Giovanna Elisabetta Bichier nacque nel castello degli Ages, nell'Indre, da una famiglia profondamente religiosa. Nel 1797 incontrò Andrea Uberto Fournet, curato di Maillé a cui affidò la direzione della sua anima. Su suggerimento di Fournet fondò una Congregazione il cui carisma era l'assistenza ai malati e l'educazione delle fanciulle. Nel 1807 nacque l'Istituto delle Figlie della Croce. Profondamente devota all'Eucaristia, visse una spiritualità fondata sulla contemplazione della Croce.
La fondatrice delle Figlie della Croce, o Suore di S. Andrea, che Pio XI definì "un capolavoro della natura e della grazia", nacque il 5-7-1773 nel Chàteau des Ages de Blanc, nel Berry, Francia. Il buon esempio dei genitori sviluppò presto nel cuore della piccina una irresistibile attrattiva per i poveri e i sofferenti. Dopo 4 anni trascorsi nel collegio delle Suore Ospitaliere di Poitiers. si sentì incline a farsi trappistina per l'amore alla penitenza. ma la rivoluzione francese le impedì di effettuare il suo sogno. A 19 anni l'immatura morte del padre la costrinse ad assumere la difesa del patrimonio familiare insidiato dalle leggi eversive della rivoluzione. Elisabetta trovava nelle comunioni frequenti e talvolta arrischiate, la forza gioiosa di spendersi peri poveri e i sacerdoti ricercati dai sanculotti, e di rifiutare la mano di tanti giovani che la ricercavano per la sua bellezza. Essa diceva: "Le apparenze di questo mondo passano; vergognose e terribili come sono oggi, liete e sorridenti come erano un tempo, come forse saranno domani, dopo questo sangue e queste rovine, sono sempre apparenze, ombre fuggevoli a cui non posso attaccarmi. Prendo sul serio le promesse del mio battesimo: il mondo non è più nulla per me; io non lo temo e non lo amo".
Alta, slanciata, armoniosa, Elisabetta, verso la fine del 1797 si trasferì a La Guimetière, nel paese di Béthines. In quegli anni conobbe S. Andrea Fournet (1752-1834) che per 4 anni era stato costretto a vivere esule nella Navarra perché non aveva voluto giurare la costituzione civile del clero. Prima ancora che la ghigliottina cessasse di funzionare era tornato clandestinamente nella zona della parrocchia di Maillé per organizzarvi i servizi religiosi di notte, nelle stalle, nei cascinali, onde sfuggire all'odio dei rivoluzionari. Elisabetta incontrò la prima volta il santo nel fienile di Marsillys. Appena lo aveva sentito spiegare il Vangelo si era detta: "Ecco il prete che io cercavo". Dopo aver atteso per 5 ore il suo turno, fece a lui la sua confessione. In successivi incontri il santo le tracciò un primo regolamento di vita, e le suggerì di aprire a Béthines una scuola femminile pur continuando a visitare i malati, a soccorrere i poveri e ricamare arredi sacri per gli altari spogli.
Nel 1801 il concordato tra Pio VII e Napoleone ridiede ufficialità al culto cattolico in Francia: le chiese furono riaperte e i sacerdoti poterono svolgere liberamente il loro ministero. Don Fournet nel 1804 consentì a Elisabetta che si associasse alcune giovani volenterose e che per un anno si formasse alla vita religiosa in un convento di Poitiers. Il primo nucleo delle Figlie della Croce, stabilito nella stessa casa di Elisabetta, si trasferì nel 1806 nel castello di Molante. Rimanendo così più vicina alla residenza del Fournet, a costui fu consentita una cura più assidua della nascente comunità. L'approvazione ecclesiastica però si fece desiderare per cui i due fondatori pensarono di aggregare la loro associazione a una congregazione già canonicamente eretta. Elisabetta più tardi ammetterà: "Se abbiamo costituito una congregazione lo abbiamo fatto senza saperlo e senza volerlo".
A Molante il P. Andrea ogni tanto mandava delle orfanelle da istruire, dei ragazzi da avviare al sacerdozio e dei malati da curare. Suor Elisabetta si valeva della sua autorità per riservarsi i più ripugnanti, per andarne a raccogliere altri per le campagne e seppellire i morti dei dintorni. Nel 1811 le prime suore si trasferirono a Maillé, nella parrocchia del Fournet. Nonostante la loro estrema povertà e il rigore della regola, che prescriveva tre giorni di digiuno la settimana, l'istituzione si propagò celermente. Suor Elisabetta aveva il talento dell'organizzazione. Sapeva animare le dubbiose con l'esempio e la parola: "Avete dunque dimenticato che avete uno sposo sanguinante?". "Per soccorrere i poveri dobbiamo privarci del nostro pane, delle nostre vesti, del nostro letto". In quel tempo frequenti erano le carestie. Le figlie di Suor Elisabetta si cibavano allora di avena e patate per non lasciare mancare il necessario ai malati. Tutte accettavano volentieri una simile mortificazione. Del resto, la fondatrice anche in tempo di abbondanza non aveva trascorso un'intera quaresima a pane secco e nocciole di pesca conservate nell'estate precedente?
Nel 1815 Suor Elisabetta fu costretta a recarsi a Parigi per una operazione resasi necessaria. In seguito a un urto violento, la croce di metallo che portava al collo le aveva provocato una contusione al petto con allarmanti complicazioni. Nell'ambiente mondano della capitale la santa ebbe modo di contrarre amicizia con la marchesa de Croisy che la aiutò a istituire a Issy (1817) una casa centrale, con il noviziato, per fare fronte alle crescenti e varie necessità dell'opera. Di molto vantaggio fu pure la fondazione della "Grande Provvidenza" per l'educazione delle orfanelle. Suor Elisabetta la predilesse. Una volta raccomandò alla superiora: "Siate molto caritatevole con le dame dell'amministrazione, con le suore e le bambine siate come la chioccia con i pulcini… Quando sarò vecchia e non sarò buona a nulla verro qui, mi comprerete un maialino ed io, con le erbe del giardino che raccoglierò e farò bollire, le alleverò. Sarebbe bene che accomodaste in casa le scarpe; siete numerose e le orfanelle ne consumano tante… Quando ero in carcere con mia madre, al tempo di Robespierre, accomodavo io i nostri stivali e i nostri vestiti". Nella fondazione di Valencay, il cui castello apparteneva al principe Talleyrand, ex-vescovo, ebbe frequenti contatti con lui, famoso diplomatico, il quale la giudicò una nuova Giuditta. Ed esclamava: "Ella mi fa fare tutto quello che vuole".
A Maillé la famiglia crebbe ancora di più dopo l'approvazione delle costituzioni mitigate (1816). Le case si moltiplicarono anche nella Francia meridionale, specialmente nei paesi baschi, dove S. Michele Garicoits fu un prezioso ausiliare delle Figlie della Croce. Con i beni di famiglia, nel 1819, essendo diventata insufficiente la casa di Maillé ad accogliere le vocazioni, Suor Elisabetta comperò l'antico priorato fontevrista di La Puye. E allora oltre che dalla febbre dei viaggi la fondatrice fu presa anche da quella delle costruzioni, senza tuttavia dimenticare il primato dello spirituale sul temporale. Ella sarà sempre sulla breccia nonostante la ferita al seno che le sanguinerà per venticinque anni, le prove, le desolazioni e la rigida direzione del Fournet che nel 1820 aveva rinunciato alla parrocchia per stabilirsi con le sue Figlie spiritual1, onde assisterle insieme con i malati e le orfanelle. Dal suo cuore le iniziative di bene passavano all'animo della confondatrice la quale aveva un'arte speciale per stimolare e consolare le religiose afflitte. Un giorno chiesero a Madre Elisabetta: "Vi ricordate di tutte le vostre figlie?". "Sì, rispose, le ho tutte nella manica e più avanti ancora, nel cuore".
Dalle religiose esigeva sempre una rigorosa ubbidienza. Quando non poteva visitare le varie case, convocava le suore a gruppi in una delle case maggiori. La sua prodigiosa attività non le impediva di scrivere lettere durante la notte per ammonire, incoraggiare e stimolare alla virtù con soavità e forza. A una superiora ordinava: "Bisogna rimproverare la vostra postulante molto liberamente: ditele che ve lo raccomando perché voglio trovarla completamente spoglia delle maniere mondane, talmente umile e morta a se stessa che si possa camminare sul suo corpo senza che ne soffra, e che non sia più sensibile a nulla".
Contro le scrupolose era inesorabile. "Ci occorrono delle giovani capaci di lavorare, di istruire, edificare, curare i malati; che abbiano molto zelo e molta carità. Quelle giovani senza energia che, con le loro devozioni particolari, sono piene di delicatezze per se stesse, non fanno per noi…Finitela con tutte le vostre miserie, i vostri scrupoli, le vostre suscettibilità e le vostre delicatezze spirituali! Lavorate coraggiosamente per la gloria di Dio, dimenticandovi completamente come un involto di biancheria sporca". Dalle superiore esigeva l'esercizio continuo della carità. "Siate sempre molto dolce, scrisse a una di loro, molto buona per le vostre suore; adattatevi a tutti i caratteri, sopportando con dolcezza e umiltà ciò che può contrariare il vostro amor proprio. Rimproverate le vostre suore soltanto privatamente: poiché se noi abbiamo bisogno che si usino riguardi al nostro amor proprio, dobbiamo usarne anche per quello altrui". Non meno esigente era per l'osservanza regolare. "Non fate visite, scrisse a un'altra superiora. Rimanetevi nel silenzio, e comprendete che non si deve parlare che a Dio e di Dio. Non vi è conversazione più amabile! Non uscite mai sole, non parlate mai dei vostri affari a persone estranee. Nessuno deve conoscere le vostre piccole contrarietà e le vostre pene. Nostro Signore e sempre pronto a consolarvi e i vostri superiori ad ascoltarvi. Siate dunque molto fervorose, molto umili, molto zelanti per i bambini, per i malati e vivete come spose di un Dio crocifisso, annientato. Grande carità vi sia tra voi, sopportatevi, amatevi a vicenda".
Alle Figlie della Croce fu difficile trovare nella loro fondatrice una virtù preponderante. Le possedeva tutte in maniera armonica. Chi la conobbe dalla culla alla morte così la ricorda: "Il primo sentimento che si provava vedendola era l'impressione viva di una virtù superiore, dignitosa e piena di grazia incantevole. Una figura avvenente, uno sguardo tenero e puro, come il cuore che rivolgeva spesso al cielo, un dolce sorriso, un aspetto semplice e raccolto, si univano a un incedere grave, a un contegno distinto, a un modo di salutare benevolo e riservato. Non si poteva essere più delicati nelle convenienze, più semplici nei modi, più attenti a rendere gli altri contenti di sè, interessandosi ai loro discorsi, e a tutto ciò che li riguardava; tutto rivelava in lei un'anima grande, uno spirito eletto, un cuore pieno di bontà".
Singolare fu tuttavia la santa nell'esercizio dell'umiltà, nell'annientamento del suo giudizio sotto l'impero del suo direttore spirituale. A una suora che si rammaricava per i rimproveri del Fournet, ella disse: "Figlia di poca fede, che cosa fareste al mio posto? Proprio oggi il Padre mi ha allontanata tre volte dal confessionale, nonostante le mie suppliche. E non è la prima volta che mi fa subire quest'umiliazione per il mio stesso bene e non sarà nemmeno l'ultima". Alle sue religiose diceva sovente: "Non mi accosterei alla sacra mensa se non credessi di essere la più miserabile di tutta la Congregazione". Eppure quando doveva mettersi in viaggio per visitare o fondare case aveva cura di assicurarsi ogni giorno la messa e la comunione; restava ore intere a contemplare la croce dopo l'esercizio della Via Crucis; digiunava quasi sempre; vestiva abiti pieni di rammendi; dormiva sopra un pagliericcio; faceva uso degli strumenti di penitenza; operava miracoli.
Un'infiammazione generale l'afferrò in maniera fulminea al cessare della salutare secrezione della piaga al petto. Morì il 26-8-1838 tra lancinanti dolori sospirando: "Gesù, padre dei poveri, abbi pietà di me!". Aveva fondato oltre 63 case. Fu collocata accanto a S. Andrea Fournet nella cappella delle Figlie della Croce di La Puye (Vienne). Pio XI la beatificò il 13-5-1934 e Pio XII la canonizzò il 6-7-1947.
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 8, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 297-302
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