La Chiesa in Polonia vive il millennio del martirio di sant’Adalberto, si prepara al millennio della sua canonizzazione e rende grazie per i nuovi beati.
TOMASZ KACZOROWSKI
La beatificazione di 108 servi di Dio, martiri per la fede, vittime delle persecuzioni contro la Chiesa in Polonia negli anni 1939-1945 da parte dei nazisti hitleriani, anche se prese forma di processo canonico di beatificazione soltanto nel 1992, in realtà affonda le sue radici già nei primi anni dopo la conclusione della Seconda Guerra Mondiale.
La fama di santità e di martirio di molti del gruppo dei 108 servi di Dio e le grazie attribuite alla loro intercessione, attiravano l’attenzione della diocesi e delle famiglie religiose sulla necessità di aprire un processo di beatificazione sul martirio, tra gli altri, dell’Arcivescovo Giuliano Antonio Nowowiejski, del Vescovo Leone Wetmañski, di P. Enrico Hlebowicz, di P. Enrico Kaczorowski insieme al gruppo dei sacerdoti di Wloclawek, di P. Giuseppe Kowalski, del salesiano frate Giuseppe Zapata e di tanti altri. Per molti motivi però i processi non furono iniziati. Soltanto la beatificazione del Vescovo Michal Kozal (Varsavia 1987), chiamato «il vero maestro dei martiri», esempio per i sacerdoti dei campi di concentramento, soprattutto di quello di Dachau, portò a galla il
Dopo la riorganizzazione della diocesi, dal 1992 il Processo viene svolto dal Vescovo Bronislaw Dembowski.
La documentazione raccolta in Polonia, di circa 96.000 pagine, fu mandata nel 1994 alla Congregazione per le Cause dei Santi per le ulteriori analisi. I lavori molto intensi della Congregazione permisero di concludere la discussione teologica sul martirio dei 108 servi e serve di Dio il 20 novembre 1998. L’esito positivo di questa disputa cruciale per la soluzione del problema, e un risultato analogo dell’ulteriore disputa svoltasi il 16 febbraio 1999 al Congresso dei Cardinali e dei Vescovi presso la detta Congregazione, hanno aperto la strada alla beatificazione che sarà svolta dal Santo Padre a Varsavia il 13 giugno 1999, durante il suo prossimo viaggio apostolico a Varsavia.
I servi di Dio inclusi nel processo
I servi di Dio inclusi nel processo, proposti da 18 diocesi, dall’ordinariato di campo e da 22 famiglie religiose, sono persone religiose e laiche la cui vita e la cui morte, donata a Dio, ebbero caratteristiche di eroismo. Ci sono tra di loro 3 Vescovi, 52 sacerdoti diocesani, 26 sacerdoti religiosi, 3 chierici, 7 frati, 8 suore e 9 persone laiche. Queste proporzioni sono il risultato del fatto che i sacerdoti furono i principali oggetti «dell’odio della fede» da parte del nazismo hitleriano per il quale la voce della Chiesa costituiva il maggiore ostacolo alla costruzione dell’uomo nuovo, privo di una visione soprannaturale e impregnato di odio. Abbiamo qui l’immagine di tutta la Chiesa della Polonia che durante la guerra e l’occupazione tedesca dà la sua difficile testimonianza «della verità su Dio e sull’uomo». Il gruppo dei nostri 108 martiri è composto di quattro sottogruppi componenti i diversi stati della Chiesa, e cioè i Vescovi, il clero diocesano, i religiosi e i fedeli laici, menzionati nel titolo (Vladislavien, et aliarum, Beatificationis seu Declarationis Martyrii Servorum et Servarum Dei Antonii Juliani Nowowiejski, Archiepiscopi, Henrici Kaczorowski et Aniceti Kopliñski, Sacerdotum, Mariae Annae Biernacka, Laicae, atque Centum quattuor sociorum in odium Fidei, uti fertur, annis 1939-1945 interfectorum). Essi sono: l’Arcivescovo Antonio Giuliano Nowowiejski (1858-1941), Pastore di Plock, eminente professore di liturgia, storico, animatore degli studi ecclesiali nella Polonia rinata dopo la spartizione, pastore zelante. Fu arrestato nel 1940 insieme ad un gruppo di religiosi di Plock e deportato nel campo di concentramento di Dzialdowo. Sembrava che i guardiani
P. Enrico Kaczorowski (1888-1942), Rettore del Seminario Maggiore di Wloclawek, uomo di scienza e bontà, educatore zelante dei sacerdoti, arrestato nel 1939 rimase fedele alla sua eroica missione fino alla fine. Portato a Dachau con il così detto trasporto degli invalidi il 6 maggio 1942, fu ammazzato nella camera a gas. I testimoni hanno conservato nella memoria un episodio molto significativo dell’ultimo suo momento nel campo di concentramento. P. Kaczorowski, approfittando della momentanea distrazione dei guardiani, si avvicinò al recinto di fil di ferro dove si trovava un gruppo di prigionieri avviliti e disse ad uno di loro: «devi dire a tutti di non preoccuparsi per noi. Noi non ci illudiamo, sappiamo che cosa ci aspetta», e ripeté le parole del Salmo 22 che così spesso aveva sulla bocca: «Il Signore è il mio pastore: nulla mi mancherà». Continuò: «Accettiamo dalla mano di Dio tutto ciò che ci capita. Pregate per noi affinché la nostra resistenza non venga meno, anche noi pregheremo per voi, lì nell’alto», e indicò con la mano il cielo.
P. Anicet Kopliñski, (1875-1941), cappuccino, apostolo della misericordia a Varsavia, già in vita era circondato da fama di santità. Fu chiamato a volte san Francesco da Varsavia. Arrestato nel 1941 non cercò di salvarsi invocando le sue origini tedesche; fu ammazzato nella camera a gas ad Auschwitz. Cercava di immergere la sua sofferenza nella preghiera e nell’imitazione del Maestro di Nazareth. Spesso ripeteva ai confratelli prigionieri: «Dobbiamo bere fino alla fine questo calice amaro».
Marianna Biernacka (1888-1943), soccorritrice. Donna semplice e nobile d’animo per la quale Dio e la Sua Legge furono valori supremi più di qualsiasi altra cosa, più della libertà e della vita. In uno slancio d’amore, offrì la sua vita in cambio dell’esecuzione di sua nuora che era incinta e quindi salvò anche la vita del bambino che doveva nascere presto. Fu fucilata il 13 luglio 1943 a Naumowicze presso Grodno. Salvò con il suo amore due esseri dall’odio distruttivo che era nato sull’intenzione di calpestare la Legge di Dio.
Questi quattro personaggi in un certo senso sono alla testa del gruppo numeroso dei testimoni della fede, ammazzati «in odium fidei» in varie circostanze e posti, immediatamente oppure in seguito a sofferenze patite nelle prigioni. Sono straordinariamente espressive le testimonianze dei martiri, dei numerosi sacerdoti diocesani e religiosi che morirono perché non volevano negare il loro ministero, di coloro che furono torturati perché difendevano gli Ebrei e i comunisti, di coloro che furono ammazzati nel Venerdi Santo come per indicare la loro unione con il sacrificio della Croce di Cristo; inoltre le testimonianze delle suore che con il loro servizio d’amore continuo e silenzioso, accettarono con spirito di fede le sofferenze e la morte.
Quando guardiamo le figure dei 108 martiri notiamo un tratto comune molto caratteristico, e cioè che la loro testimonianza maturò e fu deposta in un clima di viva spiritualità mariana. La straordinaria vicinanza di Maria ha rinforzato nei nostri martiri il grande amore di Dio e dell’uomo in Dio, una grande dedizione alla Chiesa e la loro testimonianza. Tutti i 108 martiri furono devoti ardenti della Madre di Dio, fedeli del rosario.
Il messaggio dei martiri
L’apertura del Processo fu accompagnata dal desiderio di rendere gloria al Salvatore che soffre e vince nei martiri per diffondere il Regno di Dio e dall’intento di dare al mondo verso lo scadere dei venti secoli dalla nascita di Cristo una grande testimonianza della Chiesa nella nostra patria. La testimonianza è tanto più importante perché questo secolo passa alla storia come tempo di un degrado dell’umanità mai visto prima che si esprime in guerre barbare, in genocidi di intere nazioni o in forma di programmato odio del bene. Per un mondo siffatto i nostri martiri sono diventati «un segno profetico dell’opposizione» e un segno di speranza, la speranza che l’amore di Dio, la forza della grazia del Redentore del genere umano trionfi anche in mezzo al mare dell’odio.
Quando la Chiesa in Polonia vive il millennio del martirio di sant’Adalberto e si prepara al millennio della sua canonizzazione (1999), adorando Dio per le infinite opere di grazia rivelate nel Martire Missionario, in prospettiva della fede scruta nel martirio dei 108 servi di Dio i frutti moltiplicati della mensa cominciata dal Santo Patrono. Si può dire che la presentazione di questi frutti al Popolo di Dio nei rami dei festeggiamenti del giubileo di sant’Adalberto, alla vigilia del Grande Giubileo del 2000 diventa sorgente di un bene nuovo. Sembra che la Divina Provvidenza abbia conservato la testimonianza del martirio di rappresentanti di tutti gli Stati, dei Vescovi, del clero diocesano, delle famiglie religiose e dei fedeli laici, proprio per i tempi odierni, per rendere presente, con una nuova forza, la verità sulla chiamata universale alla santità, per ricordare che i programmi fruttuosi ed autentici vengono svolti soltanto dagli uomini pieni di Dio, dai santi. Tutti, tra i nostri martiri, prima di dare testimonianza col loro sangue durante le persecuzioni, si erano distinti per una vita meravigliosamente santa, donata all’edificazione del Regno di Dio. Quanto più povere sarebbero state le diocesi oppure le famiglie religiose e con ciò la Chiesa intera senza il loro ministero…
Guardando i 108 martiri nella prospettiva del Grande Giubileo non si può omettere ancora un altro loro contributo alla grande tesoreria della Chiesa da cui, specialmente nel tempo della grazia giubilare, vengono distribuiti i beni spirituali a coloro che vengono al Padre Misericordioso per poter continuare a camminare lungo le strade del Regno di Dio, rinnovati e rinforzati con una nuova forza e con un nuovo entusiasmo.
Questa ricchezza spirituale della Chiesa è arricchita notevolmente dai martiri. Nel loro messaggio è radicata profondamente anche questa dimensione. Loro invitano, insegnano, mostrano con il loro esempio come cresce la Chiesa di Dio.
L’opera dei martiri è nello stesso tempo una sfida che provoca una domanda muta sull’amore della Famiglia della Chiesa e sulla capacità di un amore che per l’Amore Supremo apre il cuore all’olocausto.
TOMASZ KACZOROWSKI
(c) L’Osservatore romano, 4-5 giugno 1999