S. CLEMENTE MARIA HOFBAUER (1751-1820)

A motivo dell’età avanzata, Clemente non fece che cinque mesi di noviziato e, dopo la professione religiosa, fu subito ordinato sacerdote ad Alatri (Prosinone) a motivo della sua provata pietà e del grande bisogno che i Redentoristi avevano di membri. Attese per un po’ di tempo allo studio della teologia a Frosinone, poi si recò a Vienna insieme con Taddeo Hùbl per fondarvi una casa. Siccome però, Giuseppe II era contrario alla diffusione delle famiglie religiose nell’impero austro-ungarico, egli si recò a Varsavia dove gli fu affidata (1787) la rettoria della chiesa di San Benno, propria della colonia tedesca, rimasta senza sacerdoti dopo la soppressione della Compagnia di Gesù.

L’apostolo di Varsavia e di Vienna nacque, nono tra dodici
figli, il 26-12-1751 a Tasswitz, in Mora via, da un modesto macellaio e
contadino. Rimasto a sette anni orfano di padre, la mamma gli disse,
additandogli un crocifisso: “D’ora innanzi questo sarà il padre tuo. Bada
di camminare per quella via che a lui piacerà”. Il fanciullo crebbe pio,
amante del digiuno in onore della Madonna e per il sollievo dei poveri, con nel
cuore il desiderio della vita sacerdotale. Per vivere, a sedici anni dovette
invece fare il panettiere, prima nella vicina città di Znaim, e quindi nel
monastero premonstratense di Bruck. L’abate Gregorio Lambeck, edificato dalle
virtù di lui, lo fece suo cameriere e per quattro anni gli concesse di
frequentare la scuola ginnasiale del monastero.
 A venticinque anni Clemente, non potendo più continuare
gli studi, si ritirò a Mùhlfrauen, poco distante dal paese natale, per servire
come eremita la chiesa che l’abate Lambeck vi aveva fatto costruire. Dopo un
anno, avendo l’imperatore Giuseppe II aboliti tutti gli eremitaggi, il santo
dovette andare a cercare lavoro a Vienna. Fu là che, con un altro panettiere,
risolvette di pellegrinare a Roma a piedi cantando e pregando ad alta voce. La
tristezza dei tempi imbevuti di illuminismo e regalismo, risvegliò in lui
l’amore alla vita eremitica. Con lo stesso compagno, pochi anni dopo, Clemente
fece ancora un pellegrinaggio a Roma, benché il suo padrone gli avesse promesso
di dargli la figlia per sposa. A Tivoli si rifugiò presso la chiesa della
Madonna di Quintiliolo. Il vescovo Barnaba Chiaramonti, futuro papa Pio VII,
gli diede l’abito eremitico, ma dopo sei mesi di preghiere, di penitenze e di
lavoro. Clemente capì che Dio lo chiamava alla vita attiva per la salvezza delle
anime.
 A Vienna il santo riprese gli studi come poté. facendo il
fornaio per vivere, finché tre pie sorelle, ammirate dalla devozione da lui
mostrata nella chiesa di Santo Stefano, lo aiutarono a diventare sacerdote.
Avaro del tempo, per studiare filosofia anche di notte senza essere vinto dal
sonno, passeggiava per la stanza tenendo con una mano il lume e con l’altra il
libro. Tuttavia l’incredulità dei professori dell’università lo costrinsero a
sospendere gli studi. Sicuro che Dio gli avrebbe appianato ogni difficoltà, con
l’amico Taddeo Hùbl decise di recarsi un’altra volta a Roma a piedi (1784), e
di andare ad ascoltare la Messa il giorno dopo il loro arrivo nella chiesa di
cui avrebbe udito il suono delle campane. In San Giuliano, poco lontano da
Santa Maria Maggiore, trovò la comunità dei Redentoristi raccolti in preghiera.
Al superiore chiese informazioni sullo scopo della Congregazione, gli piacque e
fu felice di sentirsi invitato a entrarvi con l’amico benché fosse forestiero,
senza patrimonio e in età di trentatré anni. Quando S. Alfonso de’ Liguori
(+1787) lo seppe, se ne rallegrò prevedendo la diffusione del suo istituto oltre
i monti.
 A motivo dell’età avanzata, Clemente non fece che cinque
mesi di noviziato e, dopo la professione religiosa, fu subito ordinato
sacerdote ad Alatri (Prosinone) a motivo della sua provata pietà e del grande
bisogno che i Redentoristi avevano di membri. Attese per un po’ di tempo allo
studio della teologia a Frosinone, poi si recò a Vienna insieme con Taddeo Hùbl
per fondarvi una casa. Siccome però, Giuseppe II era contrario alla diffusione
delle famiglie religiose nell’impero austro-ungarico, egli si recò a Varsavia
dove gli fu affidata (1787) la rettoria della chiesa di San Benno, propria
della colonia tedesca, rimasta senza sacerdoti dopo la soppressione della
Compagnia di Gesù. Gli inizi del suo apostolato furono duri per la grande
povertà in cui si trovava e l’indifferenza degli abitanti di Varsavia. Un
giorno il santo sentì il bisogno di andare a battere alla porta del tabernacolo
e dire con grande semplicità all’ospite divino: “Signore Gesù, se non vieni
in nostro aiuto, dovremo partire o morire”. La sua fede fu ricompensata:
lo stesso giorno uno sconosciuto gli si presentò per donargli una forte somma
di denaro. I tedeschi non tardarono ad affluire a San Benno e numerosi giovani
di diverse nazionalità chiesero di far parte dei Redentoristi del ramo
transalpino, di cui Clemente era stato eletto Vicario generale.
 L’attività apostolica di Clemente ebbe del prodigioso. Per
venti anni egli trasformò la sua chiesa in un centro di intensa vita spirituale.
Gli stranieri, di passaggio per Varsavia, affermavano che, in nessun’altra
chiesa d’Europa, si notava tanto afflusso di fedeli e tanto splendore di
cerimonie quanto in quella di San Benno. Tutte le mattine infatti, dalle cinque
a mezzogiorno, vi si cantavano tre Messe e vi si tenevano tre sermoni. Nel
pomeriggio, alle quattordici riprendevano le funzioni per i polacchi e per i
tedeschi con il canto dell’ufficio della Madonna e dei Vespri, con due sermoni,
la benedizione eucaristica e l’esercizio della Via Crucis. Il superiore
generale dei Redentoristi, ignaro delle eccezionali circostanze in cui P.
Clemente si trovava, gli rimproverò l’eccessivo lavoro apostolico. Il santo gli
rispose: “Se vedeste con i vostri occhi lo spaventoso stato della religione
in questa depravata città, ci rimproverereste non di predicare troppo, ma di
non predicare abbastanza, malgrado i nostri cinque sermoni quotidiani…
Siccome il governo ha interdetto le missioni, noi abbiamo dovuto pensare a
soccorrere il popolo, e così la nostra chiesa è diventata il teatro di una
missione perpetua per i tedeschi e i polacchi. La gente vi accorre non soltanto
da Varsavia e dai dintorni, ma dalle più lontane province. I fedeli si fermano
tre, cinque e qualche volta fino ad otto giorni, seguono gli esercizi
spirituali, ricevono i sacramenti, poi se ne ritornano a casa fortificati dalla
grazia divina”. Numerose furono le conversioni pure tra gli ebrei e i
protestanti per i quali erano state organizzate predicazioni e conferenze
appropriate.
 Clemente non si limitò a predicare, a confessare e a
confortare i moribondi, ma propagò la sua Congregazione a Mittau, nella
Curlandia (1795) e in altre due succursali vicino a Varsavia, a Yestetten
(1802), nella diocesi di Colonia (Germania); fondò delle confraternite e delle
congregazioni mariane per lo splendore del culto e la diffusione dei buoni
libri; eresse un convitto per la formazione dei chierici; due orfanotrofi per i
bambini rimasti soli al mondo dopo il bombardamento di Varsavia da parte
dell’esercito russo. Per sostentarli e avviarli al lavoro non si vergognò di
andare a mendicare alle porte dei ricchi. La sua fiducia nella Provvidenza non
andò delusa mai. Soleva dire: “Ad un prete che fa il proprio dovere nulla
mancherà; e se restasse nel mondo un pane solo, Iddio gliene darebbe la
metà”. Per le sue opere di carità si cattivò l’animo di tutte le classi
sociali. Un giorno egli stesso confidò: “Se tutto il denaro che ricevei a
Varsavia e dispensai ai poveri si raccogliesse in un sacco, formerebbe tal
carico che un uomo non riuscirebbe a portare”.
 Certuni chiamavano Clemente Hofbauer “il padre
santo”, e baciavano con venerazione il luogo per cui passava. Egli pregava
di continuo, in casa, in chiesa, per strada. Ovunque, appariva con la corona
del rosario in mano. Poiché in tale devozione trovava materia di frequenti
meditazioni, egli la chiamava “la sua biblioteca”. Ogni volta che
recitò il rosario per qualche peccatore, ne ottenne la conversione. Appena
disponeva di un po’ di tempo correva ad inginocchiarsi davanti all’altare.
Sovente fu visto al momento della comunione nella Messa versare abbondanti
lacrime. Altre volte fu visto circonfuso di luce. L’amor di Dio lo portava a
considerare la verginità come il più bel ornamento della vita sacerdotale.
Quando trattava con le donne teneva gli occhi abitualmente bassi. Era
intransigente riguardo all’osservanza delle regole. Nelle esortazioni che
rivolgeva ai religiosi nessun difetto lasciava passare inosservato,
specialmente quelli contrari all’ubbidienza. Ciò nonostante fu amato da tutti,
perché ebbe il dono di non far sentire la sua autorità nelle comunità, composte
di religiosi di diverse nazionalità e seppe ascoltare tutti. Era di natura
irascibile, ma anziché sgomentarsene, ringraziava il Signore perché gli dava
così modo di fare atti di umiltà. Dei difetti in cui cadeva faceva penitenza
indossando cilici e dandosi la disciplina. Fino a quarant’anni non gustò il
vino; fino alla morte non fece uso di ombrello e di cappello per rispetto alla
presenza di Dio e dell’angelo custode. Il digiuno e la più rigorosa astinenza
furono sempre i suoi inseparabili compagni.
 Con l’invasione della Germania e della Polonia da parte
delle truppe napoleoniche (1808) i Redentoristi furono costretti a rifugiarsi
in Austria. P. Clemente ne soffrì atrocemente, ma poiché, secondo lui, “il
miglior mezzo per farsi santo era d’immergersi nella volontà di Dio come una
pietra s’immerge nel mare”, si trasferì presso la chiesa degli italiani,
nella quale promosse la devozione al SS. Sacramento. La sua maggior
consolazione consisteva infatti nel distribuire il maggior numero possibile di
comunioni e di portarle agli infermi. Due giorni la settimana si recava alla
chiesa dei Mechitaristi per confessare la povera gente e tenere un sermone
sulla Madonna. Nel 1813 l’arcivescovo di Vienna lo nominò confessore e
direttore delle Orsoline, che nelle loro scuole istruivano un migliaio di
fanciulle. Di tutte egli ebbe somma cura per la grande stima che aveva delle
anime vergini, da lui considerate sorelle degli angeli. Ripeteva sovente loro:
“Piuttosto morire che disubbidire; chi osserva l’orario, osserva la
volontà di Dio”. Le Orsoline sapevano che egli avrebbe preferito confessare
mezza armata dell’esercito austriaco anziché cinque monache tiepide.
 Le prediche che il santo faceva gli attirarono ben presto
un numeroso uditorio. Commuoveva gli animi di tutti, dotti e ignoranti, nobili
e plebei, benché parlasse senza molta eleganza. Una parola uscita dalla sua
bocca bastava loro per una intera settimana. Il suo dire accendeva più che la
fiamma e penetrava i cuori più che un’acuta spada. Nel confessionale
raccoglieva poi quietamente le noci che con la predicazione aveva violentemente
scrollato dall’albero. Da tutte le classi sociali egli era ricercato come
direttore di spirito, tanto sapeva leggere negli animi e suggerire appropriati
rimedi.
 Il tempo libero di cui disponeva, il santo lo dedicava alla
visita dei malati e al soccorso dei poveri, all’adorazione del SS. Sacramento
nelle chiese in cui era esposto per le Quarantore, e alle conversazioni serali
con i giovani studenti, che in numero di venti o trenta, la sera si radunavano
nel suo modesto appartamento. I più poveri li invitava a pranzare con lui. I
cibi, che le Orsoline gli mandavano, non sempre erano sufficienti per tante
bocche e allora egli li moltiplicava con grande meraviglia dei suoi figli
spirituali. Ad essi comunicò la sua viva fede in Dio e nell’eternità e la sua
devozione alla SS. Eucarestia. Fra i suoi penitenti egli non esitò a introdurre
la comunione frequente, benché a quei tempi fosse ancora molto rara tra le
persone devote.
 La Chiesa Cattolica per P. Clemente costituiva il fatto più
culminante della storia. “Io sono superbo – diceva – sono vanitoso, sono
peccatore, nulla ho imparato. Una sola cosa confesso di possedere per grazia di
Dio, di essere cattolico tutto d’un pezzo”. Quanti lo avvicinavano
rimanevano stupiti della prontezza e acume con cui sapeva risolvere intricate questioni
di teologia, benché non avesse avuto il tempo di completare i suoi studi. Iddio
gli aveva senza dubbio comunicato dei lumi speciali, ma egli li nascondeva
dicendo per scherzo: “Io ho un naso cattolico”. Durante il Congresso
di Vienna (1815) fu largo di consigli ai Nunzi apostolici e persino al cardinal
Consalvi, rappresentante della Santa Sede e stimolò i letterati cattolici a
combattere coloro che miravano a formare una chiesa nazionale tedesca
indipendente dal papa.
 La congregazione dei Redentoristi non era ufficialmente
riconosciuta in Austria. Gli anticlericali avrebbero voluto espellere il P.
Clemente dal loro paese, ma l’imperatore Francesco I non ne volle sapere. Anzi,
pregò il Santo di presentare al governo le regole del suo Istituto e di
esporre, sotto quali condizioni, sarebbe stato possibile introdurlo in Austria.
Si preparava così l’avveramento della profezia che aveva fatto: “Fintanto che
vivrò io, non se ne farà nulla, ma dopo la mia morte si apriranno molti
collegi”.
 Clemente era sempre stato di costituzione robusta, eppure
i ripetuti viaggi fatti a piedi col vento e la pioggia, la sua lunga permanenza
in confessionale, le fatiche del pulpito, le veglie al capezzale di morenti, i
reumatismi e le emorroidi ne prostrarono la fibra. Convinto di essere stato un
servo inutile il 15 marzo morì perfettamente conformato alla volontà di Dio,
dopo aver esortato gli astanti a recitare l’Angelus al suono delle campane di
mezzogiorno. Ad un confratello, poco prima di morire, disse: “Mio caro,
molti segreti scendono con me nel sepolcro. Io ve li comunicherei, ma voi non
potete tacere”. Quando Pio VII seppe della morte di lui, esclamò: “La
religione ha perso in Austria il suo principale sostegno”. Leone XIII lo
beatificò il 20-1-1888 e S. Pio X lo canonizzò il 20-5-1909. Le sue reliquie
sono venerate a Vienna nella chiesa di Santa Maria della Scala.
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Sac. Guido Pettinati SSP,

I Santi canonizzati del
giorno
, vol. 3, Udine: ed. Segno,
1991, pp. 184-190.

http://www.edizionisegno.it/