Isidoro è nato forse a Siviglia verso il 560, da genitori cattolici, di razza ispano-romana. Suo padre Severiano, prefetto di Cartagena, era fuggito con la moglie Teodora nel 549 nella capitale della Betica in seguito all’invasione dei goti ariani. I suoi quattro figli sono tutti iscritti nel catalogo dei santi. Isidoro, rimasto presto orfano, fu educato e iniziato alle lettere da suo fratello S. Leandro, che divenne monaco, e da sua sorella S. Fiorentina, che abbracciò la vita religiosa.
Ancora ragazzo il santo fu affidato ad un monastero della città, o dei dintorni, dove fece i normali studi e acquistò conoscenze veramente sbalorditive per il tempo e l’ambiente in cui visse. Non ci fu autore sacro e profano di cui non abbia letto le opere. Egli studiò assiduamente non tanto per il vano piacere di sapere, quanto per sottrarre la Spagna alla barbarie e far trionfare la fede cattolica contro l’eresia ariana.
La penisola iberica ai suoi tempi era quasi tutta in potere dei Visigoti ariani. Si sperò nella loro conversione quando il figlio maggiore del re Leovigildo, Ermenegildo, abbracciò il cristianesimo e, in seguito al suggerimento di S. Leandro, cercò di formare un partito per la conversione del Paese. Per ottenere aiuto anche dall’imperatore d’Oriente, mandò Leandro in missione a Costantinopoli dove s’incontrò con l’apocrisario Gregorio il Grande il quale, per sua preghiera, scrisse i Moralia in Job.
Durante l’assenza del fratello, S. Isidoro ritenne giunto il momento propizio per fare aperta propaganda contro l’arianesimo. Ma nel 585 apprese con orrore che l’astuto Leovigildo aveva fatto uccidere il proprio figlio S. Ermenegildo pur di costringere la popolazione sottomessa ad abbracciare l’eresia di Ario. La legazione di S. Leandro si cambiò in esilio, ma non ebbe lunga durata. Nel 586 Leovigildo, morendo, lo raccomandò difatti alla benevolenza del suo erede, Reccaredo il quale, in seguito a colloqui avuti coi vescovi, abiurò l’arianesimo e trascinò con il suo esempio la massa dei Visigoti ad abbracciare il cattolicesimo. Il grande avvenimento, tanto conforme all’ardente desiderio di S. Isidoro, fu celebrato nel 3° concilio di Toledo del 589, dal metropolita della Betica, San Leandro, il quale pronunciò un discorso di giubilo per l’unità felicemente conseguita. S. Isidoro frattanto si era ritirato di nuovo nel chiostro, come chierico, o come monaco, per continuarvi il diletto studio dei padri della Chiesa e degli autori classici.
Quando nel 601 suo fratello morì, S. Isidoro fu chiamato a succedergli secondo la testimonianza del suo grande amico e discepolo, S. Braulio, arcivescovo di Saragozza. Egli consacrò l’episcopato agli interessi non solo della sua diocesi o provincia ecclesiastica, ma di tutta la Spagna. Nel 610 fu tenuto a Toledo, alla corte del re Gondemaro, un sinodo della provincia cartaginese in cui fu deciso che il titolo di metropolita sarebbe passato da Cartagena alla capitale del regno. Benché estraneo a quella provincia, S. Isidoro, allora ospite del re, fu invitato a sottoscrivere per primo il decreto tanto grande era il prestigio di cui godeva.
Nel 619 egli convocò a Siviglia i vescovi della Betica (oggi Andalusia), per delimitare i confini tra la diocesi di Astigi (Ecija), retta dall’altro suo fratello, S. Fulgenzio, e quella di Cordoba, governata da Onorio. In quell’occasione si occupò pure del vescovo antiocheno Gregorio, della setta degli autocefali, che cacciato dalla Siria, aveva trovato un rifugio in Spagna. Per tagliare corto ad ogni perniciosa propaganda richiese da lui l’abiura formale dell’eresia monofisita e una confessione di fede ortodossa.
In qualità di metropolita più anziano della Spagna, nel 633 presiedette il IV Concilio Nazionale di Toledo, che è rimasto il più celebre fra tutti tanto per le questioni religiose quanto per quelle politiche trattate. Dopo la promulgazione di un simbolo, esso impose alla Spagna l’uniformità nel canto dell’ufficio e nei riti della Messa; ricordò ai preti l’obbligo del celibato e ai vescovi il dovere di sorvegliare i giudei civili; dichiarò tutti i chierici esenti da livelli e corvè; stabilì che i giudei, esclusi dagli uffici pubblici, non fossero più forzati a farsi cristiani, come al tempo di re Sisebute; pose termine alle discordie civili riconoscendo come re legittimo Sisenand e stabilendo che, alla sua morte, il successore sarebbe stato eletto da tutti i grandi del regno e dai vescovi. S. Isidoro che, compreso dell’importanza capitale dell’educazione e dell’istruzione del clero, aveva già fondato a Siviglia un collegio per i giovani chierici sotto la direzione di un maestro capace ed esemplare, fece decretare dal concilio stesso che una simile istituzione sarebbe sorta in ogni diocesi. A ragione è quindi considerato da S. Braulio come il restauratore degli studi in Spagna.
Isidoro sopravvisse tre anni al concilio. “Sentendo avvicinarsi la fine, scrive il suo biografo, raddoppiò le elemosine con tale profusione che, durante gli ultimi sei mesi di vita, da ogni parte si vedeva andare in casa sua una folla di poveri dal mattino alla sera. Alcuni giorni prima della morte, pregò i vescovi Giovanni ed Eparchio di andarlo a trovare. Si recò con essi in chiesa, seguito da un folto stuolo di clero e di popolo. Quando giunse in mezzo al coro uno dei vescovi gli mise addosso un cilicio, l’altro della cenere. Allora, levando le mani al cielo, pregò e domandò ad alta voce perdono dei suoi peccati. Poi ricevette dalle mani dei vescovi il corpo e il sangue di Cristo, si raccomandò alle preghiere dei presenti, condonò le obbligazioni ai sui debitori e fece distribuire ai poveri tutto il denaro che gli restava. Ritornato nel suo appartamento, vi morì in pace il 4-4-636”.
S. Braulio afferma che durante il suo lungo episcopato S. Isidoro compilò oltre diciassette opere sugli argomenti più vari. Non per nulla è considerato il più celebre scrittore latino del settimo secolo e l’ultimo Padre della Chiesa occidentale. Il 25-4-1722 Gregorio XIII gli decretò il titolo di dottore. Pur essendo solo raccoglitore e rielaboratore di materiale altrui divenne con Boezio e Cassiodoro il “grande maestro del medioevo”. Esercitò il suo massimo influsso con la prima enciclopedia cristiana intitolata Etymologiae, in 20 libri, che fu testo obbligatorio nelle scuole medioevali quando il mondo, al dire di Dante, viveva “sotto l’ardente spiro di Isidoro” (Par. X, 130). A lui spetta il merito di aver destato e consolidato la coscienza dell’unità culturale dei popoli germanici e romanici.
Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 4, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 54-56.
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