Nel tempo in cui Anna Maria si disponeva a lasciare il monastero, il Signore le preparò in modo meraviglioso la vocazione al Carmelo. Un giorno di settembre 1763 ricevette una visita da una sua amica d’infanzia. Mentre tranquilla se ne ritornava nella sua cameretta, sentì risuonarle all’orecchio e più ancora nel cuore una voce che diceva: “Io sono Teresa di Gesù. Ti voglio tra le mie figlie”. Una forza misteriosa la spinse irresistibilmente in cappella. Davanti a Gesù sacramentato udì la stessa voce ripeterle: “Io sono Teresa di Gesù e ti dico che sarai tra poco nel mio monastero”. Quando fu ricondotta nella casa paterna, nulla di straordinario apparve nel suo modo di vivere. Fu sempre fedele alle pratiche di pietà, soave nei modi, caritatevole con tutti e desiderosa di sacrificio.
Al secolo si chiamava Anna Maria Redi ed era nipote del
poeta-naturalista Francesco, scopritore dell’acaro della scabbia, la più
giovane santa del Carmelo teresiano. Nacque ad Arezzo il 15-7-1747 nel severo
palazzo di suo padre Ignazio e della nobile sua madre senese, Camilla Ballati.
L’infanzia di Anna Maria brillò d’incantevoli splendori. Ella stessa più tardi
scriverà: “Gesù sa bene che, fin da piccolina, non ebbi altro desiderio
che quello di piacergli e di divenire una santa”. Nella semplicità
dell’animo suo candidissimo sentì possente il linguaggio delle creature, motivo
per cui non ancora settenne, chiedeva ai pii genitori: “Chi è Dio? Dov’è
questo Dio grande? Che devo fare per piacergli?”. La serenità del suo
cuore non fu mai alterata, neppure nelle miserie proprie dell’infanzia. Diceva
infatti: “Possibile che un Dio così buono sia offeso?”.
A nove anni Anna Maria fu collocata nel monastero delle
Benedettine di Sant’Apollonia in Firenze affinchè vi ricevesse un’educazione
conveniente alla sua condizione sociale. Sentì il distacco dalla famiglia, ma
si applicò ugualmente modesta e tranquilla ai suoi doveri. Allegra nelle
ricreazioni, non perdette mai di vista l’ospite divino, sotto il cui tetto
viveva. Talora con le compagne usciva in quest’espressione: “Mentre noi ci
divertiamo, Gesù pensa a noi”. Ammessa alla prima Comunione, fu arricchita
di altissime cognizioni da Colui che si pasce tra i gigli e dotata di un
istintivo orrore per ogni colpa e difetto. Una volta passò la notte in lacrime
perché temeva di avere commesso un peccato veniale. Non ritrovò la pace se non
quando il confessore la rassicurò essere la sua una infondata apprensione.
Anna Maria fu devotissima della Madonna. Un giorno mentre
scendeva le scale, tenendo nelle mani uno scaldino pieno di carboni ardenti,
scivolò. Conscia del pericolo, invocò ad alta voce la SS. Vergine. Senza sapere
come, si trovò in piedi sana e salva in fondo alle scale. Preposta alle sue
compagne come quella che ne doveva avere cura materiale, le trasse tutte dietro
di sé nella pratica delle virtù.
Nel tempo in cui Anna Maria si disponeva a lasciare il
monastero, il Signore le preparò in modo meraviglioso la vocazione al Carmelo.
Un giorno di settembre 1763 ricevette una visita da una sua amica d’infanzia.
Mentre tranquilla se ne ritornava nella sua cameretta, sentì risuonarle
all’orecchio e più ancora nel cuore una voce che diceva: “Io sono Teresa
di Gesù. Ti voglio tra le mie figlie”. Una forza misteriosa la spinse
irresistibilmente in cappella. Davanti a Gesù sacramentato udì la stessa voce
ripeterle: “Io sono Teresa di Gesù e ti dico che sarai tra poco nel mio
monastero”.
Quando fu ricondotta nella casa paterna, nulla di
straordinario apparve nel suo modo di vivere. Fu sempre fedele alle pratiche di
pietà, soave nei modi, caritatevole con tutti e desiderosa di sacrificio.
Soltanto al compiere i diciassette anni svelò il segreto dell’animo suo ai
genitori. Dopo non poche prove superate con invitta fortezza, andò con il padre
in pellegrinaggio alla Verna, dove si accese maggiormente del desiderio di
emulare le penitenze del Poverello d’Assisi. Il 1-9-1764 fu ammessa alle prove
della religione nel monastero delle Carmelitane Scalze di Firenze. La prontezza
di lei al coro, la custodia del silenzio e del ritiro, l’abituale
raccoglimento, la carità nei rapporti scambievoli destarono subito ammirazione
nelle ferventi religiose. Eppure, inabissata in un sentimento di profonda
umiltà, Anna Maria non vide in sé che demeriti e si reputò indegna di vivere in
quella “casa di angeli”.
Un grosso tumore le si formò sopra un ginocchio. Temendo
che la sua infermità le impedisse la vestizione dell’abito religioso, cercò di
dissimularla, col soffrire in silenzio. Ma il pallore del volto e gli acuti
spasimi la obbligarono a manifestare il suo male. Ricondotta in famiglia,
conforme all’uso del tempo, si sottopose ad una operazione chirurgica, soltanto
sollecita della riservatezza verginale. Sotto l’azione del ferro le sfuggì un
lamento ed ella ne domandò perdono come di una colpa. Il 10-3-1765,
accompagnata dal padre, seguita dai nobili fiorentini con cui era imparentata,
varcò le soglie del Carmelo stringendo tra le mani il crocifisso, mentre il
pallore del volto rivelava lo schianto del suo cuore nel separarsi per sempre
dall’amato genitore. Il giorno dopo Anna Maria con la veste bruna e il candido
mantello del Carmelo ricevette il nuovo nome, da lei tanto desiderato, di Suor
Teresa Margherita del Sacro Cuore di Gesù.
Durante il noviziato non le mancarono correzioni e
rimbrotti dalla maestra Madre Teresa di Gesù, sorella del cardinale Guadagni,
OCD, ma la fervente novizia li accolse con serenità e gaudio. Diceva al
Signore: “Disponete di me come più vi aggrada, purché vi segua per la via
del Calvario: quanto più la troverò spinosa e la vostra croce pesante, tanto
più sarò contenta”. Di nuovo si ammalò per un tumore al ginocchio. Temendo
questa volta di vedere differita la sua professione religiosa, si rivolse a
Maria Santissima, suo abituale rifugio e guarì senza rimedio umano.
All’avvicinarsi del termine del noviziato, chiese di poter pronunciare i voti
in qualità di conversa. La grazia non le fu concessa, ma nulla le impedì di
scegliere per sé gli uffici più umili e abbietti. Meriterà così di diventare
“la santa della vita nascosta”. Durante il ritiro di preparazione
alla professione, costatò che la tenerezza da lei portata al padre costituiva
un ostacolo alla pienezza dell’olocausto e allora gli scrisse: “Padre mio,
voglio distaccarmi da lei per essere tutta di Gesù”. E gli spiegò come
avrebbe dovuto essere questo distacco, destinato a rendere più intima la loro
unione nel Cuore divino di Gesù.
Suor Teresa Margherita pronunciò i suoi voti il 12-3-1766.
Nello studio e nella meditazione assidua della Sacra Scrittura e della
Liturgia, delle opere di Santa Teresa di Gesù e di San Giovanni della Croce,
sentì accendersi nell’animo nuove brame di perfezione. Quasi rattristata perché
non le mancava mai il necessario, desiderando di salire con la povertà fin
sulla croce, diede la preferenza alle cose rifiutate dalle consorelle; si fece
scrupolo per una immagine di più nel breviario; amò i lavori manuali “per
potere – diceva – guadagnarsi il pane”. Al dire dei suoi direttori spirituali
la virtù della castità fu in lei dono del cielo, non virtù acquisita. Come in
famiglia, come nell’educandato, così nel monastero, volle vivere di ubbidienza.
I superiori e i confessori dovettero essere cauti anche nel parlare di
consigli, poiché essa si faceva scrupolo di metterli in pratica per ubbidienza.
Nel monastero, Teresa Margherita dapprima fu data come
aiuto alle infermiere, poi esercitò ella stessa tale ufficio. L’intima e
sincera convinzione della propria inferiorità le infuse nell’animo vivo
desiderio di servire tutte le consorelle e di sollevarle con carità nelle loro
malattie. Dio premiò con prodigi la sua eroica dedizione. Un giorno vide nel
refettorio una consorella sofferente per un terribile male di denti. Si levò di
scatto dal suo posto, andò a baciarla sulla guancia enfiata e, al contatto
delle sue labbra verginali, la suora rimase per sempre libera dalla prolungata
infermità. Assistendo una consorella anziana, con straordinaria facilità ne
udiva la debole voce anche in lontananza; e a sua volta la povera malata,
affetta da totale sordità, udiva la voce dell’infermiera senza l’aiuto di
alcuno strumento. Il suo eroismo rifulse ancora meglio nell’assistenza di una
religiosa demente. Più volte nel disimpegno del suo ufficio venne a trovarsi in
gravi cimenti, ma sempre ne trionfò mettendo in pratica un suo detto: “Se
le azioni dei nostri prossimi avessero cento facce, noi dovremo sempre
guardarle dalla migliore”.
Tanta virtù Teresa Margherita la traeva dall’eucaristia. Tutto
ciò che aveva relazione con il Santissimo Sacramento, come preparare gli arredi
sacri, fornire la lampada, scopare il coro, formava la sua delizia. Davanti al
tabernacolo rimaneva genuflessa e immobile per lunghe ore. Nella sua povera
cella, così di giorno come di notte, durante il disagiato riposo, si teneva
volta verso l’altare. Passando davanti alla cappella, mai lasciava di
prostrarsi davanti al tabernacolo in breve adorazione, mentre dal suo volto
sfavillante traspariva la sua fede e il suo amore. I giorni nei quali poteva
accostarsi alla sacra Mensa, il suo cuore era invaso da gaudio serafico. A
compensarla dall’afflizione che provava nel non potersi comunicare
quotidianamente, secondo la consuetudine del tempo, Dio le concesse di sentire
esalare un “profumo di santità” nell’avvicinarsi alle consorelle che
avevano fatto la comunione e di percepire uno squisito gusto e un soavissimo
odore ogni qual volta riceveva l’Eucaristia.
Avendo totalmente assimilato gl’insegnamenti di Santa
Margherita M. Alacoque (+1690), la nostra carmelitana li visse in modo
personale con l’imitazione dell’arcana vita dell’Anima e del Cuore di Cristo.
Da qui ella salì alla ricerca dell’intimità con la SS. Trinità con un insieme
di pratiche ascetiche e liturgiche coronate da profonde contemplazioni
trinitarie. Negli esercizi spirituali del 1768 propose: “Sì, mio Dio, ad
altro non voglio attendere che a divenire una perfetta copia di Voi e, poiché
la vostra vita non fu che vita nascosta di umiliazione, di amore e di sacrificio,
così ha da essere da qui innanzi la mia, poiché sapete che altro non bramo che
di essere vittima del vostro santo Cuore”. Non bastandole i rigori della
regola carmelitana, con mille industrie ottenne dai superiori di poter pregare
e mortificarsi di più. A contatto dei rozzi sandali i piedi le si gonfiavano;
eppure, per tormentarsi maggiormente, ella vi metteva ancora dentro noccioli e
piccoli sassi. Nell’inverno le sanguinavano le dita per le piaghe prodotte dai
geloni fino a lasciarne traccia sulle pagine del breviario, eppure la sera
pregava con le mani sotto le ginocchia. Talora il sonno l’assaliva nelle ore
notturne del coro; per prevenirlo si poneva agli orecchi piccole tenaglie di
ferro addentate. Per divina ispirazione si obbligò a non lasciare mai occasione
che le si presentasse di patire e di patire tutto quello che poteva, sempre in
silenzio fra sé e Dio. Per avere sempre presente la passione di Gesù, per il
quale soltanto voleva “patire e tacere”, tenne stretta al petto una croce
lunga un palmo cosparsa di punte di ferro.
Vivere d’amore, di puro amore per il suo Diletto
circondato di spine: ecco l’ideale di Teresa Margherita. Il suo Dio essa lo
vedeva, lo trovava dovunque. Alla vista del cielo stellato, dei fiori, degli
insetti del giardino, diventava quasi estatica; poi scioglieva la voce dolce e
melodica a lodare il creatore; infine, trascinata dall’impeto del suo spirito,
il suo canto diventava così acuto che le consorelle l’esortavano a moderarlo.
Un giorno sentì ripetere in coro: “Dio è carità” e fu subito presa da
così vivo ardore che andò in estasi per lungo tempo.
Un giorno, però, i serafici ardori che le facevano
pregustare le gioie del cielo, scomparvero d’un tratto. Dal profondo della sua
desolazione ripeteva con S. Giovanni della Croce: “Ah, dove ti celasti,
amato mio, me in gemiti lasciando?”. E, trepidando, domandava al
confessore : “Padre, mi salverò?”. Durante quella notte oscura la
fede e la speranza si affinarono così in lei da farla esclamare: “Se
vedessi l’inferno aperto per me, continuerei tuttavia ad amare il
Signore”. Quando l’amorosa tribolazione cessò, Dio le rivelò l’ora della
morte. L’attese raccolta nel divin Cuore, sempre bramosa di rimanere oscura
anche alle stesse consorelle.
Nulla faceva prevedere la fine tanto rapida di Teresa
Margherita poiché, ricca di tutti i doni di natura e di grazia, godette sempre
di ottima salute. La sera del 6-3-1770, mentre consumava da sola la sua modesta
refezione di quaresima, ad un tratto fu assalita da atroci dolori colici. Si
alzò e cercò lì vicino un rifugio, ma l’acutezza degli spasimi la fece cadere a
terra. Prontamente soccorsa dalle consorelle, chiese con voce fioca che fossero
recitati cinque Gloria Patri al Cuore di Gesù, dicendo di attribuire a Lui la
grazia di non essere morta al primo assalto del male. Con la bocca appoggiata
al crocifisso supplicò la superiora di non permettere che qualche consorella si
disturbasse a vegliarla di notte e raccomandò all’infermiera la massima
riservatezza nell’applicarle i necessari rimedi.
Durante la notte il male si aggravò e l’infiammazione
volvulosa produsse la cancrena. Nel pomeriggio del sette marzo un’improvvisa
convulsione interna la lasciò semiviva, e alle ore 15, in età di ventidue anni,
cinque dei quali passati al Carmelo, consumò placidamente il suo olocausto in
unione alla Vittima divina che, in quella stessa ora, era spirata sulla croce.
Pio XI la beatificò il 9-6-1929 e la canonizzò il 19-3-1934. Il suo corpo è
conservato mummificato nel monastero delle Carmelitane di Firenze.
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del
giorno, vol. 3, Udine: ed. Segno,
1991, pp. 92-98.
http://www.edizionisegno.it/