S. Policarpo, secondo S. Girolamo, fu ordinato vescovo di Smirne dallo stesso S. Giovanni evangelista, al quale sarebbe succeduto verso l’anno 100. Per oltre cinquant’anni, con zelo e fortezza, governò la sua diocesi, e non è improbabile che esercitasse una certa autorità e un certo prestigio su più vaste zone dell’Asia minore, in quanto egli fu l’ultimo testimone dell’età apostolica.
Nulla sappiamo della patria e della giovinezza di Policarpo che nacque, con tutta probabilità, da genitori cristiani verso il 70. Tranne le notizie fornite dalle lettere di S. Ignazio di Antiochia, e dalla lettera di S. Policarpo ai Filippesi, conosciamo alcuni dettagli della vita di lui da S. Ireneo, vescovo di Lione, che verso il 140 fu suo discepolo, ascoltò le sue istruzioni, raccolse le sue parole, e ne conservò fedelmente il ricordo. Nella lettera che egli mandò al prete Fiorino, che aveva aderito all’eresia dello gnosticismo, scrisse difatti: “Potrei ancora indicare il luogo, il posto preciso dove il beato Policarpo sedeva e insegnava; potrei descrivere come veniva e come andava, ritrarre le fattezze del suo corpo, esporre i discorsi che teneva al popolo, raccontare la familiarità che aveva con l’apostolo Giovanni e con gli altri discepoli che avevano udito il Signore; io potrei dirti infine come ripeteva i loro racconti, e quanto essi avevano udito dalla bocca stessa di Gesù” (Eusebio, St. Eccl., V, 24,16).
S. Policarpo, secondo S. Girolamo, fu ordinato vescovo di Smirne dallo stesso S. Giovanni evangelista, al quale sarebbe succeduto verso l’anno 100. Per oltre cinquant’anni, con zelo e fortezza, governò la sua diocesi, e non è improbabile che esercitasse una certa autorità e un certo prestigio su più vaste zone dell’Asia minore, in quanto egli fu l’ultimo testimone dell’età apostolica.
S. Girolamo afferma difatti che “Policarpo fu il capo di tutta l’Asia”. Quando S. Ignazio d’Antiochia, nel 107. passò da Smirne diretto a Roma per essere sbranato dalle fiere alle quali era stato condannato, fu ricevuto con cuore di vescovo dal giovane Policarpo. Da Troade S. Ignazio gli scrisse una lettera di addio con saggi consigli, come già S. Paolo aveva fatto con Timoteo e Tito: “Abbi cura dell’unità della Chiesa, di cui non vi è nulla di meglio; sopporta tutti come il Signore sopporta te; abbi pazienza e carità con tutti, come del resto fai. Non stancarti nella preghiera; domanda a Dio una sapienza maggiore di quella che hai; vigila con uno spirito insonne; ai singoli parla secondo il metodo di Dio, addossati le infermità di tutti, a somiglianza di un perfetto atleta… Per te io offro a Dio in sacrificio me stesso e le mie catene, quelle catene che tu hai baciato”.
S. Policarpo fece tesoro dei saggi ammaestramenti. Come S. Ignazio, anch’egli scrisse parecchie lettere a privati cristiani e alle chiese asiatiche in difesa della vera fede. A noi è giunta soltanto quella che diresse alla chiesa di Filippi, nella quale egli chiese a quei buoni fedeli notizie riguardo al passaggio del suo amico Ignazio in quella città, ed al martirio di lui. Insieme con la propria lettera egli mandò agli abitanti di Filippi “quante lettere poté avere” del condannato alle belve di cui gli avevano pressantemente fatto richiesta. Nello scritto S. Policarpo insiste specialmente sull’ubbidienza dovuta “ai presbiteri e ai diaconi” che in quel tempo, con probabilità, reggevano collegialmente la piccola comunità.
Nell’ultimo anno di vita il Santo vescovo di Smirne si recò a Roma per accordarsi con il Sommo Pontefice S. Aniceto (+166) sulla data della celebrazione pasquale, che gli asiatici festeggiavano due giorni dopo la Pasqua ebraica, e i romani invece nella domenica seguente, al 14 del mese di Nisan. L’accordo non fu raggiunto, e siccome si trattava di una questione puramente disciplinare, non ne fu turbata la carità, anzi, papa e vescovo si scambiarono vicendevolmente il bacio di pace. Aniceto, per tributare pubblicamente onore a Policarpo, gli permise di celebrare il santo sacrificio nella comunità in vece sua.
A Roma la presenza del vescovo venerando contribuì alla conversione di molti erranti alla verità e all’unità. Dovette avvenire in quell’occasione il famoso incontro con Marcione, scaltro e ricco capo degli gnostici. Quando questi chiese a S. Policarpo se lo conoscesse, egli lo investì aspramente: “O sì, io riconosco il primogenito di Satana”.
Al principio della persecuzione che scoppiò a Smirne sotto il proconsole Stazio Quadrato, S. Policarpo, in seguito a delle pressioni dei fedeli, si ritirò in una casa di campagna non facendo altro giorno e notte che pregare per tutti gli uomini. Tre giorni prima che fosse arrestato, in visione, vide il suo guanciale bruciato dal fuoco. Egli disse a coloro che si trovavano con lui: “Bisogna che io sia arso vivo”. Fu scoperto in seguito alla confessione estorta ad un suo servo mediante la tortura. Il Santo vegliardo, alle guardie che a tarda sera irruppero nella sua casa per arrestarlo, fece servire la cena, e per due ore pregò “per tutta la chiesa cattolica che è nel mondo”. Durante il tragitto egli resistette alle pressioni dell’irenarco Erode che gli diceva: “Che male c’è a dire: Signore Cesare, e sacrificare e compiere le altre cerimonie che si connettono al sacrificio, e così uscire felicemente salvo?”.
All’entrata di Policarpo nello stadio, mentre il popolo gridava, i cristiani udirono dal cielo la voce: “Sii forte, o Policarpo, e d’animo virile”. Condotto davanti al proconsole, il vecchio atleta consentì volentieri a gridare: “Abbasso gli atei”, ma si rifiutò di giurare per la divinità dell’imperatore. “Giura e ti libero – insistette il proconsole; – bestemmia Cristo”. Policarpo rispose: “Da ottantasei anni lo servo e in nulla mi ha fatto ingiuria; e come posso bestemmiare il mio rèe, che mi ha salvato?”. Stazio Quadrato mandò il suo banditore a gridare tre volte in mezzo allo stadio: “Policarpo ha confessato di essere cristiano”. La folla dei gentili e dei giudei con rabbia furiosa si pose allora a gridare; “Costui è il maestro dell’Asia, il padre dei cristiani, il distruttore dei nostri dèi, che insegna a molti a non sacrificare, né adorare”.
Condannato ad essere bruciato vivo, Policarpo pregò, legato come un malfattore sulla catasta di legna: “Signore, Dio onnipotente… ti benedico per avermi fatto degno di questo giorno e di questa ora, di prendere parte al numero dei Martiri, mediante il calice del tuo Cristo, alla risurrezione della vita eterna dell’anima e del corpo nell’incorruttibilità dello Spirito Santo”. Le fiamme del rogo lo avvolsero a spira senza ferirlo; il carnefice lo uccise con una pugnalata il 23 febbraio dell’anno 155.
Il Martirio di Policarpo è il più antico tra gli atti dei Martiri che possediamo, e fu scritto in forma di lettera subito dopo la morte del Santo, dalla comunità di Smirne alla chiesa di Filomelio in Frigia.
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 2, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 248-251.
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