Il Santo non si curava delle novità del mondo perché considerava bagattelle quanto si riferiva a questa misera vita. Non prestava orecchio alle mormorazioni. A tavola sovente si vedeva piangere alla lettura di qualche libro edificante. Per meglio conservare in sé la disposizione al dolore sensibile, egli supplicava il lettore di ripetere due o tre volte il brano che lo aveva intenerito.
Ugo nacque verso il 1053 a Chàteauneuf d\’Isère, nella diocesi di Valenza (Delfìnato), dalla seconda moglie dell\’ufficiale Odilone che, più avanti negli anni, si ritirò per il consiglio del figlio nella Certosa. La madre, rimasta sola al mondo, si diede alle opere di carità e di penitenza.
Il Santo fece con successo i suoi studi a Valenza. A Reims fu alla scuola di S. Bruno, maestro di filosofia e teologia. Frequentò pure le università e, anziché perdere la fede o macchiare i costumi, prese la risoluzione di servire Dio nello stato ecclesiastico. Diventato canonico della cattedrale di Valenza, si distinse per una grande modestia che servì a dar maggior lustro ai suoi talenti. Ugo, vescovo di Die e più tardi arcivescovo di Lione, legato di S. Gregorio VII in Francia, di passaggio a Valenza notò il giovane canonico, lo apprezzò e lo prese al proprio seguito come consigliere nella lotta contro la simonia e la clerogamia, i due principali mali che funestavano allora la Chiesa.
Mentre il legato nel 1080 presiedeva un concilio ad Avignone, una deputazione del clero di Grenoble venne a richiedere Ugo come vescovo. Il Santo ne rimase spaventato, persuaso com\’era di non avere l\’età, la scienza e le virtù necessario per una carica tanto elevata e piena di responsabilità. A stento si lasciò persuadere a sobbarcarsi a quel peso. Il legato gli conferì tutti gli ordini fino al sacerdozio. Per la consacrazione episcopale S. Ugo non volle rivolgersi al suo metropolita, l\’arcivescovo di Vienna, perché sospetto di simonia. Lo stesso Gregorio VII lo consacrò a Roma dopo averlo aiutato a superare una violenta tentazione di bestemmia contro la divina provvidenza. La contessa Matilde gli provvide quanto era necessario al sacro rito, il pastorale, il libro De officiis di S.Ambrogio e i Salmi con il commento di S. Agostino.
La diocesi di Grenoble, di cui Ugo prese subito dopo possesso, versava in tristissime condizioni. Il clero era affetto da simonia, libertinaggio e concubinato. L\’ignoranza e l\’accecamento erano talmente gravi che preti e laici non esitavano a ricevere i santi sacramenti nonostante i loro disordini. Le rendite del vescovado erano state dissipate o cedute ai migliori offerenti. Il pastore, per rimediare a così gravi mali, fece uso di tutti i mezzi che la prudenza e lo zelo potevano suggerirgli. Alle rimostranze e alle minacce aggiunse la preghiera, il digiuno e l\’elemosina. Dopo due anni di continue lotte, non trovando corrispondenza, si ritirò a Chaise-Dieu, abbazia cluniacense, nella diocesi di Clermont, dove per un anno professò la regola benedettina. Appena Gregorio VII venne a conoscenza della fuga, gli ordinò espressamente di ritornare nella sua diocesi.
Quell\’amante della contemplazione ubbidì senza resistenza e per altri 50 anni rimase al suo posto modello del gregge. Dopo preghiere, esortazioni e sinodi, riuscì a mettere il suo clero in regola con i canoni.
S. Ugo passò alla storia come il più grande dei vescovi medievali di Grenoble per l\’energica azione svolta contro gli usurpatori laici dei beni ecclesiastici e anche contro l\’arcivescovo di Vienna, Guido di Borgogna, il futuro Callisto II, che gli contendeva indebitamente il paese di Sermorens. Il Santo fu pure un infaticabile costruttore. Nel 1084 S. Bruno, canonico di Colonia e suo antico professore, accompagnato da sei discepoli desiderosi di fuggire la corruzione del mondo, venne a chiedergli un sito della diocesi in cui ritirarsi a vita religiosa. Ugo assegnò loro il luogo deserto della Certosa dove stava costruendo un monastero. In seguito egli andò sovente a visitarli e a condividere con loro i più umili uffici. A volte l\’incanto della solitudine lo tratteneva più a lungo del necessario, e allora il fondatore bonariamente lo esortava a ritornare in sede a curare il suo gregge. Nel 1110 il Santo pastore cooperò grandemente alla fondazione dell\’abbazia benedettina di Chalai presso Grenoble, e per la recita solenne dell\’ufficio stabilì canonici regolari o secolari a St-Martin-de-Miséré, a Aix e a St-Jeoire. Fondò pure un ospedale e fece costruire un ponte sull\’Isère a Grenoble.
Vero buon pastore, per spirito di penitenza e povertà avrebbe venduto i suoi cavalli se S. Bruno, suo consigliere, non lo avesse distolto da quella singolarità. Come avrebbe potuto visitare a piedi la diocesi montagnosa? Tanto più che i digiuni prolungati, le veglie e altre mortificazioni gli causarono ben presto una oppressione di stomaco e un dolore di testa che l\’afflissero fino alla morte. La malattia gl\’ispirò una tenera compassione per gli altri, specialmente per i peccatori, di cui non riceveva la confessione senza versare abbondanti lacrime.
Il Santo non si curava delle novità del mondo perché considerava bagattelle quanto si riferiva a questa misera vita. Non prestava orecchio alle mormorazioni. A tavola sovente si vedeva piangere alla lettura di qualche libro edificante. Per meglio conservare in sé la disposizione al dolore sensibile, egli supplicava il lettore di ripetere due o tre volte il brano che lo aveva intenerito. Nelle relazioni con le donne fu di una modestia singolare. In 52 anni di episcopato, asserisce il suo biografo, Guido senior, quinto priore generale della Certosa, egli non ne conobbe che una di vista. Oltre che mortificato, S. Ugo fu l\’uomo più giusto e più sincero del mondo. Un suo nemico, certo conte Guido, che egli aveva scomunicato due volte per le violenze perpetrate contro la Chiesa, fu costretto a confessare che a suo avviso nessuna bugia era mai uscita dalla a di lui.
Eroico nell\’esercizio della carità, Ugo rifiutò tutto a sé stesso, anche le rendite della sua chiesa, per avere di che dare ai bisognosi. In un anno di carestia, egli vendette persino l\’anello e il calice d\’oro per soccorrere i mendicanti della diocesi. Si preoccupava di comporre gli odi che sorgevano tra famiglie o partiti opposti. Per fare decidere i contendenti alla riconciliazione non esitava a gettarsi pubblicamente ai loro piedi. Grazie alla sua viva sensibilità, egli fu sempre toccante e convincente. La sua vigorosa predicazione spinse tal ora i suoi uditori a interromperlo per confessare pubblicamente i propri crimini e conseguirne così la riconciliazione anche con il Signore.
Eppure, nonostante così abbondanti frutti spirituali, per umiltà chiese ripetutamente a Gelasio II, Callisto II, Onorio II di essere esonerato dall’episcopato. Adduceva come motivo la sua vecchiaia e le sue continue malattie. "Io preferisco voi, gli rispose Onorio II, vecchio e malato, per il bene del vostro popolo, a qualsiasi altro più giovane e in buona salute". Ugo andò fino a Roma per fare accettare le sue dimissioni, ma inutilmente \’\’che anche Innocenzo II restò fermo nel suo rifiuto.
Il santo pastore non si limitò a vigilare sul suo gregge. Nel 1112, nel concilio di Vienna, egli chiese che fosse scomunicato l\’imperatore Enrico V perché si era violentemente impadronito di Pasquale II e di tredici cardinali, colpevoli di non avergli concesso il diritto delle investiture. Nello scisma provocato dal cardinale Pietro Pierleoni alla morte di Onorio II (+1130), nel concilio del Puy-en-Velay Ugo scomunicò con gli altri vescovi l\’intruso Anacleto II come scismatico, benché avesse ricevuto da lui parecchi benefìci durante la sua legazione in Francia. Nel sinodo di Etampes fu decisiva la parola di S. Bernardo di Chiaravalle a favore di Innocenzo II, eletto prima del suo antagonista e dotato di maggiore scienza e virtù.
S .Ugo si preparò alla morte recitando continuamente salmi, litanie e inni. Considerava tali forme di devozione come un rimedio ai suoi mali. Sovente versava lacrime amare e emetteva profondi sospiri perché, diceva "la sola cupidigia o la sola vanità sono capaci di perderci senza la misericordia di Dio". Quando il vescovo di Digne andò a chiedergli l\’abito religioso, lasciò con gioia il letto per compiere quella cerimonia. Si prostrò quindi con la faccia a terra per ringraziare la bontà divina di avere ispirato quel desiderio al suo discepolo. Un signore chiamato Guido andò a chiedergli la benedizione. Il santo cominciò con il riprenderlo severamente perché aveva messo un\’imposta sui suoi vassalli. Il signore si avvide che Dio gli aveva rivelato quel segreto e promise di sopprimere l\’imposta di cui non aveva ancora percepito nulla. Ugo morì il 1-4-1132. Fu canonizzato da Innocenzo II nel 1134 a Pisa. Gli ugonotti nel 1562 ne bruciarono le ossa conservate nella cattedrale di Grenoble. Il santo lasciò un Cartolario molto prezioso per la storia della sua diocesi.
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizati del giorno, vol. 4, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 11-14.
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