S. PIETRO REGALADO (1390-1456)

Il santo fu favorito del dono delle lacrime che versava a torrenti specialmente durante la Messa. Più volte i frati lo videro circondato da una nuvola splendente, sollevato da terra e coronato di fiamme. Una notte gli abitanti di Aguilera accorsero al convento credendo che fosse scoppiato un incendio. La fiamma che avevano visto elevarsi sopra il tetto di esso partiva invece dal cuore ardente di Pietro. La notizia dello strabiliante prodigio fece accorrere anche il vescovo di Osma. Verso mezzanotte egli vide delle fiaccole che formavano una corona luminosa sul tetto del convento. Vi si recò subito, e trovò il santo immerso nella meditazione, con il petto infiammato come una fornace accesa.

 Questo straordinario taumaturgo, propagatore della stretta Osservaza Francescana, nacque a Valladolid (Spagna) nel 1390, da distinta famiglia. Rimasto presto orfano di padre, Pietro visse sotto la tutela della madre, che gli portò particolare affetto a causa delle sue precoci disposizioni alla virtù. Frequentando con lei la chiesa dei Frati Minori, a dieci anni concepì il disegno di abbandonare il mondo, ma la pia genitrice ritenne opportuno procrastinargli l\’entrata in convento di tre anni, per dargli modo di conoscere meglio la sua vocazione. A tredici anni Pietro fu accettato dai Francescani di Valladolid. Dopo il noviziato fece subito la professione solenne benché non avesse che quattordici anni. Il Concilio di Trento richiederà più tardi da tutti i novizi i sedici anni compiuti. La mamma si beava dei progressi che suo figlio faceva nella vita religiosa, e sovente lo andava a trovare, senza pensare al disagio che cagionava a Pietro, bramoso di vivere il più possibile segregato dal mondo, per prepararsi convenientemente al sacerdozio.
 Un giorno passò dal suo convento P. Pietro Villacreces, fratello del vescovo di Burgos, diretto ad Aguilera, nella diocesi di Osma, per stabilirvi la stretta osservanza secondo i poteri ricevuti dai superiori. Il Regalado non esitò a mettersi alla sua sequela nonostante l\’opposizione dei conventuali i quali avevano capito di quali talenti egli fosse dotato. Ad Aguilera, nel convento fatto costruire dal vescovo di Osma per dodici religiosi, potè darsi alla sospirata vita di preghiera, di studio e di penitenza. Dopo undici anni, i due riformatori fondarono il convento di Abrojo nella povertà più assoluta come il precedente, cioè con muri di pietre e di fango e con delle celle in legno, senza mobilia. Diversi francescani che aspiravano all\’osservanza della regola primitiva si unirono ad essi. Il Villacreces, allo scopo di premunirsi da eventuali opposizioni in seno all\’Ordine, si recò con il P. Lupo de Salazar a Costanza, per ottenere dal papa recentemente eletto (1417), Martino V, la conferma delle due fondazioni.
 Di comune accordo, alle solite penitenze i Recolletti ne aggiunsero delle altre più austere. Difatti, s\’interdissero l\’uso della carne e del vino; quasi tutto l\’anno s\’accontentavano di legumi cotti senza sale, e riservavano l\’olio e il pesce per i giorni di festa; d\’estate dormivano per terra e d\’inverno sul fieno; ogni giorno dedicavano undici ore alla preghiera e alla meditazione.
 Alla morte del Villacreces (1422), Pietro Regalado fu chiamato a succedergli nella direzione dei due conventi. Non ne potè fondare degli altri perché i francescani mitigati glielo impedirono. Pur soffrendone, egli si consolava al pensiero che Dio, S. Francesco e la verità non muoiono mai. Si propose di predicare ai suoi religiosi più con l\’esempio che con le ammonizioni. Innamorato della povertà e della penitenza camminava a piedi scalzi anche nei lunghi viaggi; portava il cilicio sotto l\’unica veste usata e piena di toppe; digiunava a pane ed acqua quasi tutti i giorni; si flagellava fino al sangue.
 Dio diede presto a vedere di quali grazie aveva adornato l\’anima del suo servo buono e fedele. I Recolletti, perciò, invece di dare ascolto a chi li voleva sottrarre alla di lui giurisdizione, lo stimarono, l\’amarono e l\’ubbidirono. Il santo fu favorito del dono delle lacrime che versava a torrenti specialmente durante la Messa. Più volte i frati lo videro circondato da una nuvola splendente, sollevato da terra e coronato di fiamme. Una notte gli abitanti di Aguilera accorsero al convento credendo che fosse scoppiato un incendio. La fiamma che avevano visto elevarsi sopra il tetto di esso partiva invece dal cuore ardente di Pietro. La notizia dello strabiliante prodigio fece accorrere anche il vescovo di Osma. Verso mezzanotte egli vide delle fiaccole che formavano una corona luminosa sul tetto del convento. Vi si recò subito, e trovò il santo immerso nella meditazione, con il petto infiammato come una fornace accesa.
 Ai suoi religiosi il Regalado raccomandava sempre molto, con la pratica della povertà e dell\’umiltà, l\’esercizio dell\’orazione. Perché potessero pregare con raccoglimento, un giorno ordinò a delle rondinelle di andare altrove a trillare festosamente. Due uccelli che cinguettavano durante il servizio divino caddero morti ad un suo segno di croce. Pietro si recò una volta a Valladolid mentre si svolgeva una corrida. Un toro, ferito a morte, fuggì per le strade e minacciò di trapassare da una parte all\’altra con le corna il Santo che stava passando. Pietro sollevò gli occhi al cielo, mise il suo bastone sul muso del toro, e l\’animale all\’istante si ammansì. Egli venerava in modo speciale una pittura raffigurante, nel coro del convento, l\’Annunciazione. Nel giorno della festa, trovandosi tra i religiosi di Abrojos, dopo il mattutino desiderò di andarla a pregare. D\’improvviso disse a chi gli stava vicino: "Io mi assento un istante; se qualcuno chiede di me, gli dirai che ritornerò presto". Poi disparve e dagli angeli, forse, fu trasportato ad Aguilera, I frati furono molto sorpresi di vederlo. Dopo aver fatto un po\’ di orazione davanti alla SS. Vergine, il Santo si allontanò com\’era venuto. Le lettere, che i religiosi dei due conventi si scambiarono, fecero conoscere il prodigio che accrebbe la stima che avevano concepito per il loro superiore. Il miracolo si rinnovò sovente in seguito per la necessità, che Pietro aveva, di trasferirsi da un convento all\’altro per impedire che i suoi religiosi cadessero nel rilassamento. Il venerdì, al termine del capitolo partiva alle 7 del mattino e alle 8 era già al convento di Abrojos distante 15 leghe.
 L\’amor di Dio spingeva il Regalado a prodigarsi per i suoi religiosi, ma anche per tutti coloro che accorrevano a lui per consiglio o per aiuto. Ai poveri egli donava quanto gli capitava in mano; ai lebbrosi lavava e baciava le piaghe; ai malati ridonava sovente la salute con il segno della croce. Dio ricompensò il suo grande amore per il prossimo con dei prodigi. Un giorno d\’inverno in cui tutte le provviste del convento erano terminate e la neve impediva la questua nelle campagne, Pietro diede ordine ai frati di recarsi ugualmente al refettorio al suono della campana. Al momento della preghiera il portinaio trovò davanti al convento una mula senza guida, carica di pane. Lo prese, lo portò in cucina e quando ritornò alla porta la bestiola aveva già preso il volo senza lasciare tracce di sé.
 Presso il convento di Abrojos scorreva il Duero. Quando il Santo andava alla questua nelle parrocchie vicine, egli stendeva sovente il mantello sull\’acqua, vi saliva sopra con l\’asino carico di cibarie e passava il fiume. Lo stesso fatto prodigioso si verificava quando si recava nei vicini villaggi per soccorrere il prossimo nelle sue svariate necessità temporali e spirituali, e non trovava la chiatta pronta a traghettarlo. Simili miracoli furono attestati dall\’arcivescovo di Sigùenza e dal vescovo di Plasencia.
 Quando Pietro Regalado presentì che si avvicinava la sua ultima ora, si recò al convento di Ficoneda, distante oltre quaranta leghe da Aguilera per esortare il P. Lopez de Salazar (+1459), malato, a sostituirlo nella direzione della riforma iniziata anche nei monasteri di religiose. Egli gli espose quello che occorreva fare per conservarla in Spagna, dove non aveva ancora gettato profonde radici, e poi ripartì. Durante la quaresima del 1456 cadde malato, prostrato dai digiuni e dalle penitenze. Il giorno di Pasqua chiese perdono, piangendo, ai suoi religiosi dei cattivi esempi dati, si fece collocare per terra sopra un povero vestito e ricevette il Viatico. Consolò quindi i religiosi che lo circondavano, li esortò vivamente all\’osservanza delle regole e li benedisse per l\’ultima volta.
 I frati avrebbero voluto amministrargli subito anche la santa unzione, ma egli rispose che l\’avrebbe ricevuta dalle mani del vescovo di Plasencia. Poiché insistevano, essendo imminente il pericolo di morte e dimorando il vescovo molto lontano di là, egli rispose: "Dio è assai potente da avvertirlo e condurlo in questa povera cella". Nello stesso istante il portinaio venne ad annunziare l\’arrivo del vescovo, il quale era accompagnato da un nipote rattrappito nelle membra fin dalla nascita. Il prelato supplicò Pietro a volerlo risanare, ma il santo richiese che prima si confessasse e facesse la comunione. Dopo che ebbe ricevuto la santa unzione si mise a cantare con una dolce voce. All\’ultimo momento pregò il Guardiano che gli facesse la carità di una povera tonaca. Spirò sereno il 30-3-1456 dopo aver esclamato: "Nelle tue mani, o Signore, raccomando il mio spirito".
 Pietro Regalado fu seppellito nel convento dei Recolletti di Aguilera. Nei primi sei mesi dopo la morte, sulla tomba si verificarono 128 miracoli, a beneficio specialmente dei più bisognosi. Un povero vecchio, dopo il decesso di lui, continuò a presentarsi alla porta del convento per ricevere la solita elemosina. Un giorno vi giunse quando erano già terminate tutte le cibarie. Il poveretto entrò allora tutto rattristato in chiesa, andò a prostrarsi dinanzi al sepolcro del suo antico benefattore, Pietro Regalado, e poi sospirò: "Grande santo, se viveste ancora, non sarei privato della mia elemosina". In quell\’istante la tomba si aprì, il defunto si presentò all\’infelice tenendo nelle mani un pane, glielo diede e poi si distese di nuovo nel sepolcro con grande stupore del mendico.
 Dopo la cacciata dei mori da Granada (1492), Ferdinando il Cattolico e la sua sposa Isabella di Castiglia si recarono a venerare il Regalado. Meravigliati che il corpo del taumaturgo si trovasse ancora nella tomba, lo fecero esumare. Le membra avevano conservato la loro duttilità ed esalavano un gradevole profumo. La regina espresse il desiderio di avere alcune dita di lui da conservare come reliquie. Quando furono tagliate alla presenza dei vescovi accorsi e dei religiosi, dalla ferita sgorgò sangue puro e vermiglio in tutto simile a quello di una persona viva. Pietro Regalado fu canonizzato da Benedetto XIV il 29-6-1746. Innocenzo XI ne aveva approvato il culto il 17-8-1683.
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 3, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 294-298.
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