"Cardinale Pietro Parente; Mons. Antonio Piolanti; Mons. Salvatore Garofalo: Voci selezionate dal Dizionario di Teologia Dogmatica". MATERIA E FORMA (dei sacramenti): ogni qual volta la Scrittura parla di un sacramento, lo presenta come un rito composto di cose e di parole: così il battesimo appare costituito da un lavacro sul quale viene pronunziata la formula trinitaria (Mt. 28,19; per gli altri sacramenti cfr. Atti 8,15-17; Mt. 26, 26-28; Iac. 5,14; Atti 6,6 ecc.).
Però la S. Scrittura non assegna importanza maggiore alle parole che alle cose, poi non congiunge il rito sensibile con il significato (cfr. Mt. 28,19 cfr. Rom. 6,3-11); enuncia finalmente soltanto in concreto che tutti i sacramenti sono composti di un gesto e di alcune parole. Queste tre indeterminazioni, alla maniera di tre piccole nubi, vengono dissipate man mano che i Padri e i Teologi s'inoltrano nell'analisi del composto sacramentale.
Nel secolo XII e XIII gli Scolastici avendo determinato esattamente il settenario sacramentale (cfr. q. v.) poterono con molta facilità enunziare in forma astratta che tutti i sacramenti risultano composti, nel loro segno sensibile, di cose (res) e di parole (verba); però, condotti da un profondo spirito sistematico, non si accontentarono di enunziarne il fatto, ma cercarono di illustrarne il modo adattando al mondo sacramentale la teoria ilemorfistica (dal gr. = materia, = forma), che sulle orme di Aristotile avevano applicato con grande successo al mondo fisico. Ecco la semplice riflessione da cui furono mossi: se nel composto fisico l'elemento potenziale e indeterminato si dice materia e l'elemento determinante e attuale si chiama forma, alla stessa maniera nel composto sacramentale l'elemento indeterminato si può dire materia e quello determinante forma; ora appare che nel rito del sacramento, per es. del battesimo, la cosa, ossia l'acqua, essendo indifferente a indicare sia il refrigerio che la purificazione, viene determinata a significare la purificazione dalle parole che chiaramente l'esprimono: «io ti battezzo, ossia ti lavo, nel nome del Padre, ecc.». E' dunque conveniente che l'acqua sia detta materia e le parole siano chiamate forma.
Alcuni scrittori acattolici (Harnack, Turmel) hanno gridato allo scandalo come se la teologia fosse stata asservita alla filosofia aristotelica.
La ragione sopra indicata mostra a sufficienza l'opportunità della terminologia ilemorfistica a proposito dei sacramenti; non è forse l'ufficio proprio del Teologo secondo l'insegnamento del Conc. Vaticano, illustrare il dogma «ex eorum quae naturaliter cognoscuntur, analogia»? (DE, 1796).
D'altra parte la Chiesa. cui Cristo non solo impose il dovere di custodire, ma anche commise il potere di formulare e adattare alla capacità dei fedeli il deposito della Rivelazione, da sette secoli ha adottata questa terminologia in parecchi documenti del suo magistero (cfr. DB, 672, 695, 914, 1963); ha dunque pieno diritto il Teologo cattolico di usare una formula che, oltre ad essere consacrata dal plurisecolare uso ecclesiastico, l'aiuta a chiarire molti punti oscuri della dottrina sacramentale.