San Simeone, nativo di Siracusa, visse in parte in Terra Santa e in parte nell’Europa settentrionale. Eremita e monaco in Palestina e sul Monte Sinai, fu poi inviato con un confratello in Normandia per riscuotere un necessario tributo dal duca Roberto II. Appresa la morte di quest’ultimo, non restò a Simeone che porsi al servizio del vescovo di Treviri, Poppone, su consiglio dei suoi amici Riccardo, abate di Verdun, ed Eberwino, abate di San Martino. Condusse vita eremitica presso Treviri, ove morì. Si sviluppò presto, su di lui, una forte fama di santità.
Simeone, monaco di origine greca, laico, costituisce un esemplare di santità prima eremitica, poi itinerante e quindi reclusa, a Treviri, alla fine del secolo decimo e al principio dell\’undicesimo. Questi periodi tanto burrascosi della storia, passarono alla posterità con la qualifica di "secoli di ferro", eppure anche allora la grazia di Dio suscitò in seno alla società persone piene di zelo e famose per le eroiche virtù. Tra costoro brilla di particolare splendore Simeone. Egli nacque a Siracusa (Sicilia), non sappiamo in quale anno. Dopo aver fatto i suoi studi a Costantinopoli, sotto la dinastia degli imperatori Macedoni, pellegrinò alla terra Santa e visse da eremita prima a Betlemme e poi nel monastero che l\’imperatore Giustiniano (+565) aveva fatto erigere, ai piedi del Monte Sinai, in onore di S. Caterina di Alessandria, vergine e martire, e che è ancora celebre.
Riccardo II, detto il Buono (+1027), duca di Normandia, che aveva accresciuto notevolmente la potenza del suo stato con le vittorie sugli angli e gli scandinavi, tutti gli anni faceva delle generose elemosine a quel monastero. Una volta, i monaci che erano stati inviati in Francia dall\’abate per riscuoterle, erano morti in viaggio, e allora Simeone aveva ricevuto l\’ubbidienza di andarli a sostituire nell\’importante compito.
Egli s\’imbarcò sopra una nave veneziana, ma non aveva ancora lasciato il Nilo che i pirati la saccheggiarono dopo aver messo a morte i marinai e i passeggeri. Simeone sfuggì alla strage gettandosi in acqua. Dopo tre giorni di stenti riuscì a procurarsi qualche vestito e a mettersi in viaggio per Antiochia dove fu ben ricevuto dal patriarca e dal governatore bizantino. Colà egli incontrò un pellegrino francese, Riccardo, abate del monastero di St-Vanne, a Verdun (Meuse), in procinto di visitare i Luoghi Santi. Essi divennero grandi amici. Simeone poté quindi continuare con lui il suo viaggio verso la Normandia.
Prima di giungere a destinazione, era volontà di Dio che il santo itinerante soffrisse molte tribolazioni da parte dei pagani. A Belgrado, ai confini tra i bulgari e gli ungheresi, il governatore della città lo fece mettere in prigione non volendo che seguisse il pellegrino francese.
Quando fu rimesso in libertà, Simeone andò a Roma, di là poté recarsi in Francia, tra disagi di ogni sorta, in compagnia di un pio monaco, di nome Cosma, che aveva condotto con sé da Antiochia. In Aquitania furono ben ricevuti dal duca Guglielmo V il Grande (+1030). In quel tempo gli spiriti erano molto eccitati riguardo all\’apostolato esercitato dal primo vescovo di Limoges (Haute-Vienne), nel terzo secolo, S. Marziale. Sulla sua tomba, veneratissima nel medio evo, era sorto un grandioso monastero benedettino. S. Gregorio di Tours ne aveva fatto uno dei sette missionari inviati dagli Apostoli. I due pellegrini, richiesti del loro parere, testimoniarono che la Chiesa d\’Oriente metteva il santo vescovo nel numero dei settantadue discepoli del Signore. Simeone, ad Angoulème (Charente), perdette il suo compagno. Quando arrivò a Rouen, capitale della Normandia, Riccardo II era morto da pochi mesi. Per avere aiuti per il suo monastero si rivolse allora al successore di lui, Riccardo III, ma non ottenne nulla. Durante la sua permanenza nella capitale, Simeone conseguì d\’indurre il conte Giosselino e la sua consorte, a fare costruire sopra una collina vicina alla città, un monastero in onore della SS. Trinità, che in seguito si chiamò di Santa Caterina, a causa delle reliquie di lei che Simeone aveva portato con sé dal Sinai e donato alla chiesa. Non volendo ritornare a mani vuote al suo monastero, il santo prese la decisione di andare a trovare l\’abate Riccardo, che era già ritornato alla sua abbazia di Verdun. Si recò quindi a Treviri (Germania), presso Ebervino, abate di San Martino, sotto la cui direzione diede esempi di sottomissione e di grande spirito di mortificazione. L\’arcivescovo della diocesi, Poppone, rimase talmente edificato delle sue virtù che, avendo deciso di andare in pellegrinaggio alla Terra Santa, lo volle per compagno di viaggio.
Quando ritornò a Treviri, Simeone aveva preso la decisione di vivere da recluso per tutta la vita. Il vescovo, alla testa del clero e alla presenza del popolo, presiedette la cerimonia della sua reclusione, nella festa di S. Andrea del 1028, in una torre vicina alla porta della città, chiamata Nigra a causa del colore delle pietre, già parte integrante della cinta difensiva del presidio imperiale romano. Il santo fu murato in quella torre e in essa visse come in un tomba dedito soltanto alla penitenza, alla preghiera e alla contemplazione.
Sembrando, però, alla gente ignorante e superstiziosa, che il genere di vita abbracciato dal santo fosse superiore alle forze umane, invece di restarne edificata ne rimase soltanto meravigliata. Il popolino s\’immaginò che quel monaco, straniero, fosse un mago che si privava della compagnia degli uomini per mettersi più facilmente in commercio con i demoni. Egli fu considerato perciò il responsabile di tutte le calamità che si abbattevano sulla città. Un giorno un\’inondazione causò in Treviri delle grandi distruzioni. La bassa plebe credette subito che Simeone l\’avesse provocata con i suoi sortilegi. Si sollevò quindi contro di lui e lo avrebbero lapidato se fosse riuscita a sfondare la torre in cui era stato murato. Non potendo fare altro, sfogò il suo livore spaccandogli le finestre a colpi di pietra. Il Signore terminava di purificare così il suo servo buono e fedele.
Simeone morì santamente il 1-6-1035, sotto il pontificato di Benedetto IX. L\’abate Ebervino, che ne scrisse la vita per suggerimento di Poppone, lo assistette nell\’ultima malattia e gli raccomandò l\’anima. Appena la notizia della morte del recluso si diffuse per la città, le sciocche recriminazioni del popolo incostante tacquero per incanto, e furono sommerse da un coro di lodi sgorgate da mille cuori di ferventi devoti. Si verificarono allora, alla lettera, le parole evangeliche che dicono: "Chi si umilia sarà esaltato". Il clero di Treviri, i religiosi e i fedeli accorsero alla cella del recluso per onorarne le spoglie mortali. Tutta la città risuonò così del nome di colui che la calunnia e il sospetto avevano reso oggetto di esecrazione per tanti.
Poppone più volte mandò a Benedetto IX relazioni riguardanti la vita e i miracoli operati da Simeone. Il papa lo autorizzò nel 1041 a procedere alla "elevazione" del corpo del santo recluso. Tale azione equivaleva allora a una canonizzazione.
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 6, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 13-16
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