S. GIOVANNI BATTISTA della CONCEZIONE (1561-1613)

S. Giovanni Battista era persuaso che i superiori maggiori non gli avrebbero mai permesso una vera riforma. Decise perciò di recarsi a Roma per chiedere direttamente al papa Clemente VIII l’erezione della riforma trinitaria (1597). Giunse nella città eterna dopo cinque mesi di peripezie e sofferenze d’ogni genere. I Trinitari calzati gli si schierarono subito contro e gli fecero una guerra così accanita che il Santo si vide costretto a trasferirsi presso i Carmelitani spagnuoli di Santa Maria della Scala (Trastevere).

Questo santo riformatore dell’Ordine Trinitario appartiene al secolo d’oro della Spagna. Nacque infatti il 10-6-1561 in Almodóvar del Campo (Nuova Castiglia), quinto degli otto figli che Marco Garcia Xixón, benestante agricoltore, ebbe da Elisabetta Lopez Rico. Il padre, che era imparentato con S. Giovanni d’Avila (+1569) e la madre, che si distingueva per la carità verso i poveri, diedero ai figli una profonda educazione cristiana. Lo dimostra il fatto che tre di loro si consacrarono più tardi al servizio di Dio. Giovanni crebbe con una spiccata inclinazione alla preghiera e alla mortificazione sotto la guida dei Padri Gesuiti. In seguito egli stesso confesserà: “Non ho mai letto un libro che parlasse di mortificazioni dei santi senza che mi sentissi bruciare dal desiderio di fare altrettanto”.
          Dopo la prima comunione, che fece a dodici anni, il santo fu assiduo al banchetto eucaristico, e dopo la prima istruzione, che ricevette in famiglia, frequentò le scuole di grammatica e di filosofia che i Carmelitani nel 1575 avevano aperto nel convento di Almodóvar. Alla loro scuola Giovanni sentì nascere vivo in sé il desiderio di farsi religioso. S. Teresa d’Avila (+1582), ospite dei Garcia nel mese di giugno 1576, predisse alla madre che suo figlio sarebbe diventato santo e che avrebbe riformato una famiglia religiosa. Poiché dimostrava una grande attitudine allo studio, i genitori mandarono il figlio a perfezionare gli studi prima presso l’università di Baeza (1578) e poi presso quella di Toledo (1579), dove si sentì spinto dalla grazia divina a entrare (1580) nell’Ordine della SS. Trinità fondato nel 1194 da S. Giovanni de Mata per la redenzione degli schiavi.
         Durante il noviziato Giovanni imparò dal P. Alonso de Riesos, suo maestro, a “non perdere mai la presenza e la visione inferiore di Gesù crocifisso” e da S. Simone de Rojas, suo confratello, ad amare teneramente la Vergine SS. Dopo la professione Fra Giovanni Battista Rico fu mandato a continuare gli studi presso l’università di Alcalà (1581-1584) che condusse a termine con la persuasione che “l’uomo deve studiare teologia per essere santo”. Dopo l’ordinazione sacerdotale nel capitolo provinciale (1589) fu nominato predicatore maggiore del convento di La Guardia (Toledo), e nel 1595 di quello di La Membrilla (Ciudad Real) dove predicò con tanta unzione la quaresima, nonostante le infermità e le febbri continue alle quali andava soggetto, da spingere gli uditori ad assiepare i confessionali con grande rincrescimento di alcuni poco zelanti suoi confratelli. In quel tempo Fra Giovanni era ancora lontano dalla santità. Attestò di se stesso: “Il demonio mi rendeva difettoso e freddo nel servizio di Dio e mi teneva stretto con mille legami. Ero molto attaccato alle cose della terra, all’amor proprio e ai regali che ricevevo in quantità… Ciò che più m’impediva di cambiare vita era la paura di quello che direbbero coloro che mi vedessero”.
          Nel secolo XVI enorme importanza ebbe per la Chiesa il Concilio di Trento. Filippo II, re di Spagna, ne aveva accettato subito i decreti e si era adoperato per la riforma degli istituti religiosi decaduti dal loro primitivo splendore. I Trinitari, riuniti nel 1594 a Valladolid in capitolo interprovinciale sotto la presidenza del P. Diego Guzmàn, OP., commissario generale della Spagna, decisero che in tutte le province dell’Ordine vi fossero due o tre conventi di religiosi recolletti, che vestissero abiti più grossolani e osservassero la regola primitiva alla lettera. Fra Giovanni Duenas, con l’aiuto del marchese di Santa Croce, Alvaro de Bazàn, fondò un convento di Trinitari Recolletti a Valdepefìas, nella provincia di Ciudad Real, ma nessuno lo seguì. Fra Giovanni Battista, nominato in quel tempo predicatore maggiore di Siviglia. era trattenuto dal passare alla riforma dalla salute cagionevole, ma soprattutto dall’attaccamento alla fama acquisita. Ciò nonostante, mentre il 28-1-1596 predicava a Siviglia sulle glorie dei Trinitari. si senti ispirato a dire che quel giorno la SS. Trinità concedeva una grazia speciale all’Ordine. Egli stesso si sentì spinto a seguire i Recolletti di Valdepenas, ma non ne ebbe ancora il coraggio. Ai primi di febbraio, mentre si recava a dorso di una mula ad incontrare il P. Commissario ad Andujaz. fu colto ad Ecija da un uragano così improvviso e violento che si obbligò con voto a passare tra i Recolletti qualora avesse avuto salva la vita. Il P. Commissario, che in un primo momento gli aveva negato il permesso, alfine gli disse: “Vada pure, padre, perché persevererà nella riforma, ne curerà le sorti, la difenderà da tutti coloro che vorranno distruggerla e vi attirerà ancora molti altri”.
          Il santo fece il suo ingresso a Valdepenas il 26-2-1596. Passò la prima notte in un ripostiglio e durante il sonno gli parve di venire confitto in croce con Cristo Gesù. Due mesi dopo, nel capitolo provinciale di Siviglia, fu eletto ministro del convento. Egli ne approfittò per organizzare la vita comunitaria secondo lo spirito della regola primitiva, che non ammetteva l’uso delle carni ed esigeva dai religiosi sei ore di orazione al giorno, ma quasi tutti, spaventati della vita povera e austera, lo abbandonarono. Il santo riformatore si consolò dicendo: “Questa religione non è mia, ma di Dio. Se molti vanno via, Egli chiamerà e attirerà altri”. Il Signore lo consolò della defezione di tanti religiosi dicendogli mentre pregava: “Non temere, io ti aiuterò”.
          S. Giovanni Battista era persuaso che i superiori maggiori non gli avrebbero mai permesso una vera riforma. Decise perciò di recarsi a Roma per chiedere direttamente al papa Clemente VIII l’erezione della riforma trinitaria (1597). Giunse nella città eterna dopo cinque mesi di peripezie e sofferenze d’ogni genere. I Trinitari calzati gli si schierarono subito contro e gli fecero una guerra così accanita che più tardi il santo scriverà: “Io mi sentivo in uno stato tale da desiderare piuttosto di trovarmi all’inferno se questo fosse stato possibile restando amico di Dio”. Poiché i suoi confratelli continuavano a presentarlo alla curia romana come un ambizioso e un ostinato nelle proprie idee, il riformatore si vide costretto a trasferirsi presso i Carmelitani spagnuoli di Santa Maria della Scala (Trastevere). Costoro lo ricevettero a braccia aperte anche perché sapevano che intendeva farsi carmelitano qualora non fosse riuscito a stabilire la progettata riforma trinitaria. Il santo visse con loro per oltre sedici mesi durante i quali fu vessato dal demonio e andò soggetto a terribili tentazioni contro la fede. Meditando sulle pene dell’inferno e del purgatorio “sentivo – scrisse – tanto dolore di avere offeso Dio, tanto desiderio di salvarmi e di abbandonare il mondo, che mi rinchiudevo nella cella, e lì mi saziavo di lacrime”. Pur provando grandi aridità di spirito e un profondo senso di abbandono attestò: “Io ero rassegnato a fare la volontà di Dio, anche se mi fosse costato l’inferno”. Quando la prova era più forte si prostrava davanti al crocifisso e gemeva: “Signore, tu sai che io voglio fare la tua volontà, anche se mi costasse mille volte la vita! Sì, o Signore, tu lo sai che io ti amo e che non voglio in questa vita né onore, né gloria, ma voglio soltanto soffrire per tuo amore”.
         Dopo tante lotte e patimenti il santo il 20-8-1599 ottenne da Clemente VIII il breve “Ad militantis Ecclesiae” con cui veniva approvato ed eretto il ramo dei Trinitari Scalzi. Quando fece ritorno a Valdepenas i religiosi non lo vollero ricevere, ma egli non esitò a fare ricorso all’autorità pubblica e alla protezione del nunzio il quale aveva scelto il P. Elia di S. Martino, priore generale dei Carmelitani, come visitatore della Riforma Trinitaria. Il santo gli prestò umile obbedienza, e F8-12-1599 iniziò il noviziato con il nome di Fra Giovanni Battista della Concezione. Soltanto un fratello laico gli era rimasto fedele, tutti gli altri lo avevano abbandonato tacciandolo di ambizioso e superbo.
          Il riformatore introdusse subito nel convento di Valdepenas l’esatta osservanza della regola primitiva. Dio benedisse i suoi propositi perché dopo pochi giorni gli aspiranti a una vita di maggior perfezione salirono a sedici. Il santo li formò all’unione con Cristo crocifisso, all’intimità con la SS. Trinità, alla devozione all’Eucaristia e alla Vergine SS. e all’apostolato missionario nonostante le opposizioni e talora persino le violenze dei Calzati.
          Dopo la professione religiosa emessa 1’8-12-1600 il santo si sentì spinto a estendere la riforma in altre città della Mancha. In dodici anni, più con il favore dei laici che degli ecclesiastici, erigerà ben diciotto conventi di Trinitari Scalzi. Soleva dire: “Amo di più la mia religione e l’onore di Dio che tutti i tesori del mondo”. Sapendo benissimo che l’ambiente universitario costituiva la migliore fonte di vocazioni, aprì una casa anche ad Alcalà (1601) dove in due anni vestì da Trinitari Scalzi 140 giovani universitari benché fosse particolarmente severo ed esigente nella scelta dei candidati.
           Per ottenere la piena indipendenza dei Calzati, gli Scalzi, secondo il breve pontificio, dovevano disporre di otto conventi. Per riuscire nell’intento il santo non badò a viaggi, a fatiche, a umiliazioni di ogni genere di cui si consolava dicendo: “Solo Dio è la mia paga”. L’ottavo convento egli riuscì di fondarlo a Valladolid nel 1605 con l’aiuto del duca di Lerma, suo grande estimatore e plenipotenziario del re Filippo III. In esso, sotto la presidenza del nunzio Giovanni Garcia Milino, poté riunire nello stesso anno il primo capitolo della riforma di cui fu eletto Ministro Provinciale soltanto con due voti di maggioranza. Non tutti gradivano la linea austera da lui assunta nella direzione della riforma e la sollecitudine da lui dimostrata nell’aprire nuovi conventi. Noncurante delle opposizioni dei pavidi e dei prudenti secondo la carne, con lettere commendatizie del duca di Lerma, la vigilia del Natale 1605, gli riuscì a stabilire i Trinitari Scalzi presso la famosa università di Salamanca e, nel 1606, presso quella di Baeza benché il vescovo di Jaén avesse dichiarato: “A costo della mitra i Trinitari non devono stare lì”.
        Nell’agosto del 1606 il santo visitò i conventi aperti nella Mancha per sollecitare tutti, con dolcezza e fermezza nello stesso tempo, alla fedele osservanza della regola primitiva. Nel convento di Socuéllanos contrasse il tifo nell’assistere i confratelli colpiti dal morbo; ma appena riacquistò la salute riprese a fondare conventi con rinnovato ardore. Dopo la seconda visita canonica fatta a tutte le case nel 1607 poté dire: “Da otto anni non so quale sia la mia cella”. Eppure fin dal 1604 egli trovò il tempo per scrivere senza la pretesa di fare opera letteraria e senza ordine sistematico la storia della riforma e, basandosi sull’esperienza personale, una serie di trattati di ascetica e mistica che, nel 1830-31, furono stampati a Roma in otto grossi volumi.
         Nel terzo anno di provincialato il santo andò incontro a un’accanita opposizione da parte di un certo numero di religiosi che lo ritenevano “uomo troppo rigoroso, aspro e duro” e troppo frettoloso nel moltiplicare i conventi della riforma. Ricorsero al nuovo nunzio, Mons. Decio Carata, poco propenso all’indipendenza dei Riformati, il quale, nel gennaio del 1608, incaricò il francescano P. Andrea Velasco di fare la visita canonica dei conventi fino allora fondati dal santo. Con l’aiuto del conte di Lerma Fra Giovanni Battista della Concezione avrebbe potuto impedire quella visita, ma egli l’accettò pregando: “Orsù, Padre mio e Dio mio, ti prometto, da oggi in avanti, di amare con grandissimo fervore tutti i miei nemici, in modo speciale quelli che, da amici benefici per i quali ho dato tutto, ora si sono fatti nemici”. Il P. Velasco ebbe appena il tempo necessario per portare a termine la visita perché dopo sei mesi si ammalò. Prima di morire rilasciò questa dichiarazione: “Il P. Giovanni Battista è un uomo apostolico, vero servo dell’Altissimo, di vita irreprensibile, e governa la sua religione con la vigilanza, la prudenza, la santità e lo zelo che conviene a colui che di essa è fondatore e padre”. Tuttavia fece notare che la riforma cresceva con eccessiva rapidità, che la pace tra i religiosi era turbata e che l’austerità di vita sembrava eccessiva.
         Il 7-2-1609 nel secondo capitolo riunito a Madrid fu eletto provinciale il P. Francesco di S. Anna. Il riformatore fu trasferito senza incarichi da un convento all’altro, finché nel 1610 fu nominato ministro di quello di Cordova. Per le fatiche sostenute e le penitenze fatte aveva ormai l’aspetto di un uomo “stanco, pieno di acciacchi e vecchio”. Rimase pochi mesi alla guida della comunità perché, constatando amaramente che nessuno si preoccupava di nuove fondazioni, ottenne dal provinciale il permesso di recarsi a Toledo per una nuova fondazione con l’aiuto del conte di Lerma. Fu là che sentì i primi attacchi nefritici che lo avrebbero condotto al sepolcro. Di ritorno a Madrid il santo fu confinato a Ronda, nella provincia di Malaga, perché non potesse beneficiare delle amicizie che aveva a corte per dare principio a nuove case. Convinto di avere avuto da Dio la missione di propagare la riforma dell’Ordine, scrisse una lettera al Definitorio Provinciale offrendosi di recarsi in Italia per una fondazione, ma ormai i calcoli renali non gli consentivano una così improba fatica.
          Il 12-5-1612 fu celebrato in Valdepenas il terzo capitolo provinciale. Il santo non vi fu neppure invitato. Il P. Gabriele dell’Assunzione, nuovo Ministro Provinciale, lo richiamò a Madrid, ed egli ne approfittò per trasformare in Trinitario alcune religiose agostiniane provenienti da Toledo. In quel tempo dovette sottoporsi, a causa dei calcoli, a una dolorosissima operazione. Appena si rimise alquanto in salute chiese al consiglio della provincia il permesso di fondare un nuovo convento a Saniùcar di Barrameda con l’aiuto del duca di Medina Sidonia. L’impresa rischiava di diventare temeraria data l’esiguità delle sue forze, ma egli, pur di compiere la volontà di Dio, non badava a “tormenti e a dolori di sorta”. A chi cercava di dissuaderlo rispose: “Se muoio, muoio facendo un’opera buona che Dio mi ha affidato”. Mentre s’interessava della fondazione il P. Provinciale inaspettatamente lo richiamò a Cordova senza dargli spiegazioni, ed egli ubbidì prontamente benché con l’angoscia nell’anima.
         La salute del santo in breve precipitò a causa della nefrite. Quando il medico constatò la gravita della malattia, l’infermo che da anni sospirava la morte, esclamò: “Esultai quando mi fu detto: “Andiamo alla casa del Signore” (Sal. 121,1). Dopo aver dichiarato che era molto contento di patire per amore di Dio, soggiunse: “Tu sai bene, o Signore, che ho fatto quanto ho potuto”. Ricevuti i sacramenti, volle che gli fosse letta la Passione secondo S. Giovanni, raccomandò ai confratelli la carità e la perseveranza nella riforma, e li consolò dicendo: “Figli miei, non affliggetevi, dal cielo vi sarò più utile”.
           Fra G. B. della Concezione morì il 14-2-1613 mentre i religiosi attorno al suo letto recitavano il Credo. Sul suo corpo furono riscontrati i segni dei cilici e gli apostèmi causati dall’umidità del suolo su cui aveva tante volte preso il riposo durante lanette. Le sue reliquie che, per diversi anni, emanarono “un profumo celestiale” sono venerate nella chiesa dei Trinitari di Cordova. Pio VII beatificò Fra G. B. della Concezione il 21-9-1819 e Paolo VI lo canonizzò il 25-5-1975.

Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 2, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 177-183.
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