…L’occupazione. L’accessione. Prescrizione. Successione ereditaria. Uno dei modi, con cui la proprietà si trasmette da uno all’altro, è la successione. Ma alcuni, pur riconoscendo il diritto di proprietà per i frutti del proprio personale lavoro, industria o ingegno, hanno voluto contestare quello di lasciarli poi ad altri, ed hanno proposto che, alla morte di ciascuno, i beni lasciati tornino e ricadano a beneficio comune….
Trattato di Teologia morale
PARTE III
I DOVERI DELL’UOMO NEI SUOI RAPPORTI CON IL PROSSIMO
3. DIRITTI E DOVERI INDIVIDUALI – DIRITTI ACQUISITI
IV. MODI DI ACQUISTO DELLA PROPRIETÀ.
Dovendo ora dimostrare che i modi con cui si acquista in concreto la proprietà privata danno luogo anch’essi ad un diritto naturale, ricordiamo in generale che tali modi consistono in un atto volontario o in un fatto naturale capaci l’uno e l’altro di creare tra una persona e una cosa il rapporto di appartenenza da cui ha vita il diritto. Essi si dividono in originari e in derivati, secondo che il rapporto e il conseguente diritto vengono a crearsi per la prima volta, e cioè senza alcuna trasmissione da un preesistente soggetto, oppure da questo siano trasferiti ad un altro soggetto.
Limitandoci a descrivere sommariamente i principali tra questi modi, fanno parte del primo gruppo l’occupazione e l’accessione; del secondo gruppo la donazione inter vivos, la successione testamentaria e legittima.
1. L’occupazione. È l’atto esterno con cui la persona s’impadronisce di un bene non appartenente ad alcuno con l’animo di conservarlo come proprio (193).
Le condizioni per la validità dell’occupazione, detta anche, per motivi facilmente intuibili modo o titolo primigenio, sono da una parte che il bene sia una res nullius, e in se stesso capace di dominio privato, dall’altra che chi ne acquista il dominio se ne appropri effettivamente, con la manifestazione anche esterna dell’intenzione di volerlo far suo in maniera definitiva. La persona che così agisce non fa che mettere in esecuzione il comando della natura contenuto nell’esigenza bilaterale delle cose di essere di dominio privato e dell’uomo di possederle stabilmente, perché ne disponga a utilità sua e degli altri (194).
Attualmente in genere sono suscettibili di occupazione le cose mobili che non sono proprietà di alcuno tali sono le cose abbandonate (195) e gli animali che formano oggetto di caccia o di pesca (196).
I diritti particolari delle diverse nazioni stabiliscono in quali limiti e sotto quali formalità la occupazione si può verificare circa i diversi oggetti di essa.
Se si ha riguardo al solo diritto naturale, trattandosi di una cosa senza proprietario, anche il cosiddetto tesoro (nei codici odierni si intende per tesoro qualunque oggetto di pregio nascosto e di cui nessuno possa vantare proprietà) appartiene per intero a chi lo ha scoperto, per diritto d’invenzione (titolo originario d’acquisto della proprietà pari all’occupazione), dovendosi applicare il principio che assegna la res nullius in proprietà al primo occupante. I moderni codici delle diverse nazioni, tuttavia, limitano assai in ciò il diritto naturale dello scopritore, a vantaggio specialmente del concorrente diritto del proprietario del fondo e dello stato, quando si tratti di oggetti di notevole interesse storico, archeologico ed artistico, (197). Poiché tutto considerato, tali limitazioni risultano spesso giuste e conformi a retta ragione, i moralisti concordano nel ritenere che le relative leggi che le contengono, non siano leggi puramente penali e che creino quindi anche un qualche obbligo di coscienza. Ciò vale ancor più quando si tratta di leggi che monopolizzano il diritto di ricerca e di sfruttamento minerario. È infatti manifesto il peso che nella presente economia (e quindi nel bene comune) hanno i carboni, i metalli ecc.
2. L’accessione (198) è l’apporto di nuovi beni che si ricavano dalla intrinseca produttività di un bene che sia oggetto di proprietà (frutti naturali) o ad esso vengono aggiunti dall’esterno, per azione delle forze naturali o ad opera dell’uomo, oppure soltanto l’aumento di valore che il medesimo bene acquista per effetto di trasformazioni dovute alle medesime cause. Qualora però le trasformazioni siano state prodotte dall’opera dell’uomo e il bene ne risulta sostanzialmente mutato, questo diventa proprietà di chi lo ha trasformato, per un modo d’acquisto a cui si da il nome di specificazione.
I frutti derivati dalla naturale fecondità di un bene sono già in esso contenuti allo stato potenziale, e quindi, una volta venuti alla luce, partecipano del medesimo rapporto di appartenenza che unisce il bene al suo legittimo proprietario. Lo stesso si dice nel caso che l’azione delle forze naturali esterne aggiunga nuovi beni a quel primo: la stessa natura li fa partecipi del precedente rapporto, per ciò stesso che li pone nella sfera di un dominio già in atto.
I grandi moralisti applicarono in gran parte a questo istituto i princìpi di diritto romano, divenuto diritto comune e che in materia aveva avuto una lunga e minuziosa elaborazione. Oggi occorre applicare il diritto civile di ciascuna nazione, salvo i princìpi di diritto divino e canonico.
L’accessione non solleva particolari questioni di diritto o di morale, se le cose appartengono allo stesso padrone o se padroni diversi curano l’incorporazione delle cose di mutuo accordo: nel qual caso basta stare al contratto. Mancando invece l’accordo tra i diversi padroni, occorre ricorrere alle disposizioni di diritto civile, che fondamentalmente si basano sul principio di equità: accessorium natura sequi congruit principalis (199).
Gli altri modi derivati di trasmissione della proprietà trovano il loro fondamento nel concetto di diritto, il cui esercizio consiste nella libera disposizione dei propri beni in ordine al fine stabilito per essi dalla natura. Si tratta in effetti di una rinuncia, poco conta se unilaterale o bilaterale, a titolo gratuito o dietro la corresponsione di un prezzo, che il primo soggetto fa del proprio dominio sui beni in favore del secondo, il quale gli succede nel medesimo dominio in forza del diritto originario determinato in concreto con l’atto della trasmissione. Quest’atto o può essere originato unicamente per disposizione di legge (prescrizione) o parte per disposizione di legge e parte per libera manifestazione di volontà (successione ereditaria) oppure unicamente per una libera manifestazione della volontà (contratto).
3. Prescrizione (200). La prescrizione è un mezzo con cui col decorso del tempo e sotto determinate condizioni, taluno acquista un diritto od è liberato da un’obbligazione.
Abbiamo così il concetto generale di prescrizione, la quale poi si distingue in prescrizione acquisitiva e liberativa (201). La prima conferisce un nuovo diritto (in re) e viene detta usucapio; l’altra ci libera da un’obbligazione e viene detta prescrizione estintiva o liberativa; l’una e l’altra producono i propri effetti col decorso del tempo e sotto condizioni determinate. Di queste condizioni tuttavia, alcune riguardano la prescrizione acquisitiva, altre l’estintiva o liberativa, altre infine l’una e l’altra.
a) Riguardano in specie la prescrizione acqusitiva le seguenti condizioni: il possesso, la buona fede e il titolo (202).
b) Le condizioni per la prescrizione liberativa sono ordinariamente le stesse assegnate che per la prescrizione acquisitiva; però siccome il possesso in ordine alla prescrizione liberativa non altro è che il non riconoscere l’obbligazione da una parte e la non esigenza dall’altra, ed il titolo si identifica con la legittimità del non riconoscimento del debito, è evidente che praticamente possesso e titolo non differiscono dalla buona fede, che qui consiste o nel non impedire ingiustamente ad altri l’uso del proprio diritto o nel prestare l’obbligazione a richiesta o nell’ignoranza della propria obbligazione (203).
c) Per ambedue le specie di prescrizione occorrono queste altre due condizioni: che la cosa sia prescrittibile, che sia decorso un tempo sufficiente (204).
La prescrizione è un istituto ammesso in tutti gli ordinamenti giuridici ed i moralisti non esitano a trovarlo conforme al diritto naturale come titolo di acquisto della proprietà; varie ragioni infatti legittimano questo titolo. Senza di esso nessuna proprietà, per quanto antica, sarebbe al riparo da contestazioni, le quali sarebbero tanto più difficili a risolvere, quanto più i titoli invocati dall’una o dall’altra parte risalissero lontano.
Inoltre la prescrizione stimola i creditori a farsi pagare dai loro debitori nel tempo voluto, taglia corto a certi procedimenti usurai.
In pratica la legittimità della maggior parte delle proprietà, specie immobiliari, nei nostri paesi, è fondata nella prescrizione, perché nessuno può forse produrre i titoli originari di occupazione: di qui la legittimità delle leggi civili in materia, universalmente riconosciuta, purché non ledano però i princìpi del diritto, e, per quanto riguarda i beni ecclesiastici, purché non ledano l’ordinamento e le riserve del diritto canonico. A questo proposito appunto sorgono le più gravi questioni e le ragioni di contrasto tra la legislazione civile e morale cristiana, o meglio, naturale.
1°) II contrasto più grave è in materia di buona fede.
Perché in coscienza valga la prescrizione secondo la dottrina più comune si richiede la buona fede teologica, non solo all’inizio della prescrizione, ma in tutto il decorso della medesima. Infatti, in tal senso, si esprimono le definizioni della Chiesa (205).
La ragione ci dice che nessuno deve trarre vantaggio dalle proprie frodi o dalla sua mala fede: ciò sarebbe contro il buon ordine sociale. Ripugna alla stessa giustizia che chi possiede colpevolmente una cosa altrui, la possa far sua, quando sarebbe tenuto a restituirla. E la legge civile non può favorire l’iniquità e l’ingiustizia.
Il legislatore civile del resto, sebbene in alcuni casi non richiede la buona fede, tuttavia, sotto questo rispetto, non intende entrare nell’interno della coscienza dei sudditi.
Questi argomenti, così proposti, hanno però le loro difficoltà, su cui fanno leva coloro tra i moralisti, che intendono uniformarsi in tutto e per tutto alla legge civile (206).
Si richiede inoltre, almeno, all’inizio, la buona fede giuridica (ossia la buona fede con il titolo) ogni qualvolta la legge lo esige (207).
2°) In ordine al titolo, secondo il diritto naturale per la prescrizione non si richiede un titolo vero, perché allora sarebbe inutile invocare la prescrizione, potendo detto titolo operare da sé la traslazione del dominio. Ma il titolo si richiede, anche quando la legge civile non lo esige (208), non essendo possibile la buona fede, senza un titolo che la fondi. E perciò si richiede un titolo tale che sia atto a creare la buona fede. Tale è certamente il titolo colorato, e anche quello putativo, non però quello precario, perché in se stesso ha l’etichetta che indica lo scopo per cui è dato il possesso e che non è quello di trasferire la proprietà.
Tale non è pure il titolo presunto ex lege, se di fatto il titolo non esiste e non si fanno ricerche per appurare la verità.
3°) In ordine alla prescrittibilità della cosa è da osservare che sono imprescrittibili per loro stessa natura tutte le cose o diritti, che sorgono dal diritto naturale o positivo-divino, se si tratta di prescrizione acquisitiva; e tutte le obbligazioni che hanno la stessa origine, se si tratta di prescrizione liberativa. Così non si può prescrivere l’obbedienza dovuta dal suddito al suo superiore o l’indipendenza della Chiesa nei confronti dello Stato.
Il legislatore ecclesiastico sanziona positivamente questa imprescrittibilità (209). Sono anche imprescrittibili, perché di libero uso, le cose che non sono capaci di proprietà privata, come le vie pubbliche, i fiumi e cose del genere. Ma ulteriori determinazioni in materia vengono fatte dalla legge (210).
4°) Riguardo al tempo i moralisti si sono chiesti, se possono valere anche in coscienza le così dette prescrizioni brevissime (211). Ancor oggi può dirsi prevalente tra i moralisti l’opinione che tali prescrizioni non hanno valore in coscienza, perché piuttosto che una vera prescrizione si tratta di una presunzione di diritto del versamento, che si suppone già fatto, la quale presunzione deve cedere alla verità. Ciò vale tanto più, perché la legge civile per questo genere di prescrizione da spesso facoltà al creditore di imporre il giuramento al prescrivente (212).
4. Successione ereditaria (213).
Uno dei modi, con cui la proprietà si trasmette da uno all’altro, è la successione. Ma alcuni, pur riconoscendo il diritto di proprietà per i frutti del proprio personale lavoro, industria o ingegno, hanno voluto contestare quello di lasciarli poi ad altri, ed hanno proposto che, alla morte di ciascuno, i beni lasciati tornino e ricadano a beneficio comune.
L’eredità è invece un titolo legittimo di acquisto della proprietà avendo il proprietario diritto di disporre dei suoi beni. Tale diritto si giustifica per mezzo dei suoi felici effetti: a) tutto ciò incita il proprietario ad un’amministrazione oculata, attiva e prudente dei propri beni; b) gli permette di conservare sui suoi una maggiore autorità e di disporre in loro favore, tenendo conto delle diverse necessità; c) fornisce il mezzo di sostenere tante istituzioni (scientifiche, caritatevoli, ecc.) di interesse generale.
Se anche il proprietario non indica i suoi eredi (per testamento, legato), che i figli succedano nei beni paterni è di diritto naturale (successione ab intestato). La famiglia infatti forma un’unità morale, per cui già i figli partecipano, anche prima della morte, in qualche modo alla proprietà dei beni paterni: privameli sarebbe quasi un esproprio. I genitori poi avendo generato il figlio dalla loro stessa carne, si trovano in lui, si amano in lui, si sacrificano in lui; i figli sono così una continuazione della persona dei genitori, e quindi anche dei loro diritti. I genitori sentono inoltre l’istinto di provvedere ai loro figlioli anche per il futuro, istinto che non si dimostra insano, ma saggio, tanto più che è uno stimolo efficacissimo alla conservazione ed all’aumento del patrimonio, mediante una gestione saggia ed un lavoro assiduo, anche in età avanzata.
Questo dovere dei genitori verso i figli, cui corrisponde un diritto di questi ultimi all’eredità è un dovere certamente strettissimo e gravissimo, ma d’indole solo morale. Comunque una legislazione che rendesse erede unico lo Stato andrebbe contro il diritto naturale.
Non essendo, d’altra parte, il diritto naturale maggiormente dettagliato in proposito appartiene al pubblico potere di procedere e regolare il diritto di eredità in armonia ai principi del diritto di natura (214). Di conseguenza le leggi civili in materia obbligano in coscienza, finché però non urtano contro i princìpi superiori, sebbene più generali, del diritto naturale.
I Sommi Pontefici, in documenti recenti, pur non occupandosi direttamente della questione del diritto ereditario, non hanno però mancato di manifestare il loro pensiero in proposito trattando della tutela della proprietà privata e della funzione e stabilità della famiglia (215).
L’eredità può provenire da due fonti: dalla volontà del defunto (testamento, legato) o dalla legge (successione ab intestato). In alcuni codici si ammette una terza fonte – patto successorio – cioè il contratto che ha per oggetto rapporti di future successioni fuori del testamento, sia esso patto costitutivo dell’erede, che dispositivo della futura successione (216).
Il testamento (217) è l’atto giuridico, revocabile, con il quale uno dispone dei suoi beni o di parte di essi per dopo la sua morte.
La disposizione testamentaria si dice a titolo universale se comprende l’universalità o una quota (una metà, un terzo, ecc.) dei beni del testatore: in tal caso si attribuisce il titolo di erede al destinatario o ai destinatari. Le attribuzioni di singole cose si dicono disposizioni a titolo particolare ed attribuiscono la qualità di legatario.
Per diritto di natura la capacità di disporre per testamento è in chiunque ha l’uso di ragione, ma la legge positiva suole aggiungere altre limitazioni (218), ordinariamente giustificabili. Limitazioni sono pure poste dalla legge alla capacità di succedere per testamento.
Le leggi civili sogliono in genere determinare ancora le solennità da cui deve essere accompagnato il testamento per essere valido e le forme riconosciute in maniera esclusiva come valide.
Di per sé non vi è obbligo di fare il testamento, perché le leggi suppliscono in maniera soddisfacente alla successione in caso di omissione. Ma a volte, quando altrimenti non verrebbero eseguiti obblighi di giustizia, può sorgere il dovere di fare testamento (ad es. se si prevede che gli eredi non riconosceranno prestiti fatti brevi manu, ecc.). In linea generale è quindi conveniente fare testamento, anche per disporre qualche pio legato in suffragio della propria anima, come era scrupolosamente osservato nella bella tradizione medioevale.
Il testatore per diritto naturale è tenuto a lasciare i propri beni a consanguinei, che non siano eredi necessari, cosi che, ignorandoli senza motivo, commetterebbe colpa grave, se si trattasse di parenti prossimi (fratelli e sorelle, moglie, ecc.) (219), colpa veniale se si trattasse di parenti in grado più remoto, salvo, però, sempre che ci sia indigenza da parte dei parenti e che non ci sia alcuna ragione per escluderli.
Le legislazioni odierne mentre disciplinano regolarmente le sostituzioni ordinarie (sostituire all’erede altra persona per il caso che il primo non possa o non voglia accettare), si mostrano piuttosto ostili verso le sostituzioni fidei-commissarie (che importano all’erede l’onere di conservare e alla sua morte restituire in tutto o in parte i bene costituenti la disponibile). In coscienza queste sostituzioni fidei-commissarie vanno rispettate ed eseguite, se sono fatte in favore di cause pie (220); negli altri casi è lecito all’erede invocarne la nullità; e per regola, prima che si obietti la nullità, è da favorirsi il possessore.
La questione più dibattuta in materia di testamenti è quella della validità in coscienza del testamento naturalmente valido, ma civilmente informe. Premesso che è pacifico l’obbligo di riconoscere la nullità anche in coscienza, se il legislatore ha così deciso oppure è intervenuta la sentenza del giudice, nelle altre ipotesi per alcuni è da ritenersi lo stesso criterio (il testamento è cioè invalido anche in coscienza), per altri invece il testamento potrebbe essere ritenuto come valido dagli aventi interesse. Attesa la diversità delle opinioni, in pratica si può agire secondo l’una o l’altra prima di una decisione giudiziaria. Va però osservato che ogni disposizione di beni fatta per una causa pia (a scopo religioso o per esercizio di Virtù) Va rispettata in coscienza dagli eredi, anche se il testamento è informe (221).
Oltre la successione, uno dei modi più comuni secondo cui la proprietà si trasmette da una persona ad un’altra, ve ne sono anche molti altri, come la donazione, la compra-vendita, e, in genere, i contratti (222) pei quali non essendo possibile dare una analisi dettagliata si rimanda in gran parte agli scrittori di filosofia e di diritto,
Note
193 E. ESCANCIANO, De occupatione bonorum in locis belli causa desertis, in Per. 27 (1938) 281-295; V. HEYLEN, Tractatus de iure et iustitia, p. 173 ss. Se si tratta della occupazione materiale di ciò che ci spetta o di un diritto che viene in tal modo completato, si parla non di occupazione, ma di possesso.
Nel linguaggio comune il termine possesso è usato di solito come sinonimo di proprietà, ma giuridicamente si tratta di un concetto ben diverso. Proprietario è colui che ha il pieno diritto di godere e di disporre della cosa a preferenza di chiunque altro, prescindendo se egli ne abbia o non abbia attualmente il corrispondente esercizio di fatto. Possessore è invece colui che si trova di fatto nel godimento e nella disponibilità della cosa, prescindendo dalla considerazione se egli vi si trovi o meno anche di pieno diritto. Proprietà indica una situazione di diritto; possesso una situazione di fatto, benché, se legittimo, venga tutelato dalla legge e produca effetti giuridici. Cfr. L BARONI, II possesso, Milano 1932.
194 Contro l’occupazione, e analogamente potrebbe dirsi per gli altri modi d’acquisto, si obietta che il semplice fatto di appropriarsi di un bene non possa produrre un diritto, ma questa difficoltà si scioglie facilmente, sol che si osservi che si tratta di un fatto cosiddetto giuridico, il quale, non diversamente che in altri casi, fuori del campo della proprietà, ha soltanto la funzione di dare concretezza al preesistente diritto in astratto, mediante la semplice designazione dei due termini del rapporto di appartenenza. Del resto è stato già detto che il diritto di proprietà in concreto, ripete la sua origine anche da un fatto posto liberamente dall’uomo; non è quindi semplicemente naturale, ma positivo-naturale, quando la legge vi abbia aggiunto il suo riconoscimento giuridico.
195 Non sono di per sé tali le cose ritrovate che si debbono pertanto consegnare al proprietario e, non possono diventare proprie, se non legittimamente prescritte.
196 Anche sul piano del solo diritto naturale, oltre che su quello del diritto positivo, la facoltà di pesca e di caccia non è assoluta: particolari circostanze di fatto possono intervenire a circoscriverne l’ambito e la liceità e, in casi particolari, ad annullarla anche del tutto. Sotto questo aspetto, le leggi civili che disciplinano la caccia e la pesca acquistano valore indicativo. Obbligano certamente in coscienza quelle norme e disposizioni, la cui violazione coinvolge un danno o un serio pericolo per il bene e l’interesse comune. Appartengono a questa categoria le leggi concernenti la tutela della riproduzione e dell’allevamento (così il divieto dell’uso di esplosivi, stupefacenti). Cfr. E. HOSTEN, De modis acquirendi dominium in res externas. in Collationes brugenses, 19 (1924) 112 ss.; G. KISELSTEIN, De iure venandi, in Rev. eccl. De Liège, 17 (1925-1926) 378 ss.
197 Tanto al proprietario del fondo, quanto al concessionario delle ricerche o allo scopritore non si riconosce più proprietà alcuna sulle scoperte (per il cui ritrovamento è anzi fatto obbligo di denuncia agli organi competenti), ma solo il diritto a un premio e ad un equo compenso.
198 Cfr. F. DE MARTINO, Beni in generale. Proprietà, in Commentario al codice civile a cura di A. SCIALOIA e G. BRANCA, III, art. 810-956, Bologna-Roma 1946, 382-399; A. PISCETTA – A. GENNARO, Elementa theologiae moralis, vol. III, Torino 1930, 102-114; P. PALAZZINI, Accessione, in EC, I, 185-187.
199 Reg. 42 iur. in VI. Principale vien detta la cosa a cui l’altra è subordinata.
Se delle cose l’una è immobile l’altra mobile, questa è accessoria, quella principale; se ambedue mobili la graduatoria è fatta in base al fine, al valore delle cose, ecc. All’accessione possono ridursi le seguenti figure principali: alluvione, avulsione, nuova isola, alveo abbandonato, in cui prevale l’opera della natura, e l’edificazione, la piantagione, l’unione, la commistione, la specificazione, in cui prevale l’industria umana.
200 Cfr. J. CREUSÉN, Prescription et mauvaise foi, in Nouv. Rev. Théol., 3 (1925) 179-188; F. LITT, La praescriptione acquisitiva, in Rev. eccl. de Liège, 29 (1937) 3-45; P. GISMONDI, La prescrizione estintiva nel diritto canonico. Roma 1940; A. CHERCHI, L’oggetto dell’usucapione nel nuovo codice civile, in Riv. di dir. civ., 33 (1941) 440-441, 469-470, R. LAPRAT, Prescription, in DTC, XIII, 123-126, E. GIUSIANA, Decadenza e prescrizione, Torino 1943; E. CROPALLO, Contributo alla teoria generale della prescrizione, Milano 1944; L. SCAVO LOMBARDO, II concetto di buona fede nel diritto canonico. Roma 1944; V. VANGHELUWE, De valore praescriptionis liberativae in conscientia, in Collationes brugenses, 44 (1948) 146-156; S. RICCOBONO, Mala fides superveniens nocet, in Apollinaris, 21. (1948) 25-55; R. SACCO, La buona fede nella teoria del fatti giuridici di diritto privato, Torino 1949.
201 Qui interessa solo la prescrizione acquisitiva; ma per connessione di materia si parla di ambedue.
202 1) II possesso è la detenzione della cosa o il godimento del diritto che uno ha o per se stesso o per mezzo di un altro, il quale detenga la cosa od eserciti il diritto in nome di lui e in modo legittimo. Il possesso è legittimo, quando sia continuo, non interrotto, pacifico, pubblico, non equivoco e con animo di ritenere la cosa come propria.
2) La buona fede è la ferma persuasione, per cui si giudica prudentemente che la cosa che si detiene è propria. Si distingue d’ordinario in teologica e giuridica: la prima riguardante piuttosto la persuasione oggettiva, l’altra la persuasione, che si basa su un qualche titolo esterno, almeno colorato, senza alcun vizio di forma;
3) II titolo è quasi causa atta a trasferire il dominio (donazione, compravendita, eredità ecc.). Detti titoli (o cause) possono essere: veri, se esistono oggettivamente e trasferiscono di per sé il dominio; colorati, se per difetto occulto, solo apparentemente trasmettono il dominio; precari, se solo transitoriamente concedono l’uso o l’usufrutto; estimati, se non sono veri per colpa di un terzo; presunti, se sono semplicemente supposti, ignorandosi se veramente esistono,
203 Acre è la controversia dei moralisti per determinate qui in che consista la buona fede in questa forma di prescrizione. La posizione, diciamo così, minimista è quella di alcuni moralisti che in questo caso dicono sufficiente la buona fede negativa o l’assenza di frode. Già il Card. De Lugo nel suo De iustitia et iure (Lione 1642, disp. VII, n. 48) si alzava a difendere questa tesi, in linea ipotetica. Pochi autori (cfr. A. Gennaro – A Piscetta, vol. III, Torino 1924, n. 175) la sostengono oggi in via di fatto, dicendo che, se giustamente la legge può concepire di invocare l’incuria del creditore, parimente può dare facoltà di permettere questa stessa incuria. Questa tesi non manca almeno di una probabilità estrinseca.
Ma la maggior parte dei teologi ritiene che l’obbligo è di prestare qualche cosa, non è quindi giusto prestarlo solo al momento della richiesta. La buona fede, allora si ha solo coll’ignoranza della propria obbligazione. Diversamente la prescrizione in coscienza non corre.
204 a) La cosa deve essere atta ad essere prescritta e per natura e per legge. Molte cose non cadono sotto la prescrizione e per natura propria (perché incapaci di prescrizione o perché di libera volontà) e per diritto. Secondo le varie specie di diritto, l’esenzione può venire: per diritto naturale, o positivo-divino, od ecclesiastico o civile.
b) Sia la prescrizione acquisitiva sia la liberativa, perché abbiano valore, richiedono un determinato spazio di tempo, prima del quale non si può prescrivere. È compito della competente autorità determinarlo. Si hanno così prescrizioni trentennali, ventennali, decennali, triennali, annuali, semestrali. Il diritto canonico rimanda alle determinazioni dei Codici nazionali, fatte alcune eccezioni: can. 1311 § 1-2; 1701, 1702, 1703.
205 Alessandro III e Innocenzo III (quest’ultimo nel Concilio Lateranense IV, cap. 21) hanno solennemente proclamato (c. 5 e 20, X, 2, 26); “Occorre che chi prescrive in nessun momento abbia coscienza di ritenere una cosa altrui “. E sempre nel diritto canonico si esige questa buona fede nella prescrizione dei beni ecclesiastici.
206 Cfr. V. HEYLEN, o. c, 203 nota 1.
207 Le leggi civili esigono ordinariamente questa buona fede nelle forme di prescrizione a minor termine.
208 Le leggi civili non sogliono richiedere alcun titolo nelle forme di prescrizione a lungo termine.
209 Per il CIC del 1917 cfr. can. 1509 n. 1.
210 Ancora per il CIC del 1917 cfr. can. 1509, 1504, 1507; e can. 1509 n. 3, 1510 per forme di imprescrittibilità relativa.
211 Nel diritto canonico simili brevi prescrizioni non esistono, ma esistono nei diritti civili.
212 Esigendo così la cauzione della buona fede.
213 FADDA, Concetti fondamentali nel diritto ereditario romano, Napoli 1900; POLACCO, Delle successioni, Roma 1928; F, LITT, De substitutione personae, de personis interpositis in materia liberalitatum, in Rev. eccl. de Liège, 30 (1939) 321-325; M. SCARLATA, FAZIO, La successione codicillare, Milano 1939; A. GALLARINI, Norme speciali per le successioni, in Perfice munus, 17 (1942) 408-409; A, GENNARO, De successione hereditaria, ib., 478 ss.; G. LUCCHI, Successione e donazione nella nuova legge (enti ecclesiastici), in Palestra del clero, 221 (1943) 10-11; F. ZUCCHELLI, II diritto ereditario secondo il nuovo codice, in Perfice munus, 18 (1943) 46-49; E. VANSTENBERGHE, Parents (devoirs des), in DTC, XI, 2003-2023; B. ALBANESE, La successione ereditaria nel diritto romano antico, in Annali del Seminario Giuridico della Università di Palermo, 20 (1949) 127-475; J. LECLERCQ, Lecons de droit naturel. II: La famille3, Namur 1950; G, PALAZZINI, Successione ereditaria, in EC, XI, 1472-1478; A. Cicu, Testamento, Milano 1951; G. BRUNELLI- A. ZAPPULLI, II libro delle successioni e donazioni, Milano s. a.; S. BORGHESE, II testamento e le successioni nella legge e nella pratica, Milano 1953.
214 I Codici civili determinano, tra l’altro, i rapporti di parentela entro cui va deferita la successione de cuius, quando manchi una disposizione testamentaria. Gli interessi della collettività e dello Stato vengono tutelati, ordinariamente, con appropriati sistemi fiscali.
215 ” Quello che dicemmo – dice Leone XIII nella Rerum novarum – in ordine al diritto di proprietà, inerente all’individuo, va applicato all’uomo come capo di famiglia; anzi tale diritto in lui è tanto più forte quanto più estesa e comprensiva è nel consorzio domestico la sua personalità”.
“Occorre che il diritto naturale di possedere e di trasmettere i propri beni per eredità – dice Pio XI – rimanga intatto ed inviolato, non potendo lo Stato sopprimerlo” (enc. Quadragesima anno: AAS 23 [1931] 193).
“È nello spirito della Rerum novarum – aggiunge Pio. XII – affermare che di regola solo quella stabilità che si radica in un proprio podere fa della famiglia la cellula vitale più perfetta e feconda della società, riunendo splendidamente con la sua coesione progressiva le generazioni presenti e future” (Messaggio di Pentecoste 1941: AAS 33 [1941] 157).
Da ciò si ricava che l’istituto dell’eredità ha come principale compito quello di provvedere alla Stabilità economica della famiglia ed è quindi di diritto naturale. Svolgendo questo concetto il Cathrein (Filosofia morale, II, 365) osserva: ” La famiglia ha in genere il fondamento nella proprietà come l’albero nella terra… Ma la famiglia può avere l’indipendenza e le qualità morali di cui abbisogna nell’adempimento dei suoi doveri, solamente nell’ipotesi del diritto ereditario e soprattutto dell’ultima volontà “.
216 V. CATHREIN, Filosofia morale, II, 365. Sul problema cfr. anche il così detto Codice dei Camaldoli: Per la comunità cristiana, Roma 1945, art. 83.
217 Cfr, F. DEGNI, La successione testamentaria, Padova 1956; R, DE RUGCERO – F, MAROI, Istituzioni di diritto privato, Milano 1940, 744-784; P. ALLARA, Il testamento, Padova 1941; L. BARASSI, Le successioni per causa di morte, Milano 1947; V. HEYLEN, Tractatus de iure et iustitia, Malines 1950, 292-519.
218 Ad es., per gli interdetti per incapacità di mente, i condannati all’ergastolo ecc.
219 È controverso se il diritto di testatore sia assoluto oppure vincolato da parte di un diritto del figli sui beni paterni. È comunque legittimo l’intervento del legislatore diretto a disciplinare l’esercizio di un simile diritto a favore soprattutto dei figli, cui viene riservata una quota parte (legittima) e del coniuge, cui ordinariamente vengono riservati alcuni diritti. Queste disposizioni sono ordinariamente eque e vanno rispettate anche in coscienza, sebbene vi possano essere dei casi, in cui sia al contrario equo non rispettarle (ad es. se si prevede che la legittima sarà presto dissipata da un figlio prodigo, mentre invece nelle mani di un altro può essere meglio conservata per sopperire a tempo opportuno alle necessità del primo).
220 Cfr. J. WISSER, De solemnitatibus piarum voluntatum in iure canonico, in Apollinaris, 20 (1947) 59-136.
221 Cfr. V. HEYLEN, o. c., 314 ss. e la bibliografia ivi citata, p. 315 not. 4,
222 Cfr. L. MARELLI, Istituzioni di diritto civile, Milano 1942; V. SCIALOIA, Negozi giuridici, Roma 1907, I. SALSMANS, A propos de l’interpretation des contrats, in Nouv. Rev. Théol. 51 (1924) 435-438; V, HEYLEN, o. e., 332 ss.; E. HOSTEN, De contractibus in genere, in Collationes brugenses, 24 (1924) 28S-296; 312-326.