Giovanni (questo il nome di battesimo) sui 40 anni si ritira ad Accona, per vivere da eremita con alcuni amici. Dopo qualche anno, gli eremiti decidono di unirsi e di vivere in comunità sull’altura di Monte Oliveto, presso Buonconvento, a sudest di Siena. Qui nasce nel 1319 il monastero di Santa Maria, con la Regola benedettina. Si ritrova quindi fondatore e capo di un Ordine religioso, coi suoi “monaci bianchi”, presenti sempre a Monte Oliveto anche all’inizio del Terzo Millennio, fedeli alla Regola benedettina del pregare e lavorare.
È il fondatore della Congregazione di Nostra Signora di Monte Oliveto dell'Ordine di S. Benedetto. Nacque a Siena il 10-5-1272 dal nobile Mino e dalla nobil donna Fulvia Tancredi. Al fonte battesimale gli fu imposto il nome Giovanni. All'età di sei anni i genitori lo affidarono all'educazione dei Domenicani, retti in quel tempo dal B. Ambrogio Sansedoni (1220-1286), e in modo speciale al P. Cristoforo Tolomei, suo parente.
Il padre a dodici anni lo richiamò a casa perché voleva dargli un'educazione adeguata alla nobiltà dei natali, facendolo istruire in tutte le arti liberali e le scienze che allora s'insegnavano nell'università di Siena. Giovanni, benché avesse lasciato a malincuore il chiostro di San Domenico, s'applicò con grande impegno nello studio. La sua vita trascorreva tutta tra la casa, la scuola e la chiesa. Oltre che con il sapere, egli alimentava la sua devozione con l'esercizio della carità in seno alla Confraternita di S. Ansano, istituita per i fanciulli e gli studenti, che teneva le sue riunioni nella chiesa dei Domenicani. A sedici anni conseguì la laurea di dottore, ma l'ambizione paterna non rimase soddisfatta se non quando il figlio ebbe anche il titolo di cavaliere dall'imperatore Rodolfo I d'Asburgo (+1291).
Il beato, tra giostre e tornei, tra feste e seduzioni che poteva appena supporre, dimenticò presto gli umili esercizi della Confraternita alla quale apparteneva. L'ebbrezza fu passeggera. Comprese difatti la vanità del mondo e i suoi pericoli, e dopo aver fatto una sincera confessione delle sue colpe, per meglio fortificarsi contro le insidie della carne e del demonio, s'iscrisse alla Confraternita di Santa Maria della Notte che aveva sede nell'Ospedale della Scala.
Nelle riunioni e nell'esercizio delle opere di misericordia il Tolomei strinse amicizia con Patrizio Patrizi e Ambrogio Piccolomini, ambedue capi della nobiltà, stimati da tutti per la vita devota e mortificata che conducevano, con i quali più tardi si ritirerà nella solitudine. Frattanto abbracciò la carriera della giurisprudenza, occupò una cattedra di diritto all'università di Siena e prese pure parte alle lotte tra guelfi e ghibellini. Pare che per questo si sia di nuovo raffreddato nel servizio di Dio. Fu richiamato tuttavia a migliori sentimenti da una malattia agli occhi che non gli permetteva neppure di sopportare la luce del giorno. Dice la cronaca di Monte Oliveto: "Trovandosi così nell'impossibilità di vedere gli oggetti esterni, si rivolse a contemplare le cose dell'anima e si sentì cambiato in un altro uomo. Promise a Dio e alla SS. Vergine che, se avesse riacquistato la vista, avrebbe indossato l'abito di penitente e abbracciato la vita dei servi di Dio. La bontà divina non tardò ad esaudirlo".
Allora il Tolomei, riconoscente del favore ottenuto, dopo aver distribuito i beni ai poveri, con i suoi due intimi amici, Patrizio Patrizi e Ambrogio Piccolimini, nel 1313 si ritirò nella proprietà di Accona, oggi Monte Oliveto, situata in un luogo deserto, aspro e selvaggio, che si era riservata, e prese a condurre vita penitente, con il nome di Bernardo, senza pensare ancora all'opera alla quale Dio lo aveva destinato. I tre amici portarono con sé libri e oggetti di prima necessità, indossarono abiti grossolani propri degli eremiti e, per vivere, benché abituati a tutte le comodità della vita, si misero a lavorare la terra con le proprie mani.
Centro delle loro devozioni divenne il piccolo oratorio che costruirono con l'argilla del luogo, in cui il Tolomei collocò il grande crocifisso, alto un metro e mezzo, che aveva portato da Siena con sé e che ancora oggi si venera nella chiesa di Monte Oliveto. Sette volte al giorno vi si riunivano per cantare le lodi divine. Nei fianchi della collina scavarono delle piccole grotte che servivano loro di abitazione. Di notte il beato non dormiva più di tre ore sdraiato sopra una stuoia, e con la testa appoggiata ad un tronco d'albero. Dopo il canto di mattutino a mezzanotte, rimaneva in contemplazione fino allo spuntare del giorno. La notte dal giovedì al venerdì era da lui trascorsa interamente nella meditazione della Passione del Signore.
Non sazio di una vita così dura, il beato dopo il canto dei salmi offriva a Dio sacrifici espiatori flagellandosi aspramente, e portando sotto le vesti un cilicio stretto ai fianchi con una catena di ferro. Non beveva mai vino, tranne i giorni di festa. Digiunava regolarmente il lunedì in onore di S. Michele Arcangelo, il venerdì in onore della Passione del Signore. il sabato in onore della SS. Vergine. Durante la quaresima non faceva che quattro pasti alla settimana.
La fama della santità di vita dei penitenti di Accona si diffuse nei paesi vicini, e spinse altri giovani ad abbandonare il mondo per condurre con loro una vita di maggior perfezione. I pii eremiti vivevano separati gli uni dagli altri, ma tutti riconoscevano come superiore e padre il B. Tolomei.
Non avevano però altra regola che la volontà divina, ne altra approvazione che quella della coscienza. Ci fu chi li guardò con diffidenza. Il Legato Pontificio, residente a Siena, segnalò la loro presenza alla corte pontificia. Un inquisitore straordinario, di passaggio da Siena, mandato dal papa per sorvegliare le sètte che in quel tempo pullulavano un po' ovunque, li esortò a farsi riconoscere dalla S. Sede.
Il B. Tolomei, munito di lettere commendatizie dal vescovo di Arezzo da cui dipendeva, si recò ai piedi di papa Giovanni XXII (1317), che risiedeva ad Avignone, per giustificarsi dei sospetti che gravavano sopra di lui e i suoi compagni. Il papa lo ascoltò paternamente, e lo esortò a scegliersi una regola tra quelle approvate dalla S. Sede. Per suggerimento del suo vescovo, Mons. Guido Tarlati di Pietramala, adottò la regola di S. Benedetto e l'abito bianco, che ricevette con i suoi discepoli dalle mani dell'abate di Sasso, nella chiesa della SS. Trinità in Arezzo. Da quel giorno Accona divenne Santa Maria di Monte Oliveto. I membri della nuova congregazione fecero la professione solenne il 26-3-1319 nella cattedrale di Arezzo, alla presenza del vescovo, che celebrò la Messa e fece leggere l'atto di fondazione della nuova abbazia.
Ad imitazione del governo della città di Siena, i benedettini di Monte Oliveto stabilirono che il loro abate durasse in carica solo un anno. Il beato, che preferiva la vita di nascondimento, si rifiutò di accettare il titolo di abate adducendo come scusa la sua debole vista. Per tre anni esercitarono successivamente tale carica Patrizio Patrizi (+1347), Ambrogio Piccolimini (+1338) e Simone di Turi, della nobile famiglia degli Albizzeschi, i quali facevano venire dei sacerdoti loro amici a celebrare la Messa nella loro cappella. Il B. Tolomei accettò di diventare abate soltanto il 1-9-1322 in seguito alle reiterate insistenze dei monaci. Ogni anno si dimetteva e ogni anno veniva rieletto. Era volontà di Dio che fino alla morte fosse forma del suo gregge con la santità di vita che traspariva da suo aspetto pallido e macilento, quasi sempre assorto in profonda meditazione.
Sotto il suo governo nobili e popolani andarono a gara per arruolarsi nella nuova milizia. Nel 1320, con il loro aiuto e le offerte dei fedeli, costruì un cenobio e una chiesa, ne belli ne brutti, ma indispensabili per la vita comune. L'uno e l'altra in seguito hanno ceduto il posto a un grandioso fabbricato, proporzionato allo sviluppo della Congregazione.
L'abbazia di Monte Olivete nel 1324 fu presa sotto la protezione di Giovanni XXII, e nel 1344 fu istituita canonicamente da Clemente VI. Nel 1326 il beato non avrebbe voluto essere rieletto abate per una malattia agli occhi quasi spenti e sempre lacrimanti, ma il cardinale Orsini, Legato della S. Sede in Toscana, provvide al bene del monastero eleggendolo d'autorità a tale carica. Gli scrisse: "Adempì a quest'ufficio con prudenza e saggezza, facendo in modo che i meriti della tua vita suppliscano al difetto della vista e questa tua infermità sia compensata da una lodevole amministrazione e dal tuo zelo nel dirigere e governare i tuoi fratelli". Il Tolomei ubbidì e fino alla morte dovette prendersi cura della sua famiglia religiosa, pur avendo ricevuto soltanto gli ordini minori.
Iddio benedisse le sue fatiche. Prima di morire riuscì difatti a propagare i suoi monaci nelle case di S. Benedetto di Siena, S. Bernardo di Arezzo, S. Bartolomeo di Firenze, S. Anna di Camprena, S. Donato di Gubbio, S. Nicolò di Foligno, S. Maria in Dominica di Roma, S. Andrea di Volterra. S. Maria di Barbiana, strettamente legate a Monte Oliveto. Egli le diresse con lettere ripiene di sapienza, scienza e pietà. Sua grande preoccupazione fu quella di consolidare l'unità della congregazione.
Il B. Tolomei abbandonò la sua abbazia soltanto quando il papa gli ordinò di recarsi a Sutri, piccola città del patrimonio di S. Pietro, per comporre lo scisma che vi era sorto in seguito all'elezione ad antipapa (1328) di Pietro di Corbario, della setta degli Spirituali, per volere dell'imperatore Ludovico IV il Bavaro (+1347). In quell'occasione gli fu presentato un cieco ed egli lo guarì. Non stupisce perciò che i suo: contemporanei lo abbiano descritto come "uomo ammirabile e santo", e che i suoi monaci, radunati in capitolo, il 4-5-1347 gli abbiano conferite i pieni poteri. Nell'atto dicevano: "Abbiamo piena fiducia che egli, per la sua santità, non si allontanerà mai dalla volontà di Dio e che provvedere unicamente alla salute delle anime dei suoi confratelli e figli".
Tuttavia non poté godere a lungo della totale fiducia riposta in lui dai monaci perché in quello stesso anno, in oriente, cominciò a infierire una terribile pestilenza che si propagò anche in Italia e nell'Europa intera spopolando città e regioni. I monaci di Monte Oliveto, in seguito all'invito del loro fondatore, uscirono a due a due dall'abbazia per andare ad assistere gli appestati nelle città vicine. Il B. Tolomei volle recarsi a Siena dove, per quattro mesi, fu a tutti di esempio e incitamento nell'esercizio della carità. Colpito dal morbo, morì il 20-8-1348 dopo aver raccomandato ai suoi discepoli l'amore di Dio, la mutua carità, il disprezzo del mondo e la fedeltà alla regola. Fu sepolto probabilmente nella fossa comune. Di lui non ci sono rimaste reliquie, come pure dei cinquanta monaci, periti anch'essi a causa della peste nera.
Pur non essendo mai stato formalmente beatificato, il Tolomei fu inserito nel Martirologio Romano il 16-4-1680 per ordine di Innocenzo XI. Il suo culto era stato riconosciuto dalla S. Congregazione dei Riti il 4-10-1645 e il 26-11-1664.
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 8, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 224-228.
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