Nacque da nobili genitori verso il 1050 nei pressi di Boulogne, in Francia. A diciotto anni sposò un signore fiammingo, Bertulfo di Ghistelles, che in seguito la abbandonò affermando che il matrimonio non era stato consumato. Così lei preferì tornare a casa dai genitori. Il marito poi la riprese in casa ma nel frattempo organizzò il suo assassinio: due servi strangolarono Godelina e il suo corpo fu gettato in un pozzo. Bertulfo sopraffatto dai rimorsi per il crimine commesso decise di terminare i suoi giorni recluso in un monastero.
E\’ la prima santa coniugata canonizzata ufficialmente dalla Chiesa. Godelina, modello perfetto della pazienza cristiana, nacque in Francia nel castello di Longfort verso il 1049, sotto il regno di Enrico I e il pontificato di S. Leone IX, ultima figlia delle tre che ebbe Enfrido, signore di Wierre-Effroy (Pas-de-Calais), dalla sua nobile consorte, Ogina. Dalla madre, Godelina imparò presto ad amare Dio e a soccorrere i poveri.
Crebbe perciò molto pia e anche graziosa, con una meravigliosa capigliatura nera. Imparò a maneggiare l\’ago e il fuso, e nessuno nel castello la superava nei lavori propri del sesso gentile.
L\’amore a Dio, la docilità verso i genitori e l\’amore per i bisognosi nella santa rifulsero di luce particolare. Sollevare i poveri e i malati nelle loro necessità divenne la sua passione e lavorare per essi la sua occupazione preferita. Per sfamarli si privava del cibo, ed era ingegnosa nel trovare mille maniere per interessare i genitori alle loro necessità. Il maggiordomo di Longfort nel costatare che le provviste del castello a poco a poco diminuivano, fece riprendere dal padre la figlia, che aveva accusato d\’indiscrezione, ma Godelina seppe perorare con tale calore la causa dei più miseri delle terre del loro casato che Enfrido le assegnò una parte del suo patrimonio per l\’esercizio delle opere di misericordia.
Godelina si sentiva chiamata alla vita religiosa. Di questa sua interna inclinazione non fece mistero neppure con Eustachio II, conte di Boulogne e padre di Goffredo di Buglione, il giorno in cui onorò della sua presenza il castello di Longfort, a lui sottomesso in vassallaggio. Molti giovani signori sarebbero convolati a nozze con Godelina con grande piacere, ma Enfrido, con tutta probabilità per ragioni politiche, preferì darla in sposa a Bertolfo di Ghistelles, parente e vassallo di Baldovino, conte di Fiandra. La diciottenne Godelina avrebbe trascorso volentieri la sua vita in perpetua verginità, ma per non contristare i genitori ed Eustachio II, diede il suo consenso, ritenendo di compiere così la volontà di Dio. Con la preghiera e le buone opere si preparò ad affrontare lo stato matrimoniale verso il quale non sentiva nessuna attrattiva, e si propose di santificarlo con la più scrupolosa esattezza nel compimento dei suoi doveri.
Quando Godelina lasciò il castello di Wierre, una folla di poveri la seguì in lacrime per un buon tratto di strada, colmandola di benedizioni e supplicando il cielo perché le rendesse il centuple di tutto il bene che aveva loro fatto. Il viaggio per Ghistelles durò tre giorni. Bertolfo parlò alla sua sposa della deferenza che sua madre avrebbe avuto per lei, e Godelina ci tenne a rassicurarlo che avrebbe avuto per la suocera tutta la tenerezza di una figlia. Invece era nei disegni di Dio che la sua vita si svolgesse in un clima di incomprensione e insofferenza. Appena la comitiva giunse al castello di Ghistelles, Bertolfo si affrettò a presentare alla madre la propria sposa, ma la snaturata signora, alla vista della radiosa bellezza della nuora, si sentì morsa dal serpe della gelosia. Disse perciò seccamente al figlio: "Chi ci conduci? Non ne abbiamo abbastanza delle cornacchie nel nostro paese da andarne a cercare un\’altra tanto lontano?".
Da quel giorno Bertolfo sentì raffreddarsi nel proprio cuore l\’amore che aveva nutrito per Godelina. Alla santa quell\’ostile ricevimento fece presentire un avvenire poco lieto e mormorò: "Mio Dio, conserva puro e senza macchia il mio corpo e la mia anima, e poco m\’importa del restante, giacché mai mi si potrà impedire di amarti". Anche il paesaggio fiammingo si presentava ai suoi occhi piatto, paludoso e privo di pittoreschi boschi. Si consolava pensando: "La mia vera patria è il cielo. Poco importa il luogo in cui dovrò vivere, purché possa servire il Signore e soccorrere i poveri che in esso ci sono".
Al termine del banchetto, quando Godelina, spoglia degli ornamenti nuziali, apparve agli occhi della suocera nella sua meravigliosa capigliatura nera, costei, piena d\’invidia, disse alle sue dame di compagnia: "Vedete la bella cornacchia che mio figlio si è scelto? Lo sciagurato ha disonorato la nostra casa, e l\’obbrobrio è entrato in essa dal momento che questa donna ne ha varcato la soglia. Vergogna, sventura e maledizione su di te, o Bertolfo. Tu sarai il tormento della mia vita per avermi dato una tale cornacchia per nuora. Finché il medesimo tetto ci albergherà, io non avrò più riposo. Maledetto, sii maledetto mille volte!". Bertolfo, udendo sua madre vociferare in quella maniera, spaventato delle maledizioni da lei pronunciate, ebbe in orrore il suo matrimonio e pensò da quel momento ai mezzi da prendere per liberarsi della sposa. La madre gli venne in aiuto. "Assentati dal castello – gli disse – lascia i gentiluomini che ti hanno accompagnato; annoiati di aspettarti, se ne andranno. Allora io mi prenderò cura della francese; la coprirò di tanti cattivi trattamenti che sarà costretta a ritornare presso i suoi genitori, oppure soccomberà. Tu sarai così libero di contrarre un matrimonio più degno della tua nobile stirpe".
Bertolfo abbandonò subito il tetto coniugale e, in preda ai più sinistri pensieri, se ne andò nei castelli vicini. Sua madre lo scusò presso i signori suoi amici dicendo loro che si era recato in pellegrinaggio al santuario di Nostra Signora di Bruges per ottenere prole dalla consorte. Nessuno credette alla menzogna e, senza indovinare la causa di quella improvvisa partenza, tutti se ne ritornarono nei loro castelli. Niente tratteneva ormai la megera dal perseguitare la nuora che detestava per la bellezza e la virtù. Andò a trovarla nella camera e, dopo averla ingiuriata, le ingiunse di consegnarle tutte le gioie, le collane e gli oggetti preziosi che aveva avuto in dote. Al pensiero del cielo la santa, che considerava quegli oggetti come delle bagattelle, gliele diede senza difficoltà. Non si rifiutò neppure di essere confinata in una cella all\’estremità del castello e spiata dalla giovane che la serviva. "Mio Dio – pregò ella – tu non mi abbandonerai. Ti ringrazio di avermi associata alle sofferenze del tuo Figlio". Sola, chiusa e sorvegliata nella sua cella, la santa non si scordò degli infelici. Per essi continuò a cucire e a filare, per essi si privò dello scarso cibo che la suocera le faceva pervenire.
Dopo qualche giorno, Bertolfo ritornò a Ghistelles. La madre gli dipinse la sposa come una donna incapace di governare una casa e talmente bisbetica da rendere impossibile la vita al marito. Godelina, incrollabile nella sua pazienza, tentò di calmare le furie della suocera dicendo: "Signora, io ignoro in che cosa abbia avuto la sventura di dispiacervi. Se ho commesso qualche fallo, fatemelo conoscere, e lo riparerò all\’istante, ma se non avete alcun motivo per agire così, perché vi adirate contro di me, e soprattutto perché cercate di sottrarmi l\’affetto di mio marito?". A parole tanto misurate la madre di Bertolfo reagì furente: "Sì, sono io, o donna depravata, sono io che ti ho sollevato contro l\’odio di tuo marito. E sai perché? A causa del tuo insopportabile orgoglio, o donna abominevole!".
Godelina si rivolse piangete al marito e lo supplicò: "Caro mio sposo, allontana da me, te ne prego, la collera di tua madre. Ricordati dell\’amore che nutristi per me, quanto hai desiderato di unire la tua sorte alla mia. Perché mi perseguitate? Perché mi odiate, voi, che io amo teneramente? Io non voglio comandare qui, io voglio ubbidirti, lavorare per te e soprattutto amarti. Tè ne prego, allontana da me la collera di tua madre! In nome di Dio, abbi pietà di me!".
Bertolfo, sordo alle suppliche della sposa, ancora una volta lasciò Ghistelles e percorse città e castelli allo scopo di riversare su Godelina, fedele e casta, il veleno delle più nere calunnie. Alla notizia delle persecuzioni di cui era fatta oggetto, una pia signora, mossa a compassione, un giorno andò a trovare Godelina e la consigliò a non spingere troppo lontano l\’eroismo della sua pazienza. "Dio – le disse- non chiede che ci esponiamo alla persecuzione, ma che prendiamo la croce di Gesù Cristo quando si presentasse da se stessa. D\’altra parte, voi rischiate la salvezza di vostro marito e della vostra suocera dando loro l\’occasione di sfogare incessantemente contro di voi la loro cattiveria. Mi pare che fareste bene a ritornare presso i vostri genitori".
Godelina accolse con semplicità quelle sagge osservazioni. Pur essendo timorosa per quanto ci poteva essere di pericoloso nella sua decisione, un giorno ella fuggì con la persona di servizio. Quando giunse al castello di Longfort, nessuno la riconobbe tanto le sofferenze patite l\’avevano sfigurata. Enfrido, desolato, andò a consultare il vescovo di Tournai e Soissons il quale ingiunse a Bertolfo, pena gravi sanzioni ecclesiastiche, di riprendere con sé la moglie e vivere con lei in buona armonia.
Bertolfo gettò la colpa sulla propria madre, la quale , diceva, non poteva sopportare che, per via della nuora, non fosse più considerata padrona di Ghistelles. Egli promise di allontanarla dal castello e di fare dimenticare a Godelina i cattivi trattamenti subiti.
La santa si separò dai genitori con una stretta al cuore. Per quanto infelice ella fosse, non poteva abbandonare il domicilio coniugale senza gettare su di sé e sulla sua famiglia ingiuriosi sospetti. A Ghistelles ella fu di nuovo rinchiusa in una cella. Anziché disperarsi, paziente e dolce, ella continuò a pregare per i suoi persecutori, e a lavorare di ago per i poveri e i malati. A chi, per consolarla, le andava a parlare male del marito, diceva: "Non dite così, perché il suo comportamento nei miei riguardi è permesso da Dio. Preghiamo piuttosto per lui". A un religioso che era andato a visitarla, rispose: "Voi mi credete molto infelice, ma non lo sono. Dio, che sa trarre il bene anche dal male, spande in me una consolazione così grande che, soffrendo per suo amore, le persecuzioni mi diventano care".
Dopo un anno che Godelina era tornata a Ghistelles, Bertolfo e sua madre, non riuscendo a farla morire di fame e strapazzi, decisero di sbarazzarsene in modo violento. Fingendo di essere stato vittima di un maleficio, Bertolfo riprese la sua sposa con sé. Un giorno le diede ad intendere di avere trovato una esperta signora capace di liberarli dalle loro incomprensioni e cattive inclinazioni. Le raccomandò quindi di riceverla quando si sarebbe presentata al castello per parlarle. Poi partì per Bruges per non essere presente al delitto di cui aveva dato l\’incombenza a due suoi servi fidati. Nella notte tra il 6 e il 7 luglio del 1070 costoro andarono a bussare alla porta di Godelina per dirle che era arrivata la signora di cui il marito le aveva parlato. Senza sospettare di nulla, la castellana discese con i capelli ancora in disordine, rivestita di una semplice tunica. Appena fu nel cortile i due manigoldi le si avventarono contro, l\’immobilizzarono e la strangolarono con una tovaglia lunga e stretta. Dal naso, dalla bocca e dagli occhi della vittima cominciò ad uscire sangue. La immersero allora nell\’acqua del pozzo e poi la riportarono nel letto per fare credere che era deceduta di morte naturale.
Quando Bertolfo ritornò al castello finse il più grande dolore, insieme con la madre, per la scomparsa della sua consorte. Nessuno credette al loro cordoglio e nessuno parlò del delitto che avevano ordito per timore di sanguinose vendette, ma la mano di Dio fu sopra gli omicidi. Bertolfo passò a seconde nozze, ma la figlia che ebbe dalla sposa novella nacque cieca. A nove anni, l\’infelice, avendo udito parlare dalla servitù di Godelina e della sue eroiche virtù, prese ad invocarla ogni giorno. Seppe pure che il corpo di lei era stato immerso nelle acque del pozzo e un giorno, lavandosi gli occhi, la supplicò con grande fede di ridonarle la vista. La sua preghiera fu esaudita all\’istante.
Bertolfo, roso dai rimorsi e stordito dal prodigio, per ottenere il perdono del suo crimine si recò in pellegrinaggio prima a Roma e poi in Palestina. Sul santo sepolcro di Cristo egli prese la risoluzione di trascorrere nella penitenza gli ultimi anni di vita nel monastero di St-Winoc a Bergues, presso Dunquerke (Nord). Sua figlia, dopo la morte della madre, in onore di Godelina, fece costruire un monastero di benedettine, in cui si rinchiuse. La martire fu dichiarata santa dal vescovo di Tournay e Noyon, con il permesso di Urbano II, il 30-7-1084. Le reliquie di S. Godelina sono venerate in parte a Ghistelles (Fiandre), e in parte in altre città, alle quali furono donate.
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 7, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 54-59
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