del card. G. Biffi. Dio ci riconcilia a sé mediante Cristo: cioè ci ha ricondotto in armonia con sé, nonostante il nostro peccato, grazie al sacrificio di Gesù Cristo che tuttora opera: è una riconciliazione in atto, che richiede la partecipazione del riconciliato nel riconoscimento della verità
Riconciliazione nella verità
Dio ci riconcilia a sé mediante Cristo: cioè ci ha ricondotto in armonia con sé, nonostante il nostro peccato, grazie al sacrificio di Cristo che tuttora opera: è una riconciliazione in atto, che richiede la partecipazione del riconciliato nel riconoscimento della verità.
Vorrei proporre ai sacerdoti e a tutta la nostra Chiesa alcune linee per una meditazione che alla luce della parola di Dio inviti a una verifica tanto il nostro orientamento spirituale di fondo quanto il nostro impegno pastorale.
I La riconciliazione
4 volte (Rm ‑ 2 Cor)
6 volte (Rm ‑ 1 Cor ‑ 2 Cor)
3 volte (Ef ‑ Col)
Non appartiene dunque al fondo primitivo dell’annuncio, ma alla riflessione teologica dell’Apostolo. Innegabilmente però esprime un tema di grande rilievo, in quanto riesce a rievocare in un solo concetto due punti essenziali della predicazione primitiva: la “salvezza”, come dono di Dio, e la “conversione”, come avvenimento interiore dell’uomo indispensabile perché la salvezza si attualizzi.
2. Il significato originario e comune del vocabolo è intuitivo: “ricondurre in pace, rimettere in accordo”; e in questo senso è parola che anche allora era nell’uso corrente. Paolo stesso l’adopera con questo contenuto quando chiarisce che cosa i cristiani debbano pensare del divorzio: “Agli sposati ordino, non io ma il Signore: la moglie non si separi dal marito, e qualora si separi, rimanga senza sposarsi o si riconcili col marito” (1 Cor 7, 10‑11).
3. La novità di Paolo sta nell’aver assunto questa parola per indicare l’evento fondamentale della storia, cioè la salvezza dell’uomo operata da Dio in Cristo. Testo fondamentale:
“Se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove. Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. E’ stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio” (2 Cor 5, 17‑20).
In questo testo appaiono chiaramente anche le particolarità dell’uso teologico della parola rispetto a quello comune. E cioè:
‑ Non si dice mai che noi e Dio ci siamo riconciliati, ma che Dio ci ha riconciliato. Questa costruzione, che è strana e dura, chiarisce bene che l’iniziativa è di Dio. Non è un “concordato” o un trattato di pace: è un venirci a prendere.
Noi eravamo “nemici” (Rm 5, 10), “empi” (Rm 5, 6), “peccatori” (Rm 5, 8), e adesso siamo stati fatti rientrare nelle buone relazioni con Dio.
Non è dunque un: “Non parliamone più”; o: Tutti abbiamo i nostri torti”; o: Guardiamo a ciò che ci unisce e non a ciò che ci divide”. Dio “ci riconcilia” rispettando la verità; e la verità è che il torto è solo nostro, e perciò noi dobbiamo “lasciarci riconciliare”.
‑ Non è Dio a cambiarsi; cambiamo noi sotto la sua azione. Anzi la trasformazione è radicale, tocca il nostro essere, e non appena il nostro pensare e il nostro agire: è una “nuova creazione” (2 Cor 5, 17).
‑ Nell’opera di riconciliazione Dio non vuole restare da solo, ma vuole associarsi degli uomini. Per Paolo chiaramente questi uomini sono coloro che sono stati caricati del ministero apostolico, che perciò è detto “ministero della riconciliazione”.
Agli apostoli è affidata “la parola della riconciliazione”; perciò essi sono i “banditori”, gli “ambasciatori” di Dio, di fronte alla comunità cristiana.
‑ La riconciliazione avviene “in Cristo”. Anzi più precisamente dice nella lettera ai Romani: “Siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo” (Rin 5, 10).
Il sacrificio di Gesù sta dunque al centro di questo rinnovamento dei rapporti tra gli uomini e Dio; anzi, la sua efficacia è cosi grande da avere una dimensione cosmica e riguardare tutti gli esseri, anche quelli invisibili.
C’è a questo proposito un altro testo fondamentale:
“Piacque a Dio di far abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli” (Col 1, 19‑20).
4. Come si vede, il concetto di riconciliazione del Nuovo Testamento si riferisce sempre a un rinnovamento dei rapporti con Dio. Un rinnovamento dei rapporti tra gli uomini, considerato per se stesso e senza il richiamo esplicito al rapporto con Dio, è fuori da questa prospettiva. Pressì poco, come neppure il concetto di “fraternità” è mai presente come un concetto assoluto nell’evangelo, ma sempre come il necessario riverbero dell’universale paternità di Dio.
Tuttavia è chiaro che la riconciliazione ‑ che ha, come s’è visto, addirittura una portata cosmica ‑ implica come logica conseguenza e, per così dire, come naturale contraccolpo un rinnovamento dei rapporti tra gli uomini; anzi, dal momento che è essa stessa “uníficazione” con Dio, avrà per forza di cose un’azione unificante anche all’interno delle realtà umane. Questa conseguenza ‑ e quindi questa estensione “orizzontale” del significato della riconciliazione ‑ è tirata da san Paolo stesso nella lettera agli Efesini, ed è il terzo testo decisivo sul tema della riconciliazione:
“Egli è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo… per creare in se stesso dei due, un solo uomo nuovo, facendo pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, distruggendo in se stesso l’inimicizia. Egli è venuto perciò ad annunziare pace a voi che eravate lontani e pace a coloro che erano vicini. Per mezzo di lui possiamo presentarci gli uni e gli altri al Padre in un solo Spirito” (Ef 2, 14‑18).
In questo testo tutti e due i popoli, l’ebreo e il pagano, devono cambiare nell’evento riconciliativo, perché tutti e due sono “sotto il peccato”. Sarebbe del tutto estranea alla prospettiva di Paolo e contraria alla “verità” delle cose un annuncio di riconciliazione tra l’umanità rinnovata e l’umanità che è nella vecchiezza della colpa, tra la “nuova creazione” e il mondo irredento.
II La riconciliazione in corso
Il testo della seconda lettera ai Corinti ci fa capire che Dio non è arrivato ancora a compimento dell’azione riconciliatrice. L’uso dell’imperfetto greco ha appunto questo significato. Sicché potremmo tradurre: “Dio in Cristo sta riconciliando a sé il mondo” (2 Cor 5, 19).
‑ E’ un’azione in corso nel singolo cristiano, anche se è già sostanzialmente avverata nel mistero del battesimo.
‑ E’ un’azione in corso nell’organismo ecclesiale, anche se l’effusione pentecostale dello Spirito ha già dato origine all’umanità nuova.
‑ E anche se alla sua sorgente l’opera è tutta compiuta col sacrificio di Cristo, adesso occorre che questa azione riconciliatrice, che scaturisce dal Calvario, arrivi a tutte le cose.
‑ Proprio alla luce di questa riconciliazione che si sta sviluppando, si capisce il compito che Dio affida al ministero apostolico e alla Chiesa. Sono gli “apostoli” ad aver ricevuto il ministero della riconciliazione. Da questo ministero apostolico, cioè dalla trama delle missioni successive che trovano il primo avviamento e la inesauribile energia nella missione del Figlio dal mistero del Padre, ha origine e sussistenza la Chiesa, che è appunto il popolo di coloro che si sono “lasciati riconciliare”.
‑ Nel piano di Dio però gli uomini non sono mai soltanto termine dell’azione salvifica, ma, una volta raggiunti, ne diventano anche il comprincipio.
Di qui la natura caratteristica della Chiesa, che è insieme realtà nuova operata dalla redenzione e sacramento della riconciliazione di tutte le cose; è effetto dell’azione rinnovatrice di Cristo ed è segno efficace del rinnovamento del mondo; è realtà riconciliata e realtà riconciliante. E se la riconciliazione è in fondo unificazione degli esseri con Dio e quindi tra loro, possiamo dire che Cristo attraverso il ministero apostolico unifica gli uomini nella Chiesa; e attraverso la Chiesa così unificata attende infaticabilmente all’opera dell’unificazione dell’universo.
Di qui si vede quanto sia innaturale e assurdo ogni coltivato dissenso nella Chiesa, che di sua natura è realtà unificata e unificante.
III Riconciliazione nella verità
Chi vuol mantenersi in una visione di fede e restare alla scuola della parola di Dio, deve guardarsi dal “mondanizzare” il concetto di riconciliazione, riducendolo a un facile irenismo o a un pacifismo generico.
1. Se si è colto bene il significato che questo tema possiede nelle lettere di Paolo, si sarà anche capito che “riconciliazione” nel linguaggio cristiano non può voler dire: “mettiamoci d’accordo tra noi”, “lasciamo perdere ogni motivo di divisione”, “non stiamo a indagare chi abbia torto e chi abbia ragione”. Questi princìpi possono ispirare una diplomazia umana o una linea politica, ma non possono animare la riconciliazione evangelica.
E’ Dio che ci riconcilia a sé, e ci riconcilia non facendo a mezzo tra noi e lui, ma portandoci a essere quello che lui vuole.
2. L’iniziativa riconciliatrice di Dio è sostanziata dalla verità e dalla grazia, la verità che ci illumina, la grazia che ci trasforma.
Gesù ha detto: “La verità vi farà liberi” (Gv 8, 32). Ogni altra fonte della nostra liberazione è illusoria.
E, anche se a prima vista può sembrare il contrario, è la verità che unifica. La divisione infatti nasce dagli errori e dai dubbi, che sono sempre una molteplicità. La verità invece è una sola e proprio per questo è di sua natura unificante.
Può essere che a una considerazione mondana la verità appaia come ragione di divisione, in quanto induce a prendere partito nella grande lotta cosmica tra la luce e le tenebre, tra il bene e il male. In realtà, essa è principio di comunione con Dio e quindi di separazione dalle forze demoniache che si oppongono all’azione divína; ed è solo nella comunione con Dio che si può costruire una unità che non sia immaginaria.
Perciò è indispensabile che non si perda mai nella Chiesa il senso della verità e della certezza. Una Chiesa che non abbia più la consapevolezza di essere posseduta dalla verità e di essere portatrice di certezze incrollabili, sarebbe una Chiesa inutile, e invece di essere unificata e unificatrice, sarebbe disgregata e disgregatrice. La Chiesa è, e non deve mai dimenticare di essere, “colonna e fondamento della verità” (1 Tm 3, 15).
A sbagliare riesco benissimo da solo; per essere nella verità ho bisogno di una Chiesa. Di avere dubbi e perplessità, sono capace anch’io senza l’aiuto di nessuno; dalla Chiesa mi aspetto che mi sappia dare delle certezze.
Per questo, di fronte alle fratture che apparvero insanabili, lungo tutta la sua storia, “la Chiesa superò la situazione di interiore dissenso riaffermando chiaramente, come condizione insostituibile di comunione, quei princìpi che consentivano di mantenere intatta la sua unità costitutiva, e permettevano di manifestarla nella confessione di una sola fede, nella comune celebrazione del culto divino, nella fraterna concordia della famiglia di Dio” (Paolo VI, Paterna cum sollicitudine, 1974).
La verità dispiega tutta la sua azione unificante quando, sotto l’azione della grazia, diventa nell’uomo principio e alimento di carità. Sotto forma di carità ‘ la verità ‑ senza rinnegarsi, al contrario restando pienamente se stessa ‑ può essere percepita anche da chi sembra essere abbagliato e quasi impaurito dalla sua luce diretta.
3. Noi però dobbiamo a tutti gli uomini di far brillare davanti ai loro occhi la luce della verità. Questo è il fondamento dell’obbligo assoluto che noi abbiamo di “evangelizzare”; attendendovi, noi assolviamo ‑ nella sua forma primaria e irrinunciabile ‑ al nostro compito di essere ministri della “riconciliazione”.
Completando e parafrasando una celebre frase di Paolo VI, potremmo dire: la verità è il grado minimo della giustizia, e la giustizia è il grado minimo della carità. Noi dobbiamo sempre tendere a dare il massimo; ma il massimo non si dà, se si trascura il minimo.
IV Un programma di riconciliazione nella verità
Alla luce di ciò che la misericordia di Dio ci ha detto fin qui, possiamo tentare di stabilire alcuni punti per un programma di rinnovamento della vita ecclesiale ispirato alla “riconciliazione nella verità”.
1. La prima sede della vita ecclesiale è il nostro cuore.
Il nostro cuore non è tutto “riconciliato”. Ciascuno di noi porta dentro di sé interi continenti sui quali la croce non è ancora stata piantata. La “Chiesa” (cioè la realtà raggiunta e rinnovata dall’effusíone dello Spirito che ci è mandato dal Cristo crocifisso e risorto) e il “mondo” (cioè la realtà opaca, impenetrabile, dominata dal Maligno, che secondo la parola di Gesù ne è “il principe”) si fronteggiano all’interno di ogni coscienza.
Dobbiamo proporci per la nostra vita spirituale il traguardo di “riconciliarci nella verità”: dissipare ogni equivoco, vincere ogni compromesso, lasciare che la grazia ci conduca alla perfetta coerenza interiore.
‑ La premessa indispensabile per questo lavoro è di recuperare il senso della netta distinzione che c’è tra il bene e il male, e di attendere quotidianamente alla “purificazione interiore”, cioè al distacco del cuore da tutto ciò che non è conforme alla volontà di Dio.
‑ Il mezzo privilegiato per questo lavoro, e insieme la sua attuazione più alta, è il sacramento della riconciliazione o della penitenza. Il suo avvaloramento nella vostra vita personale e nella nostra azione pastorale è un momento fondamentale per ogni vera rinascita.
Naturalmente tutto questo suppone la riscoperta del concetto di peccato personale, liberato da tutti i discorsi ‑ che, fatti a questo punto, sono sempre equivoci e fuorvianti ‑ sul “peccato della società”, il “peccato delle strutture”, e simili. Bisogna ripartire dall’idea di Gesù (tra le più importanti di tutto l’Evangelo) che “dal di dentro, cioè dal cuore degli uomini”, escono tutti i mali del mondo (cfr. Mc 7, 21‑23).
2. Nella vita della comunità cristiana va rimessa in onore la “verità”, che sola è salvifica, quindi l’importanza di distinguerla sempre accuratamente dall’errore. Oggi l’importanza della verità appare spesso nelle pubblicazioni, nei discorsi, nelle stesse preghiere dei cristiani offuscata da altre tematiche, quali il dialogo, il confronto, la comprensione dell’errore, le varie “aperture”, che sono anche proposte di rilievo ma non sono mai presentate dal Vangelo come fattori di salvezza.
Naturalmente questa attenzione alla verità può e deve comporsi con alcune altre; per esempio: ‑ con la grande bontà verso le persone, che vanno tutte rispettate e amate;
‑ con la preoccupazione di non confondere mai i propri pareri personali (ma neppure quelli degli altri, fossero anche quelli di teologi celebrati) con la verità di Dio come è custodita dalla Chiesa;
‑ con la persuasione che la verità è sempre divina da chiunque sia detta: “Omne verum a quocumque dícatur a Spiritu Sancto est”, come amava ricordare san Tommaso in quel Medioevo che comunemente si ritiene intollerante. Un suggerimento pratico per salvare la verità trattando di “riconciliazione” potrebbe essere quello di non parlare mai di riconciliazione senza ricordare costantemente ed esplicitamente la salvezza come dono del Padre e la necessità della “conversione”.
3. La nostra Chiesa ‑ realtà “riconciliata e riconciliante”, principio di unificazione posto in mezzo alla molteplicità delle cose per ricomporle tutte nell’unico disegno di Dio ‑ deve essere ben attenta a evitare ogni interiore discordia e al tempo stesso a rispettare l’esuberanza dello Spirito Santo. Una Chiesa che voglia darsi un programma ispirato all’idea di “riconciliazione” non può esimersi dall’affrontare positivamente il problema della coesistenza dei diversi gruppi ecclesiali e dal cercare di risolverlo nell’attenzione alla “verità”.
‑ Sarà bene premettere qualche considerazione sul “pluralismo” ecclesiale.
Il pluralismo nella Chiesa non è per se stesso un valore assoluto e non può diventare un traguardo di comportamento. Valore assoluto è l’unità, traguardo da inseguire è la pienezza di comunione. Tutto il Credo sembra avere come interiore dinamica il superamento del pluralismo: “Credo in un solo Dio… in un solo Signore… Credo la Chiesa una… Professo un solo battesimo…”. E’ una tensione che ancora più esplicitamente si ricava da questo testo di Paolo: “Un solo corpo, un solo Spirito… una sola speranza; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo; un solo Dio Padre…” (Ef 4, 4‑6).
Il pluralismo è piuttosto un dato di fatto, che ha alla sua radice l’infinità della divina ricchezza e la finitezza dell’uomo che vi si accosta: moltiplicando le comprensioni e i punti prospettici, gli uomini tentano di cogliere meno inadeguatamente il mistero che è loro donato. Sotto questo profilo è dunque un fenomeno positivo e provvidenziale, che non va mortificato: è frutto della fantasia dello Spirito che in tal modo aiuta la nostra individuale povertà. E difatti Paolo prosegue il testo appena citato dicendo: “A ciascuno di noi tuttavia è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo” (Ef 4, 7).
Ma il demonio, che è l’apostolo della disgregazione, cerca di inserirsi in questo processo e di fare del pluralismo la grande insidia alla comunione.
Sicché il problema diventa quello di non confondere il Paràclito con lo spirito del male e di riuscire a non perdere niente della ricchezza suscitata nella Chiesa dallo Spirito Santo senza incappare nelle astuzie del grande seminatore di confusione.
In pratica ci si dovrà attenere alle linee di comportamento, che qui indichiamo schematicamente.
‑ Alla luce del principio della “verità”, il primo compito è quello di discernere le aggregazioni sane da quelle aberranti. A questo fine, l’esperienza ecclesiale di questi anni e la riflessione sugli odierni travagli teologici mi inducono a proporre questi tre criteri pratici di orientamento:
1 Hanno presunzione di “verità” quelle aggregazioni che hanno viva la distinzione tra il bene e il male, che ripudiano ogni loro commistione, che non dimenticano che la vita cristiana quaggiù è una battaglia contro la falsità; battaglia dalla quale non si può disertare.
2 Hanno presunzione di “verità” quelle aggregazioni che riconoscono che Gesù è vivo, Signore, Salvatore del mondo e della storia, e non ha bisogno di essere salvato da nessuna forza mondana e da nessuna ideologia del nostro tempo.
3 Hanno presunzione di “verità” quelle aggregazíoni che ammirano nella Chiesa, anche quando è vestita di stracci, la bella Sposa di Cristo, si affidano a lei come a “colonna e fondamento della verità”, la amano come una madre.
Come criterio estrinseco decisivo per valutare positivamente un’aggregazione c’è senza dubbio quello di fare attenzione al giudizio favorevole della Sede apostolica.
‑ Tutte le aggregazioni sane devono essere invitate a convivere, a rispettarsi, ad amarsi, a collaborare; e tutte sono chiamate a entrare nel grande “gioco” ecclesiale con gli apporti specifici della loro identità e della loro storia.
‑ Con tutte le aggregazioni sane bisogna sempre avere molta pazienza, e non ci si deve stancare mai di richiamare a tutti il dovere della pazienza.
4. Verso la comunità degli uomini, l’azione di riconciliazione della comunità cristiana, può esercitarsi secondo diverse modalità.
‑ Può esercitarsi direttamente, quando la Chiesa si fa portatrice di pace e di concordia tra i loro conflitti. Ma questa è di sua natura un’azione eccezionale, impropria, diversamente valutabile, dipendente dalla varietà delle circostanze storiche; comunque è un’azione che deve sempre essere mossa dalla carità e illuminata dalla prudenza.
‑ Può esercitarsi riverberando nel mondo la pace, la concordia, lo spirito di mansuetudine e di bontà, dall’intensità e dalla autenticità della vita ecclesiale.
‑ Ma il dovere vero e indefettibile della Chiesa è quello di essere ministra della riconciliazione che Dio offre a tutta l’umanità secondo il suo disegno di salvezza. Perciò il compito riconciliativo della Chiesa si risolve essenzialmente: nell’annuncio della verità evangelica; nell’invito alla conversione; nell’inventare occasioni sempre più numerose perché il Salvatore sia conosciuto e la sua grazia conquisti i cuori.
Insomma, l’azione di riconciliazione della Chiesa nella comunità degli uomini nella sua forma più pertinente si attua nello slancio missionario, che va dunque riscoperto, purificato dagli elementi estranei, ravvivato, reso ogni giorno più intenso.