Stanislao Kostka, nato nel 1550, proveniva da una nobile famiglia. A tredici anni venne mandato a studiare a Vienna, nella scuola dei gesuiti. Stanislao, nel corso di una grave malattia maturò il proposito di entrare nell’ordine dei Gesuiti. Per questo fuggì da Vienna alla volta di Dillingen. Nonostante la reazione del padre il giovane fu irremovibile. Andò a Roma per il noviziato. Morì il giorno dell’Assunta, a diciott’anni, nel 1568. Fu il primo beato della Compagnia.
Questo santo, chiamato il beniamino della Madonna, forma con S. Luigi Gonzaga (+1591) e S. Giovanni Berchmans (+1621) la triade di giovani angelici di cui si gloria la Compagnia di Gesù. Stanislao, il più simpatico dei tre, nacque il 28-10-1550 a Rostków, nella diocesi di Plock, antica residenza dei Kostka, una delle famiglia più ricche e nobili della Polonia. La mamma lo allevò con cura nella pietà, insieme con gli altri quattro figli. Stanislao apparve un predestinato fin dall'infanzia per la maturità di senno e la gravita dei costumi, una singolare modestia e una spiccata devozione alla Madonna. Quando gli presentavano un'immagine della Vergine e gli spiegavano che raffigurava la Madre di Dio, egli la baciava con trasporto e se la stringeva al cuore dicendo: "Lo so, lo so; ma Ella è anche la carissima mamma mia!".
Affidato all'educazione del precettore Giovanni Bilinsky, più tardi canonico, Stanislao fece rapidi progressi nello studio. Ma gli piaceva soprattutto pregare negli angoli remoti della casa mentre gli altri coetanei si trastullavano spensieratamente. La sua unione con Dio era tanto straordinaria che talvolta fu visto sollevato da terra e rapito in estasi. Più tardi dirà: "Non sono nato che per le cose del cielo, e a queste quindi voglio dedicarmi". Finché visse conservò intatto il candore della veste battesimale. Suo padre, il senatore Giovanni, invitava sovente alla sua mensa amici per feste o per affari. Conoscendo la grande delicatezza d'animo del figlio, raccomandava loro di astenersi da discorsi sconvenienti per impedire che egli ne arrossisse, alzasse gli occhi lacrimosi al cielo e andasse a finire svenuto sotto la tavola, com'era più volte accaduto, con sorpresa degli astanti.
A tredici anni Stanislao fu mandato col fratello maggiore Paolo e due cugini a ultimare la sua istruzione nel collegio dei Gesuiti di Vienna. Il 24-7-1564, accompagnati dal precettore, essi presero alloggio in una specie di pensionato di famiglia in cui gli allievi condividevano in parte la vita dei professori. In tale clima spirituale l'anima di Stanislao si dilatò. Ma la luna di miele cessò quando Massimiliano II, succeduto a Ferdinando I (11564), tolse ai Gesuiti il palazzo messo a loro disposizione da suo padre. Paolo, che non amava l'atmosfera piuttosto monastica del collegio, ne approfittò per stabilire il suo domicilio nel palazzo del senatore Kimberker, fanatico luterano, nonostante le proteste di Stanislao, il quale continuò a digiunare il sabato e a correre alla chiesa dei Gesuiti ogni volta che la scuola e lo studio gli lasciavano un po' di tempo a disposizione. Talvolta il suo corpo, oppresso dalla stanchezza, cadeva, e allora l'orante con le braccia in croce sveniva ai piedi di Gesù che immensamente amava.
Appena Stanislao seppe che nel collegio fioriva un'associazione sotto il patronato della Madonna, domandò di esservi iscritto. Diventò così caro a tutti, molesto a nessuno; fanciullo di età, ma uomo di prudenza; piccolo di statura, ma grande ed eccelso di animo. Nel vederlo i suoi compagni si vergognavano di loro stessi, tanto si sentivano inferiori e diversi da lui specialmente nella virtù. Don Antonio Meier, più tardi grande elemosiniere e prelato delle Maestà Imperiali, lo giudicava "uno specchio della più consumata perfezione". Paolo, invece, amante della libertà, approfittava dei denari messi a sua disposizione dal padre per correre coi cugini ai teatri e ai balli. Quando la sera tornava tardi, trovava il fratello ancora immerso o nella meditazione, o nella lettura di libri spirituali o inginocchiato ai piedi del letto, nella spaziosa camera comune. Se il precettore si accontentava di ricorrere all'ironia per distogliere il giovane da quella che considerava una mania religiosa, Paolo ben presto concepì per il fratello una grande avversione che lo spinse a insultarlo e a percuoterlo brutalmente per oltre due anni. Per dileggio prese a chiamarlo "il gesuita" perché ogni giorno ascoltava tre Messe, soventissimo si accostava ai sacramenti, si rifugiava nella soffitta del palazzo per fare indisturbato la sua orazione e desiderava farsi religioso.
Un vivo rimprovero per la vita di Paolo costituivano pure le penitenze che Stanislao frequentemente faceva. Non potendo vivere a pane e acqua, si astenne dai dolci e dalla frutta, portò un aspro cilicio e si flagellò spesso fino al sangue. Uno dei suoi cugini quando lo vedeva alzarsi di notte per far orazione in ginocchio o con il viso chino sul pavimento, gli si avvicinava e, fingendo di non vederlo, lo percuoteva ai fianchi. Eppure il santo, di temperamento sanguigno, si mostrò sempre amorevole e compiacente con tutti, anche quando Paolo, inviperito, un giorno gli disse: "Mi vergogno di essere tuo fratello, e perché mi fai arrossire non ti riconosco più come tale".
A diciassette anni Stanislao sentì una incoercibile attrattiva per la Compagnia di Gesù. Ma come ottenerne il consenso dal padre e persuadere il fratello e l'aio così contrari alle sue aspirazioni? Per sei mesi non manifestò neppure al confessore, il P. Doni SJ., i suoi propositi. Dal canto loro i superiori dei Gesuiti per l'accettazione esigevano il consenso del padre, temendone le rappresaglie. Tra tante ansietà nel dicembre 1566 il santo giovane cadde malato. Il demonio lo tormentò apparendogli sotto le forme di un orrendo mastino, ma egli lo mise in fuga con un semplice segno di croce. Il male allarmò i medici. A Stanislao spiacente soltanto di dover morire senza i sacramenti non avendo osato i suoi familiari chiamare il sacerdote in casa di un luterano. Iddio esaudì il suo desiderio e gli mandò di notte S. Barbara, accompagnata da due angeli, uno dei quali portava per lui l'ostia santa. Peggiorando il male, un'altra notte gli apparve la Vergine in persona, gli pose il Bambino Gesù tra le braccia e gli raccomandò di farsi gesuita. Quando la visione scomparve Stanislao era perfettamente guarito, con grande meraviglia dei medici.
Il P. Francesco Antoni SJ., mandato in Germania come predicatore dell'imperatrice Maria, poco al corrente della situazione, approvò la risoluzione di Stanislao e gli diede due lettere, una per S. Pietro Canisio, Provinciale di Germania, con residenza ad Augusta, e l'altra per S. Francesco Borgia, generale dei Gesuiti, con residenza a Roma. Il santo approfittò di un alterco in cui suo fratello lo aveva mandato al diavolo, per fuggire alla volta di Augusta nell'agosto del 1567. Paolo e il suo aio, timorosi di essere denunciati da Stanislao al padre per i cattivi trattamenti inflittigli, lo inseguirono con due focosi cavalli, ma non lo riconobbero nelle vesti di pellegrino mendicante, strette ai fianchi da una funicella alla quale era appeso un rosario. Ritornati delusi, furono informati da un confidente che il fuggiasco aveva lasciato per loro una lettera racchiusa dentro un Vangelo posto sul tavolo della stanza.
Trassero un sospiro di sollievo quando lesserò che "s'era creduto obbligato di fuggire, non per calpestare i doveri filiali, ma perché, se avesse palesato il suo proposito, avrebbe incontrato opposizione". Il padre, quando seppe di quella fuga, scrisse a Roma al cardinale Osto dichiarandosi deciso di far cacciare i Gesuiti dalla Polonia, d'inseguire il figlio anche in capo al mondo e di fargli attraversare il paese natale carico di catene come un prigioniero.
Il coraggioso fuggiasco, quando giunse ad Augusta, seppe con rammarico che il provinciale si trovava nella residenza di Dillingen (Baviera), a una giornata di cammino. Benché stracco morto per il viaggio, al tocco volle rimettersi in cammino fino al tramonto. Dopo aver riposato per qualche ora sotto un albero, passò il resto della notte in orazione. All'aurora si rimise in viaggio senza rompere il digiuno perché desiderava fare la comunione. Nell'altra versare un villaggio, entrò in una chiesetta, ma rimase deluso nel costatare che si trovava dentro un tempio protestante. Addolorato di ciò, proruppe in lacrime, ma, mentre piangeva, gli apparve un gruppo di angeli i quali corteggiavano un maestoso arcangelo che comunicò il pellegrino con un'ostia consacrata. Iddio ricompensava così i sacrifici che il santo sosteneva per corrispondere alla propria vocazione.
S. Pietro Canisio, l'apostolo della Germania, contrariamente agli altri superiori, passò sopra a tutte le umane considerazioni, e ammise Stanislao nella Compagnia di Gesù perché aveva scorto in lui i segni di un'autentica vocazione. Volle tuttavia provare la nuova recluta ordinandogli di restare nel collegio di Dillingen come aiutante di cucina. Il nobile giovane ebbe molto a soffrire per i maltrattamenti dei cuochi e degli altri camerieri invidiosi, ma egli, sempre sereno, diceva: "Tra le scope e i barattoli ho trovato il mio Paradiso!".
Timoroso che l'influente padre potesse strappargli dalle mani quell'aspirante alla vita religiosa, il Canisio lo inviò, con altri due confratelli, a Roma, nell'ottobre del 1567, con questa lettera per S. Francesco Borgia: "Il terzo è Stanislao, nobile polacco, giovane retto e pieno di zelo, che i nostri di Vienna non hanno voluto ricevere per non contrariare la sua famiglia. Venuto a noi desideroso di sciogliere un antico voto, fu provato al convitto di Dillingen, dove si mostrò sempre esatto nel proprio ufficio e saldo nella vocazione. Desiderava di essere mandato a Roma per essere più lontano dai suoi e progredire sempre più nella pietà. Grandi cose speriamo da lui". È ammirabile questa lettera di un santo indirizzata ad un altro santo riguardante profeticamente l'avvenire di un aspirante alla santità!
Nel noviziato di S. Andrea al Quirinale Stanislao, al dire del suo biografo e confessore, il P. Fazio SJ., per nove mesi condusse una vita di preghiera, di mortificazione e di innocenza. Portava sul cuore una copia delle Regole da lui trascritte per poterle leggere ogni tanto e praticarle nei minimi particolari. Il suo compagno di noviziato, Claudio Acquaviva, più tardi generale dei Gesuiti, arrossiva di se stesso al vedere come Stanislao praticava l'ascetismo. I superiori lo proponevano come modello ai suoi compagni, convinti che, se lo avessero imitato, sarebbero diventati tutti santi. Anche quando studiava o attendeva a qualche occupazione materiale in cucina o negli ospedali, con la mente Stanislao era assorto in Dio. Durante l'orazione il cuore sovente gli ardeva nel petto, motivo per cui talora fu costretto a fare uso di pannilini imbevuti di acqua fredda. Sovente al canto della "Salve Regina" cadeva in deliquio o era rapito in estasi. Più volte apparve con la testa circondata da un'aureola.
Stanislao sospirava la morte, che considerava la porta del cielo. "Persevererò in tale supplica finché il Signore mi esaudisca vedendo che io non posso vivere lontano da lui". Avvicinandosi la festa dell'Assunta scrisse una lettera alla Madonna perché lo prendesse in Paradiso con sé quel giorno. Poco prima della festa si mise a letto e dichiarò che non si sarebbe più alzato. Gli anziani ne sorrisero perché ritenevano che, per un diciottenne, non fosse ancora giunto il momento di lasciare questo mondo. Invece il santo morì proprio il 15-8-1568, squassato da una tosse secca e insistente, da emottisi e febbre elevata, dopo avere esclamato: "Vedo una luce chiarissima e provo una ineffabile gioia nel contemplare la B. Vergine Maria circondata da un coro di vergini!".
Stanislao Kostka fu canonizzato il 31-12-1726 da Benedetto XIII con S. Luigi Gonzaga, e fu proclamato da Clemente X patrono della Polonia con S. Casimiro. Le sue reliquie sono venerate a Roma nella chiesa di Sant'Andrea al Quirinale.
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 8, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 157-162
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