L’attività missionaria di Patrizio ebbe un preludio nello zelo di S. Palladio, di origine celtica, che S. Celestino I aveva inviato nel 431 come vescovo in Irlanda. La morte però, interruppe presto il suo duro e difficile lavoro tra popolazioni ancora pagane tiranneggiate dai druidi. Il Santo, appena ne ricevette la triste notizia, decise di recarsi in quell’isola con qualche compagno dopo aver ricevuto la consacrazione episcopale, forse, da S. Germano. È probabile che sia sbarcato poco lontano dalla città di Wicklow, ma è impossibile stabilire con precisione quali contrade egli abbia evangelizzato per prime. Una cosa è certa, che nelle sue missioni egli mirò soprattutto alla conversione dei re, o capi di clan, che esercitavano un enorme influsso sul popolo e potevano fornire il terreno necessario per la costruzione delle chiese e dei conventi indispensabili alla civilizzazione del paese.
S. Patrizio è una figura più famosa che conosciuta.
Sappiamo poco della sua vita e la critica non sempre riesce a sceverare
l’elemento storico da quello leggendario. Il Santo nacque in Britannia verso il
389. Suo padre, Calpurnio, diacono e decurione, possedeva una piccola fattoria
presso Bannaven Taberniae (Daventry?). A 16 anni i corsari lo fecero
prigioniero e lo condussero in Irlanda, dove per sei anni errò per monti e per
foreste facendo il guardiano di mandrie. La durezza della servitù lo ricondusse
alla pratica dei doveri religiosi che aveva fino allora trascurati. Più tardi
quei giorni gli appariranno i più importanti della vita perché ebbe modo
d’imparare la lingua del paese e di familiarizzarsi con i costumi e la
mentalità del popolo che doveva evangelizzare.
Dopo essere fuggito due volte, Patrizio rientrò in
famiglia. I parenti lo ricevettero come un figlio e lo supplicarono di non
abbandonarli più dopo tante tribolazioni. Egli ebbe invece un primo invito ad
evangelizzare l’Irlanda. Nella sua Confessione, specie di autobiografia
di cui è sotto riconosciuto il valore storico, scrive: “Ho visto in sogno
un uomo proveniente dall’Irlanda con innumerevoli lettere. Egli me ne diede una
che cominciava così: “La voce dell’Irlanda”. Leggendo
quell’intestazione mi sembrava di udire nello stesso tempo la voce di coloro
che erano presso la foresta di Foclut, i quali gridavano concordemente:
“Ti supplichiamo, santo giovane, di venire e di aggirarti pure in mezzo a
noi”. Ne fui tocco nell’intimo del cuore, non potei proseguire la lettura
e mi svegliai”. Egli prese dunque la risoluzione di approfondire i disegni
di Dio, di esaminare la sua vocazione e d’apprendere la scienza divina dai
monaci nelle isole di Lerino, nel Mediterraneo, di fronte a Cannes (Francia),
vera fucina di santi. È probabile che si sia soffermato pure nelle solitudini
dei cenobiti delle isole del Mar Tirreno settentrionale, amante com’era della
preghiera e della penitenza.
Ritornato in patria, alcune visioni gli diedero la
certezza di essere chiamato a diventare l’apostolo d’Irlanda. Onde prepararsi a
quella difficile missione si recò ad Auxerre, in Francia, dove restò dal 415 al
432 sotto la direzione dei vescovi S. Amatore (+418) e S. Germano (+448). Egli
si applicò soprattutto allo studio dei dogmi e alla meditazione della Bibbia.
Allorché S. Germano ritornò dalla Gran Bretagna dov’era stato a combattere il
pelagianesimo e a propagare la vita monastica, portò di certo a Patrizio
notizie sulla situazione religiosa del suo paese natale e sulle necessità
spirituali dell’Irlanda ancora pagana, dominata dalla casta sacerdotale dei
druidi. Costoro non avevano templi, ma si riunivano nelle foreste e, in giorni
determinati, vi raccoglievano solennemente il sacro vischio sulle antiche
querce. Non andavano alla guerra e non pagavano tributi; istruivano la gioventù
nobile e giudicavano tutte le controversie pubbliche e private.
L’attività missionaria di Patrizio ebbe un preludio nello
zelo di S. Palladio, di origine celtica, che S. Celestino I aveva inviato nel
431 come vescovo in Irlanda. La morte però, interruppe presto il suo duro e
difficile lavoro tra popolazioni ancora pagane tiranneggiate dai druidi. Il
Santo, appena ne ricevette la triste notizia, decise di recarsi in quell’isola
con qualche compagno dopo aver ricevuto la consacrazione episcopale, forse, da
S. Germano. È probabile che sia sbarcato poco lontano dalla città di Wicklow,
ma è impossibile stabilire con precisione quali contrade egli abbia
evangelizzato per prime. Una cosa è certa, che nelle sue missioni egli mirò
soprattutto alla conversione dei re, o capi di clan, che esercitavano un enorme
influsso sul popolo e potevano fornire il terreno necessario per la costruzione
delle chiese e dei conventi indispensabili alla civilizzazione del paese.
Nell’Ulster, la provincia più settentrionale
dell’Irlanda, convertì un capo potente chiamato Dichu. A Tara, sede del re
supremo, tentò di convertire lo scettico, ma liberale Loegaire, compiendo
davanti a lui, in concorrenza con i druidi, grandi prodigi. Abbracciò il
cristianesimo invece, Cenali, fratello del re, il quale donò a Patrizio il
terreno per la costruzione di una chiesa. A nord del fiume Eithne, a Granard,
il Santo fece costruire un monastero, nella cui solitudine visse Gosact, figlio
di Miliuce, uno dei capi di clan, che aveva conosciuto durante la sua
cattività. Nel Connaught compì di certo tre viaggi missionari. Durante il
secondo penetrò nella foresta di Foclut e, ai suoi bordi, costruì una chiesa.
Durante il terzo viaggio fondò una grande chiesa a Cell More, nella pianura di
Roscommon; un’altra ne fece costruire a Elphin, nella pianura di Glass, con
annesso un convento, con l’aiuto finanziario di Hono, un druida molto
influente; e convertì a Rathcrogan le due figlio del re Loegaire. Dopo aver
digiunato per 40 giorni sulla montagna, detta Croagh-Patrick, tornò nel Leinster
e quindi raggiunse il Munster dove, a Cashel, battezzò il rèe Oengus.
Dopo 9 anni d’intenso apostolato Patrizio, verso il 441,
volle recarsi a Roma per avere da S. Leone il Grande l’approvazione del suo
operato. L’accoglienza dovette essere buona se ritornò con reliquie dei santi
apostoli Pietro e Paolo. Sbarcato nell’isola, si recò nel regno d’Oriel il cui
capo, Daire, fervente cristiano, gli permise di stabilirsi a oriente della
collina d’Arddmache, su cui fece costruire un monastero in legno, embrione
della futura città d’Armagli, sua sede primaziale dal 455. Dopo quella
fondazione Patrizio visitò l’Irlanda del sud, come superiore e coordinatore
delle fatiche dei missionari galli, franchi, romani e bretoni che con lui
cooperavano alla distruzione del paganesimo, tra inenarrabili difficoltà
provenienti soprattutto da parte dei druidi, i quali, in virtù della loro
magia, godevano di grande influenza e non erano affatto disposti a lasciarsela
togliere. Il Santo confermò nella fede i cristiani, ordinò presbiteri e
consacrò vescovi, per le chiese da lui designate nominatamente.
Gli ultimi anni S. Patrizio li passò nel ritiro e nella
preghiera. “Egli cantava ogni giorno, ci dice il suo biografo Muirchu,
salmi, inni, brani dell’apocalisse, cantici tratti dalla Bibbia, sia che si
trovasse in sede o in viaggio. A ogni ora del giorno e della notte faceva 100
volte il segno di croce. Quando sul suo cammino incontrava una croce scendeva
dal carro per prostrarlesi davanti”. Per i pagani convertiti avrebbe dato
volentieri la vita e non gl’importava di morire senza sepoltura, preda dei cani
randagi o delle bestie feroci. Verso il 457 rassegnò nelle mani di Benigno il
governo della chiesa d’Armagli. Egli si ritirò a Saul, nell’Ulster, dove morì
circonfuso di un’autorità senza eguali. Fu sepolto a Down-Patrick. Nel 552 San
Colombano ne aprì la tomba per riporre le ossa in una cassa di cui s’ignora la
sorte. In Irlanda in onore di S. Patrizio furono costruite oltre 195 chiese.
Fin dai tempi antichi la sua festa si trova segnata in tutti i martirologi alla
data del 17 marzo. Il suo culto ebbe una grande diffusione in Europa dal secolo
VIII. Lo storico Luigi Gougaud OSB ha scritto nel libro Le cristianità
celtiche (1911, p. 59): “Per avere annesso l’Irlanda al regno di Dio
tra tante sofferenze e tribolazioni, con un eroismo cristiano fuori misura, il
suo popolo l’ha onorato e benedetto nei secoli come mai lo fu apostolo
nazionale”.
Oltre la Confessione, possediamo di S. Patrizio una
Lettera
a Corotico, re bretone di Strathclyde, in cui deplora le violenze commesse
dai suoi soldati in un’incursione sulle coste irlandesi contro le comunità
cristiane dell’isola. Gli fu attribuita pure una preghiera in gaelico detta Faed
Fiada o “grido del daino” in cui sono rivolte possenti
invocazioni a Dio a protezione contro le insidie dei nemici.
Tra le numerose leggende sorte intorno al santo, merita
una menzione quella del Purgatorio di S. Patrizio, inventata verso la
fine del secolo XII da un monaco inglese. Per dissipare l’incredulità di taluni
irlandesi riguardo alle pene dell’oltretomba, il santo avrebbe ricevuto dal
Signore la rivelazione di una caverna che immetteva negli inferi. Chi si fosse
trattenuto in essa un giorno e una notte, con fede, avrebbe ottenuto il perdono
dei peccati e, perseverando nel bene, l’eterna salvezza. La caverna si trova
nel Donegal (Ulster), nell’isola del Loug-Derg. Per ordine di Alessandro VI fu
murata nel 1497, ed è meta di un pellegrinaggio annuale dal 1° giugno al 15
agosto. I devoti del santo rimangono nell’isola tre giorni durante i quali essi
compiono, tre volte il giorno, riti penitenziali con settemplice
circumambulazione della chiesa di S. Patrizio a cupola ottagonale e dei quattro
“letti di penitenza” o recinti circolari, intitolati a S. Brigida, S.
Brandano, S. Caterina e S. Colomba. La preghiera dai pellegrini viene fatta a
braccia distese.
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del
giorno, vol. 3, Udine: ed. Segno,
1991, pp. 190-193.
http://www.edizionisegno.it/