Basilio, dottore della Chiesa e primo dei Padri Cappadoci, nacque a Cesarea verso il 330 da un ricco rètore e avvocato. Suo nonno era morto martire nella persecuzione di Diocleziano e sua nonna, Macrina, era stata discepola di S. Gregorio Taumaturgo nel Ponto. Ebbe 5 fratelli tra cui Gregorio, poi vescovo di Nissa, e Pietro, vescovo di Sebaste, e 5 sorelle. La primogenita, Macrina, visse nella sua proprietà di Annesi che aveva trasformata in monastero.
Il padre di Basilio, che si era trasferito, pare, a Neocesarea, fu il primo maestro del figlio, che continuò gli studi a Cesarea, a Costantinopoli e quindi ad Atene, capitale culturale del mondo ellenico e pagano, dove si legò d’intima amicizia con il suo conterraneo S. Gregorio Nazianzeno. Ritornato in patria verso il 356, insegnò retorica e coltivò sogni di gloria, ma in seguito alle esortazioni della sorella, si diede a vita ascetica. Ricevette il battesimo che, secondo il diffuso costume del tempo, aveva differito fino allora, e quindi visitò i grandi asceti dell’Egitto, della Palestina e della Mesopotamia per farsi un’idea del loro genere di vita. Quando ritornò in patria distribuì parte dei suoi beni ai poveri e si ritirò nella solitudine sulle rive dell’Iris, di fronte ad Annosi, presso Neocesarea. Ai ferventi cristiani che lo avevano seguito nel cenobio diede una solida formazione morale e ascetica prima con le Grandi Regole e poi con le Piccole Regole, specie di catechismo concernente i doveri e le virtù dei monaci, che gli valsero il titolo di ‘’legislatore del monachesimo orientale”.
Basilio restò 5 anni nella solitudine finché il suo vescovo, Eusebio, eletto ancora catecumeno, lo indusse a ricevere l’ordinazione sacerdotale e a coadiuvarlo nel ministero. Tuttavia, preferì ritornare alla vita solitaria appena si accorse di avere eccitato, con il suo prestigio, la gelosia del poco istruito pastore. Quando sotto l’imperatore Valente, fautore degli ariani, l’ortodossia sembrava in pericolo, i buoni uffici di S. Gregorio Nazianzeno ottennero il ritorno dell’amico a Cesarea, dove lavorò per il mantenimento della fede, il regolamento della liturgia e il lenimento delle calamità cagionate da una spaventosa carestia. Nel 370 successe ad Eusebio nella sede metropolitana che contava una cinquantina di suffraganei divisi in 11 province. Malgrado la breve durata del suo episcopato, l’azione pastorale del Santo fu cosi molteplice e feconda da meritare dai contemporanei il titolo di ”grande”.
Allora infuriava la lotta a favore dell’eresiarca Ario. Valente, che aveva fatto una breve comparsa a Cesarea nel 365, vi ritornò nel 371 e fece ripetuti tentativi per indurre Basilio a concessioni, ma non osò ricorrere alla violenza contro di lui. Si limitò soltanto, forse per diminuirne l’influenza, a dividere in 2 la Cappadocia. Per difendere i diritti della sua sede il Santo creò alcune diocesi. Consacrò vescovo di Sàsima, borgo importante per le comunicazioni, l’amico Gregorio, ma costui, che si era mostrato sempre riluttante a quella scelta, invece di prenderne possesso fuggì nella solitudine.
Basilio fu un abile amministratore del suo territorio. Con mano ferma seppe correggere abusi e bizzarrie, trasformare preti e monaci in modelli di regolarità, difendere le immunità ecclesiastiche di fronte al potere civile, e proteggere i poveri e quanti erano ingiustamente accusati. Egli manifestò soprattutto lo zelo e il suo genio nell’organizzazione della carità. In ogni circoscrizione amministrata da un corepiscopo, stabili un ospizio. A Cesarea costruì addirittura una cittadella della carità che fungeva da locanda, ospizio, ospedale e lebbrosario, soprannominata dal popolo “Basiliadc”.
Benché questa fondazione avesse eccitato la diffidenza del potere civile, il Santo acquistò un tale ascendente che, nonostante i loro dissensi religiosi, Valente lo incaricò di ristabilire in Armenia la concordia tra i vescovi e provvedere alle sedi vacanti.
Parecchi suffraganei, tuttavia, invidiosi della sua elevazione, si sottrassero all’influsso del santo pastore e cercarono persino di diffondere dubbi sulla sua ortodossia. A loro confusione Basilio scrisse il trattato sullo Spirito Santo per dimostrare contro gli ariani che a Lui è dovuto lo stesso onore che al Padre e al Figlio. Verso il 364 nel libro Contro Eunomio, vescovo ariano di Cizico, nell’Ellesponto, aveva già difeso la consostanzialità del Figlio con il Padre. Ma quello che lo fece soffrire maggiormente fu la defezione di Eustazio, vescovo di Sebaste, che era stato uno degli iniziatori della vita monastica in Asia e con il quale aveva intrattenuto affettuose relazioni. Penoso fu pure per Basilio il malinteso che pesò a lungo sui rapporti con l’occidente. A più riprese dal 371 al 376 fu in corrispondenza con papa S. Damaso e con i vescovi occidentali per pregarli d’intervenire, col favore di Valentiniano, fratello di Valente, negli affari d’oriente, desolato per la diffusione dell’eresia e per la competizione di Melezio e di Paolino riguardo alla sede di Antiochia. Ma a Roma si sosteneva Paolino, mentre i più illustri vescovi orientali erano partigiani dichiarati di Melezio. Basilio se ne lamentò fortemente.
L’ora della distensione tanto sospirata dal Santo spuntò con la morte di Valente (+378), caduto nella lotta contro i Goti. Il suo successore Teodosio ristabilì la libertà religiosa e sulla sede di Costantinopoli i cattolici ottennero che con l’aiuto di Basilio fosse posto S. Gregorio di Nazianzo. Fu quello l’ultimo atto del grande uomo di azione e di pensiero perché, sfinito dalle preoccupazioni, dalle austerità e malattie, morì il 1-1-379. I suoi funerali a Cesarea furono un trionfo.
S. Gregorio ci dipinge l’amico dal volto sempre pallido, dall’espressione pensosa, resa più grave dalla barba di monaco e di filosofo. Per noi è di grandissimo interesse l’Epistolario di Basilio che consta di 365 lettere, preziose per la conoscenza della sua dottrina, della sua vita e della storia della Chiesa. Dal punto di vista teologico fu grande merito di questo dottore avere definitivamente formulato il dogma trinitario con l’espressione: “Una sola essenza in tre ipostasi”.
Dal punto di vista letterario Basilio è il più classico dei Padri greci benché abbia composto le sue opere per soddisfare immediate necessità pratiche. Anche dai suoi discorsi emerge sempre la figura del pastore che non perde mai di vista i bisogni delle anime, e con profondo intuito della psicologia della folla, presenta nella forma più adatta la dottrina e la morale cristiana valendosi della sua vasta cultura e dell’accurata formazione retorica.
S. Gregorio Nazianzeno fa parte del celebre manipolo dei “luminari di Cappadocia” con S. Anfìlochio d’Iconio, suo cugino, S. Basilio di Cesarea e S. Gregorio di Nissa. Nacque verso il 329 ad Arianzo, borgata nei pressi di Nazianzo. Fu consacrato a Dio fin dall’infanzia dalla sua piissima genitrice, Nonna, la quale gl’impartì con il padre un’educazione molto accurata. Fu inviato alle scuole di Cesarea di Palestina, poi a quelle di Alessandria d’Egitto, e quindi di Atene, dove fu raggiunto dal suo conterraneo S. Basilio.
Gregorio rimase 10 anni nella città ellenica, centro della cultura pagana, e sembra che vi abbia dato anche lezioni di eloquenza. Ritornato verso il 359 in Cappadocia, ricevette a 30 anni il battesimo, differito fino allora per conformarsi a una deplorevole consuetudine, e divise i suoi giorni tra l’ascesi e lo studio con l’amico S. Basilio nella solitudine della valle dell’Iris, presso Neocesarea. Ben presto, però, in seguito alle istanze dei fedeli, fu richiamato per ricevere l’ordinazione sacerdotale, suo malgrado, dalle mani del padre che dalla setta giudeo-pagana degli adoratori di Zeus Hypsistos era passato, dopo la conversione, alla sede episcopale di Nazianzo. Urtato per la pressione subita, e innamorato sempre della solitudine, il giovane prete ritornò presso S. Basilio nella regione del Ponto. Dovette, tuttavia, accorrere un’altra volta a Nazianzo per aiutare suo padre nel governo della diocesi, e soprattutto, per domare uno scisma che vi era scoppiato. Il vecchio pastore aveva sottoscritto per debolezza, o per inavvertenza, la formula semiariana del concilio di Rimini, e una parte dei fedeli gli si era ribellata. S. Gregorio seppe persuadere allora il padre a fare solennemente una professione di fede cattolica, e, grazie al suo intervento, la calma e la concordia rifiorirono.
Nel 371, dopo la divisione della Cappadocia in 2 province, S. Basilio, volendo creare un vescovado a Sàsima per opporsi alle intrusioni di Antimo, arcivescovo di Tiana, capitale della Seconda Cappadocia, fece appello al suo amico. Il triste borgo, che sorgeva polveroso e chiassoso attorno ad una stazione postale sulla via di Cilicia, non era certo l’ambiente adatto per una vita di filosofo e di teologo. S. Gregorio si lasciò imporre le mani di mala voglia, e invece di andare a prendere possesso della sua diocesi, fuggì segretamente nella solitudine. Fece ritorno a Nazianzo soltanto per le suppliche del vecchio padre che non riusciva più da solo a portare il peso della sua carica. Quando costui nel 374 morì, col cuore affranto e la salute malferma, il Santo si rifugiò, appena gli fu possibile, nel monastero di Santa Teda, a Seleucia, nell’Isauria.
Era volontà di Dio, però, che non godesse per mollo tempo del sospirato riposo. All’inizio del 379 difatti i cattolici di Costantinopoli, ai quali l’imperatore Valente aveva tolto successivamente tutte le chiese, mentre salutavano nell’avvento al trono di Teodosio l’aurora di tempi migliori, imploravano il soccorso di Gregorio, il quale, incoraggiato da S. Basilio, non resistette alla speranza di ristabilire la fede nicena nella capitale dell’oriente. Vi andò, quindi, aprì nella casa di un suo parente una cappella alla quale diede il nome di Anàstasis (Risurrezione), e con la sua eloquenza cominciò a raccogliere attorno a sé gli ortodossi superstiti e smarriti. Fu qui che pronunciò le sue più celebri omelie, i 5 Discorsi sulla Trinità che gli valsero il nome di teologo; fu qui che S. Girolamo accorse dalla Siria ad ascoltare la parola di colui che doveva considerare suo maestro.
Il compito del nuovo pastore era reso difficile oltre che dagli ariani, da un certo Massimo, figura equivoca di filosofo cinico e di asceta, il quale, forte dell’appoggio di Pietro, vescovo di Alessandria, aveva tentato di farsi proclamare vescovo di Costantinopoli. Tra tante insidie e violenze – in principio aveva corso pericolo di essere lapidato – il Santo sarebbe ancora una volta fuggito nella solitudine se non lo avesse tormentato il pensiero che “insieme con lui sarebbe partita da Costantinopoli anche la Trinità”. Nel mese di novembre del 380, con l’ingresso di Teodosio nella capitale, le chiese furono tolte agli ariani e riconsegnate ai cattolici.
S. Gregorio, dietro l’imperatore scortato dall’esercito, fu condotto in processione nella cattedrale di Santa Sofia, acclamato dal clero e dal popolo come vescovo della città. Il saggio pastore però non si accontentò di quella intronizzazione. Ci tenne a farsi riconoscere nel maggio 381 dal U° Concilio ecumenico aperto a Costantinopoli sotto la presidenza di Melezio, vescovo di Antiochia. Durante quei giorni costui inopinatamente morì. S. Gregorio, chiamato a presiedere l’assemblea al suo posto, propose di dargli per successore Paolino, che era stato vescovo di Antiochia durante lo scisma di quella sede, ma i meleziani, che formavano la maggioranza, gli contrapposero Flaviano. Quando al concilio giunsero i vescovi d’Egitto e della Macedonia, presero a contestare l’elezione di Gregorio, perché, come vescovo di Sàsima, in forza del canone di Antiochia, non poteva essere trasferito ad altra sede. Il santo patriarca, che non aveva mai preso possesso della diocesi suddetta, amareggiato da tante ambizioni e intrighi, con pronta decisione rinunciò alla chiesa che governava appena da un biennio, stanco dei “più giovani che cinguettavano come uno stormo di gazze e si accanivano come uno sciame di vespe”, mentre “i vecchi si guardavano bene dal moderare gli altri “. Si ritirò a Nazianzo, che era rimasta priva di pastore, l’amministrò per 2 anni e, quando gli riuscì di far eleggere vescovo della diocesi suo cugino Eulalio, si ritirò nella sua proprietà di Arianzo, dove morì il 25-1-389 o 390, dopo 6 anni di vita dedita alla contemplazione e agli studi mai interrotti.
S. Gregorio, di costituzione debole e di delicata sensibilità, non fu mai un uomo d’azione, ma di meditazione, e neppure un teologo speculativo, ma piuttosto un mistico. È considerato un buon testimone della tradizione della Chiesa nelle questioni trinitarie e cristologiche. Durante la sua vita si sentì piuttosto condannato che chiamato all’attività apostolica. Tuttavia, quando non poteva fuggire l’azione, si dedicava al bene delle anime affidategli con grandissimo senso di responsabilità. Oratore perfetto, fu giustamente soprannominato il “Demostene cristiano”. Di Lui ci sono rimasti 45 discorsi, 244 lettere e molte poesie teologiche e storiche scritte in una lingua ricca, armoniosa e pura.
Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 1 Udine: ed. Segno, 1991, pp. 38-43.
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