di Roberto Marchesini, in Studi Cattolici n. 572, ottobre 2008, pp. 690-692. A più di quarant’anni dalla sua morte, Rudolf Allers resta uno sconosciuto: i suoi numerosi libri sono di difficile reperibilità e una ricerca in internet darà pochi risultati a chi voglia conoscere questo autore. Eppure questo psichiatra e psicoterapeuta, fu un personaggio di spicco nella vita culturale del Novecento, entrò in contatto con le personalità più note della filosofia contemporanea e della psicologia, ebbe una carriera accademica brillante e collezionò riconoscimenti importanti.
Viktor Frankl tenne, il 24 marzo 1964, un discorso di riconoscimento in occasione della 14° assemblea generale ordinaria della Società Medica Austriaca per la Psicoterapia; Frankl dedicò questo discorso al ricordo di un altro psicoterapeuta austriaco, Rudolf Allers, morto poco più di tre mesi prima.
Il discorso di Frankl termina con queste parole: “Allers è più che mai attuale, semplicemente perché le sue scoperte e conoscenze sono senza tempo. Ci ha dato molto, ma ha pure preso molto da noi: in molti tratti ha anticipato la psicoterapia del futuro”1.
A più di quarant’anni da quel discorso, Rudolf Allers resta uno sconosciuto: i suoi numerosi libri sono di difficile reperibilità e una ricerca in internet darà pochi risultati a chi voglia conoscere questo autore. Eppure questo psichiatra e psicoterapeuta, al quale Frankl ha decicato parole di amicizia e riconoscenza, fu un personaggio di spicco nella vita culturale del Novecento, entrò in contatto con le personalità più note della filosofia contemporanea e della psicologia, ebbe una carriera accademica brillante e collezionò riconoscimenti importanti.
Rudolf Allers nacque a Vienna il 13 gennaio 1883 da Mark Allers, medico, e di Augusta Grailich. Poiché il padre era costretto a spostaresi frequentemente per motivi di lavoro, Allers ricevette la sua prima educazione in casa: i suoi genitori si preoccuparono di crescerlo in un ambiente intellettualmente stimolante, lo incoraggiarono a leggere molto e ad allargare il proprio spettro di interessi. Già da bambino era in grado di leggere in tre lingue (tedesco, francese e inglese) e da adulto ne parlava correntemente cinque. Professore affermato, scrisse: “Per come io la vedo, la molteplicità d’interessi che ho sperimentato nella mia vita è stato uno dei più elevati valori di essa”2; oltre alla sua straordinaria erudizione, infatti, una delle principali caratteristiche della sua vita intellettuale fu la capacità di dedicarsi a diverse discipline e di armonizzarle tra loro in una visione globale dell’uomo e della realtà.
Nel 1906, a Vienna, si laureò in medicina, dedicandosi alla ricerca in biochimica; tra i suoi professori ebbe Sigmund Freud. Nel 1908 divenne psichiatra e lavorò come assistente a Praga, nella Clinica per Malattie Nervose e Mentali; qui conobbe il dottor Otto Pötzl, che lo introdurrà alla psicoanalisi, della quale Allers divenne seguace entusiasta. Nello stesso anno sposò Carola Meitner, di famiglia ebrea, sorella della nota scienziata Lise Meitner (autrice insieme a Otto Hahn di diverse scoperte di fisica nucleare); durante la sua permanenza a Monaco, Allers entrò in contatto con il pensiero fenomenologico – in particolare con Max Scheler – che influenzerà profondamente, in seguito, la sua ricerca.
Dal 1913 allo scoppio della Prima Guerra Mondiale lavorò come professore di psichiatria nella Clinica di Malattie Mentali a Monaco di Baviera insieme al professor Emil Kräpelin, ritenuto uno dei fondatori della psichiatria moderna.
Durante la Grande Guerra operò come chirurgo sui campi di combattimento, esperienza che gli fruttò una Croce al Merito e la Medaglia della Croce Rossa. Nel corso di questa esperienza Allers rimase molto colpito dai traumi emotivi prodotti dalla guerra e in particolare dal fenomeno dello shell-shock, o shock da esplosione, mai osservato in precedenza e descritto da altri suoi colleghi, tra i quali padre Agostino Gemelli. Lo studio di questo disturbo ebbe su di lui l’effetto che ebbe su molti altri suoi colleghi, ossia fornì la dimostrazione che la psichiatria positivista – che considerava le malattie mentali come malattie del cervello e la vita psichica come mera conseguenza di fenomeni organici – non era in grado di spiegare in modo esauriente la complessità della psiche umana; le sue osservazioni su questi argomenti confluirono nel suo primo libro, intitolato Über Schädelschüsse3.
Dopo la guerra cominciò ad interessarsi alla psicoterapia e entrò nell’Associazione per la Psicologia Individuale fondata da Alfred Adler in seguito alla rottura con Freud. Nel frattempo divenne direttore del Centro di Psicologia Medica e di Psicologia della Sensazione dell’Istituto di Fisiologia dell’Università di Vienna, dedicandosi allo studio, all’insegnamento e alla pratica della psicoterapia.
In questi anni Allers si era convinto sempre più che ogni teoria psicologica e psichiatrica necessita di solide basi antropologiche: “Mi risulta sempre più evidente che la teoria e la pratica della psichiatria dipendono, in buona misura dalle idee generali sulla natura umana che prevalgono nelle successive fasi della storia. Mai prima la storia si è mossa così velocemente, come dalla fine del ‘900. Di conseguenza, non erano mai avvenuti così profondi cambiamenti in tutte le discipline empiriche e teoretiche. La psichiatria è coinvolta in questo processo come lo sono le altre discipline, o forse ancora di più. Infatti, il modo in cui lo psichiatra concepisce i suoi problemi e i suoi compiti dipendono, lo sappia o no, dalla maniera come egli concepisce la natura umana. Tuttavia, lo sviluppo della visione sull’uomo appartiene alla filosofia”4.
Il fondamento necessario
In seguito ai suoi studi filosofici, cominciati durante la guerra, aveva individuato nella Philosophia perennis di san Tommaso d’Aquino il punto di partenza per fondare uno studio obiettivo della natura umana in grado di fornire le necessarie basi alla psicologia e alla psichiatria: “Nel corso della guerra del 1914-18, nei lunghi periodi di relativa inerzia all’ospedaletto da campo, crebbe in me la persuasione che la filosofia tomista offrisse in realtà la base più adatta per lo sviluppo di un sistema di «antropologia filosofica» quale fondamento di una teoria della psiche sia normale che anormale”5. Allers, che aveva condiviso le critiche mosse da Adler alla teoria psicoanalitica – che vertevano principalmente su una antropologia implicita non soddisfacente e una fallacia logica di fondo -, restava tuttavia insoddisfatto, ritenendole del tutto insufficienti, delle basi filosofiche che Adler si era sforzato di dare alla sua teoria.
Per questo motivo, nel 1927 abbandonò la scuola di Adler con l’amico Oswald Schwarz – fondatore della medicina psicosomatica -; il giovane Viktor Frankl aderì alla scissione e fu anch’esso espulso dal gruppo adleriano6.
Deciso ad approfondire queste sue intuizioni si recò – invitato da padre Gemelli – presso l’Università Cattolica del sacro Cuore di Milano per approfondire la sua conoscenza della filosofia tomista ed ottenne, nel 1934, la laurea in filosofia. In seguito scrisse: “Più considero i problemi presentati dalle condizioni odierne, e più mi convinco che la philosophia perennis ci fornisce i principi necessari per affrontare tutte le questioni. Ma, soltanto i principi”7. Fu proprio a Milano che Allers ebbe l’occasione di studiare il metodo educativo di san Giovanni Bosco, che trovò particolarmente utile per i suoi studi sullo sviluppo della natura umana.
Fu mentore di Hans Urs von Balthasar – uno dei più importanti teologi del Novecento – ed amico di santa Edith Stein, della quale tradusse in inglese alcune opere che utilizzava regolarmente durante le sue lezioni.
Nel 1938 fu invitato alla Catholic University of America di Washington dove insegnò filosofia per dieci anni; passò poi alla Georgetown University, sempre in qualità di professore di filosofia, dove concluse la sua carriera. Passò gli ultimi anni della sua vita nella casa di cura Carroll Manor, a Hyattsville, a causa della sua salute malferma; le suore carmelitane che vi prestavano servizio trasformarono il solarium della struttura in un’aula nella quale gli studenti si recavano per seguire le sue lezioni. Morì, affetto da una grave polmonite, a Georgetown il 14 dicembre 1963, all’età di 80 anni.
Allers è considerato uno dei più lucidi ed efficaci critici del sistema psicoanalitico freudiano – Louis Jugnet, filosofo francese, l’ha definito “l’anti-Freud”8 -; egli ne ha criticato sia il metodo che l’antropologia. All’idea di uomo scisso sia al suo interno che dal mondo, Allers contrappone quella di uomo come un “intero”, ossia una interrelazione di parti non separabili l’una dalle altre e strettamente interconnesse tra loro, tanto che non è possibile una modifica in una di queste parti senza che ci sia una influenza anche sulle altre. Inoltre l’uomo è intimamente legato al mondo che lo circonda, poiché non è possibile conoscere l’uomo senza indagare sulla sua “totalità storica”, ossia sulle sue relazioni presenti e passate non solo con oggetti e persone, ma con tutto ciò che è “non-io”.
Ogni fenomeno mentale, secondo Allers, è “intenzionale”, ossia in qualche modo relazionato ad un “oggetto”; sulla scia di san Tommaso Allers afferma: “Cogito aliquid, ergo sum”9. La psicologia di Allers è quindi una psicologia del “realismo”, fondata non esclusivamente sui contenuti mentali, ma sulla storia dell’individuo, sulle sue relazioni, sulla sua corporeità e, soprattutto, sul suo rapporto con la realtà.
Questo realismo è la base per la teoria di Allers sulle nevrosi. Anche per lui, come per Freud, la nevrosi è la conseguenza di un conflitto; solamente non si tratta semplicemente dello scontro tra diversi istinti, o tra la pulsione e l’impossibilità di realizzarla. Secondo Allers il conflitto psichico nasconde un conflitto ontologico che riguarda il compito di una persona nel mondo e il senso della vita; per questo Allers afferma (e ritroviamo un eco di questa posizione nella logoterapia di Frankl): “Non mi sono fino ad ora mai imbattuto in un caso di nevrosi, che non rivelasse in fondo, un problema metafisico non risolto, come conflitto e problema finale; per così designare il problema che tratta della posizione dell’uomo in generale, non importa se la persona in questione sia religiosa o no, cattolica o non cattolica”10.
Questo conflitto, ossia il problema dell’uomo di fronte alla realtà, è inevitabile e necessario per lo sviluppo della persona; ciò che causa la nevrosi è l’atteggiamento della persona di fronte a questo conflitto. La nevrosi è “la forma di malattia e aberrazione derivante dalla conseguenza della rivolta della creatura contro la sua naturale mortalità e impotenza”11; il nevrotico colui che non accetta la realtà e le rimprovera di non essere come lui la vorrebbe: “Il senso di colpa, come l’ansia, sgorga dall’atteggiamento di rivolta contro la natura limitata dell’uomo. Non serviam! è l’atteggiamento che sta alla radice della sofferenza del nevrotico. Ma lo sforzo per raggiungere qualcosa non solo al di là della propria possibilità personale ma oltre le possibilità di ogni essere umano implica una auto – contraddizione, perché ogni ambizione è condizionata dalle limitazioni della natura umana. Solo un individuo al quale la “onnipotenza” – “esse sicut dii” – è essenzialmente negata può aspirare a una cosa del genere. Il disgusto nei confronti della propria natura umana e finita è un rifiuto di quella natura sulla quale ogni ambizione si deve fondare; e la nevrosi è la forma che questo atteggiamento paradossale assume. Da quando questo atteggiamento del non serviam è radicato nell’intimità più profonda della natura umana, la nevrosi stessa non è che una esagerazione delle caratteristiche della personalità umana comune a tutti noi. Solo il santo è libero dalla nevrosi e al di là di essa, perché soltanto lui ha accettato, tramite un’azione di “assenso reale”, la sua condizione di essere finito, di un semplice nulla di fronte all’Infinito.
Il problema reale è metafisico
Una analisi completa della mentalità nevrotica scoprirà che in tutti i casi di nevrosi senza eccezioni il problema reale è metafisico. Il conflitto alla radice della nevrosi non è tra gli impulsi e le condizioni dello sviluppo che negano la soddisfazione, e nemmeno tra l’individuo e le richieste della società, ma tra la superbia originale dell’individuo caduto (che, causata dal peccato e riconducente ad esso, lo costringe a sforzarsi per raggiungere l’infinitezza) e il riconoscimento della sua essenziale finitezza”.12
La nevrosi ha, secondo questo autore, due caratteristiche principali: l’artificiosità e l’egocentrismo. La nevrosi è artificiosa in quanto si rifiuta di accettare la realtà, la verità sull’uomo e la condizione concreta nella quale l’uomo vive. L’egocentrismo è una reazione alla finitezza e alla pochezza dell’uomo, anche queste oggettive ma inaccettabili per la superbia e l’orgoglio del nevrotico.
Poste queste premesse, Allers sviluppa le basi per una psicoterapia della nevrosi. Il primo passo consiste nel prendere coscienza della propria finitezza, rinunciando ad una superbia ingiustificata in favore di una realistica umiltà; secondariamente il terapeuta lavorerà insieme al paziente per individuare i piccoli compiti che la vita gli pone e per accettare di confrontarsi con essi; infine si tratta di mettere ordine nell’erronea impostazione del piano di vita, orientandosi non alla propria realizzazione ma alla realizzazione di un compito superiore a sé stesso. In questo modo, secondo Allers, “consegue che l’unica persona che possa essere interamente libera dalla nevrosi è quella che passa la vita in una sincera dedizione ai doveri naturali e soprannaturali, e che ha costantemente affermato la sua posizione come creatura e il suo posto nell’ordine del creato; in altre parole, al di là del nevrotico c’è solo il santo”13.
Allers si occupò anche di psicologia del carattere e di pedagogia del carattere. Secondo Allers (come per Gemelli) il carattere è una strutturazione psicologica di natura reattiva all’ambiente, ossia la risultante di due componenti: la predisposizione dell’individuo (biologica, somatica, ereditaria) e l’influsso dell’ambiente. In questo modo Allers sottolinea la natura reattiva e dinamica del carattere e quindi la sua plasticità: diventa quindi naturale elaborare una pedagogia pratica del carattere che abbia un obiettivo fondamentale, anche se in apparenza banale: “il fanciullo dovrà scoprire la realtà”14.
Il grande progetto di Allers era quello di costruire solide fondamenta antropologiche, in accordo con la Philosophia perennis, per una psicologia cattolica: “Non sono ancora riuscito a scrivere quello che desidererei – cioè, una filosofia comprensiva (integrale) della natura umana […]”15; “Sto diventando vecchio […]; tuttavia non ho lasciato la speranza di poter scrivere un giorno una «filosofia della natura umana»”16.
Il suo progetto è rimasto incompiuto, ma ha lasciato abbastanza tracce per sperare che, un giorno, possa nascere una psicologia cattolica.
Note
1 Viktor Emil Frankl, Logoterapia medicina dell’anima, Gribaudi, Milano 2001, p. 213.
2 Rudolf Allers, Rudolf Allers, in The Book of Catholic Authors. Informal self-portraits of famous modern catholic writers, edited with preface and notes by Walter Romig, , Walter Romig Publisher, Grosse Pointe (Michigan) 1948, p. 14.
3 Idem, Über Schädelschüsse. Probleme der Klinik und der Fürsorge, Springer, Berlin 1916.
4 Idem, Author’s foreword, in idem, Existentialism and psychiatry. Four lectures, Charles C. Thomas Publisher, Springfield (Illinois) 1961, p. x.
5 Renzo Titone, Rudolf Allers psicologo del carattere, La Scuola Editrice, Brescia 1957, p. 27.
6 Cfr. V. E. Frankl, La vita come compito. Appunti autobiografici, SEI, Torino 1997, pp. 40-41; Piersandro Vanzan, Viktor Emil Frankl. La logoterapia come ricerca del senso della vita, ne “La Civiltà Cattolica”, volume II, quaderno 3716, 16 aprile 2005, p. 141.
7 In R. Titone, Rudolf Allers psicologo del carattere, op. cit., p. 31.
8 Louis Jugnet, Un psichiatre philosophe. Rudolf Allers ou l’anti-Freud, Les Editions du Cèdre, Paris 1950; cfr. “La Civiltà Cattolica”, volume III, quaderno 2427, 28 luglio 1951.
9 R. Allers, The new psychologies, Roger A. McCaffret Publishing, Fort Collins (Colorado) s. d., p. 61.
10 Idem, Psicologia e pedagogia del carattere, Società Editrice Internazionale, Torino 1961, p. 295.
11 Ibidem, p. 300.
12 Idem, The new psychologies, op. cit., pp. 76 – 77.
13 Idem, Psicologia e pedagogia del carattere, op. cit., p. 299.
14 Idem, L’adolescenza e l’educazione del carattere, Società Editrice Internazionale, Torino 1954, p. 1.
15 In R. Titone, Rudolf Allers psicologo del carattere, op. cit., p. 27.
16 Ibidem, p. 31.