Di Mons. José T. Martín de Agar, Professore ordinario nella Facoltà di Diritto canonico della Pontificia Università della Santa Croce (Roma). 1. Nozioni e note caratteristiche. 2. Coscienza e libertà civile di coscienza. 3. Magistero della Chiesa. 4. Il diritto civile. Saggio tratto da: www.usc.urbe.it/html/php/martinagar/
© José T. Martín de Agar[1]
Il conflitto tra legge umana e coscienza è antico come la storia dell’uomo; si è soliti fare al riguardo l’esempio primi cristiani, di Antigone, di Eleazar e dei fratelli chiamati Maccabei (2 Mac 6 e 7)[2]. Tuttavia la figura dell’obiezione di coscienza come la conosciamo oggi è relativamente recente, in quanto si colloca entro certe coordinate socio-politiche, che ora consentono di impostare come problema giuridico quello che prima era solo un dramma personale, che in nulla sembrava riguardare l’applicazione inesorabile della legge[3].
Solo in una società in cui il potere politico sia decisamente limitato dai diritti dei cittadini e controllato da istanze di potere indipendenti, e nella quale i governanti debbano avere il gradimento dell’opinione pubblica, cessa di essere ovvio che la legge debba prevalere sempre sulla coscienza di coloro a cui è rivolta.
È stato infatti necessario non solo un certo superamento del potere assoluto del governante, ma anche quello dell’assolutismo razionalista della legge, per ammettere che la soluzione dei conflitti di coscienza non debba demandarsi comodamente a una istanza divina, ma che deve essere affrontata anche nell’ambito del diritto civile. In fatti, il problema non è solo che il capo non può comandare tutto, è che ciò non può essere fatto nemmeno da una legge sebbene questa rappresenti formalmente la volontà della maggioranza[4]. Dal lato opposto nemmeno l’esercizio dell’autorità può sottomettersi in tutto alla coscienza di ogni individuo.
A questo bisogna aggiungere il pluralismo religioso che caratterizza la nostra società occidentale, con le conseguenti esigenze di adattamento culturale che tale fenomeno reclama come condizione di convivenza pacifica. Inoltre, l’esperienza dimostra che l’apparizione dell’obiezione è indice, oltre che di un certo livello di democrazia, anche di un certo livello di benessere generale, in quanto fenomeno che appare e si sviluppa nei paesi ricchi, per estendersi dopo ad altri.
Le fattispecie di obiezione si sono moltiplicate con singolare rapidità e varietà, e tutto fa pensare che il processo si prolungherà. È una galassia in espansione. Se l’obiezione al servizio militare ha segnalato in molti luoghi l’apparizione del fenomeno, immediatamente se ne sono sommate ad essa altre, sorte in diversi campi: fiscale, del lavoro, educativo, medico, ecc., dentro i quali si pongono a loro volta questioni specifiche molto varie.
Nello studio di questi conflitti bisogna distinguere il piano morale e teologico dalla prospettiva giuridica, piani diversi che tuttavia non si possono separare. Certamente i fondamenti etico-religiosi di tali conflitti, rimandano dal punto di vista cristiano a tematiche classiche della teologia morale, principalmente quelle che si riferiscono all’origine divina del potere, all’obbligo di coscienza di attenersi alle leggi, al dovere di obbedire a Dio prima che agli uomini, alla coscienza. Queste tematiche a loro volta pongono le questioni relative alla legge ingiusta: quando si deve e quando si può resistere ad essa (cosa che ha portato alcuni autori a distinguere tra obiezioni di coscienza obbligatorie e facoltative[5]), oppure quando la si deve o la si può tollerare in vista di un bene maggiore, ecc.
Dal punto di vista giuridico, l’obiezione di coscienza si presenta come un fenomeno di conflitto di interessi legittimi, che richiede soluzioni giuste entro le coordinate socio-poliche che abbiamo descritto. Le considerazioni che seguono, si propongono di suggerire la varietà dei problemi che presenta al giurista l’obiezione di coscienza. Logicamente la bibliografia sul tema si è anch’essa moltiplicata nei nostri giorni, ed è caratterizzata da un metodo che combina l’analisi delle soluzioni prudenziali dei casi particolari con considerazioni teoriche degli autori (personali, più che di una scuola) e cerca di stabilire i principi, le chiavi e i criteri generali del problema.
Infatti, oggi come oggi, l’obiezione di coscienza, in quanto questione di giustizia, presenta una plasticità dinamica difficile da inquadrare in modo unitario, tanto in sintesi sistematico-deduttive di teoria generale, quanto nelle previsioni astratte di una norma generale che permetta di risolvere i problemi muovendo da istanze legislative. Nel nostro caso teoria e legge vengono sempre dopo il problema reale, e anche così non poche volte l’evoluzione del fenomeno ha superato i loro confini. Ben presto, per esempio, la dottrina si è mostrata d’accordo sull’impossibilità di “trattare” i diversi presupposti di obiezione di coscienza secondo gli schemi dell’obiezione militare[6].
1. Nozioni e note caratteristiche
Appare pertanto arduo definire, dal punto di vista teorico, l’obiezione di coscienza; di fatto non pochi autori preferiscono parlare al plurale di obiezioni di coscienza, non solo per segnalare questa difficoltà, ma anche per sottolineare che è più conveniente accostarsi a un fenomeno tanto vario con gli strumenti della giurisprudenza piuttosto che con quelli della legge, che quasi sempre risultano insufficienti[7].
Le difficoltà non già a dare una nozione concettuale, ma a definire, a delimitare con precisione il fenomeno, non ci impediscono però di distinguere con una certa approssimazione una fattispecie tipica di obiezione di coscienza da altre fattispecie affini; allo stesso modo che le difficoltà di definire in modo compiuto che cosa sia il conflitto di coscienza, non ci impediscono di intuire quando ci troviamo di fronte ad uno di questi.
Per obiezione di coscienza si può intendere la resistenza personale a una prescrizione giuridica perché contraria a una prescrizione morale che si considera prevalente. Si tratta di un conflitto soggettivo irriducibile tra dovere giuridico e dovere morale, “il rifiuto, per motivi di coscienza, a realizzare un atto o una condotta che in linea di principio risulterebbe giuridicamente esigibile”[8].
Pertanto, indipendentemente dai problemi pratici, sembra che la motivazione che porta a trasgredire l’obbligo giuridico debba essere un giudizio di carattere etico (di coscienza, assiologico[9]), basato spesso su una credenza religiosa[10]. Se le ragioni che portano alla disobbedienza sono semplicemente ideologiche o politiche, il conflitto è di altro genere, non si può dire che sia di coscienza.
Il problema sta nel fatto che la coscienza umana, pur possedendo una luce naturale incancellabile, può essere informata da codici morali molto diversi (religiosi, filosofici, culturali), che il diritto, per mancanza di risorse tecniche, non coglie in modo preciso. Ne risulta, talvolta, la tendenza ad ammettere come obiezione di coscienza anche il rifiuto della norma per ragioni non specificamente morali[11].
In linea di principio c’è però un certo accordo sul fatto che la prescrizione deve essere oggetto di obiezione in quanto immorale, cioè in quanto esige una condotta che il soggetto considera immorale, in se stessa (obiezione diretta) o come cooperazione illecita alla condotta inmorale di altri (obiezione indiretta)[12]. Si rende quindi necessario distinguere tra prescrizione ingiusta e prescrizione immorale. Una norma può sembrarmi ingiusta e tuttavia non impormi nessuna condotta eticamente riprovevole: in questo caso a rigor di logica non posso appellarmi alla mia coscienza per tralasciare di compierla. L’obiezione di coscienza “rinvia certo al valore prioritario della persona rispetto allo Stato, ma in ultima analisi si radica nel possibile disvalore morale della legge civile”[13].
Con queste premesse alcuni autori hanno tentato, a ragione, di distinguere l’obiezione di coscienza dalla disobbedienza civile o resistenza passiva[14], sebbene tale distinzione non sempre sia chiara in pratica. Queste ultime consistono nella pacifica, collettiva mancanza di sottomissione a determinate leggi, al fine di indurre il potere a cambiare una politica o una legislazione che forse non ha nulla a che vedere con le leggi a cui si disobbedisce. Ad esempio se gli studenti decidono di non pagare il bus per protestare contro il rincaro delle tasse accademiche.
L’obiezione di coscienza, invece, è a rigore un conflitto personale, come lo è la coscienza; non si può però negare l’influsso che ha di fatto il numero di persone che obietta a uno stesso obbligo. D’altra parte, benché l’obiettore si proponga innanzitutto di evitare la trasgressione di un dovere morale, in alcune occasioni la sua resistenza è diretta anche a ottenere la deroga della legge cui fa obiezione. Così chi considera che non è moralmente lecito compiere il servizio militare, non sempre si accontenta soltanto del fatto di esserne personalmente esonerato, ma facilmente tende ad adottare un atteggiamento politico contrario all’esistenza di detto servizio obbligatorio e anche all’esistenza di un esercito.
Dall’ottica del diritto si possono distinguere i problemi che l’obiezione pone a livello di principio (giustificazione, ammissibilità, limiti), dalle soluzioni o dai mezzi tecnici che possono servire per affrontare, nella pratica, le diverse obiezioni.
2. Coscienza e libertà civile di coscienza[15]
Molto frequentemente le libertà di pensiero, di religione e di coscienza vengono enunciate insieme nelle Costituzioni e nei documenti internazionali di diritti umani anche se con una terminologia non uniforme: si parla indistintamente di libertà di religione, di culto o di coscienza, di convinzioni o di credenze, di pensiero o di ideologia. Ciò è comprensibile se si tiene conto che tutte le libertà suelencate convergono al fine pratico che si vuole raggiungere: tutelare quelle dimensioni più intime e definitorie dell’uomo come persona, la sua autodeterminazione come essere razionale e libero di fronte alle questioni più profonde e vitali.
D’altra parte, la stessa diversità di termini indica che esiste una certa distinzione tra gli ambiti di libertà ai quali ciascuno di questi concetti si riferisce. Alcuni autori distinguono la libertà di pensiero, di coscienza e di religione in quanto per il loro oggetto specifico esse si riferiscono rispettivamente agli atteggiamenti dell’uomo di fronte alla verità, al bene e a Dio[16].
La distinzione non è accademica, dato che tali istanze della persona hanno molte volte manifestazioni vitali peculiari che esigono una tutela giuridica specifica. Basti pensare alla dimensione comunitaria della religione, con la conseguente libertà e autonomia che si deve garantire anche alle confessioni religiose.
Già, perché al diritto interessano quelle manifestazioni sociali dell’esercizio delle libertà che implicano esigenze di giustizia; concretamente al diritto dello Stato interessano le manifestazioni che danno origine a relazioni giuridiche civili[17]. Così, per esempio, mentre difficilmente gli può interessare il modo in cui si vive il sacramento della confermazione nella Chiesa cattolica, sicuramente non capita lo stesso col matrimonio.
Ci sono manifestazioni del pensiero o della religione che danno luogo a diritti relativamente ben caratterizzati, quali la libertà di insegnamento e di cattedra, di stampa o di propaganda: questi aspetti eminentemente comunicativi solo in casi estremi pongono conflitti in uno Stato democratico. Però, andando più a fondo, le convinzioni filosofiche o religiose informano la coscienza dell’individuo, gli forniscono i parametri secondo i quali egli giudica sulla bontà o malizia di ciascuna delle sue azioni, delle quali si sa responsabile, sia davanti a Dio, che dinnanzi a se stesso e agli altri. La libertà implica responsabilità.
Quindi la peculiarità singolare della libertà di coscienza sta proprio nella sua dimensione pratica e universale. La coscienza mette l’uomo in relazione non già con la verità o il bene in quanto teoreticamente conosciuti, bensì con la verità e il bene che esigono da lui, come dovere etico, una condotta determinata.
La coscienza non si identifica con preferenze o gusti, opinioni o desideri; a volte è contraria ad essi e tuttavia esige obbedienza; tutti sentiamo l’impulso ad agire in conformità con essa e il rimprovero per non averlo fatto; perciò, la coscienza merita sempre rispetto anche da parte degli altri, come espressione dell’intimo della persona[18]. Questa sensibilità della nostra epoca per la coscienza come norma di condotta personale spiega il fenomeno dell’obiezione di coscienza e la sua distinzione da altre condotte semplicemente ribelli o asociali.
Proprio perché la coscienza è individuale, anche la libertà di coscienza è, in linea di principio, un diritto della singola persona, non implica di per sé manifestazioni collettive o di gruppo, anche se spesso viene messa in relazione con le dottrine di alcune confessioni o correnti di pensiero[19].
Il problema che viene posto al diritto è quindi il seguente: fino a che punto la libertà di credo o di convinzioni comporta la facoltà di agire conformemente ad esse, quando impongono il dovere morale di farlo, anche andando contro una prescrizione giuridica.
3. Magistero della Chiesa
La dottrina della Chiesa sulla libertà religiosa include come nucleo centrale di tale diritto civile l’esigenza che tutti “devono essere immuni dalla coercizione da parte sia di singoli, sia di gruppi sociali e di qualsivoglia potestà umana, e in modo tale che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità alla sua coscienza, privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata” (DH 2).
Per quanto attiene più specificamente la coscienza, la Chiesa “onora come sacra” la sua dignità “e la sua libera decisione” (GS 41b). Proprio “nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi” (GS 16); “l’uomo coglie e riconosce gli imperativi della legge divina attraverso la sua coscienza, che egli è tenuto a seguire fedelmente in ogni sua attività, per raggiungere il suo fine che è Dio. Non lo si deve quindi costringere ad agire contro la sua coscienza. Ma non si deve neppure impedirgli di operare in conformità ad essa, soprattutto in campo religioso” (DH 3), dentro i limiti del giusto ordine pubblico. Perché solamente liberi da coazione gli uomini possono compiere, in modo adeguato alla loro natura, il dovere morale che hanno davanti a Dio, di cercare la verità e di viverla (DH 2).
Riguardo all’obiezione di coscienza la dottrina cristiana si è da sempre ispirata al principio che non è lecito compiere nè cooperare al male, per cui “i cristiani, come tutti gli uomini di buona volontà, sono chiamati, per un grave dovere di coscienza, a non prestare la loro collaborzione formale a quelle pratiche che, pur ammesse dalla legislazione civile, sono in contrasto con la Legge di Dio”[20]. Concretamente, l’enciclica Evangelium vitae e altri documenti ricordano il grave dovere morale di opporre obiezione di coscienza all’aborto e all’eutanasia[21]. Nel caso dell’obiezione al servizio militare, l’ultimo Concilio afferma “le leggi provvedano umanamente al caso di coloro che, per motivi di coscienza, ricusano l’uso delle armi, mentre tuttavia accettano qualche altra forma di servizio della comunità umana” (GS 79c).
In questo contesto degli enunciati magisteriali, osserviamo che la libertà religiosa, al di là della mera libertà di culto, si risolve in buona misura nella possibilità di adeguare la propria condotta ai postulati della coscienza personale, soprattutto religiosa.
4. Il diritto civile
Diversamente, sia per la loro differente matrice filosofica che per la loro finalità pratica, le costituzioni e i documenti politici relativi ai diritti umani si limitano di solito a garantire le libertà e alcune delle loro manifestazioni pratiche; raramente contengono una esplicita e generale immunità di coazione, nel senso di una positiva affermazione che nessuno sarà costretto ad agire contro coscienza e, ancormeno che potrà agire sempre in modo conforme ad essa[22]. Alcuni di questi documenti piuttosto includono l’avvertenza generale e di principio che la libertà religiosa non esime dal rispetto delle leggi[23]; ciò non toglie che, in alcuni di questi stessi paesi, sia riconosciuta l’obiezione di coscienza militare, anche nella stessa costituzione[24].
Effettivamente, da un punto di vista strettamente giuridico, l’obiezione di coscienza è un problema di limiti, di collisioni fra interessi, doveri e diritti. Entrano in gioco, da una parte, gli ambiti di libertà personali di pensiero e di religione, dei quali la libertà di coscienza è manifestazione pratica; dall’altra i principi di obbedienza alle leggi e di uguaglianza, di solidarietà e di ordine pubblico.
Tuttavia l’obiezione di coscienza non può presentarsi semplicemente come contrapposizione tra interesse pubblico e interesse privato, giacché anche la possibilità (personale e collettiva) di fruire di diritti e di libertà forma parte principale del bene comune, che i poteri pubblici devono tutelare e promuovere. In questo senso, l’obiezione di coscienza deve essere vista piuttosto come un’ulteriore esigenza di coerenza e finezza per un ordinamento giuridico basato sul rispetto dei diritti umani[25].
Note:
[1] Versione italiana di Problemas jurídicos de la objeción de conciencia, in «Scripta Theologica» 27 (1995/2) 519-543.
[2] Cfr. p.e. S. Cotta, Coscienza e obiezione di coscienza (di fronte all’antropologia filosofica), in “Iustitia” XLV (1992), p. 110.
[3] Una valutazione di queste premesse in G. Lo Castro, Legge e coscienza, in “Quaderni di diritto e politica ecclesiastica”, (1989/2), p. 19 s. Cfr. G. Dalla Torre, Il primato della coscienza, Roma 1992, p. 99-103.
[4] Cfr. R. Navarro-Valls, Las objeciones de conciencia, in AA. VV., “Derecho Eclesiástico del Estado español”, 3ª ed., Pamplona 1993, p. 478. Si debe tuttavia osservare che l’assolutismo di Stato sussiste ancora per tanti versi.
[5] Da questo punto di vista D’Agostino considera vero obiettore solo chi obietta in forza di un dovere oggettivo (L’obiezione di coscienza nella prospettiva di una società democratica avanzata, in “Il Diritto Ecclesiastico”, (1992) P. I, p. 66). Cfr. V. Possenti, Sull’obiezione di coscienza, in “Vita e Pensiero”, (1992), p. 666; S. Cotta, Coscienza e Obiezione…, cit., p. 114-117; Commissione ecclesiale Giustizia e Pace (Conferenza Episcopale Italiana), Nota pastorale Educare alla legalità, n. 14, in “Notiziario della C.E.I.”, nº 8 (30.V.1991), p. 207-208.
[6] Cfr. F. Onida, Contributo a un inquadramento giuridico del fenomeno delle obiezioni di coscienza, in “Il Diritto Ecclesiastico”, (1982) P. I, p. 222-225.
[7] Cfr. R. Navarro-Valls, Las objeciones de conciencia, cit., p. 486; J. Martínez-Torrón, La objeción de conciencia en el derecho internacional, in “Quaderni di diritto e politica ecclesiastica” (1989/2), p. 150-151.
[8] J. Martínez-Torrón, La objeción de conciencia en el derecho internacional, in “Quaderni di diritto e politica ecclesiastica” (1989/2), p. 150.
[9] Cfr. F. D’Agostino, Obiezione di coscienza e verità del diritto tra moderno e postmoderno, in “Quaderni di diritto e politica ecclesiastica”, (1989/2), p. 3.
[10] “Indipendentemente dal fatto che [l’obiezione di coscienza] sia o meno basata su postulati di indole religiosa, la sua caratteristica principale è che si tratta di un atteggiamento di astensione di fronte a un dovere giuridico, mossa da imperativi morali che hanno per il soggetto il rango di suprema istanza normativa” (J. Martínez-Torrón, La objeción de conciencia en el derecho internacional, in “Quaderni di diritto e politica ecclesiastica” (1989/2), p. 150). Cf. M.J. Roca, La declaración de la propria religión o creencias en el Derecho español, Santiago de Compostela 1992, p. 347.
[11] In questo senso non mi sembra corretta l’affermazione di chi dice, per esempio, di rifiutare l’aborto solo per ragioni scientifiche. La scienza dimostra che nell’embrione, sin dal concepimento, c’è una vita umana distinta da quella della madre; ma è il giudizio morale sulla soppressione di questa vita che porta al rifiuto. È che in questo caso appare evidente come la legge morale risponde a una verità razionale, scientificamente dimostrabile, per cui non è necessario appellarsi a un codice religioso per fare obiezione all’aborto: basta invocare il diritto alla vita oppure la legge penale che vieta l’omicidio; ma questo èvero anche per tutta la morale naturale, benché in altri casi la ragionevolezza dei suoi precetti non appaia tanto evidente. Sul problema della moralità dell’obiezione di coscienza, vd. R. Bertolino, L’obiezione di coscienza moderna, Torino 1994, p. 10-13 e 18-21.
[12] Si può già osservare che questa possibilità di scontro indiretto tra un obbligo civile e la coscienza deve essere circoscritta entro certi limiti, dal momento che teoricamente qualunque azione o omissione realizzata in ossequio della legge può essere utilizzata da altri per fini immorali: nessuno mi può garantire che le mie tasse non andranno a sostenere qualche obiettivo contrario alla mia coscienza, o che l’acciaio alla cui produzione contribuisce un pacifista non finirà per far parte di un carro armato. Prieto Sanchís non ammette l’obiezione di coscienza indiretta considerando che deve trattarsi di una resistenza a una condotta personale imposta dalla legge (La objeción de conciencia como forma de desobediencia al derecho, in “Il Diritto Ecclesiastico”, (1984) P. I, p.15-16).
[13] V. Possenti, Sull’obiezione di coscienza, in “Vita e Pensiero”, (1992), p. 666.
[14] Cfr. L. Prieto Sanchís, La objeción de conciencia como…, cit., p. 7-18.
[15] Ci riferiamo a quella che nel magistero cattolico si chiama anche ‘libertà delle coscienze’, una libertà di ordine civile, non morale: cfr. Enc. Veritatis splendor, nn. 31-34.
[16] Cfr. P. J. Viladrich – J. Ferrer Ortiz, Los principios informadores del Derecho Eclesiástico español, in AA.VV., “Derecho Eclesiástico del Estado español”, 3ª ed., Pamplona 1993, p. 187-190; J. Hervada, Libertad de conciencia y error sobre la moralidad de una terapéutica, in “Persona y Derecho”, 11 (1984), p. 30-46; Id., Los eclesiasticistas ante un espectador, Pamplona 1993, p.183-224.
[17] Cfr. J. Hervada, Bases críticas para la construcción de la ciencia del Derecho Eclesiástico, in “Anuario de Derecho Eclesiástico del Estado”, III (1987), p. 32.
[18] Delle volte può però risultare difficile distinguere -soprattutto in campo giuridico- fra imperativo morale e questione di principio o di dignità, che potrebbero essere fondate sì su motivazioni etiche, ma anche sulla propria stima o le proprie opinioni.
[19] In questo senso, G. Dalla Torre, Il primato…, cit., p. 134-135.
[20] Enc. Evangelium vitae (EV), 74
[21] Nn 73-74; CCC 1903; Pontificio Consiglio della Pastorale per gli operatori sanitari, Carta degli operatori sanitari, Città del Vaticano 1994, p.104-109, dove si citano documenti precedenti.
[22] Si esclude però con carattere generale qualunque dicriminazione basata sulle convinzioni, e si riconoscono a volte immunità specifiche, come quella di non essere obbligato a manifestare le proprie convinzioni e quella di non essere forzato né impedito ad appartenere o sostenere una confessione, o partecipare ai suoi riti. Negli Stati Uniti, dopo la sentenza sul caso Reynolds (1879), che ha proibito la poligamia ai mormoni, restò segnata la distinzione tra libertà di credere (freedom to belive), che è assoluta, e libertà di agire (freedom to act), che può essere limitata se si contrappone ad un interesse statale prevalente.
[23] Per esempio, la costituzione danese (1953) ammonisce che nessuno per motivi religiosi o di origine potrà esimersi dal compiere “i normali doveri civici” (art. 70); la Costituzione dell’Islanda (1944) afferma che appartenere o meno a una confessione non influisce sui diritti e sui doveri civili (art. 64); secondo quella della Grecia (1975) nessuno sarà esonerato dal compiere i suoi doveri né potrà ricusare obbedienza alle leggi, a causa delle sue convinzioni religiose (art. 13. 5).
[24] Vd. tra le altre le costituzioni di Germania (Legge Fondamentale del 1949, art. 4 e art. 136 della Costituzione di Weimar); Spagna (1978, art. 30. 2), Portogallo (1975, art. 41, nn. 2 e 5) e Finlandia (1999, art 127).
[25] “Quanto al lato positivo -dice Possenti-, l’esercizio fondato di critica e resistenza morali è un bene e può condurre ad un incremento di civiltà, e non andrebbe quindi immediatamente valutato come un pericolo per la convivenza sociale, quanto piuttosto come un’importante risorsa capace di mantenere movimento e novità in essa. D’altro canto non può essere accolta l’idea di una applicazione illimitata dell’obiezione di coscienza, pena la frantumazione dell’ordinamento giuridico e l’attacco al principio dell’obbligatorietà della legge” (Sull’obiezione di coscienza, cit., p. 665).