla spiritualità di S. Francesco d’Assisi e dalla radicale povertà praticata
da S. Chiara e dalle prime Damianite, viventi come lei nella più stretta
clausura. Il loro messaggio, con la grazia di Dio, divenne per Agnese un
autentico ideale da seguire per tutta la vita.
Il servizio dei poveri e dei malati al quale i
Francescani si davano, indusse Agnese a fare erigere a Praga nel 1232, con
l’aiuto del fratello Venceslao, un grande ospedale che affidò
all’amministrazione dei Crocigeri della Stella Rossa, di recente istituzione in
Boemia. La fondazione ebbe in seguito un grande sviluppo in altre città del
regno e perfino nella Moravia e nella Polonia, essendo di grande importanza
sociale. Desiderando avere in città anche le Clarisse di San Damiano, si fece
donare dal fratello un terreno e su di esso fece costruire per loro un
monastero.
Quando fu terminato, mandò ambascerie alla Sede
Apostolica, per averne l’approvazione, e alle Damianite per ottenere che ne
prendessero possesso con un gruppo di religiose. S. Chiara aderì alla sua
richiesta e da quel momento rimase sempre in contatto e con lei e con la sua
fondazione.
Agnese, confortata da una prima lettera di S. Chiara in
cui le faceva l’elogio della povertà, nella primavera del 1234 decise di dare
finalmente addio al mondo. Con lei entrarono in monastero, nel quale si
trovavano già cinque Damianite, sette figlio delle più ricche e nobili famiglie
della Boemia. In quell’occasione fu fatta una grandissima festa alla presenza
di Venceslao I, di sette vescovi, del clero di Praga e di una grande
moltitudine di gente accorsa per rendere il massimo onore a colei che, pur
potendo diventare regina, aveva preferito scegliere una vita povera e umile per
il regno dei cieli. Il suo esempio di vita profondamente cristiana fu additato
da Gregorio IX alla gioventù dell’Europa occidentale. Difatti, scrivendo alla
regina Beatrice di Castiglia, le indicò come modello Agnese di Praga,
“ancella dello Sposo celeste e serva di tutti”.
Ad Assisi S. Francesco aveva lasciato ai frati il compito
di provvedere i mezzi di sussistenza alle Dame Povere di San Damiano. Lo stesso
volle fare S. Agnese a Praga, per dare alle religiose la possibilità di vivere
una vita di intima unione con il loro sposo divino, senza alcuna preoccupazione
di ordine materiale. Fece quindi costruire in onore di S. Francesco (“Na
Frantiskus”), secondo lo stile proprio dei cistercensi, un monastero doppio
e tre chiese con relativi chiostri e cortili: di S. Salvatore in uso delle
Clarisse; di S. Francesco, in uso dei Frati Minori e di S. Barbara, in uso
delle Clarisse per l’ufficiatura corale. Ad esse vennero aggiunte le cappelle
della B.V. Maria, di S. Michele e di S. Maria Maddalena. Il complesso
monumentale fatto costruire dalla santa, nel corso dei secoli, tra varie
vicende, servì allo scopo per cui l’aveva ideato, finché fu soppresso
dall’imperatore Giuseppe II d’Austria (+1790). Dal 1958, debitamente restaurato,
il complesso è adibito a Galleria Nazionale.
Per le povere Dame di San Damiano S. Francesco aveva
tracciato una rudimentale forma vivendi, simile alla formula da lui
composta per i Frati Minori mediante alcune appropriate frasi evangeliche. All’inizio
della sua conversione egli non aveva avuto l’intenzione di fondare nuovi Ordini
Religiosi. Tuttavia, col moltiplicarsi dei conventi, si sentì la necessità di
dare ad essi un regolamento più preciso tanto dal punto di vista giuridico,
quanto dal punto di vista amministrativo. Tra i Francescani sorsero allora
accese controversie riguardo all’osservanza della povertà. Come S. Chiara,
anche S. Agnese scelse per il suo monastero la rinunzia assoluta ad ogni
proprietà, e ricorse a tutti i mezzi per vedere coronato il suo sogno. A varie
riprese scrisse a Gregorio IX (+1241), a Innocenzo IV (+1254), ad Alessandro IV
(+1261) per chiedere che la povertà “sine glossa” fosse inserita nel
Regolamento del monastero da lei fondato. Ne ricevette sempre la stessa risposta:
di adottare la Regola che il Card. Ugolino di Ostia nel 1219 aveva composto per
le Sorelle Povere di San Damiano servendosi tanto della regola benedettina,
quanto delle “Osservanze Regolari” già in uso tra loro.
S. Chiara sostenne S. Agnese in questa lotta con grande
fiducia ed energia. Ne sono testimonianze le 4 lettere che le scrisse dal 1233
al 1253 a esaltazione del disprezzo che aveva manifestato per le ricchezze di
questo mondo, del suo amore per la povertà e della sua mistica unione con Dio.
Nella terza, tra l’altro le scrisse: “A quel modo, dunque, che la gloriosa
Vergine delle vergini portò Cristo materialmente nel suo grembo, tu pure,
seguendo le sue vestigia, specialmente dell’umiltà e povertà di lui, puoi
sempre, senza alcun dubbio, portarlo spiritualmente nel tuo corpo casto e
verginale”.
La tenacia di entrambe le sante nel sostenere i propri
ideali francescani della povertà evangelica fu coronata dal successo. S. Chiara
ricevette da Innocenzo IV la Bolla con cui approvava la sua Regola, due giorni
prima che morisse. S. Agnese, quando ne ebbe in mano il testo ufficiale, versò
lacrime di gioia. Qualche anno dopo anche al monastero delle Povere Sorelle di
Praga, per volontà di Alessandro IV, fu concesso di vivere conforme alla Regola
approvata per le Clarisse di Assisi.
Finché visse S. Agnese praticò fedelmente la più rigorosa
povertà, memore dell’esortazione che S. Chiara le aveva fatto: “Attaccati,
vergine poverella, a Cristo povero”. Quindi, tutti i beni ereditati o
avuti in dono dal fratello e dai parenti vennero da lei considerati come
esclusiva proprietà di Dio e dei bisognosi. Se ne servì per provvedere alle
necessità delle religiose e per sovvenire alla miseria degli orfani, delle
vedove e dei malati. Dio ricompensò tanto distacco dai beni della terra
conferendo alla Santa il potere di ottenere miracoli. In tempo di carestia,
dicono i suoi biografi, in seguito alle sue preghiere, le religiose trovarono
nella ruota della portineria pesci freschi e pani bianchi di cui ignoravano la
provenienza.
Sotto la guida dello Spirito Santo S. Agnese comprese non
soltanto il valore della povertà, ma anche la nullità del proprio essere.
Rinunciò, difatti, costantemente all’incarico di abbadessa, preferendo servire
Dio e le consorelle nella più umile sottomissione. Quindi, benché fosse di
stirpe regale, non disdegnò di compiere con grande perfezione i lavori più
umili di un qualsiasi monastero: cucinare, scopare, lavare, rammendare, curare
le malate, per piacere non agli uomini, ma soltanto allo Sposo dell’anima sua.
Per tenere sottomesso il proprio corpo e crescere ogni
giorno nella perfezione, Agnese volle continuare a imporsi delle dure
penitenze. Nella quaresima tradizionale e in quella di S. Martino, nelle veglie
della festa della Madonna e dei santi come pure in tutti i mercoledì e i
venerdì dell’anno, digiunava a pane ed acqua. Sovente si flagellava con una
nodosa striscia di cuoio, portava un cilicio intessuto di peli di cavallo e lo
teneva stretto ai fianchi con una corda intessuta di simili peli. In seguito a
tante penitenze perse presto la bellezza del volto e la floridezza del corpo, e
andò soggetta a lunghe malattie. In compenso Dio le concesse un tenero amore
all’Eucaristia, che giunse fino al rapimento, alla Passione del suo Figlio e
all’Addolorata sua Madre. Ebbe anche il dono della profezia. Nel 1278 Premysl
Ottocar II, suo nipote, era andato in Austria a combattere contro Rodolfo II
d’Asburgo per riavere le terre che gli erano state tolte. Un giorno, mentre S.
Agnese, con le sue consorelle, faceva, come al solito, una processione di
propiziazione nel chiostro del monastero, con sua indicibile tristezza, lo vide
cadere a terra ferito, catturato e ucciso dai nemici.
S. Agnese, che le clarisse erano solite chiamare
“Sorella Maggiore”, nella quaresima del 1282 giunse all’estremo delle
forze con grande rapidità. Chiese umilmente gli ultimi sacramenti, li ricevette
con somma devozione, e alle religiose che l’assistettero non fece altro che raccomandare
la fedeltà nell’osservanza della stretta povertà, l’amor di Dio e del prossimo,
l’obbedienza alla Chiesa Romana. Morì il 2 marzo, dopo la recita di nona, tutta
illuminata nel volto. Le sue spoglie mortali per due settimane furono esposte
alla venerazione dei fedeli, che accorsero molto numerosi a darle l’estremo
saluto, perché la consideravano una loro grande benefattrice e un’autentica
santa. Dal suo corpo, rimasto flessibile, si sprigionò difatti un profumo di
straordinaria soavità.
Per la tristezza dei tempi nessun membro della famiglia
reale di Boemia fu presente ai funerali della sua illustre consanguinea. Essi
si svolsero senza alcuna sontuosità, e furono presieduti da Fra Bonagrazia,
Ministro Generale dei Frati Minori. Il corpo della defunta fu posto in una
tomba preparata da tempo nella cappella della B.V. Maria, in cui Agnese aveva
trascorso molte ore in orazione misticamente unita con Dio. Accanto al suo
sepolcro avvennero presto numerosissimi miracoli. Qualche anno dopo, le reliquie
della santa furono collocate in una parte più sicura del monastero, a causa
delle frequenti alluvioni del fiume Moldava. Dal 1782, anno della soppressione
delle clarisse voluta da Giuseppe II d’Austria, delle reliquie di Agnese di
Praga non si seppe più nulla.
Il 28-11-1874 Pio IX confermò il culto che i Boemi avevano
sempre reso alla loro principessa, e le riconobbe il titolo di beata. Giovanni
Paolo II la canonizzò il 12-11-1989.
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Sac. Guido Pettinati
SSP,
I Santi canonizzati del
giorno, vol. 3, Udine: ed. Segno,
1991, pp. 19-25.
http://www.edizionisegno.it/