S. CIRILLO DI GERUSALEMME (ca. 313-386)


Nel 381 S. Cirillo prese parte al concilio ecumenico di Costantinopoli presieduto da San Melezio di Antiochia e sottoscrisse la condanna dei cosiddetti semiariani, che negavano la divinità del Verbo e dei macedoniani, che negavano la divinità dello Spirito Santo, da loro ritenuto una creatura del Figlio. I Padri, nella loro lettera al papa Damaso e ai vescovi occidentali riuniti a Roma, gli resero questa solenne testimonianza: “Vi facciamo anche sapere che il vescovo della chiesa di Gerusalemme, madre di tutte le chiese, è il reverendo e amato da Dio, Cirillo, il quale è stato per l’addietro ordinato canonicamente dai vescovi della sua provincia e ha sostenuto in numerosi luoghi lotte contro gli ariani”.


Questo Padre e Dottore della Chiesa nacque a Gerusalemme,
o nei dintorni della città, verso il 313. Dai suoi scritti si deduce che
conosceva personalmente i luoghi santi prima che l’imperatore Costantino nel
326 li restaurasse. In gioventù dovette ricevere una educazione accurata e
varia e approfondire bene lo studio delle Scritture secondo il metodo
letterale-storico della scuola antiochena.
 Non sappiamo quando ricevette il battesimo, ma non è
improbabile che S. Cirillo, secondo un sinassario greco, abbia abbracciato la
vita monastica prima dell’ordinazione sacerdotale, ricevuta verso il 345 da S.
Massimo, suo predecessore, nella sede di Gerusalemme. Alcuni anni più tardi,
alla vigilia del suo episcopato, predicò nella grande basilica dell’Anàstasis,
costruita da Costantino, le Catechesi che hanno reso celebre il suo
nome.
 L’apparizione in cielo, il 7-V-351, di una grande croce
luminosa, fu per il novello pastore e le sue pecorelle un possente motivo
d’incoraggiamento e di fervore. S. Bastilo nel 357 visitò quella comunità e
testimoniò di averla trovata in prospere condizioni. Ma la relativa pace di cui
S. Cirillo godette, fu ben presto turbata dalla lotta che si accese tra lui e
Acacio di Cesarea, suo metropolita. Il 7° canone del Concilio di Nicea aveva
riconosciuto al vescovo di Gerusalemme un primato d’onore sulle altre chiese e
di conseguenza Cirillo, pretendeva una immunità di privilegio per la sua sede.
Acacio, ardente ariano, non solo gliela ricusò, ma lo citò al suo tribunale e,
siccome non si era presentato, lo depose come contumace e come dilapidatore e
profanatore dei beni della città santa.
 In realtà S. Cirillo in un tempo di estrema miseria aveva
semplicemente venduto, per soccorrere i poveri, vasi e ornamenti della sua
diocesi. Nonostante l’appello ad un tribunale superiore egli dovette prendere
la via dell’esilio. Fu accolto con onore da Silvano, vescovo di Tarso (Cilicia)
il quale, malgrado le rimostranze di Acacio, gli permise di esercitare nel suo
territorio le funzioni episcopali, in particolare quella della predicazione in
cui S. Cirillo eccelleva. Sotto l’aspetto dottrinale, Silvano si allacciava al
gruppo dei vescovi semiariani, cioè di coloro i quali asserivano che in Gesù
Cristo c’era soltanto una natura simile a quella del Padre S. Cirillo, tramite
suo, entrò in relazione diretta con i capi di questo partito, Basilio di
Ancira, Giorgio di Laodicea e Eustazio di Sebaste. Nel concilio di Seleucia
(359), cui prese parte anche Sant’Ilario di Poitiers, apparve accanto a loro e,
mediante il loro appoggio e le sue energiche rivendicazioni, potè fare ritorno
nella sua sede. Acacie, però, l’anno successivo se ne vendicò nel sinodo di
Costantinopoli di cui era stato l’istigatore e il dominatore. Per la seconda
volta S. Cirillo dovette prendere la via dell’esilio, dove rimase fino alla
morte dell’imperatore Costanzo (+361), protettore degli ariani. Pare che questa
volta abbia trovato ospitalità presso San Melezio di Antiochia.
 Nel 362 il Santo vescovo era appena rientrato nella sua
sede, quando, a istigazione e con l’appoggio del nuovo imperatore Giuliano
l’apostata, i giudei tentarono di riedificare il tempio di Gerusalemme, quasi
per smentire la profezia di Cristo (Mt., 24,2) ma, narra lo stesso storico
pagano Ammiano Marcellino in Rerum gestarum 23,1: “Mentre il
dirigente Alipio, assistito dal governatore della provincia, faceva affrettare
i lavori, spaventosi globi di fuoco si sprigionarono dai luoghi contigui alle
fondamenta, bruciarono gli operai e resero il posto inaccessibile. E poiché
l’elemento persisteva a ricacciare gli operai, bisognò alla fine rinunciare
all’impresa”. Giuliano si era ripromesso di vendicarsi di questo
insuccesso contro il vescovo della città che lo aveva predetto, ma la morte
(+363 ) non gliene lasciò il tempo.
 Sotto il regno di Giordano (1364) che era successo a
Giuliano, Cirillo poté attendere in pace alla cura della sua diocesi, ma quando
Valente, fautore degli ariani, proscrisse tutti i vescovi che, deposti da Costanzo,
erano ritornati alle loro sedi con l’avvento di Giuliano, per la terza volta,
il Santo dovette prendere la via dell’esilio, che si protrasse fino al 378,
anno dell’elezione di Graziano. Al ritorno trovò la sua sede in una condizione
deplorevole perché sotto il governo degli intrusi che l’avevano sostituito,
tutti gli eretici del tempo vi si erano dati convegno. Alla divisione degli
animi da essi prodotta faceva seguito una estrema licenza di costumi. San
Gregorio di Nissa era stato incaricato da un sinodo asiatico di visitare le
chiese dell’Arabia e della Palestina per concertare con i loro capi i rimedi da
prendere, ma la sua missione non diede risultati immediati. Possiamo ritenere
che S. Cirillo, durante gli ultimi otto anni di vita, sia riuscito a porre
termine a tutti quei mali, favorito dalla politica di Teodosio il Grande, vero
fondatore della Chiesa Cattolica statale.
 Nel 381 S. Cirillo prese parte al concilio ecumenico di
Costantinopoli presieduto da San Melezio di Antiochia e sottoscrisse la
condanna dei cosiddetti semiariani, che negavano la divinità del Verbo e dei
macedoniani, che negavano la divinità dello Spirito Santo, da loro ritenuto una
creatura del Figlio. I Padri, nella loro lettera al papa Damaso e ai vescovi
occidentali riuniti a Roma, gli resero questa solenne testimonianza: “Vi
facciamo anche sapere che il vescovo della chiesa di Gerusalemme, madre di
tutte le chiese, è il reverendo e amato da Dio, Cirillo, il quale è stato per
l’addietro ordinato canonicamente dai vescovi della sua provincia e ha
sostenuto in numerosi luoghi lotte contro gli ariani”.
 S. Cirillo morì verso il 386 dopo quasi sedici anni di
esilio. Nel 1882 Leone XIII lo dichiarò Dottore della Chiesa. La sua ortodossia
è fuori dubbio benché abbia lasciato tra gli antichi una memoria assai
discussa, per i suoi mutamenti nella comunione ecclesiastica. È certo che,
costrettovi dalle circostanze, aderì per un certo tempo al partito antiniceno,
forse più per amore di pace che altro. Nelle sue 24 Catechesi, che
costituiscono quasi un discorso completo di istruzione religiosa per i
catecumeni, evita di proposito la parola “consostanziale” forse
perché non contenuta nella Scrittura, oppure perché, secondo gli orientali,
avrebbe indotto a concepire la Trinità delle divine persone come tre modi
transitori di essere e di manifestarsi dell’unico Dio.
 Le più importanti Catechesi sono le ultime cinque,
indirizzate ai neofiti nella settimana di Pasqua e perciò delle mistagogiche.
In esse tratta del battesimo, della cresima, dell’eucarestia e della liturgia
dei fedeli. Nonostante la loro apparente semplicità sono di capitale importanza
per le informazioni che forniscono a testimonianza della fede tradizionale. S.
Cirillo si dimostra soprattutto il dottore per eccellenza della presenza reale
di Gesù nella Eucaristia, della transustanziazione e del sacrificio della
Messa.
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Sac. Guido Pettinati SSP,

I Santi canonizzati del
giorno
, vol. 3, Udine: ed. Segno,
1991, pp. 199-201.

http://www.edizionisegno.it/