Sebbene abbastanza rari, ci sono esempi di santi e di sante che si sono conservati perfettamente casti nella vita coniugale, astenendosi da ogni rapporto sessuale pur vivendo accanto al coniuge. Nei processi di canonizzazione si insiste allora sul “lungo tormento sopportato per amore di Dio” da questi santi. Gli esempi non mancano, ma forse non ce ne sono di più simpatici di quello offerto da una coppia che trascorre in una regione profumata – Apt, Puimichel o Cabrières – una vita che pare “uscita direttamente dalla Leggenda aurea “, come osserva Andre Vauchez .
Delfina è nata infatti a Puimichel, probabilmente nel 1285. Era figlia del signore del luogo. La madre era di Barras, a circa dieci chilometri da Digne. Giovanissima, Delfina perde i genitori, ha una sorellastra, dal leggiadro nome di Alayette, che entra presto in convento. Quanto a Delfina, i parenti che le restano, degli zii, la mettono nel monastero agostiniano di Santa Caterina, a Soys, dove si trova sua zia, una certa suor Cecilia, che probabilmente esercita una forte influenza sulla bambina. I suoi zii la riprendono quando ha tredici anni, poiché la vogliono maritare.
Carlo II d’Angiò, re di Sicilia, la destinava al figlio del conte di Ariano. Delfina rifiuta: dichiara alla sua famiglia che ha deciso di restare vergine e di votarsi a Dio. Furore degli zii, che insistono tanto più in quanto temono che il re fraintenda la causa del rifiuto, e vi veda una maniera mascherata di respingere la domanda. Per cercare di convincere la fanciulla, e ritenendo che un religioso la potrà influenzare meglio di loro, fanno intervenire un francescano, a cui Delfina comunica esplicitamente la sua intenzione di votarsi a Dio. Il religioso le spiega la difficile situazione in cui metterebbe la sua famiglia, e le consiglia di consentire comunque al fidanzamento, salvo poi rifiutare il matrimonio, in seguito. Delfina si lascia persuadere e scambia le promesse richieste con il giovane Elzeario (Auzias) di Sabran, probabilmente nel 1297.
Due anni dopo, il 5 febbraio 1300, il matrimonio è celebrato ad Avignone. Delfina ha quindici anni, due di più del giovane sposo. Quando quest’ultimo le parla di rapporti sessuali, risponde invocando l’esempio di Cecilia e di Valeriano suo sposo, nell’antichità, oppure la vicenda di Alessio che abbandonò il tetto familiare la sera delle sue nozze. E lo fa con tanta gentilezza, si legge nel processo di beatificazione di Delfina, che Elzeario ” si mise a piangere, per un senso fortissimo di devozione “.
Tuttavia, senza scoraggiarsi, ogni tanto insiste con la giovane moglie, al punto che un giorno essa si ammala, colpita da una forte febbre, e fa sapere al suo sposo che guarirà solo se egli le prometterà di vivere accanto a lei in uno stato di astinenza perpetua.
Poco dopo Elzeario parte per assistere a una vestizione nel castello di Sault. Durante questa assenza riflette profondamente sulla richiesta di una sposa che ama, e decide di accettare la sorprendente situazione che ne deriva per entrambi.
Poiché era morto suo padre, dovette recarsi in Italia per regolare la successione; la sua assenza si sarebbe protratta per quattro anni. Quando ritorna, Delfina gli confessa di avere fatto voto di verginità nella cappella del castello di Ansouis, Lungi dall’adombrarsi, Elzeario vuole pronunciare lo stesso voto; dopodiché i due sposi ricevono insieme la comunione dalle mani del loro confessore. Entrambi trascorrono la vita compiendo opere buone, tanto quanto possono. Pur amministrando i suoi beni e possedimenti, Elzeario ha riunito a Puimichel una piccola comunità che accetta una regola di vita che potremmo dire monacale: funzioni religiose, discorsi spirituali, opere di carità. Apparentemente vive come un gran signore del suo tempo, ma ha visioni mistiche; e, sebbene Elzeario condivida il letto della sua sposa, quest’ultima dorme vestita, ed entrambi quando sono soli nella loro camera si alzano e pregano insieme.
Elzeario fu inviato alla corte di Francia per un’ambasciata: si trattava di proporre una sposa per il duca di Calabria. Durante questa assenza, mentre si trovava ad Avignone e pregava, Delfina ebbe improvvisamente la visione di tutta la famiglia del conte vestita di nero. Capì che Elzeario era morto. E infatti qualche tempo dopo la notizia giungeva da Parigi alla Provenza. Delfina pianse a lungo quello sposo così amato, fino al giorno in cui, mentre pregava nuovamente, nella sua camera, a Cabrières, egli le apparve e disse: ” II nostro vincolo si è spezzato; ne siamo liberi “. Infatti entrambi erano ormai liberi da quel legame coniugale che era stato insieme la loro gioia e il loro tormento. In seguito Delfina decise di vendere tutto quello che possedeva per darne il ricavato ai poveri, prendendo alla lettera le parole del Vangelo; prima i beni mobili, poi i castelli. Poiché la regina di Sicilia, Sancia, moglie del re Roberto, glielo chiese, si recò a Casasana in Sicilia, dove restò parecchi anni per prendersi cura della regina e farle compagnia. Lì fece voto di povertà assoluta, conforme all’iniziativa presa in Provenza. Convocò i suoi familiari, i domestici, dichiarando che tutto ciò che si trovava nella sua residenza apparteneva loro e che ne avrebbero goduto vita natural durante, con l’obbligo di donare tutto ai poveri dopo la morte; “Se, per amore di Dio, vi piacesse tenermi con voi, insieme a mia sorella monaca, e procurarci le cose necessarie alla vita come fareste con due donne povere qualsiasi, spero che Dio vi compenserà… E voglio che d’ora in poi non mi consideriate più come la vostra signora, ma solo come vostra compagna e come una semplice pellegrina che avete ospitato in nome di Cristo”. Ritornata in Provenza, partecipava a tutti i lavori domestici e specialmente a quelli più semplici, come scopare o lavare i piatti. Portava solo abiti grossolani di semplice bigello, e, in testa, un velo di tela di lino.
Delfina morì trentasette anni dopo il suo sposo, nel 1360, “il giorno successivo a Santa Caterina, all’aurora”. Aveva settantasei anni, ed era già malata da parecchio tempo. Elzeario era stato dichiarato santo dopo un processo avviato nel 1351. Tre anni dopo la morte di Delfina cominciava anche il suo processo di beatificazione. Le persone del suo ambiente riferirono numerosi miracoli accaduti poco dopo la sua morte. Infatti il 26 novembre 1360 il suo corpo, rivestito del saio dei frati minori, era stato trasportato nella chiesa di Santa Caterina. La notte successiva si udì risuonare una musica armoniosa, riferiscono dei testimoni. Molti dichiarano di essere usciti per vedere donde provenissero quei canti, ma, poiché non videro nessuno, li attribuirono ai cori angelici. Un certo Stefano Martino, che non poteva camminare senza le grucce, entrò nella chiesa e ne uscì guarito, quel 26 novembre; e il giorno dopo il procuratore di Apt, Raybaud de Saint-Mitre, che aveva deciso di offrire un pasto ai poveri nella casa della contessa, fu sorpreso vedendo arrivare molte più persone di quelle previste. Egli aveva fatto cuocere solo un’émine, vale a dire circa cinque litri di piselli; ce ne sarebbe voluto il triplo, per nutrire le duecento persone circa che si presentarono; ma dopo che tutti ebbero mangiato rimase ancora una grossa marmitta piena di piselli.
Dunque i miracoli si susseguirono dopo la morte di Delfina, tanto che, nel 1363, fu intrapreso il suo processo di canonizzazione. L’arcivescovo di Aix, i vescovi di Vaison e di Sisteron furono incaricati dell’indagine, che cominciò il 14 maggio 1363 ad Apt, nella chiesa dei Cordiglieri, Una seduta solenne nella cattedrale riunì tutta la folla, che approvò il processo e dichiarò la santità della contessa d’Ariano.
Da quel momento il processo con le deposizioni dei testimoni oculari è considerato concluso. Il testo è consegnato al papa nell’ottobre successivo. Ma a questo punto i penosi eventi che affliggevano la cristianità avevano un contraccolpo. Urbano V, che allora occupava il trono pontificio di Avignone, e che era il figlioccio di Elzeario, si trovava in una posizione difficile. Desiderava rientrare a Roma, effettuò persino un ritorno che sarebbe stato brevissimo, e preferì rinviare la canonizzazione di Delfina. Poi si succedono, ad Avignone, dal 1378, pontefici eletti in condizioni più che dubbie, e con i quali si apre il periodo chiamato del Grande Scisma. Occorre attendere il 1417 perché siano ristabilite, nella Chiesa, la pace e l’unità. Nel frattempo, nella cappella dei Cordiglieri di Apt, il corpo di Delfina era stato deposto in una cassa vicino a quella che conteneva le spoglie del suo sposo sant’Erario. Il tempo passava. Il processo non fu mai ripreso. Elzeario è sempre venerato come santo, mentre Delfina ha solo diritto al titolo di beata.
Lo strano destino di questa coppia di santi assume tutto il suo rilievo solo se è collocato sullo sfondo tragico e perturbato in cui visse. Sappiamo che nel XIV secolo hanno luogo grandi catastrofi naturali; la carestia del 1315-16, la peste nera del 1348; e, oltre alle guerre franco-inglesi, la cristianità è in uno stato di incertezza di fronte a un papato un poco indebolito, tenuto al guinzaglio dal re di Francia e dall’Università di Parigi, e residente ad Avignone dal 1309. In quest’epoca così perturbata, la santità di questa coppia vergine e totalmente accordata con la vita del Regno di Dio e i destini escatologici dell’umanità intera assume un alto significato: ” Saranno come angeli nel cielo “, si legge nel Vangelo.
In maniera più concreta, Elzeario e Delfina, nella loro preoccupazione costante di approfondire la fede che li anima, sono utili più volte. Elzeario è amico di un famoso francescano, Francesco di Maironnes, del convento di Sisteron, che, recatesi a Parigi per insegnare, ha potuto assistere il conte di Ariano nel momento della sua morte. Quanto a Delfina, i testimoni del suo processo dichiarano più volte che sapeva dissuadere coloro che ” avevano opinioni false, o parlavano male del Sommo Pontefice”. Si doveva discutere intensamente nella regione avignonese, e non a torto, di fronte a una corte pontificia di cui il meno che si possa dire è che conduceva un’esistenza poco conforme alla povertà evangelica! Ancor più, il suo processo è l’eco delle asserzioni eretiche allora molto diffuse intorno alla Santa Trinità e al “Regno dello Spirito Santo” che annunciavano numerosi visionari, e che aveva l’effetto di introdurre nella vita divina una specie di “quaternità”: conseguenza delle predicazioni profetiche di un Gioacchino da Fiore, che al suo tempo non era stato quasi ascoltato, ma di cui lontani discepoli riprendevano le accese teorie intorno a una Chiesa dello Spirito Santo che sarebbe succeduta a quella di Cristo . Sappiamo in che modo tali errori avessero trovato spesso eco nei francescani, nel ramo di quelli che erano chiamati spirituali. Un certo Durando, che depone al processo di Delfina, mostra la contessa ” inorridita ” dalle opinioni eretiche di un frate minore di cui non ha potuto ricordare il nome e che era venuto da Napoli per discutere con lei sulla fede nella Trinità. ” Si serviva di sofismi per tentare di provare che c’era in Dio una quarta persona” dichiara. La contessa rispose ricordando l’insegnamento della Chiesa e il simbolo di Atanasio. In un’altra occasione, fu davanti al papa stesso, Clemente VI, che Delfina, chiamata a discutere con santi dottori, li sbalordì con la sua autorità; e tutti conclusero che non poteva sapere tante cose ” se non per ispirazione dello Spirito Santo “.
Si tratta probabilmente dello stesso Durando di cui più testimoni narrano la vita al processo di Delfina, da cui fu miracolato.
Si trattava di un guascone, Durando Arnaldo de la Roque Aynière. Lui e alcuni compagni imperversavano per la Provenza, nel 1358, quando caddero in un’imboscata preparata dalla gente di Ansouis, che, senza processo, li gettò in un pozzo ” profondo circa ventidue canne”, come precisa un testimone. Lo chiusero con grosse pietre, poi si allontanarono. Quando gli avevano legato le mani, Durando aveva invocato nel suo cuore la contessa Delfina, che era allora ad Apt, e di cui lo aveva profondamente colpito la fama di santità. Ora, in fondo al pozzo, dove era stato gettato il lunedì, tornò in sé il mercoledì mattina, e una voce interiore gli disse: “Alzati, esci di qui”; si accorse che i cadaveri dei suoi compagni che erano stati gettati prima di lui avevano attutito la sua caduta, e che era stato colpito solo da una grossa pietra, alla tibia. Riuscì ad alzarsi, gridò con tutte le sue forze; stupefatti, quelli che erano nel castello lo sentirono, gli portarono delle corde e lo tirarono fuori sano e salvo. In seguito Durando si recò da Delfina, ascoltò le sue esortazioni e si convertì, si confessò e per qualche tempo restò vicino ad Apt, nel romitaggio di Santa Maria di Clermont. Pare che in seguito sia diventato frate, probabilmente a Rocamadour. Nel processo di canonizzazione depone a tre riprese.
Regine Pernoud,
I santi del medioevo, edizioni Rizzoli, Milano 1986, traduzione di Anna Marietti, pagg.114-119