S. PAOLINA del CUORE AGONIZZANTE di GESÙ (1865-1942)

Amabile Wisenteiner, nacque a Vigolo Vattaro, piccolo paese dell’allora Sud-Tirolo austriaco, il 16 dicembre 1865. Nel 1875, anno che segnò l’emigrazione in Brasile di molti vigolesi, anche la famiglia Wisenteiner emigrò, prendendo residenza con gli altri emigrati nello Stato di Santa Caterina, dove fondarono i centri di Nova Trento e Vigolo a ricordo dei luoghi natii. Il 12 luglio 1890 è ritenuta la data di nascita della Congregazione delle Piccole Suore dell’Immacolata Concezione, di cui fu fondatrice. Si prende cura degli emigrati, dei giovani, dei malati e dei poveri. Alla sua morte lasciava ben 45 case in cinque Stati del Brasile. Il messaggio di Madre Paolina in terra di emigrati e di missione, fu la totale disponibilità al servizio della Chiesa nello spirito ignaziano e nell’impegno parrocchiale e religioso nei confronti di chiunque ne avesse bisogno. Fu canonizzata il 19 maggio 2002.

La vicenda umana di questa beata iniziò nel sud-Tirolo Austriaco, oggi trentino, e si concluse in Brasile, dopo la fondazione delle Piccole Suore dell\’Immacolata Concezione. Ella nacque a Vigolo Vattaro il 16-12-1865, secondogenita dei 14 figli che Napoleone Visintainer (+1911), di professione muratore, ebbe da Anna Domenica Pianezzer (+1887), pia e virtuosa donna di casa che, per vivere, d\’estate coltivava un campicello, d\’inverno filava e tesseva lino e cotone per procurare il vestiario alla famiglia. Al fonte battesimale le furono imposti i nomi di Amabile e Lucia. Crescendo in età, dalla mamma specialmente imparò presto a pregare, a frequentare la chiesa, ad assistere la nonna inferma e a prestare il suo aiuto in lavori nella filanda. Secondo l\’uso del tempo, a nove anni fu cresimata durante la visita pastorale che il vescovo di Trento fece a Vigolo Vattaro. Di mano in mano che nella famiglia Visintainer crescevano le bocche da sfamare, la condizione economica si faceva sempre più difficile. Per superarla, i genitori decisero di emigrare nel Brasile, che fu scoperto dai portoghesi nel 1500, e da loro trasformato in grandi piantagioni di caffè, di cacao, di tabacco, di cotone, di canna da zucchero, con la manodopera dei negri ridotti in schiavitù. Quando la tratta dei negri fu abolita (1840) dall\’imperatore Pedro II (+1891), il governo corse ai ripari facendo reclutare lavoratori un po\’ in tutta l\’Europa da varie compagnie o Società di Colonizzazione a ciò debitamente autorizzate. I Vigolani ne approfittarono per trasferirsi con i loro nuclei familiari al completo al porto di Itajai, nella provincia di Santa Caterina, oggi stato, al sud del Brasile. Furono ricevuti dal P. Giovanni Cybeo (1925), missionario gesuita italiano che risiedeva a Desterro, oggi Florianopolis, il quale suggerì loro di stabilirsi in un luogo chi amato Alferes, alle dipendenze della parrocchia di Brusque, retta da preti tedeschi. Gli emigrati battezzarono subito la località Nova Trento (1875).
La zona nel 1879 fu affidata alle cure dei gesuiti della Provincia Romana, ma finché non ne presero possesso, il parroco di Brusque visitava periodicamente gli italiani, celebrava la messa nella cappella di San Giuseppe di Nova Allianca, oggi Claraiba, e vi organizzava due o tre comunioni generali all\’anno. Fu in occasione di una di esse che Amabile, a 12 anni, fece la sua prima comunione. A scuola aveva fatto pochissimi progressi. Finché visse non imparò mai a scrivere correttamente l\’italiano.
Il signor Napoleone, che era emigrato con la moglie, 15 figli e i nonni materni di Amabile, aveva ricevuto il suo lotto di terra da coltivare a sei chilometri di distanza da Nova Trento. Egli e i suoi compaesani, di comune accordo, chiamarono la località, toccata loro in sorte, Vigolo, e la dotarono di una cappella dedicata a S. Giorgio, patrono della loro terra natale. Qui la beata trascorrerà la sua vita fino a 25 anni, sempre intenta ad aiutare la mamma nella custodia dei fratelli, e il babbo nella conduzione di un mulino per la macinazione del granoturco, che aveva assunto in società con la famiglia Nicolodi. Fu questa l\’occasione per Amabile di stringere legami di stretta amicizia e di collaborazione con Virginia Nicolodi, giovane che già conosceva per la sua singolare pietà.
I Gesuiti, per volere del loro Preposito Generale P. Pietro Becker (+1887), aprirono la Residenza di Nova Trento il 14-12-1879 sotto la direzione del P. Augusto Servanzi (11891). Fu costui che alle due giovinette Amabile e Virginia affidò la pulizia della cappella S. Giorgio, la lettura del catechismo a un centinaio di bambini e le visite agli ammalati fuori del tempo che dovevano dedicare ai doveri familiari. I Gesuiti, quando per ministero si recavano a Vigolo, si recavano volentieri presso la famiglia Visintainer perché sapevano che i suoi membri si riunivano insieme per pregare o per recitare il rosario, e vivevano in pace nonostante la povertà, il duro lavoro quotidiano, e i lutti. Nel 1887 di parto morì Anna, la moglie di Napoleone. Per tre anni, e cioè fino a quando il babbo non si risposò, Amabile dovette accollarsi le cure di papa e di sette fratelli, tre dei quali ancora in tenera età perché nati in Brasile. Ciononostante non tralasciava la comunione che era solita andare a fare due volte la settimana a Nova Trento.
Nel 1888 P. Servanzi fu destinato dai superiori alla Missione dello stato di Goiàs. A Nova Trento fu sostituito dal P. Marcelle Rocchi (+1912) il quale, non solo confermò le due giovani nel loro apostolato, ma costatò che sarebbe stato molto utile chiamare dall\’Italia un Istituto di Suore dedite alle opere di misericordia corporale di cui Amabile e Virginia avrebbero potuto fare parte dal momento che non intendevano sposarsi.
L\’idea fu accantonata per mancanza di mezzi economici. Iddio, però, con diversi sogni indicherà alla Beata quella che sarebbe stata la sua vocazione. Frattanto Amabile propose a Virginia di andare a vivere insieme con lei in una casetta vicino alla cappella di San Giorgio per pregare, visitare i malati e assistere i moribondi. Virginia obiettò: "I nostri genitori ci permetteranno di andare a vivere insieme in una baracca di legno?" Ripiena di fede, Amabile le ripose: "Il buon Dio ci verrà incontro. Egli sa che vogliamo fare la sua volontà, perciò, nell\’ora da lui stabilita ci aiuterà".
P. Rocchi ritenne che quel progetto era stato ispirato alle due amiche dallo Spirito Santo. Cominciò, quindi, a riflettere sulla maniera di realizzarlo tra una missione e l\’altra che predicava nelle varie città di Santa Caterina e del Paranà. I compaesani di Vigolo, venuti a conoscenza del progetto di Amabile e di Virginia, affidarono ad esse la cura di una donna cancerosa che era stata rifiutata dall\’ospedale di Desterro. La baracca di legno in cui il 12-7-1890 il signor Napoleone trasportò la malata, sistemò la figlia e la sua compagna, venne subito battezzata "ospedaletto San Vigilie". Posto sotto la protezione di S. Giuseppe, esso prosperò nonostante la povertà più assoluta e l\’opposizione dei tristi che presero a deridere le due giovani quasi fossero delle sciocche e delle illuse.
Dopo la morte della donna cancerosa, Amabile e Virginia fecero gli esercizi spirituali seguendo il libro del P. Luigi Bellecio S.J. (+1757) e "la Religiosa in Casa" del Ven. Giuseppe Frassinetti (+1868). La beata li concluse facendo un atto di abbandono totale nelle mani dell\’Immacolata di Lourdes, continuando a curare i malati e cominciando a ricevere bambine orfane e povere da educare. Le privazioni alle quali le "infermiere" – così le chiamava il popolo – furono costrette a sottoporsi, furono tante che caddero malate per avitaminosi.
I gesuiti, che capivano quanto fosse necessario avere a Nova Trento un ospedale, aiutarono le loro figlio spirituali a costruirsi una casetta presso la chiesa parrocchiale, sopra un terreno che fu loro donato, di cui presero possesso il 12-2-1894, e in cui accolsero subito orfane, malate e handicappate. A Vigolo, dove era rimasta una donna anziana con alcune bambine e giovani, Amabile e Virginia tornavano solo alla domenica per fare il catechismo ai bambini, e dirigere l\’Associazione delle Figlie di Maria di cui facevano parte. Le "infermiere" mantenevano le persone che avevano accolto facendo le sarte, fabbricando candele, confezionando fiori artificiali, dandosi alla piccola industria serica in cui erano provette.
Quando tutto sembrava che procedesse per il meglio, Amabile fu colpita un\’altra volta da grave malattia ma, per intercessione della Vergine Immacolata, guarì improvvisamente. Lungo era ancora il cammino che doveva compiere per la maggior gloria di Dio.
Nel febbraio del 1895 le due giovani rimasero prive del loro direttore spirituale e confessore. I superiori avevano trasferito il P. Rocchi a San Paolo e al suo posto, come superiore della residenza di Nova Trento, avevano eletto il P. Luigi Rossi (+1921). Alcuni giorni prima del suo arrivo era stato concesso alla beata di vederlo in sogno. Il suo incontro con le "infermiere" non fu esaltante anche perché andavano ancora vestite come le contadine tirolesi. Esse gli chiesero di aiutarle a diventare religiose, ma egli, dovendo accompagnare il primo vescovo della diocesi di Curitiba, Don José de Camargo Barros (+1906) nella visita parrocchiale che stava per fare, si limitò a raccomandare loro di chiedere a S. Giuseppe con un "memoriale" la desiderata grazia. La beata prontamente obbedì. Il vescovo, quando giunse a Nova Trento, visitò pure la piccola comunità di Amabile, da tutti chiamata ormai "conventino", e il 25-8-1895 la eresse canonicamente, conferendo al P. Rossi tutte le facoltà di cui aveva bisogno per aiutarla a crescere. Il 22-11-1895 costui così ne scrisse alla sorella Sr. Maria Angelica, badessa del monastero "Corpus Domini" di Forlì: "Il giorno dell\’Immacolata prenderanno l\’abito tre giovani tirolesi con il nome di Figlio dell\’Immacolata Concezione… Esse si confessano tutte da me in chiesa pubblica… e mi pare di poter riconoscere nella loro superiora un\’anima veramente illuminata da Dio e favorita dal medesimo nel modo con cui erano favoriti i santi, cioè con dolori, pene e consolazioni spirituali".
Il P. Rossi diede l\’abito religioso alle tre prime Piccole Suore dell\’Immacolata Concezione il 7-12-1895, durante la celebrazione della Messa, e ne ricevette la professione religiosa. Amabile si chiamò Suor Paolina del Cuore Agonizzante di Gesù, e Virginia Suor Matilde dell\’Immacolata Concezione (+1917). I Vigolani, quando videro le "infermiere" vestite da suore, chiesero loro di rimanere in paese per l\’istruzione della gioventù. La fondatrice li accontentò. Con Suor Matilde, non molto più istruita di lei, aprì una scuola presso l\’ospedaletto che a poco a poco prosperò. Diverse Figlio di Maria chiesero di farne parte. A Nova Trento madre Paolina eresse il noviziato e lo diresse con molto buon senso. Chi la conobbe attestò: "Esigeva l\’obbedienza regolare, il santo silenzio e molta vita di orazione, praticata mediante frequenti giaculatorie". Per il sostentamento della comunità diede vita a una piccola industria della seta che, per dieci anni, prosperò e costituì una buona fonte di guadagno.
La beata, sotto la guida del P. Rossi, suo protettore e provveditore, prese in affitto un caseggiato nei pressi della Residenza dei Gesuiti, lo chiamò: "Esternato Immacolata Concezione" e lo pose sotto la direzione di Suor Matilde. Per sostenerlo non temette di darsi alla coltivazione dei campi a mezzadria con le postulanti, le novizie e le suore a prezzo di durissimi sacrifici. Quando si trovava a corto di tutto faceva pregare: "S. Giuseppe, pensate voi!", o dava inizio a una novena. Prima che terminasse, il suo protettore aveva già ispirato a qualche benefattore il pensiero di venirle in aiuto. Il P. Antonio Eising, parroco di Brusque, quando andava a nova Trento faceva immancabilmente una visita a Madre Paolina, e quando sentiva parlare delle sue figlio spirituali era solito dire: "Finché queste Suore rimarranno povere, vivranno felici e saranno sante".
Nell\’ottobre del 1900 la Beata andò ad abitare a Vigolo dove trascorse tre anni molto duri, addetta alle faccende domestiche e alla coltivazione dei campi per pagare i crescenti debiti. In quel tempo fece il proposito di praticare una "carità interna ed esterna con il prossimo e in modo speciale con le consorelle". Il P. Cybeo, che in principio aveva ritenuto inutile la fatica della beata nel radunare assieme tante persone semianalfabete, il 25-1-1903 scrisse al P. Giustino Lombardi, suo provinciale, in occasione del trasferimento del P. Rossi alla Residenza di San Paolo, che le Piccole Suore dell\’Immacolata Concezione andavano "sempre crescendo di numero, virtù e santità, con doni particolari del Signore. Esse sono l\’edificazione del paese per la loro modestia, virtù e opere di zelo… La superiora ha testa e virtù particolare". Per questo le 20 suore che formavano la nascente congregazione il 1-2-1903 la elessero in capitolo superiora generale a vita.
Dalla Residenza di San Paolo il P. Rossi non dimenticò le suore di Nova Trento, anzi, d\’accordo con il P. Lombardi, decise di stabilirle nella capitale, sulla collina dell\’Ipiranga, zona in cui fu proclamata nel 1822 l\’indipendenza del Brasile. Quando Madre Paolina, in compagnia della sua assistente e segretaria Suor Serafina della SS. Trinità, prese possesso della rustica cappella che sorgeva sull\’Ipiranga, la diocesi di San Paolo era senza pastore. Pio X nel 1904 vi trasferì da Curitiba Don José da Camargo Barros. Quando costui fece la visita pastorale alla nuova casa della beata, tra le persone che lo accompagnavano si trovava anche Donna Anna Brotero de Barros (+1957), vedova giovane e ricca, la quale, sorpresa dell\’estrema povertà delle Piccole Suore dell\’Immacolata, decise di fare costruire per loro un orfanotrofio che oggi si chiama "Educandato S. Famiglia".
In seguito al suggerimento di Don José, Madre Paolina si prese cura dell\’ospedale di Braganca Paulista, e con il permesso di Don Duarte Leopoldo e Stiva (+1938), che successe a Don José prima a Curitiba e poi a San Paolo in qualità di arcivescovo dopo il tragico naufragio di lui, Madre Paolina nel 1909 si prese pure cura, nel rione "Perdizez" della capitale, di una Casa di Cura e dell\’ospedale di Sào Carlos do Pinhal. Per avviare le suore al loro specifico apostolato e per aiutarle a superare le inevitabili difficoltà degli inizi, più volte dovette visitarle a prezzo di gravi sacrifici. Basti pensare che, ogni volta che doveva recarsi a Nova Trento o a Vigolo, il viaggio per terra e per mare durava almeno una settimana.
La comunità dell\’Ipiranga, fino al principio del 1909, visse giorni di profonda pace e gioia spirituale. Il P. Rossi il 1-9-1904 così ne scrisse a Madre Matilde, vice-superiora generale, residente a Nova Trento: "Che buon Spirito regna tra queste vostre sorelle… Ma la più bell\’opera è l\’ora santa continua davanti al SS. Sacramento… Se vedesse che paradiso è la prima cappella pubblica della Congregazione!" Ciò nonostante, in seno alla comunità a poco a poco sorsero disagi che portarono a mormorazioni contro l\’obbedienza, a mancanze contro la povertà e la carità. La fondatrice non ebbe la forza di reprimere gli abusi suscitati da Suor Serafina, giovane, bella e intelligente, ma molto invidiosa e gelosa. Costei si era messa in testa che occorreva riformare la congregazione suscitando così litigi, divisioni e persino escandescenze. Nel 1911, per buona sorte di tutte le consorelle, "la iettatrice della congregazione" se ne ritornò in famiglia.
Lo spirito mondano in seno alla Casa d\’Ipiranga si accrebbe quando, 1\’8-12-1908, la signora Brotero fu nominata Presidente dell\’Istituto della S. Famiglia con il beneplacito di Don Duarte e del P. Rossi. Da quel momento si credette come una plenipotenziaria, e cominciò a fare e a disfare nell\’amministrazione come se le suore non esistessero, ed ebbe persino la pretesa di essere consultata sulla fondazione delle nuove case, gli spostamenti delle suore e la loro ammissione ai voti. Dinanzi a simili pretese, è naturale che la fondatrice, da forte e tenace tirolese, abbia sentito il dovere di sostenere i suoi diritti. La signora Brotero si allontanò allora dall\’asilo. Madre Paolina e Suor Serafina andarono ad informarne l\’arcivescovo e a protestare. Il gesto non tornò gradito a Don Duarte perché proteggeva la signora Brotero. Sapeva che era molto esperta negli affari, e che riusciva a ottenere sovvenzioni dal governo per la sua opera. Richiese quindi che, per l\’ingratitudine dimostrata nei riguardi della benefattrice, fossero entrambe allontanate da S. Paolo fino all\’indizione del capitolo generale in cui Madre Paolina sarebbe stata estromessa da qualsiasi carica. La riteneva "troppo semplice" e quindi non in condizione di dirigere una congregazione.
Per la fondatrice quarantenne la prova fu dura. Il P. Rossi il 5-5-1909, le scrisse alla vigilia della sua partenza da S. Paolo per Nova Trento dove, secondo l\’ordine di Don Duarte, "vi sarebbe dovuto rimanere due anni per rifarsi nello spirito religioso": "II Signore vi ha dato il dono dell\’orazione, specialmente della contemplazione della sua dolorosissima Passione e Morte, perché non ne fate tutto il caso che merita una perla così preziosa che viene dal cuore Agonizzante del vostro celeste sposo?… Nella contemplazione dei dolori di Gesù e di Maria perderemo a poco a poco il fuoco dell\’amor proprio, che tante volte ci inganna e ci fa uscire dal retto sentiero tracciato da Gesù per condurre a termine le opere nostre".
Nel capitolo generale, tenuto a Nova Trento nell\’agosto del 1909 e presieduto dal P. Rossi, per un decennio fu eletta superiora generale dell\’Istituto una suora equilibrata e intelligente, Madre Vincenza Teodora dell\’Immacolata Concezione (+1931), che Don Duarte aveva conosciuto e apprezzato durante la sua visita pastorale a Nova Trento. Pur essendo di 14 anni più giovane di lei, Madre Paolina le si inginocchiò per prima davanti, in segno di sottomissione, e le baciò la mano. A lei importava soltanto che la congregazione, opera di Dio, non sua, continuasse a prosperare. Perché ciò avvenisse si dichiarava disposta a lasciarsi schiacciare anche sotto i piedi. Se ne rimarrà quindi chiusa nel suo Getsemani per ben 33 anni senza uscire mai in un lamento. Alla signora Brotero, che aveva preso parte al capitolo in cui era stata salutata fondatrice della casa madre, un giorno una suora chiese che cosa pensasse della fondatrice del suo Istituto. Le rispose: "Quella suora era una santa!".
Per ordine di Don Duarte, il 30-8-1909 la beata accettò con umiltà e sollecitudine di trasferirsi a Braganza Paulista dove faticò per un anno nell\’ospedale come se non fosse stata mai né la fondatrice, né la superiora generale delle Piccole Suore dell\’I.C., fedele sempre alla consegna che il 31-8-1909 il P. Rossi le aveva lasciato: "Vivete con Gesù, in Gesù e per Gesù appassionato". In seguito esercitò il suo apostolato per otto anni nel ricovero S. Vincenzo de\’ Paoli, di recente costruzione nella stessa città.
Nel passaggio da una occupazione all\’altra, Dio permise che andasse soggetta all\’opprimente convinzione di "essere dannata", la qual cosa la rendeva incapace di pregare, di meditare e persino di lavorare. Il P. Rossi era convinto che il Signore volesse sempre la veneranda Madre "in intima comunicazione e come vittima di amore e di riparazione per la santificazione delle Piccole Suore". La prova dovette essere di breve durata. Difatti il 9-3-1913 la beata scrisse al P. Rossi: "La presenza di Dio mi è così intima che mi pare impossibile perderla; e questa presenza da all\’anima mia una gioia che non posso spiegare".
Con il permesso di Don Duarte, nel 1918 Madre Paolina fu richiamata in casa generalizia. La superiora generale si servì di lei non solo nel governo, ma anche nelle nuove fondazioni, nelle visite canoniche e nella revisione delle costituzioni che furono approvate da Pio XI quando concesse all\’Istituto il Decreto di lode (1933). Tuttavia, poiché praticamente era lasciata senza incombenze, ella trascorreva le sue giornate nel servire le inferme, nel confezionare fiori artificiali e corone del rosario e nell\’allevare d\’estate, nello scantinato della casa, bachi da seta. Tutti i giorni recitava l\’Ufficio della Madonna e faceva mezz\’ora di adorazione al mattino e alla sera. Tre volte al mese, nei giorni della Laus Perennis, rimaneva tutto il giorno in adorazione davanti al SS. Sacramento.
Gli ultimi quattro anni di vita della beata furono segnati da sofferenze aggravate in lei dal diabete cronico. Per la ferita a un dito della mano destra, andata in cancrena, dovette subire prima l\’amputazione del dito e poi del braccio. Tra tanti dolori, disse soltanto: "Mi dispiace perché non potrò più lavorare come prima. Il braccio non è mio; ho già dato tutto al Signore. Volontà di Dio, paradiso mio!". In occasione del cinquantenario della fondazione della sua famiglia religiosa, dettò alle consorelle il suo testamento spirituale, così riassunto: "Siate umili, confidate in Dio e nella Madonna; siate fedeli e avanti; amate molto la pratica della carità; la mia missione è terminata; muoio contenta; di gran cuore benedico tutte".
Il 9-7-1942, quando Madre Paolina volò al cielo, era già completamente cieca. Nello stato preagonico per un\’ora aveva ripetuto: "Misericordia! Misericordia!". Dal 1967 le sue reliquie sono venerate nella Casa generalizia della congregazione. Giovanni Paolo II ne riconobbe l\’eroicità delle virtù l’8-2-1989 e la beatificò il 18 ottobre del 1991 a Florianópolis (Santa Caterina).
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 7, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 106-113
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