E’ un santo fratello laico cappuccino il quale, in vita, praticò, alla perfezione, il motto benedettino “prega e lavora”, facendo ininterrottamente, per quarantun anni, da portinaio al convento di Sant’Anna e al Santuario della Madonna delle Grazie di Altótting, nella diocesi di Frisinga (Germania) fondato nell’876 da Carlomanno e officiato dai Padri Cappuccini. Egli nacque il 22-12-1818 a Parzham, un villaggio della Baviera meridionale, nella fertile valle del Rott, a circa mezz’ora di strada dalla parrocchia di Weng. Era il penultimo dei dieci figli che Bartolomeo Birndorfer, ricco possidente di terre, ebbe da Gertrude Niedermayer, entrambi cattolici di antico stampo. Il giorno stesso in cui nacque, al loro figlio fecero imporre il nome di Giovanni, al fonte battesimale di S. Volfango, chiesa filiale di quella parrocchiale.
Sotto la guida dei genitori, il santo crebbe obbediente e molto pio. In famiglia, difatti, era invalsa l’abitudine di fare in comune la preghiera tre volte al giorno e di recitare il rosario al termine della cena. I testimoni dei processi sono concordi nel dire che “i fratelli Birndorfen erano gente molto devota, senza ambizione e, benché fossero ricchi, senza lusso. Alieni dal mettersi in vista e dal fare conversazioni chiassose, erano piuttosto taciturni. Si accostavano sovente ai santi sacramenti ed erano attaccatissimi alle tradizioni della famiglia. In casa poi, padroni e servi, erano tutti un cuor solo e un’anima sola”.
A sei anni, Giovanni cominciò a frequentare la scuola comunale di Weng, con tanta compostezza e regolarità che le mamme esortavano i loro figli a ricercarne la compagnia. In tutta la valle del Rott veniva soprannominato “l’angioletto di Venushof”. Così era chiamata l’azienda agricola in cui lavorava la sua famiglia con la collaborazione di sei braccianti e l’ausilio di dieci cavalli. Nel mettersi in cammino Giovanni prima faceva il segno di croce e poi esortava i coetanei alla recita del rosario. Un giorno, durante il giuoco, udì proferire una bestemmia. D’un tratto impallidì, poi s’inginocchiò per terra e chiese perdono a Dio dell’affronto che gli era stato fatto.
Al termine delle elementari il santo seguì con docilità il padre ed i fratelli nel faticoso lavoro dei campi. Prima, però, di iniziarlo ci teneva a prendere parte alla Messa, celebrata di buon mattino ora nella chiesa parrocchiale di Weng, ora in quella di San Volfango. Talora vi giungeva quando le loro porte erano ancora chiuse. Giovannino attendeva pazientemente che il sacrestano le aprisse standosene in preghiera inginocchiato per terra. In mezzo ai prati, ai campi e ai boschi, conducendo i carri, pascolando il bestiame o raccogliendo i prodotti della terra se ne stava a capo scoperto per rispetto alla presenza di Dio, portava la corona del rosario in mano, al polso o al collo, pregava sommessamente, cantava devote laudi o parlava con i lavoratori delle verità della fede. Alle pareti della stalla e del granaio aveva appeso molte immagini di santi, specialmente quadri rappresentanti gli episodi della Passione del Signore. Più di una volta tanto i fratelli quanto i servi lo sorpresero inginocchiato per terra, con le braccia spalancate e lo sguardo fisso al crocifisso.
Ogni domenica il santo faceva un’ora di strada per raggiungere Griesbach dove abitava il suo confessore. Nel pomeriggio dello stesso giorno sovente si recava a Birnbach per prendere parte ai Vespri e, nel ritorno, a costo di allungare la strada, passava a venerare la statua della Madonna delle Grazie di Altolling, esposta alla venerazione dei fedeli in una cappelletta in mezzo ai boschi. Quando gli riusciva di condurre con sé altri giovani di buona volontà, anziché perdere tempo in frivole conversazioni, pregava con loro quasi in continuazione. Ben nove Associazioni si vantarono di averlo avuto come confratello molto osservante dei loro regolamenti. Nella stanza in cui dormiva aveva eretto un altarino davanti al quale trascorreva in preghiera molte ore della notte.
Con tali inclinazioni nel cuore è chiaro che Giovanni nel mondo si trovava come un osso fuori posto. Fece vari tentativi per essere accolto o in seminario o in qualche Ordine religioso, ma riuscirono vani forse perché troppo avanzato in età. Ne sofferse nell’intimo dell’animo tanto da diventare più ritirato e silenzioso del solito. Il suo spirito si rassenerò alquanto dopo che prese parte a una solenne missione predicata a Ering, sulle rive dell’Inn. La località distava cinque ore di cammino da Parzham. Per giungervi digiuno al momento della Messa, che veniva celebrata alle sei, e per essere in grado di ritornare a casa per il pranzo, era costretto a mettersi in viaggio all’una dopo mezzanotte. Al termine della missione, a chi lo esortava a darsi pace se non riusciva a entrare in qualche convento, rispondeva: “Datevi pace voi. Vedrete che il buon Dio un posticino sicuro l’avrà riservato anche per me: io confidò in Lui”.
Chi indicò a Giovanni la via da seguire fu il sacerdote Dullinger di Aigen, apprezzato direttore di spirito. Il santo lo conobbe e lo scelse come suo confessore in occasione delle feste patronali del paese. Per 11 anni egli ebbe la costanza di recarsi almeno un paio di volte al mese a consultarlo benché dovesse compiere anche questa volta 5 ore di cammino. Invece di consigliarlo a formarsi una famiglia, il santo sacerdote lo esortò a iscriversi al Terz’Ordine Francescano (1842) e gli disse quando i suoi fratelli e le sue sorelle si accasarono: “Va, è tra i Cappuccini che Dio ti chiama”. Il santo fece dono della sua parte di eredità ai poveri e al cimitero di Weng, e annotò sopra un pagina dell’Imitazione di Cristo che lasciò nella casa paterna: “Viva Gesù e Maria, unica gioia di ogni anima che ama Dio, e che desidera soltanto Gesù Crocifisso”.
In seguito il santo, benché avesse già compiuti i 31 anni di età, andò a bussare alla porta del grande convento di Sant’Anna di Altòtting dei Padri Cappuccini. Il P. Provinciale lo accolse nell’Ordine, ma prima di ammetterlo al noviziato lo affidò per 20 mesi al portinaio del suo convento e per 3 mesi all’infermeria del convento di Burghausen. Qualche mese dopo il suo ingresso tra i Cappuccini, Giovanni scrisse ai fratelli: “Le ore per la preghiera e per il lavoro sono stabilite in modo preciso… Nei giorni festivi c’è molto da fare alla portineria. Io però vivo qui molto contento… Siamo 11 fratelli conversi e 10 padri. Nei primi tempi mi riuscì un po’ duro stare tra tanti frati, perché ero troppo timido; ma tosto imparai a conoscerli meglio, e ora le cose vanno bene”.
Il 17-9-1851, a trentatré anni di età, il santo entrò nel noviziato di Laufen, piccolo paese sulle rive del Salzach, con il nome di Fra Corrado, e l’incombenza di coltivare l’orto e di tenere in ordine il giardino. Per purificarlo dai suoi difetti, Dio permise che il P. Stanislao, suo maestro, per un certo tempo lo considerasse un ipocrita, lo apostrofasse con asprezza anche pubblicamente, gli rinfacciasse di compiere le buone opere con malavoglia e rispetto umano, e gli proibisse persino qualche volta di fare la comunione. La prova per Fra Corrado fu tanto pesante che ne sofferse nella salute. Diede tuttavia prova di così serio e ardente buon volere che alla fine i superiori non esitarono ad ammetterlo alla professione religiosa (1852). Potè quindi scrivere ai fratelli: “Ringraziate con me il buon Dio, che mi abbia chiamato alla vita religiosa; qui mi trovo completamente felice, quale non ero e non potevo esserlo nel mondo”.
In quella circostanza Fra Corrado propose: “Voglio prendere l’abitudine di stare sempre alla presenza di Dio…; di non uscire mai dal convento se non per motivi di carità…; di mantenere in me e negli altri la fraterna carità…; di osservare, quanto più mi sarà possibile, il più rigoroso silenzio…; di privarmi a tavola di quei cibi che mi piacciono…; di andare al coro con la massima sollecitudine…; di evitare qualunque relazione con persone dell’altro sesso…; di obbedire sempre con assoluto rigore e perfetta puntualità…; di badare molto alle piccole cose…; di sforzarmi di aver la più tenera devozione alla Vergine e di imitarne le virtù in tutte le cose”.
Il santo da pochi mesi aveva emesso la professione dei voti quando i superiori gli affidarono il delicato compito di portinaio del convento perché era di costituzione vigorosa, paziente, discreto e distinto nel tratto. I fratelli laici più anziani, nel vedersi posposti a lui ne concepirono invidia e lo tormentarono con scherni e dispetti. Anche il P. Guardiano lo prese in uggia. Nel capitolo delle colpe un giorno giunse a dirgli: “Devi ricordarti che tra noi ci sei solo a titolo di carità, e che mangi il nostro pane a tradimento”. Molti anni più tardi Fra Corrado confiderà a un confratello quanto sia stato duro per lui l’inizio di quell’ingrato compito. Eppure ebbe la costanza di adempierlo ininterrottamente per tutta la vita. Fra Gilberto, che fu suo aiutante per 20 anni, affermò di lui nel processo canonico: “Sebbene si presentassero ogni giorno alla portineria del convento migliaia e migliaia di uomini di tutte le condizioni: operai, viandanti, pellegrini, accattoni, poveri, rozzi e insolenti, pure non ho mai visto Fra Corrado alterarsi o rifiutarsi alle loro richieste, E devo dire che, servirli come li serviva lui. con tanto garbo e pazienza, non era cosa da tutti”. Sulla bocca dei confratelli, anche di quelli più esigenti, non tardò quindi a risuonare l’elogio: “Fra Corrado ha tutto il fare di un santo”.
È facile immaginare la confusione che regnava nella portineria del convento dei Padri Cappuccini, specialmente nei giorni di festa, se si pensa che tutti gli anni giungevano al Santuario di Altòtting non meno di 300.000 pellegrini. C erano penitenti che cercavano un confessore; persone che volevano fare celebrare delle Messe all’altare della Madonna delle Grazie; devote desiderose di fare benedire oggetti religiosi prima di ritornarsene alle loro case; pellegrini bramosi di ricevere dal convento, secondo la tradizione, pane e birra; poveri in cerca di una elemosina. Al portinaio non mancavano poi ordini e contrordini da parte dei superiori. Sovente veniva ripreso per errori o per disguidi e contrattempi di cui non era responsabile. Invece di giustificarsi o di impazientirsi metteva in pratica quanto scrisse ali sorella: “Basta uno sguardo alla croce perché tutto mi riesca facile”. Un giorno fu persino accusato dal veterinario distrettuale di esercizio abusivo dell’arte medica perché regalava ai contadini mazzetti di erbe odorose che aveva fatto benedire all’altare della Madonna miracolosa. Tra le contraddizioni, le umiliazioni e i disagi di ogni genere Fra Corrado si limitava a dire: “Patire è amare, e amare è vivere”. Fra Primo, che gli fu di aiuto alla porta del convento per molti anni, depose nel processo: “Quando io…ero stanco o mi trovavo un po’ impacciato, era un piacere avere vicino Fra Corrado… Su, su – mi diceva – su in nome di Dio! La vita è una tribolazione, senza croci non si va”. Certi giorni anche lui giungeva alla sera stanco o addirittura accasciato. Più di una volta fu trovato disteso per terra, quasi svenuto o preso dal deliquo.
Alla portineria del convento Fra Corrado ebbe soprattutto cura dei poveri di cui fu considerato il “padre”. I superiori gli avevano concesso la più ampia libertà d’azione, ed egli se ne serviva per tenere la sua dispensa ben provvista di minestra, di pane e di birra, e per distribuire agli indigenti gli avanzi della cucina nonostante le proteste del cuoco, del cantiniere e dell’ortolano. Ogni tanto lo si udiva esclamare: “Pare impossibile che non si voglia capire che tutto quello che si da ai poveri esce, sì, dalla cucina e va alla porta, ma rientra subito dalla porta per tornare in cucina”.
Ai piccoli artigiani in cerca di lavoro e ai bambini che a mezzogiorno accorrevano a lui a frotte, dava, allegro e festoso, di che sfamarsi insieme a medaglie, immaginette e libricini da regalare dopo aver fatto recitare loro l’Ave Maria davanti all’immagine della Madonna. Ogni tanto capitavano pure monelli al convento i quali erano capaci di suonare fino a dodici, a venti volte il campanello per fare dispetto a Fra Corrado, A chi gli faceva notare che avrebbe fatto bene a riprenderli con severità, si limitava a dire: “Per me il suono del campanello è una chiamata di Dio. Se il Signore si vuole divertire così con me, e se tale è il suo piacere, che ci volete fare?”.
Alla portineria del convento, Fra Corrado provò una vera passione oltre che per i poveri, anche per la conversione dei peccatori con il buon esempio, la preghiera e il consiglio. Agli sfiduciati diceva: “Preghiamo di cuore che la divina volontà sia il nostro cibo, la nostra consolazione, la passione continua dell’anima nostra. Che Dio ci bastoni o ci consoli, pensiamo che è sempre nostro amatissimo padre, che non ci rigetta neppure quando noi rigettiamo lui. Siamo noi che lo dimentichiamo, non è Lui che dimentica noi”. A chi cercava di intrattenerlo in discorsi inutili o mondani diceva: “È meglio che impieghiamo il nostro tempo nel pregare la Madonna”, oppure: “È, caro mio! Io ho ben altro da fare! Ho tante orazioni ancora da dire!”. Effettivamente, quando poteva disporre di cinque minuti di tempo, o i pellegrini per l’inclemenza del tempo se ne restavano nelle proprie case, correva a pregare nella cosiddetta “colletta di S. Alessio”, un bugigattolo che si trovava nel sottoscala del convento, vicino alla portineria, dal quale, attraverso un finestrino poteva vedere l’altare del SS. Sacramento. Quando credeva di essere solo dava libero sfogo alla piena del suo amore. Ogni tanto si sentiva difatti gemere ed esclamare tra i singhiozzi: “Gesù, Gesù!”.
Fra Corrado dedicava alla preghiera non meno di 6 o 7 ore al giorno. Di notte non dormiva più di 3 o 4 ore, interrotte dall’ufficiatura corale del Mattutino, alla quale prendeva parte benché ne fosse stato dispensato dai superiori per lo spossante lavoro che doveva compiere durante il giorno. Il resto del tempo lo trascorreva o in coro, o nel sepolcreto dei Frati o davanti all’altare del SS, Sacramento, intento a supplicare Dio per i bisognosi della Chiesa, i devoti che si raccomandavano alle sue preghiere, la conversioni dei peccatori e il suffragio delle anime dei benefattori defunti. Per onorare la Passione del Signore, dopo la visita al SS. Sacramento, faceva Tutti i giorni la Via Crucis, Per coltivare l’amor di Dio nel proprio cuore faceva tutti i giorni pure la comunione, benché non fosse ancora entrata nella pratica dei fedeli, durante la Messa che veniva celebrata alle 4 e mezzo all’altare del Santuario.
Dio volle manifestare con un miracolo quanto gradisse la fede e la devozione del suo servo fedele. Una mattina del 1880 i fedeli, che prendevano parte alla messa, con stupore videro improvvisamente Fra Corrado, intento a servirla, avvolto in un chiarore che si spandeva per tutta la rotonda della cappella. A quel primo prodigio un altro ne seguì.
Dalla bocca di lui videro difatti uscire tre globi di fuoco e dirigersi verso la statua della Madonna delle Grazie. I presenti non poterono fare ameno di uscire in una forte esclamazione di meraviglia. Il santo poteva quindi scrivere con molta convinzione alla sorella: “II nostro amore per il caro e buon Padre celeste deve essere sempre più grande, perché in Lui non c’è sosta; deve diventare una fiamma ardente che distrugga tutto ciò che non ci unisce intimamente a Lui o che potrebbe impedirci di conversare con Lui”.
Alle 6 del mattino Fra Corrado era già al suo posto di lavoro e vi rimaneva fino alle 19. Dopo pranzo si ricreava recitando il rosario mentre passeggiava nel giardino oppure lavorando nell’orto. Di due cose sole era preoccupato: di non perdere tempo e di osservare fino allo scrupolo le prescrizioni della regola. Col volgere degli anni un po’ alla volta perse tutti i capelli motivo per cui il P. Guardiano lo costrinse a fare uso di una berretta, non disponendo in portineria di riscaldamento. L’infermiere, un giorno d’inverno, vedendolo tutto intirizzito dal freddo, gli disse: “Venga a riscaldarsi un po’ “. Fra Corrado gli rispose sorridendo: “Scaldarsi! Il mio braciere eccolo lì”. E gli additò il crocifisso che pendeva dalla parete.
Il santo era per natura molto parco di parola. Quello che avveniva nel mondo non lo interessava affatto. A contatto di tante persone avrebbe potuto, volendo, contrarre amicizie a iosa. Invece se ne serviva soltanto per mandare qualche saluto ai benefattori del convento o per chiedere notizie dei malati che si raccomandavano alle sue preghiere. Amava tanto il ritiro che, se fosse dipeso da lui, non sarebbe mai andato a casa a trovare i fratelli e le sorelle. A chi gli esprimeva la propria meraviglia perché non si prendeva mai un giorno di riposo, diceva: “Eh! Caro confratello, tutto in nome di Dio!”. A chi gli chiedeva come stesse dopo due polmoniti felicemente superate, rispondeva: “Come Dio vuole! Con Dio tutto va bene”. In vecchiaia fu tormentato dall’asma. Ai confratelli che lo esortavano a prendere qualche svago era solito dire: “Ringrazio il Signore che, alla scuola dei miei genitori, mi fece imparare fin da bambino che il riposo bisogna aspettarlo soltanto in Paradiso: in questa vita c’è soltanto milizia e combattimento”.
Finché visse, Fra Corrado ebbe molti ammiratori, ma pochi amici, perché per temperamento non era soltanto taciturno, ma anche austero. Di lui ci sono rimaste sei lettere scritte ai fratelli e tre scritte nel 1872 a una Terziaria Francescana rimasta sconosciuta. In esse tra l’altro le confida: “II mio tenore di vita consiste per lo più nell’amare e nel patire… e nell’ammirare l’indicibile amore di Dio per noi, misere creature… Io parlo con Lui come un bambino a suo padre… e il mezzo che io impiego per esercitarmi nell’umiltà e nella mansuetudine, non è altro che la croce”. Parendogli di amare ancora troppo poco il Signore concluse la sua terza lettera scrivendo: “Io vorrei essere un serafino d’amore”.
Fra Corrado si preparò ad andare a ricevere il premio dei giusti con tali sentimenti nell’animo. Il 18-4-1894, appoggiato ad un bastone, servì per l’ultima volta la Messa celebrata alle cinque nella cappella della Madonna miracolosa. In mattinata attese l’arrivo di sette pellegrinaggi dalla Germania e dall’Austria i quali finirono col prostrarlo. Nel pomeriggio, dopo il Vespro, si presentò al suo superiore e con molta umiltà gli disse: “Padre Guardiano, ora non va più; è finita!”.
Si preparò alla morte nella cella detta della Madonna perché un po’ più confortevole della propria, stringendo tra le mani la corona del rosario e baciando ogni tanto il crocifisso. Tre giorni dopo ricevette l’estrema unzione. La sera, mentre i confratelli suoi erano riuniti in preghiera, udì suonare due volte il campanello della portineria. Il morente, in uno sforzo supremo, sceso da letto, afferrò una candela accesa, si avvicinò alla soglia della cella e chiamò forte il fratello che lo sostituiva in quel compito. Caso volle che proprio in quel momento gli passasse davanti un giovane novizio il quale gli impedì di stramazzare per terra sorreggendolo tra le braccia. L’infermo morì poco dopo mentre un confratello gli faceva la raccomandazione dell’anima.
La salma di Fra Corrado nel giorno dei funerali fu portata in processione attorno alla cappella del santuario tra una marea di gente. Le sue reliquie sono venerate nella chiesa dei Cappuccini di Altótting. Pio XI ne riconobbe l’eroicità delle virtù il 15-8-1928, lo beatificò il 15-6-1930 e lo canonizzò il 20-5-1934.
Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 4, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 273-281.
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