S. MARIA ROSA GIULIA BILLIART (1751-1816)

La santa, fondatrice delle Suore di Nostra Signora di Namur, nacque a Cuvilly, nella diocesi di Beauvais, nel dipartimento di Oise (Francia), il 12-7-1751, quinta dei sette figli di Giovanni Francesco, povero contadino e sfortunato commerciante. Giulia crebbe rispettosa e ubbidiente ai genitori. A scuola si mostrò più avida dello studio del catechismo che delle materie profane. A casa amava insegnarle alle coetanee, che raccoglieva attorno a sé. Anche la SS. Eucaristia esercitò su di lei una grande attrattiva tanto che, a nove anni, contrariamente alla consuetudine del tempo, fu ammessa alla prima comunione.

Prima di iniziare i lavori della giornata, Giulia faceva un’ora di orazione. Tra un’occupazione e l’altra trovava pure il tempo per leggere il Vangelo, i Salmi, l’Imitazione di Cristo e altri libri spirituali. In qualità di ascritta alla confraternita del Sacro Cuore, non si contentava di ammaestrare i fanciulli e di tenerli lontani dal peccato, ma si aggirava tra le case per consolare e soccorrere i poveri e i malati. La castellana di Cuvilly l’aveva fatta distributrice delle sue elemosine.


Nel 1767 la famiglia Billiart fu ridotta in grande povertà per le calunnie e i furti di cui fu vittima. Per guadagnare il pane per sé e per i suoi, Giulia non si vergognò di andare a fare la mietitrice e di cucire e ricamare paramenti a conto delle Carmelitane di Compiègne. Ai frequenti suoi mali di denti si aggiunse un gravissimo mal di occhi, che minacciò di renderla cieca. Alla santa non venne meno l’abituale pazienza, ma per non essere di aggravio a genitori, si recò in pellegrinaggio al Volto Santo di Montreuil-les-Dames a implorare la guarigione.


Era volontà di Dio che Giulia giungesse alla santità attraverso molte tribolazioni. Una sera d’inverno del 1774, il vecchio Billiart, mentre se ne stava con la figlia nel magazzino, fu vittima di un vile attentato. Giulia ne provò tale spavento che per otto anni camminò con le grucce e per ventidue, a causa di un salasso praticato erroneamente dal medico, rimase paralizzata nelle gambe. Durante la lunga infermità ricevette cinque volte gli ultimi sacramenti tanto erano gravi le sofferenze che le cagionavano contrazioni nervose, inappetenza, insonnia, febbri e sete quasi continue. Anziché scoraggiarsi, Giulia trasformò il suo lettuccio in palestra di virtù. Viveva di continuo unita a Dio. Ogni giorno dedicava dalle quattro alle cinque ore alla preghiera e si guadagnava il pane facendo merletti e arredi di chiesa. Il tempo che le restava libero, lo dedicava all’insegnamento del catechismo ai fanciulli.


La Billiart visse il suo calvario durante la rivoluzione francese. Poiché il parroco di Cuvilly aveva giurato la costituzione civile del clero, piuttosto che riceverli da lui rimase senza il conforto dei sacramenti. Conosceva i nascondigli di alcuni buoni sacerdoti e ad essi mandava i fedeli bisognosi del loro ministero. I rivoluzionari ne vennero a conoscenza, ma l’inferma fu sottratta al loro furore prima da una signora che la prese con sé nel vicino castello di Gournay-sur-Aronde, poi fu trafugata, nascosta sotto un mucchio di paglia, a Compiègne, dove dimorò con una nipote, tre anni e mezzo, priva non soltanto del conforto del sacerdote, ma immersa in una spaventosa aridità. Non essendo venuta meno al proposito della pazienza, il Signore la ricompensò alfine mandandole un angelo consolatore nella persona del sacerdote de Lamarche (1793) il quale, avendo la cura spirituale delle Carmelitane, quindici delle quali salirono il patibolo il 17-7-1794, per quasi un anno ad intervalli la confessò e comunicò. La santa si offriva di continuo come vittima a Dio per calmarne lo sdegno. Un giorno fu rapita in spirito sul monte Calvario e, intorno a Gesù agonizzante, scorse una moltitudine di religiose sconosciute. Una voce le disse: “Queste sono le figlie che io ti assegno nell’Istituto che sarà contrassegnato dalla mia croce”.


In attesa che si compissero i disegni di Dio, Giulia continuò a pregare e a patire per la salvezza della Francia. La contessa Baudoin, sua amica, figlia del conte d’Arlincourt, il quale aveva lasciato in testamento alla Billiart un vitalizio di seicento lire annue, la prese con sé ad Amiens, nel palazzo del visconte Blin de Bourdon, che aveva scelto come alloggio (1794). Colà Giulia strinse amicizia con Maria Luisa Francesca, la figlia del signore della casa, la quale sarebbe stata la prima vocazione del suo istituto. Nello stesso palazzo prese pure alloggio il sacerdote Antonio Thomas, sfuggito alla ghigliottina per la morte di Massimiliano de Robespierre. Attorno alla Billiart si formò una scuola di sei nobili donzelle le quali, coltivando la devozione a Maria SS. e al Sacro Cuore di Gesù, si diedero a lavorare di ago per le chiese e per i poveri.


Francesca Blin non potè godere a lungo della compagnia di Giulia perché, per assistere il padre, fu costretta a vivere lontana da lei, per circa due anni. La Billiart la seguì con le sue lettere, riboccanti dei più profondi sentimenti di fede: “Per grazia di Dio sono rassegnata, disposta a fare qualunque sacrificio Egli voglia da me”. Dopo una lontananza del suo direttore spirituale dal palazzo le confidò: “Io sono sola, solissima, con Dio solo. Ah! chiedetegli, ve ne prego, che io non brami più altro al mondo che questo prezioso tesoro: Dio solo, Dio solo per sempre!”. Dopo la morte del padre la Blin de Bourdon ritornò con Giulia e si formò sotto la guida di lei all’educazione della gioventù. Tuttavia, una recrudescenza della persecuzione in Francia da parte del Direttorio, costrinse entrambe a cercare rifugio, con l’abate Thomas, a Bettencourt, nel castello di Geltrude Doria (1799).


Con il cambiamento di clima, la salute di Giulia migliorò, così da potere trascorrere una parte del giorno seduta sopra una sedia a bracciuoli ed esercitare meglio il suo apostolato a favore delle fanciulle che l’abate Thomas raccoglieva attorno a lei. Un caso fortuito attrasse nel 1801 al castello il P. Giuseppe Varin (+1850), superiore della Società dei Padri della Fede, collaboratore di S. Maddalena Sofia Barat (+1865) nella fondazione delle Dame del S. Cuore e dal 1818 membro della ricostituita Compagnia di Gesù. Dopo un colloquio con la Billiart, egli capì che costei era chiamata a lavorare per l’istruzione e l’educazione della gioventù in una cerchia più vasta, nonostante la sua infermità.


Dopo che fu ristabilita la pace religiosa in Francia, Giulia fece ritorno ad Amiens e, con l’aiuto di Francesca, prese in affitto una casa che divenne la culla delle Suore di Nostra Signora (1804). La sua prima famiglia fu formata da otto orfanelle. Per stabilirla, molto si giovò dei consigli della Barat che in quel tempo, trovandosi ad Amiens, andava di frequente a visitarla. Il vescovo della città aveva incaricato i Padri della Fede di tenere catechismi al popolo nella cattedrale. Per l’istruzione delle fanciulle essi fecero ricorso alla collaborazione di Giulia e delle sue compagne. In occasione del giubileo, concesso da Pio VII in ringraziamento a Dio per il ristabilimento del culto cattolico in Francia, i Padri della fede diedero le missioni in cinque parrocchie della città. Giulia si unì come potè alle loro fatiche. Il suo zelo fu ricompensato con la salute corporale.


Uno dei predicatori, il P. Enfantin, suo temporaneo direttore, dopo una novena al Sacro Cuore, le si avvicinò una sera nel giardino e le disse: “Madre, se avete fede, date un passo in onore del Cuore di Gesù”. Giulia si alzò dalla sedia, si sentì guarita e, dopo ventidue anni d’immobilità, riuscì a dare i passi richiesti. Quale conto facesse del dono ricevuto si deduce da quello che di frequente fu udita ripetere: “Signore, se non ti piace servirti di me per guadagnarti anime, rendimi le mie infermità”. I Padri della Fede desiderarono che la Billiart li seguisse in altre missioni ed ella, affidata la direzione della piccola comunità alla Blin e presa con sé un consorella, ne condivise con generosità le fatiche. Non mancavano di certo i bambini da catechizzare, i matrimoni da regolarizzare e i peccatori da richiamare ai sacramenti dopo decine di anni di lontananza.


Il P. Varin, d’intesa con la fondatrice, scrisse le costituzioni per le Suore di Nostra Signora, con l’approvazione del vescovo, Gianfrancesco Demandolx. Fu aperta la prima scuola gratuita e la buona madre – così veniva da tutti chiamata – riservò a sé l’insegnamento del catechismo, in cui nessuna la superava. Si può dire che era un’educatrice nata. Alle sue religiose raccomandava spesso: “Parlate con rispetto alle vostre alunne, se volete che esse vi rispettino. Io ve lo raccomando assai; senza di ciò, non concluderete nulla di buono”. Oppure: “Non abbiate fretta con le anime. Seguiamo lo spirito di Dio, che è spirito di pazienza e di molta pazienza”. Il catechismo lo spiegava tutti i giorni pure alla sua comunità. Nella festa della Purificazione di Maria (1806), mentre s’intratteneva sul Nunc Dimittis di Simeone, andò in estasi contemplando una immagine del crocifisso.


Dio benedisse la nascente Congregazione e con l’aiuto dei Padri della Fede, Madre Giulia, contenta di lasciarsi condurre sempre da Dio come “una piccola cieca”, riuscì a stabilirla a St-Nicolas, nelle Fiandre, e quindi a Namur. Il vescovo di questa città, Carlo F. G. Pisani de la Gaude, ne divenne il protettore e il sostegno quando l’abate de Sambucy de Saint-Estève, confessore delle suore e confratello del P. Varin, prese a perseguitare la fondatrice perché non voleva saperne di ridurre la Congregazione ad istituto diocesano. In mezzo a tante avversità dalla bocca della fortissima donna non uscì mai un lamento. Alle suore esasperate diceva: “Umiliamoci ed aspettiamo. Dio ha nelle sue mani tutte le vicende della nostra vita; egli saprà trarre la sua maggiore gloria anche dalle circostanze che noi riteniamo più sgradevoli”.


Quando il vescovo, ingannato dal Sambucy, proibì alla fondatrice di porre piede nella sua diocesi, la santa scrisse da Parigi a Madre San Giuseppe Blin;: “Pregate che io faccia sempre ciò che meglio piace a Dio, poiché nulla vi è di buono fuori della sua giustissima volontà… L’uomo propone e Dio dispone. Sempre e in ogni cosa vuole delle anime che abbiano gran fiducia in Lui, sì, grandissima fiducia. Viva il nostro buon Gesù! Viva la sua santa croce! Amiamola, portiamola: sia essa tutta la nostra felicità”.


Quando il vescovo rimise la Madre Giulia a capo della comunità di Amiens, sotto la dirczione del suo vicario generale, essa ne approfittò per formare meglio le religiose delle case che andavano moltiplicandosi a vigilare sull’osservanza delle regole. Sua principale cura era di conservare tra tutte lo spirito di stretta unione, d’intima carità e di perfetta uguaglianza. Alla piccola comunità di Montdidier ad esempio, scrisse: “Io vi prego di nuovo di non ricevere se non fanciulle povere, che non possono pagare niente, e di ammetterne quante più potete. Noi stiamo a Montdidier soltanto per i poveri. Se da qualcuna delle alunne si è accettato qualche compenso, si è fatto contro il mio beneplacito… Per quanto vi si importuni, non ricevete nessuna a pagamento, nessuna, nessuna. Viviamo alla giornata, mie care figlie, rimettendo l’indomani nelle mani di Dio. Io vi garantisco che, in tal modo, noi vinceremo il cattivo tignoso (il diavolo)… In ogni cosa procedete con grande ordine e Dio benedirà ciò che farete… Le fanciulle povere siano il vostro tesoro”.


Le fondazioni in Belgio erano viste di mal occhio dal Sambucy, eletto visitatore di tutte le case dell’Istituto. La santa ebbe molto da soffrire perché costui faceva di sua testa senza tenerla in veruna considerazione. Eppure ella potè scrivere: “L’ubbidienza non è mai stata per me un giogo insopportabile e neppure pesante”. In una cosa sola ella fu irremovibile: il cambiamento della regola dell’Istituto. Fu allora espulsa dalla diocesi. Il vescovo di Namur fu ben lieto di accoglierla con tutta la comunità, nonostante le lettere denigratorie che ricevette contro di lei. Il Sambucy, che smaniava di passare alla storia con il titolo di fondatore, non riuscì a formare una sola comunità, mentre Madre Giulia, ritrovata la tranquillità e la sicurezza, diffuse le Suore di Nostra Signora in tredici diversi luoghi e lavorò alacremente al consolidamento della sua opera.


L’unica singolarità che la santa ammetteva nella sua condotta era la comunione giornaliera. Alle sue religiose insegnava a camminare nell’umile semplicità e a fare la meditazione secondo il metodo ignaziano, convinta com’era che “la vita interiore è il paradiso in terra” e che è “impossibile fare bene l’orazione e non essere ubbidienti e non avere la carità”. Le fanciulle più povere continuavano ad essere le sue “pecorelle predilette”. Dio la premiò con il dono dei miracoli. Scrisse ella medesima in seguito alla fondazione di Nonnenbosch: “Dopo aver pagato tutto, ho ancora del denaro: credo che Dio lo faccia piovere nella mia piccola borsa: sia benedetto il suo santo nome!”. Il vescovo di Amiens nel 1818 la esortò a ritornare a prendere possesso della casa che era stata la culla della congregazione. Madre Giulia vi andò ma, mentre stava per varcarne la soglia, le apparve il Redentore carico della croce. Mentre si allontanava la fissò e le disse: “Guardami, seguimi, io sono la via, la verità e la vita”. La comunità di Amiens scomparve e le suore delle altre case si trasferirono a poco a poco a Namur.


Si può dire che la vita di Giulia fu un continuo viaggiare. Nel 1813 approfittò di una delle sue peregrinazioni per visitare Pio VII, prigioniero dell’imperatore Napoleone I a Fontainebleau. Da lui ricevette in dono un crocifisso e con lui pianse sopra i mali della Chiesa. In seguito alle invasioni in Belgio degli eserciti prussiani e russi coalizzati contro la Francia, le Suore di Nostra Signora ebbero molto da soffrire. La santa appena potè le andò a visitare e confortare pur non avendo altri mezzi di salvezza che la preghiera, ne altro sostegno che la fiducia in Dio. Dove non le fu possibile recarsi personalmente, mandò le sue lettere sempre riboccanti di semplicità, di umiltà e d’insaziabile amore alla croce. In quella che scrisse alla superiora della casa di Jumet il 9-10-1815 leggiamo una frase che costituisce la sintesi di tutta la sua vita: “Dio e il mio dovere, ecco tutta la mia occupazione.”.


Due mesi dopo cadde dalle scale e ne riportò dolori tali al capo che, poche settimane dopo, fu costretta a mettersi a letto da cui più non si alzò. Durante la dolorosissima malattia non manifestò ne desiderio, né timore, né inquietudine di sorta. Poiché il minimo rumore era per lei un tormento, se ne stava abitualmente in silenzio, immersa nella meditazione della Passione del Signore. Ogni tanto diceva: “Dio mi toglie dal mondo perché io sono indegna di stare a capo delle sua opera”. Non voleva perciò che le suore si preoccupassero di una povera contadina ignorante quale essa si riteneva.


Madre Blin ha scritto nelle sue memorie riguardo alla santa: “Io mi ricorderò sempre di uno sguardo che un giorno diede al cielo, esclamando: “Mio Dio, che contentezza deve essere per un’anima abbandonare il fango del corpo”.


Madre Giulia morì placidamente l’8-4-1816 dopo essersi privata di un piccolo reliquario senza valore che portava al collo e avere cantato il Magnificat. Il P. Varin definì la defunta: “Un’anima che visse d’amore”. Giulia Billiart fu beatificata da S. Pio X il 19-3-1906 e canonizzata da Paolo VI il 22-6-1969. Le sue reliquie sono venerate a Namur (Belgio), nella cappella fatta costruire dalle Suore di Nostra Signora.



Sac. Guido Pettinati SSP,


I Santi canonizzati del giorno, vol. 4, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 128-134.


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