Per cominciare a capire l’islam, una prima lezione tenuta dal professor Samir Khalil SAMIR al Centro di Studi sull’Ecumenismo di Milano nell’ottobre 2000 sulla panoramica delle sue origini
Centro di Studi sull’Ecumenismo
ORIGINI E NATURA DELL’ISLAM
Lezione del professor
Samir Khalil SAMIR
Milano, 9 ottobre 2000
Appunti non rivisti dall’autore
Se vogliamo capire il Cristianesimo, dobbiamo per forza tornare anche alle sue origini; per poter comprendere il XXI secolo dobbiamo conoscere il Vangelo e la Chiesa primitiva. Questo vale anche per l’islam, come per tutte religioni e realtà. Perciò è stato suggerito di cominciare questo corso con una lezione sulle origini dell’islam. Non cercherò di dare tutti i dati e i particolari, ma piuttosto una panoramica.
L’islam nasce in Arabia, a La Mecca e a Medina, le due città principali dell’Arabia. L’islam nasce nel 610 e Maometto muore nel 632: in questi 22 anni la storia dell’Arabia, poi del Medio Oriente e del mondo intero, è stata cambiata attraverso una personalità straordinaria, quella di Maometto.
A. MAOMETTO A LA MECCA
1. Esperienza spirituale e prima predicazione
A 40 anni Maometto fa l’esperienza spirituale di Dio nel deserto e decide di dedicare l’esistenza a far conoscere questo Dio unico, che nel suo ambiente non era sconosciuto, ma non era diffuso. Non era sconosciuto perché in Arabia risiedevano alcuni ebrei e numerosi cristiani; addirittura gli unici regni arabi conosciuti prima dell’islam – i “tre regni” – erano regni arabo-cristiani. Questo lo dico solo per ricordare che l’arabo non è musulmano tout court, ma può esserlo; gli arabi prima dell’islam erano pagani, cristiani e, forse, ebrei[1].
Dunque l’atmosfera in Arabia era pronta ad accogliere il monoteismo in misura maggiore, ma è Maometto che dedica tutte le sue energie ad annunciare questo Dio unico. Nei momenti di maggiore isolamento, Maometto cerca l’appoggio anzitutto dei cristiani ed ebrei de La Mecca, e poi anche degli ebrei di Medina, ma non avrà sempre il successo scontato.
Che cosa predica Maometto? A La Mecca la predicazione è chiara, semplice e religiosa: c’è un solo Dio, c’è un giudizio eterno, ognuno sarà giudicato secondo i suoi atti, e la conseguenza sarà il castigo, l’inferno per chi ha fatto il male, il paradiso eterno per chi ha fatto il bene. Maometto dice di essere il profeta di Dio e predica di conseguenza la giustizia sociale, con accenti simili a quelli del profeta Amos nell’Antico Testamento.
Ogni volta che viene interrogato, risponde: « Se non credete a me, chiedete alla gente del libro », cioè a quelli che hanno ricevuto un libro rivelato. Questo è il significato dell’espressione gente del libro: ebrei e cristiani, perché per il momento i musulmani non hanno un libro[2]. Maometto cerca il loro appoggio ; ed essi lo seguono per ciò che riguarda il monoteismo, le dottrine circa l’ultimo giorno, la resurrezione, ecc., ma non accettano mai la sua pretesa, la profezia.
2. L’opposizione dei meccani
La Mecca era il centro dell’Arabia, un centro commerciale importantissimo ed anche un centro religioso dove tutti gli dei della penisola erano adorati con dei riti particolari; durante un mese di pellegrinaggio tutte le tribù arabe si radunavano lì per adorare i propri dei, per comprare e vendere e fare il loro negozio, e per competere in gare di poesia. La Mecca era dunque un centro commerciale, religioso, politico e sociale.
La predicazione di Maometto però non piace ai meccani, perché chiede la solidarietà con i poveri, e viene dunque rifiutata. Da questo rifiuto Maometto, che è sempre a stretto contatto con ebrei e cristiani, viene confermato nella sua convinzione di essere profeta: tutti i profeti infatti erano stati rigettati, nessuno è profeta nel proprio paese.
Poiché la sua tribù di Quraish, una delle tribù più importanti del La Mecca insieme ad altre 4 o 5, lo rigetta, Maometto si sente sempre più isolato con i suoi seguaci, un piccolo gruppo di gente umile ; col crescere dell’opposizione è costretto a farli fuggire in Etiopia, sede di un regno cristiano. Questa è la prima emigrazione. In Etiopia i seguaci di Maometto ricevono un’accoglienza molto positiva. Si dice che il Negus, il re, sentendo tradotti in etiopico i versetti che riguardano l’Annunciazione nel Corano, che sono bellissimi, si sia commosso e li abbia chiamati fratelli.
3. La fuga (higra) a Medina
Intanto però l’opposizione dei meccani cresce, Maometto non riesce ad imporsi, e decide di cambiare tattica: si mette d’accordo con la città rivale, Medina, la seconda città dell’Arabia, a circa 350 km da La Mecca, Quelli di Medina si accordano con lui e si dicono disposti ad accoglierlo con i i suoi seguaci. Maometto manda i suoi a piccoli gruppi per non attirare l’attenzione dei meccani, perché in pratica quello che sta organizzando è un tradimento della sua tribù. La notte fra il 15 e il 16 luglio 622 Maometto fugge a Medina (egira)[3].
Maometto fugge dunque a Medina, e lì oltre ai pagani arabi che lo accolgono, vivono tre tribù ebraiche potenti. Maometto comincia a fare patti con tutti, anche con gli ebrei, e organizza la vita sociale, politica, culturale e religiosa dei suoi. Finalmente a Medina ha le mani libere e può iniziare a realizzare il suo progetto. Di qui è nato il dibattito attuale fra i musulmani su quale sia il vero islam, se quello della prima tappa, de La Mecca, o quello della seconda tappa, di Medina, perché si tratta di due visioni dell’islam molto diverse.
A Medina, in un primo tempo, Maometto orienta la preghiera verso Gerusalemme, come gli ebrei, per guadagnare a sé le tre tribù ebraiche che sono le più ricche di Medina. Questo anche perché ha bisogno di soldi e di aiuto, si trova isolato, con un pugno di seguaci, senza terra, senza lavoro; i suoi uomini devono essere mantenuti da quelli che li hanno accolti. Ha quindi bisogno di un più largo aiuto. Ma i suoi tentativi di guadagnare gli ebrei non portano frutto: gli ebrei non lo riconoscono come profeta.
Perciò, dopo circa un anno e mezzo, Maometto cambia rotta: la preghiera non è più orientata verso Gerusalemme, ma verso La Mecca, per guadagnare a sé gli arabi pagani, e innanzitutto la sua tribù. Il digiuno, che prima durava un solo giorno come il Kippur degli ebrei, diventa di un mese, uno dei mesi sacri.
Poi comincia una serie di razzie per fare bottino e, soprattutto, per stringere patti con le varie tribù, onde spezzare il suo isolamento e allargare la propria base. Quando si sente più forte attacca e guadagna a sé una tribù, sottomettendola e costringendola a pagare un tributo; quando è di pari forza fa un patto ; e, quando è più debole, evita lo scontro. Così, grazie alla sua ottima strategia, riesce ad allargare la base dell’islam, sia numericamente, sia a livello politico. In questo periodo compie anche qualche tentativo di attacco contro La Mecca, o contro le carovane di commercianti meccani, ma è troppo rischioso: una volta viene ferito e si teme per la sua vita. Questa vicenda è stata interpretata dai musulmani come una vittoria di Maometto, perché potevano ucciderlo e non l’hanno ucciso.
Maometto, a questo punto, si sente abbastanza forte e si scatena contro gli ebrei, una dopo l’altra le tre tribù ebraiche verranno escluse da Medina, e i loro beni confiscati a favore dei musulmani. In quell’occasione, fu combattuta una battaglia rimasta famosa, in un’oasi non lontana da La Mecca, dove gli ebrei che vi si erano rifugiati furono sconfitti dopo quarantacinque giorni d’assedio. Questa vittoria è rimasta nella mitologia araba e ancora oggi i palestinesi la applicano alla guerra contro Israele.
Avendo allargato la sua base con le tribù arabe, essendo ormai più ricco e più forte militarmente, Maometto può confrontarsi con La Mecca e due anni prima della morte riesce ad entrare nella città pacificamente, senza spargimento di sangue, perché i meccani riconoscono la sua supremazia. Così quasi tutta la penisola araba si converte all’islam. Ho detto “si converte all’islam”, eppure pare che si tratti solo di una questione militare; in realtà le due cose sono identiche, perché chi si sottomette al capo Maometto, si sottomette a lui anche come profeta mandato da Dio, e deve riconoscere l’unico Dio e il suo profeta. Ciò che è richiesto a chi si sottomette non è solo la sottomissione politica e militare, ma il riconoscimento dell’unico Dio e del suo profeta Maometto, e chi si sottomette deve pagare un tributo per mantenere l’esercito.
Intanto la vita continua: Maometto non combatte soltanto delle guerre[4]; ci sono anche da risolvere problemi sociali, economici, di famiglia, matrimoniali, di rapporti con i figli, con gli schiavi, con gli ebrei, con i cristiani. A tutti questi problemi che gli vengono presentati dai suoi, Maometto da una risposta in forma di rivelazione: qualche giorno dopo che un problema specifico era stato posto, viene data una risposta annunciata come “discesa da Dio” su Maometto.
4. Il corano
Tutto questo all’inizio non era inserito in un libro, ma veniva memorizzato e talvolta consegnato a pezzi di carta, o meglio, a pezzi di ossa di cammello o di coccio; in seguito tutti questi pezzi sono stati raccolti, nel tentativo di ricostituire un libro, ma Maometto stesso non ha mai voluto che ciò avvenisse mentre lui era vivo.
Per chi ha una cultura cristiana, la lettura del Corano, è sorprendente, probabilmente dopo un pò anche deludente, perché il Corano non ha niente a che vedere con la Bibbia. Ci sono brani che ricordano la Bibbia, senz’altro i più belli del Corano, ma ci sono anche tante pagine di direttive pratiche sulla vita quotidiana. Basta prendere i titoli dei capitoli, delle sure: dopo il prefazio, che è un testo molto bello, viene il “capitolo della vacca”, il “capitolo delle donne”, “della tavola imbandita”, “delle api”, ecc. Il contenuto talvolta è triviale, si trovano anche problemi personali di Maometto, ad esempio le difficoltà che ha avuto con le sue mogli, insieme a belle riflessioni spirituali e preghiere; c’è un po’ di tutto.
Una delle sure più belle è quella detta “della fede pura”, la n. 112, che proclama « Dio è l’unico, Dio è il consistente, non genera e non è generato, non c’è nessuno che gli è simile ». Questo non genera e non è generato è stato detto contro i pagani arabi, ma verrà rapidamente compreso come indirizzato contro i cristiani (il Credo dice: “generato, non creato”); dicendo questi versetti oggi nessuno pensa più ai pagani, ma tutti pensano ai cristiani. Comunque questo è un brano bellissimo.
Altri invece sono noiosi, e chi li legge in arabo non trova sempre quello che si chiama “il miracolo del Corano”. Perché dico “il miracolo del Corano”? Perché, a un certo punto, la gente chiede a Maometto: « Tu pretendi di essere profeta, e che segno ci dai? Fa’ un miracolo! Nel Corano ci parli di Mosè e dei suoi miracoli, di Gesù e dei suoi miracoli ».
Infatti, nel Corano, troviamo i più importanti miracoli citati dal Vangelo, ma anche altri presi dai vangeli apocrifi. Ad esempio, vi si trova l’episodio di Gesù bambino che plasma un uccello con la terra e, soffiandoci sopra, lo fa volare. Ma, e questo è interessante, in quel versetto il Corano dice: « Io creo dalla terra la forma di un uccello e ci metto il mio soffio ed è un uccello ». Questa parola creare è citata centosettantasette volte nel Corano, sempre come atto specifico del Dio unico, più due volte riferita a Gesù. Cioè, analizzando il testo coranico riguardo a Gesù, si potrebbero trovare tracce della dottrina della divinità di Cristo affermata dai cristiani; ovviamente però nel Corano Gesù è unicamente un uomo.
Comunque, di fronte a questi racconti, gli arabi chiedono a Maometto di fare un miracolo, come Gesù e come Mosè, ed egli risponde: « Il mio miracolo è il Corano: producete un solo versetto simile ». La tradizione musulmana dice che i beduini non sono stati capaci di produrre un solo versetto che sia simile, e dunque questo si chiama “il miracolo del corano”. Maometto dunque non ha fatto nessun miracolo, però la tradizione posteriore gli attribuisce molti miracoli; più si va avanti nei secoli, più miracoli vengono attribuiti a Maometto, a imitazione dei profeti.
B. IL PROGETTO DI MAOMETTO
PER LA RELIGIONE ISLAMICA
Se si cerca di individuare il progetto maomettano per la religione islamica, che cosa risulta?
1. Un progetto complessivo
E’ un progetto complessivo. L’islam non è da capire nel senso del cristianesimo, come un atteggiamento spirituale e delle norme che permettono a ognuno di trasformare la propria vita e il mondo. Il Corano è piuttosto un progetto socio-politico-culturale-religioso, è un progetto completo.
Questo non ci deve stupire: è il cristianesimo ad essere un’eccezione nella storia delle religioni, non l’islam. Nella storia delle religioni, praticamente tutte le religioni che conosciamo rappresentano l’identità massima di un popolo o di un gruppo. La religione è ciò che costituisce un popolo: vi si trovano precetti che regolano la relazione con Dio, con gli altri, con la famiglia, con la società, come organizzare la società, come mangiare, come vestirsi, come far sesso, vi si trova tutto. Di solito è così.
Nel Corano e nella tradizione musulmana ciò è molto chiaro. Aprite qualunque libro delle tradizioni musulmane e ci troverete tutto, a cominciare con le regole della purificazione legale. Il primo capitolo è dedicato alla purezza, cioè, alle norme per le abluzioni necessarie per la preghiera, o per il digiuno. La purezza è vista come nell’Antico Testamento, e abbiamo un’eco di questa visione nel Vangelo, nel dibattito fra Gesù e i farisei: è una purezza esclusivamente esteriore. Contro questa concezione reagisce Cristo dicendo: « Non è ciò che viene dal di fuori che rende l’uomo impuro, ma ciò che viene dal cuore ». La visione dell’Antico Testamento la troviamo anche nell’islam: se uno non fa le abluzioni prescritte, la sua preghiera non è recepita da Dio. Le regole della purezza prevedono che io non possa salutare una donna, perché magari ha le mestruazioni che la rendono impura e, toccandola, diverrei impuro anch’io. È solo un esempio, ma ce ne sono centinaia. Tutto è previsto, ma è previsto nel contesto del mondo culturale arabo del VII secolo.
La cosa più notevole della vita di Maometto sono state le guerre, 19 secondo la biografia più autorevole, la Sîrah di Ibn Hisciâm, durante il decennio di Medina. Ma anche come legislatore ha fatto molto: ha fatto progredire tutta la legislazione dei beduini, che non avevano leggi se non quelle tradizionali.
2. Rapporto al giudaismo e al cristanesimo
Maometto però ha avuto anche un’idea geniale, quella di collegare questi elementi rituali e giuridici alle religioni monoteiste esistenti. Anzi, di capire che l’atteggiamento fondamentale del credente è quello di sottomettersi totalmente al Dio unico; questo è il significato della parola islam. Per ciò nel Corano egli dice: « La vera religione presso Dio è l’islam », cioè « L’islam non l’ho inventato io, ma esiste da sempre, è l’atteggiamento fondamentale dell’uomo ». Quando Dio creò Adamo, lo fece musulmano, cioè uno che si sottomette a Dio[5]. Così appare l’islam come la prima e più antica religione del mondo, l’unica vera nella quale tutta l’umanità deve riconoscersi.
Tutto il mondo dunque è musulmano: Adamo è musulmano, Noè è musulmano, Abramo è musulmano, Gesù è musulmano, e gli apostoli dicono a Gesù: « Sii testimone che noi siamo musulmani », cioè che siamo sottomessi a Dio. Questo è geniale, perché significa affermare che l’islam non fa altro che ripristinare la religione di Dio, quella voluta da sempre, dalla creazione del mondo. L’ebraismo e il cristianesimo sono musulmani: Mosè ha portato la versione di musulmanesimo adatta al suo popolo; Gesù ha portato la versione di musulmanesimo adatta agli ebrei del suo tempo.
A tutti i popoli della terra Dio ha mandato dei messaggeri, centinaia, forse migliaia. Il Corano ne cita solo una trentina, quelli presi dalla Bibbia, che non hanno niente a che vedere con ciò che noi chiamiamo i profeti (Isaia, Geremia, Ezechiele, ecc. sono sconosciuti): profeti sono le grandi figure bibliche (Abramo, Giuseppe, Isacco, ecc.) e alcune della mitologia araba.
Tutti i popoli hanno ricevuto un messaggero da Dio, ma l’ultimo messaggero, quello che è chiamato nel Corano il sigillo dei profeti, è Maometto, ed è venuto a completare e a correggere tutte le rivelazioni precedenti, a portare l’ultima rivelazione. A Birmingham, sulla strada per l’aeroporto, si può vedere il muro della moschea, alto circa trenta metri, largo venti metri, dove è scritto, a caratteri grossi un metro: « Read the Koran, the last Testament ».
Per questo, nella loro prospettiva, i musulmani dicono di riconoscere tutto ciò che li precede: il cristianesimo e l’ebraismo; nel Corano ci sono Gesù, Mosè ecc. Naturalmente quello che dice il Corano riguardo a Gesù non corrisponde al Vangelo. Sono negate la divinità di Cristo, la Trinità, l’Incarnazione, addirittura il fatto storico della crocifissione: Gesù non è stato ucciso e crocifisso, ma è solo sembrato che lo fosse. Che Gesù non è morto è ripetuto due volte nel Corano; anche se altrove si dice: « Pace su di me il giorno che son nato, e il giorno che morirò e il giorno che sarò resuscitato ». Gesù nel Corano sta accanto a Dio, ed è l’unico tra tutte le figure del Corano che stanno con Dio, presso Dio. Malgrado ciò, il Gesù del Corano è completamente diverso da quello del Vangelo.
Spesso si chiede a noi cristiani perché non riconosciamo la profezia di Maometto, mentre i musulmani riconoscono la profezia di Gesù: sono due discorsi che non hanno niente a che vedere. A me, della profezia di Gesù non importa nulla, perchè per noi Gesù è più che profeta. Questo però il musulmano non lo può riconoscere.
3. Giuridismo dell’islam
L’ebraismo è molto più vicino all’islam che non il cristianesimo. La prima scienza dell’islam è la giurisprudenza, non la teologia o la spiritualità, come nella tradizione ebraica. Nell’islam, il sapiente (il faqîh) è quello che conosce tutta la giurisprudenza; i fedeli vanno da lui a chiedere se, per esempio, in base a quello che hanno fatto, possono fare la preghiera, ed egli risponde dicendo cosa devono fare per purificarsi. Prendete il piccolo libretto di Khomeini, un riassunto dei suoi detti: è un elenco di direttive circa la purezza, la preghiera, il digiuno, concepiti come atti rituali e formali.
Vorrei chiarire ciò che ho detto ora: la preghiera per un cristiano è un dialogo con Dio, che prende varie forme, anche quella liturgica. La preghiera (salât) per un musulmano è esclusivamente compiere certi riti, come la prostrazione od altri, in modo perfetto. Dura circa cinque a dieci minuti, cinque volte al giorno. Ma sono riti. Chi compie questi riti, cioè chi li compie in modo giuridicamente corretto, essendosi purificato con le abluzioni, ha fatto la preghiera. Chi non le compie o chi non le può compiere in modo puro, non ha pregato.
Per esempio, la donna quando ha le mestruazioni non può fare la preghiera, la deve recuperare dopo, in un altro giorno; lo stesso vale per il digiuno. Tutte le donne normalmente, durante il mese di Ramadan, per alcuni giorni non possono digiunare, così devono fare durante l’anno il recupero dei giorni persi. E’ un fatto oggettivo, non soggettivo, non si tratta di sentimenti.
Facciamo l’esempio del digiuno: consiste a non mangiare, non bere, non fumare, non introdurre niente nel corpo, dall’alzare del sole al calare del sole; dopo si mangia, di solito anzi si mangia più che negli altri giorni e meglio. Questo, a dire il vero, non era lo spirito del Ramadan, ma è una deformazione che dura da secoli; già nel XI secolo veniva rimproverato questo tradimento dello spirito originario dal grande teologo Algazel (al-Ghazzâli). Però di fatto, ha digiunato chi ha adempiuto formalmente le norme rituali.
4. L’islam è una religione oggettiva e sociale
L’islam è una religione oggettiva: fai questo e tutto va bene. Questa è la forza dell’islam ed è anche la sua debolezza. Elemento essenziale della preghiera e del digiuno è che sono atti sociali: tutti si ritrovano insieme a fare nello stesso istante lo stesso movimento. Spesso vediamo in televisione l’immagine di tanti uomini prostrati per la preghiera: anche il fare questo gesto tutti insieme nello stesso momento dà una forza grandissima, fa sentire la solidarietà tra musulmani. La solidarietà musulmana è fortissima, ma non è universale, è solo fra musulmani.
Il digiuno, il fatto che tutti faticano e penano, e poi la sera quando il cannone spara, tutti si precipitano sull’acqua, è un fatto sociologico. Io nel mese di Ramadan passo tutte le notti con gli amici musulmani a fare dei festini, non solo per il festino, ma perché è un fenomeno socialmente straordinario: questa è la forza dell’islam.
Il pellegrinaggio è un incontro politico straordinario, che coinvolge alcuni milioni di uomini. Questa è la visione di Maometto, questa è la religione che ha voluto, con grande saggezza, una religione equilibrata che non chiede troppo.
Per i musulmani, il cristianesimo è sublime, ma è troppo ideale, nessuno lo può vivere; spesso noi, purtroppo, gli diamo ragione. I musulmani sostengono che, mentre l’ebraismo è una religione molto vile e bassa – non è vero, ma loro dicono così -, e il cristianesimo è celeste, l’islam ha combinato questi elementi; quindi, è la religione della ragione. In realtà ci sono tante cose irrazionali nell’islam, però a forza di ripetere questo uno si convince, e lo ripetono da secoli.
L’islam è esigente in certe cose, mentre è facile in altre. È esigente perché impone di pregare cinque volte al giorno, di digiunare; è facile perché non ho da pormi delle domande: adesso si fa così, e tutti lo fanno; fare una cosa che fanno tutti è più semplice. L’islam è facile perché c’è questo sostegno sociale.
Inoltre, è una religione maschile; e, per esempio sul piano sessuale, l’uomo ha pieni poteri: la donna è concepita solo per il suo piacere e per la famiglia. Questo è affermato chiaramente nel Corano, che in un versetto assai traumatizzante dice: « Le donne sono il vostro campo da arare, aratelo come lo volete »; cioè, per parlare chiaramente, fate sesso con le vostre donne, sono lì per il sesso, sono a vostra disposizione. Questo definisce tutta la mentalità.
La spiritualità musulmana esiste, può essere anche molto profonda, ma può essere anche molto superficiale. Nel cristianesimo grossomodo tutta la predicazione e tutta la vita dei cristiani e della comunità è incentrata sulla vita spirituale del singolo; nell’islam questo è più raro.
C. PROBLEMA : ISLAM E MODERNITA’
L’islam è per alcuni aspetti assai vicino all’ebraismo: prevede pochi dogmi (solo quello dell’unicità di Dio e della profezia di Maometto), ma prevede un complesso di norme di vita che, se uno volesse applicarlo alla lettera, prevede quasi tutto.
A questo punto sorge però un problema, perché tutto questo è stato concepito nel VII secolo in Arabia, e noi siamo nel XXI secolo e non in Arabia. Il mondo è cambiato, e sono cambiati anche i musulmani.
1. Concezione coranica della Rivelazione come “discesa”
C’è un dogma essenziale che non ho nominato, quello della rivelazione coranica, nel senso più materiale della parola. Per il musulmano, il Corano non è rivelato, o ispirato come per i cristiani, ma è “disceso” (munzal) su Maometto. Il Corano storico è la trascrizione letterale del Corano che si trova presso Dio e che è “disceso” e ha preso la forma di questo Corano storico; non è una creazione di Maometto. Mi ricordo che quando ho fatto l’esame di maturità mi hanno chiesto all’orale chi fosse l’autore del Corano. Ovviamente era una trappola: che cosa dovevo fare? Da buon cristiano non potevo dire “Dio”, però se non avessi detto così, avrei rischiato di essere bocciato. Dietro di me, un amico musulmano mi suggeriva: « Di’ che è Dio, e falla finita! ». Voleva aiutarmi! Dio mi ha ispirato in quel momento, così ho detto:« Per i musulmani è Dio » (descrittivo e non normativo!).
Questa differenza è essenziale: io quando apro il Vangelo, leggo: « Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo, Marco, Luca »: questo secondo è essenziale (e lo stile si riconosce: quello di Marco non è come quello di Giovanni). I musulmani pretendono addirittura di dimostrare che se paragoniamo al computer i detti di Maometto con il Corano, facendo l’analisi sintattica, lessicografica, ecc, risulterà che fra i due testi non c’è niente di comune, perché il Corano è la lingua di Dio, mentre i detti sono lingua di Maometto. Non ho avuto ancora il tempo di contraddirli, di dimostrare che è falso.
La conseguenza teologica di questo dogma è gravissima : se il Corano è una “discesa”, allora non c’è più la possibilità di interpretare. Io posso fare la critica biblica – ed essa vien fatta non dal tempo dell’Illuminismo, ma cominciando dai padri della Chiesa dal II secolo in poi –, perché questo testo è rivelato da Dio in modo umano, perché l’Incarnazione già si fa nella Bibbia. Addirittura i padri della Chiesa quando scrivono in greco non citano letteralmente, ma a memoria; questo sarebbe un peccato grave citando il Corano. Una volta che un imam musulmano – io ho assistito alla scena – nel recitare a memoria dei versetti del Corano, essendo magari un po’ stanco, ha sbagliato una lettera, e subito s’è alzato un mormorio di tutti i presenti che l’hanno corretto, e poi ha sbagliato ancora una seconda e una terza volta, e alla fine si è ritirato sconvolto perché aveva commesso un grave peccato: aveva deformato la parola increata di Dio. Per i musulmani il Corano si può paragonare a Cristo: Cristo è il Verbo incarnato, il Corano – perdonatemi il gioco di parole – è il Verbo “incartato”.
2. Necessità dell’interpretazione
Un testo simile non mi lascia alcuno spazio di interpretazione critica o storica, neppure per quegli aspetti che più palesemente sono legati agli usi e costumi di un contesto storico e culturale particolare e ormai superato. Questo è il punto: qual è il ruolo della ragione nell’interpretare il testo? Su questo argomento, Averroé ha scritto un famoso trattato, tradotto almeno due volte in italiano, Il Trattato decisivo sull’armonia tra la ragione e la legge rivelata, cioè la sciari’ah, un libro splendido, straordinario. Tutto ciò che Averroé cerca di dire è che abbiamo diritto di interpretare il Corano, anzi abbiamo il dovere di interpretarlo, e non solo di commentarlo.
Tuttavia ad un certo punto è stato deciso che non è più possibile l’interpretazione, anche solo cercare di capire che cosa significa per noi è come ripensarlo. Questa è la tragedia del mondo islamico: nessuno sa chi l’ha deciso, ma per tutti è così, dal X-XI secolo in poi “la porta dello sforzo personale”(bâb al-igtihâd), dell’interpretazione, è chiusa, e nessuno riesce più ad aprirla. Siamo in questa situazione tragica: tutti i musulmani liberali, che vorrebbero cambiare, sono condannati, talvolta anche uccisi, altre volte unicamente condannati a morte o esclusi dal paese, la moglie condannata a divorziare perché non può vivere con uno che non è più musulmano. Questo è uno dei grossi problemi dell’islam: non riesce ad adattarsi alla modernità.
3. Sfruttare la modernità rifiutandola
Il problema essenziale dell’islam oggi è il confronto con la modernità. Il mondo islamico si dibatte tutti i giorni con questo concetto: vorrebbe prenderne i frutti, soprattutto la tecnologia, senza rimettersi in questione, e così in questo senso i frutti della modernità sono colti senza problemi. Tutti i movimenti islamici usano, prima degli altri, Internet e tutti i mezzi più sofisticati, ma non sono capaci di produrre il minimo di questi mezzi, cioè sfruttano la modernità e la rifiutano.
La modernità appare a noi arabi – tutti quanti, più in particolare ai musulmani – quasi come il diavolo. È pericolosissima la modernità, però chi fa a meno dell’elettricità, dell’acqua corrente, del fax? Nessuno! Allora pensano di essere all’avanguardia del progresso, perché hanno tutto. Forse un simbolo di questo è che a volte in Arabia Saudita, sotto la tenda del beduino, si trovano gli apparecchi più sofisticati: il beduino vorrebbe continuare a vivere nel sistema di sempre, avendo però le cose più moderne; e questo è impossibile, perché se voglio entrare nella modernità devo rimodellare la mente. E’ proprio questo che è stato molto difficile da fare per la Chiesa, ed è ancora più difficile per i musulmani. Non hanno il coraggio di farlo, e più si aspetta più il divario cresce.
4. L’immigrazione musulmana : una chance per l’islam
Perciò uno dei servizi che l’occidente potrebbe offrire all’islam è quello di aiutare il musulmano a confrontarsi con la modernità, e questo si può fare in Europa. La presenza degli immigrati musulmani nei paesi europei andrà sempre crescendo, per motivi sociologici, demografici e finanziari, e perché l’Italia la desidera – non gli italiani, ma l’Italia che decide –, cioè chi tiene le redini dell’economia e della politica vuole l’immigrazione, e i paesi del terzo mondo, che sono spesso musulmani, cercano l’emigrazione. Dunque il fenomeno è destinato a crescere sempre più.
Questa emigrazione dei musulmani in Occidente potrebbe essere per loro un’occasione per ripensare la fede in termini moderni. Perché mi sembrf che sia impossibile a qualcuno che abbia studiato da bambino in una scuola normale italiana, che forse ha fatto anche l’università, tanto più se c’è tutta una comunità che è passata attraverso questo cammino normale, è impossibile continuare a pensare con gli schemi tradizionali dell’islam, è impossibile dire: « Faccio questo perché Dio l’ha detto 1400 anni fa ». Certamente dovrà almeno chiedersi perché fa così. Per fare un’esempio ovvio : la condizione della donna non può mantenersi nei termini in cui i musulmani la concepiscono oggi. Io non auspico la perdita della fede dei musulmani, non credo che ciò sarebbe un bene; io auspico il confronto tra la fede e la società, la fede e la ragione, la fede e i diritti dell’uomo.
Uno dei punti più importanti e più delicati è quello dei diritti della persona umana, e su questo punto ci sono molte contraddizioni nell’islam. Per esempio non esiste ufficialmente la tolleranza religiosa: un musulmano non ha diritto di abbandonare l’islam, l’apostata è condannato a morte. Tutta la situazione della donna nell’islam, giuridicamente – non parlo di com’è nella vita quotidiana, questo è affare privato – è contraria ai diritti della persona umana. Che la testimonianza di una donna valga la metà di quella di un uomo – qualunque sia l’uomo – è giuridicamente previsto, ed è inaccettabile; che la successione della donna sia la metà dell’uomo, non si può capire oggi, ma si poteva capire benissimo una volta, e così via.
Questo confronto non lo possiamo fare nei paesi musulmani, perché la modernità non esiste come mentalità, cammina molto lentamente, e si fa un passo avanti e due indietro, o due avanti e uno indietro. Allora l’emigrazione in occidente può essere una possibilità per loro, a condizione però che vengano aiutati culturalmente.
Quest’aiuto verrà accettato meglio se offerto dai cristiani. Mi spiego: la modernità è vista da noi come il diavolo, perché si pensa che modernità sia sinonimo di libertinaggio; l’immagine dell’occidente da noi è l’immagine del libertinaggio assoluto, della corruzione sessuale, della perdita delle norme, ecc. Allora, se il musulmano è preso tra questo tipo di modernità offerta dall’occidente e la tradizione presentata dai più radicali, non può far altro che aggrapparsi alla tradizione, che almeno, conserva un valore sicuro. Se invece si potesse presentare una modernità combinata con delle norme morali, religiose, la modernità come un cristiano normale la concepisce, credo che questo potrebbe essere un modello attraente e accettabile per un musulmano, ma per il momento, la modernità è un modello repellente.
CONCLUSIONE : QUALE DIALOGO ?
L’islam è una religione coerente. Ma è una religione che, secondo me, ha fatto un passo indietro riguardo al cristianesimo, su tutto ciò che riguarda valori e spiritualità. Rispetto al cristianesimo però, l’islam ha capito una cosa essenziale, che, se non è assente dalla teoria cristiana, lo è spesso dalla pratica: l’importanza della comunità. In teoria, il cristianesimo tende a creare una comunità umana, ma in pratica, oggi è spesso un individualismo. La forza dell’islam risiede nel suo senso comunitario che è spinto fino al fanatismo.
Si tratta in ogni caso della religione di ben un miliardo di persone; una religione che è rispettabile, ma che deve essere criticata.
Esigenze del dialogo
Il dialogo non consiste ovviamente nel sottolineare solo le cose comuni, dimenticando le cose differenti. Il dialogo non consiste nel dire: “Ci intendiamo, ci vogliamo bene”; questo può andar bene per alcune prediche senza gusto. Il dialogo significa una conoscenza seria, oggettiva, critica dell’altro e di me stesso.
Il dialogo è sempre un confronto, che non ha per scopo la distruzione dell’altro, ma nel quale ambedue i dialoganti si sorpassano personalmente: quanto più io vado avanti nella mia fede, tanto più lui nella sua. Attraverso questo confronto e questa critica, se non posso fare autocritica, almeno sento la critica fatta dagli altri.
Il dialogo è esigente, suppone una lucidità terribile e un umiltà assoluta. Se rinuncio alla lucidità e più ancora alla verità – come mi sembra spesso accada ai nostri giorni, a differenza di una volta –, se rinuncio a dire ciò che penso e che talvolta tutti pensano, per non avere problemi, creo problemi più grandi, perché vivo nel falso, o vivo nell’approssimativo. Il dialogo non è essere gentile, diplomatico, evitare i conflitti. Il dialogo significa verità e amore dell’altro : “Amore e Verità s’incontrano, Giustizia e Pace s’abbracciono”, cantiamo nel Salmo.
Dire: “Tutte le religioni sono una via verso Dio”, oppure “Tutte le religioni cercano la pace, ecc. » è falso. Si può dire che tale religione in tale circostanza ha cercato la pace, e tale religione, invece, ha praticato la violenza. Anche nell’intento Maometto non era un non violento, ma un violento, non per amore della violenza ma per realizzare il suo scopo nobile. La violenza li è sembrato in molti casi una necessità inevitabile. Quando i gruppi islamici più radicali scelgono la violenza come mezzo per arrivare all’islam come loro lo concepiscono, non è che stanno fuori dall’islam, come si ripete (non so perché) tante volte, ma hanno fatto una delle scelte islamiche. La violenza sta nell’islam chiaramente, come anche la tolleranza. Troverete nel Corano il versetto sempre citato in occidente da tutti i libri politicamente corretti: « Non c’è costrizione in materia di religione »; ma questi stessi libri non citano mai i versetti che da noi, in Medio-Oriente, sono i più citati riguardo ai non musulmani: « Uccideteli tutti quanti, ovunque li troverete ».
Il dialogo deve essere onesto, lucido, esigente, andare fino al fondo di me e dell’altro; io sono convinto che si possa costruire insieme una società, con i musulmani, ma non a qualunque condizione.
Riguardo all’immigrazione, per esempio, ci vogliono delle regole, come si fa in tutti i paesi ragionevoli. Non si può accettare chiunque venga e vuol vivere qui, anche se non fosse capace di convivere. E ci vuole, allo stesso tempo, sempre, un’apertura di cuore per non respingere chiunque.
Questa è una strada difficile, per il musulmano e per il cristiano. Io mi auguro che sempre di più saremo in grado di instaurare questa forma di dialogo senza concessioni, un dialogo autentico, qui a Milano con i musulmani che lo vogliono e un po’ dappertutto, un dialogo che sia in verità e in carità.
Annotazioni:
[1] Quest’ultimo fatto è ancora da chiarire, nel senso che è nota la presenza di ebrei in Arabia all’epoca di Maometto – a Medina risedevano tre tribù molto importanti -, ma si discute se fossero tribù arabe o solo di lingua araba; è un piccolo particolare culturale
[2] Questa espressione può essere comprensibile nel contesto coranico, ma non si addice affatto ai cristiani. Lo dico perché noto che tante volte in Europa – chissà perché? – va di moda parlare di religioni del libro, c’è persino un Centro di ricerca per le « religioni del libro ». Ma il cristianesimo non è mai stato definito come una religione del libro, bensì come la rivelazione di Cristo, è la rivelazione di Cristo che è stata consegnata in libri.
[3] La radice di egira è la stessa radice di Agar, che nella Bibbia è la schiava di Abramo che fugge nel deserto, e che sarà l’immagine di Maometto e dei musulmani; il figlio di Agar, Ismaele, sarà considerato come il primo musulmano, anche se in realtà, come vedremo, nella tradizione coranica il primo musulmano è Adamo.
[4] Maometto fece molte guerre: secondo i suoi primi biografi, che hanno scritto circa centocinquant’anni dopo la sua morte, egli combatté circa diciannove guerre in dieci anni, il che significa due guerre all’anno in due stagioni diverse. Questo per gli arabi e i musulmani non era una cosa strana, nessuno ha visto in queste guerre qualcosa di incompatibile con la religione, perché la guerra faceva parte della cultura dei beduini; tra l’altro la parola razzia è di origine araba.
[5] La storia di Adamo sarà presentata in questa chiave. Il peccato originale, viene menzionato, ma en passant, perché Adamo si pente subito, adora il suo Signore e il suo Signore lo perdona.