Lo Spirito Santo

…Giovanni Paolo II, Enciclica Dominum et vivificantem: tra lo Spirito Santo e Cristo sussiste, nell’economia della salvezza, un intimo legame…


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Giovanni Paolo II
Dominum et vivificantem



18 maggio 1986


INTRODUZIONE


1. La Chiesa professa la sua fede nello Spirito Santo come in colui “che è Signore e dà la vita”. Così essa professa nel Simbolo di Fede, detto niceno-costantinopolitano dal nome dei due Concili — di Nicea (a. 325) e di Costantinopoli (a. 381) —, nei quali fu formulato o promulgato. Ivi si aggiunge anche che lo Spirito Santo “ha parlato per mezzo dei profeti”. Sono parole che la Chiesa riceve dalla fonte stessa della sua fede, Gesù Cristo. Difatti, secondo il Vangelo di Giovanni, lo Spirito Santo è donato a noi con la nuova vita, come annuncia e promette Gesù il grande giorno della festa dei Tabernacoli: “Chi ha sete venga a me, e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura, fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno”.E l’evangelista spiega: “Questo egli disse riferendosi allo Spirito, che avrebbero ricevuto i credenti in lui”. È la stessa similitudine dell’acqua usata da Gesù nel colloquio con la Samaritana, quando parla della “sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna” e nel colloquio con Nicodemo, quando annuncia la necessità di una nuova nascita “dall’acqua e dallo Spirito” per “entrare nel Regno di Dio”. La Chiesa, pertanto, istruita dalla parola di Cristo, attingendo all’esperienza della Pentecoste ed alla propria storia apostolica, proclama sin dall’inizio la sua fede nello Spirito Santo come in colui che dà la vita, colui nel quale l’imperscrutabile Dio uno e trino si comunica agli uomini costituendo in essi la sorgente della vita eterna.


2. Questa fede, professata ininterrottamente dalla Chiesa, deve essere sempre ravvivata ed approfondita nella coscienza del Popolo di Dio. Nell’ultimo secolo ciò è avvenuto più volte: da Leone XIII, che pubblicò l’Epistola Enciclica Divinum illud munus (a. 1897), interamente dedicata allo Spirito Santo, a Pio XII, che nella Lettera Enciclica Mystici Corporis (a. 1943) si richiamò allo Spirito Santo come a principio vitale della Chiesa, nella quale opera unitamente al capo del Corpo Mistico, Cristo; al Concilio Ecumenico Vaticano II, che ha fatto sentire il bisogno di una rinnovata attenzione alla dottrina sullo Spirito Santo, come sottolineava Paolo VI “Alla cristologia e specialmente all’ecclesiologia del Concilio deve succedere uno studio nuovo ed un culto nuovo sullo Spirito Santo, proprio come complemento immancabile all’insegnamento conciliare”. Nella nostra epoca, dunque, siamo nuovamente chiamati dalla sempre antica e sempre nuova fede della Chiesa ad avvicinarci allo Spirito Santo come a colui che dà la vita. Ci viene qui in aiuto e ci è di sprone anche la comune eredità con le Chiese orientali le quali hanno gelosamente custodito le straordinarie ricchezze dell’insegnamento dei Padri intorno allo Spirito Santo. Anche per questo possiamo dire che uno dei più importanti eventi ecclesiali degli ultimi anni è stato il XVI centenario del I Concilio di Costantinopoli, celebrato contemporaneamente a Costantinopoli ed a Roma nella solennità della Pentecoste del 1981. Lo Spirito Santo è meglio apparso allora, grazie alla meditazione sul mistero della Chiesa, come colui che indica le vie che portano all’unione dei cristiani, anzi come la fonte suprema di questa unità, che proviene da Dio stesso ed alla quale san Paolo ha dato un’espressione particolare con le parole con cui non di rado inizia la liturgia eucaristica: “La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l’amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo sia con tutti voi”. Da questa esortazione hanno preso, in un certo senso avvio e ispirazione le precedenti Encicliche Redemptor homonis e Dives in misericordia, le quali celebrano l’evento della nostra salvezza compiutosi nel Figlio, mandato dal Padre nel mondo, “perché il mondo si salvi per mezzo di lui” e “ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore a gloria di Dio Padre”. Da questa stessa esortazione nasce ora la presente Enciclica sullo Spirito Santo, che procede dal Padre e dal Figlio e con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato: Persona divina, egli è al cuore stesso della fede cristiana ed è la sorgente e la forza dinamica del rinnovamento della Chiesa. Essa è stata attinta dal profondo dell’eredità del Concilio. I testi conciliari, infatti, grazie al loro insegnamento sulla Chiesa in sé e sulla Chiesa nel mondo, ci stimolano a penetrare sempre più nel mistero trinitario di Dio stesso, seguendo l’itinerario evangelico, patristico e liturgico: al Padre — per Cristo — nello Spirito Santo. In tal modo la Chiesa risponde anche a certe istanze profonde, che ritiene di leggere nel cuore degli uomini d’oggi: una nuova scoperta di Dio nella sua trascendente realtà di Spirito infinito, come lo presenta Gesù alla Samaritana; il bisogno di adorarlo “in spirito e verità” la speranza di trovare in lui il segreto dell’amore e la forza di una “nuova creazione” sì, proprio colui che dà la vita. Ad una tale missione di annunciare lo Spirito la Chiesa si sente chiamata, mentre insieme con la famiglia umana si avvicina al termine del secondo Millennio dopo Cristo. Sullo sfondo di un cielo e di una terra che “passano”, essa sa bene che acquistano una particolare eloquenza le “parole che non passeranno”. Sono le parole di Cristo sullo Spirito Santo, sorgente inesauribile dell'”acqua che zampilla per la vita eterna”, quale verità e grazia salvatrice. Su queste parole essa vuol riflettere, a queste parole vuol richiamare i credenti e tutti gli uomini, mentre si prepara a celebrare — come si dirà più avanti — il grande Giubileo che segnerà il passaggio dal secondo al terzo Millennio cristiano. Naturalmente, le considerazioni che seguono non intendono esplorare compiutamente la ricchissima dottrina sullo Spirito Santo, né privilegiare una qualche soluzione di questioni ancora aperte. Esse hanno lo scopo precipuo di sviluppare nella Chiesa la coscienza che “è spinta dallo Spirito Santo a cooperare, perché sia portato a compimento il disegno di Dio, il quale ha costituito Cristo principio di salvezza per il mondo intero”.


PARTE I – LO SPIRITO DEL PADRE E DEL FIGLIO, DATO ALLA CHIESA


1. Promessa e rivelazione di Gesù turante la Cena pasquale


3. Quando era ormai imminente per Gesù Cristo il tempo di lasciare questo mondo, egli annunciò agli apostoli “un altro consolatore”. L’evangelista Giovanni, che era presente, scrive che, durante la Cena pasquale precedente il giorno della sua passione e morte, Gesù si rivolse a loro con queste parole: “Qualunque cosa chiederete nel nome mio, io la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio… Io pregherò il Padre, ed egli vi darà un altro consolatore, perché rimanga con voi sempre, lo Spirito di verità”. Proprio questo Spirito di verità, Gesù chiama Paraclito — e parákletos vuol dire “consolatore”, e anche “intercessore”, o “avvocato”. E dice che è “un altro” consolatore, il secondo, perché egli stesso, Gesù, è il primo consolatore, essendo il primo portatore e donatore della Buona Novella. Lo Spirito Santo viene dopo di lui e grazie a lui, per continuare nel mondo, mediante la Chiesa, l’opera della Buona Novella di salvezza. Di questa continuazione della sua opera da parte dello Spirito Santo Gesù parla più di una volta durante lo stesso discorso di addio, preparando gli apostoli, riuniti nel Cenacolo, alla sua dipartita, cioè alla sua passione e morte in Croce. Le parole, alle quali faremo qui riferimento, si trovano nel Vangelo di Giovanni, Ognuna di esse aggiunge un certo contenuto nuovo a quell’annuncio e a quella promessa. Al tempo stesso, esse sono intrecciate intimamente tra di loro non solo dalla prospettiva dei medesimi eventi, ma anche dalla prospettiva del mistero del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, che forse in nessun passo della Sacra Scrittura trova un’espressione così rilevata come qui.


4. Poco dopo l’annuncio surriferito Gesù aggiunge: “Ma il consolatore, lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto”. Lo Spirito Santo sarà il consolatore degli apostoli e della Chiesa, sempre presente in mezzo a loro — anche se invisibile — come maestro della medesima Buona Novella che Cristo annunciò. Quell'”insegnerà” e “ricorderà” significa non solo che egli, nel modo a lui proprio, continuerà ad ispirare la divulgazione del Vangelo di salvezza, ma anche che aiuterà a comprendere il giusto significato del contenuto del messaggio di Cristo; che ne assicurerà la continuità ed identità di comprensione in mezzo alle mutevoli condizioni e circostanze. Lo Spirito Santo, dunque, farà sì che nella Chiesa perduri sempre la stessa verità, che gli apostoli hanno udito dal loro Maestro.


5. Nel trasmettere la Buona Novella, gli apostoli saranno associati in modo speciale allo Spirito Santo. Ecco come continua a parlare Gesù: “Quando verrà il consolatore, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza; e anche voi mi renderete testimonianza, perché siete stati con me fin dal principio”. Gli apostoli sono stati i testimoni diretti, oculari. Essi “hanno udito” e “hanno veduto con i propri occhi”, “hanno guardato” e perfino “toccato con le proprie mani” Cristo, come si esprime in un altro passo lo stesso evangelista Giovanni. Questa loro umana, oculare e “storica” testimonianza su Cristo si collega alla testimonianza dello Spirito Santo: “Egli mi renderà testimonianza”. Nella testimonianza dello Spirito di verità l’umana testimonianza degli apostoli troverà il supremo sostegno. E in seguito vi troverà anche l’interiore fondamento della sua continuazione tra le generazioni dei discepoli e dei confessori di Cristo, che si susseguiranno nei secoli. Se la suprema e più completa rivelazione di Dio all’umanità è Gesù Cristo stesso, la testimonianza dello Spirito ne ispira, garantisce e convalida la fedele trasmissione nella predicazione e negli scritti apostolici, mentre la testimonianza degli apostoli ne assicura l’espressione umana nella Chiesa e nella storia dell’umanità.


6. Ciò si rileva anche dalla stretta correlazione di contenuto e di intenzione con l’annuncio e la promessa appena menzionata, che si trova nelle parole successive del testo di Giovanni: “Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera; perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future”. Nelle precedenti parole Gesù presenta il consolatore, lo Spirito di verità, come colui che “insegnerà” e “ricorderà”, come colui che gli arenderà testimonianza”; ora dice: “Egli vi guiderà alla verità tutta intera”. Questo “guidare alla verità tutta intera”, in riferimento a ciò di cui gli apostoli “per il momento non sono capaci di portare il peso”, è in necessario collegamento con lo spogliamento di Cristo per mezzo della passione e morte di Croce, che allora, quando pronunciava queste parole, era ormai imminente. In seguito, tuttavia, diventa chiaro che quel “guidare alla verità tutta intera” si ricollega, oltre che allo scandalum Crucis, anche a tutto ciò che Cristo “fece ed insegnò”. Infatti, il mysterium Christi nella sua globalità esige la fede, poiché è questa che introduce opportunamente l’uomo nella realtà del mistero rivelato. Il “guidare alla verità tutta intera” si realizza, dunque, nella fede e mediante la fede: il che è opera dello Spirito di verità ed è frutto della sua azione nell’uomo. Lo Spirito Santo deve essere in questo la suprema guida dell’uomo, la luce dello spirito umano. Ciò vale per gli apostoli, testimoni oculari, che devono ormai portare a tutti gli uomini l’annuncio di ciò che Cristo “fece ed insegnò” e, specialmente, della sua Croce e della sua Risurrezione. In una prospettiva più lontana ciò vale anche per tutte le generazioni dei discepoli e dei confessori del Maestro, poiché dovranno accettare con fede e confessare con franchezza il mistero di Dio operante nella storia dell’uomo, il mistero rivelato che di tale storia spiega il senso definitivo.


7. Tra lo Spirito Santo e Cristo sussiste, dunque, nell’economia della salvezza, un intimo legame, per il quale lo Spirito opera nella storia dell’uomo come “un altro consolatore”, assicurando in maniera duratura la trasmissione e l’irradiazione della Buona Novella, rivelata da Gesù di Nazareth. Perciò, nello Spirito Santo Paraclito, che nel mistero e nell’azione della Chiesa continua incessantemente la presenza storica del Redentore sulla terra e la sua opera salvifica, risplende la gloria di Cristo, come attestano le successive parole di Giovanni: “Egli (cioè lo Spirito) mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l’annuncerà”. Con queste parole viene ancora una volta confermato tutto ciò che dicevano gli enunciati precedenti: “Insegnerà…, ricorderà…, renderà testimonianza”. La suprema e completa autorivelazione di Dio, compiutasi in Cristo, testimoniata dalla predicazione degli apostoli, continua a manifestarsi nella Chiesa mediante la missione dell’invisibile consolatore, lo Spirito di verità. Quanto intimamente questa missione sia collegata con la missione di Cristo, quanto pienamente essa attinga a questa missione di Cristo, consolidando e sviluppando nella storia i suoi frutti salvifici, è espresso dal verbo “prendere”: “Prenderà del mio e ve l’annuncerà”. Quasi a spiegare la parola “prenderà”, mettendo in chiara evidenza l’unità divina e trinitaria della fonte, Gesù aggiunge: ” Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo, ho detto che prenderà del mio e ve l’annuncerà”. Prendendo del “mio”, per ciò stesso egli attingerà a “quello che è del Padre”. Alla luce di quel “prenderà”, dunque, si possono spiegare ancora le altre parole sullo Spirito Santo, pronunciate da Gesù nel Cenacolo prima della Pasqua, parole significative: “È bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il consolatore; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò. E quando sarà venuto, egli convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio”. Occorrerà ritornare ancora su queste parole con una riflessione a parte.


2. Padre, Figlio e Spirito Santo


8. Caratteristica del testo giovanneo è che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo vengono nominati chiaramente come Persone, la prima distinta dalla seconda e dalla terza, e anche queste tra di loro. Gesù parla dello Spirito consolatore, usando più volte il pronome personale “egli” e, al tempo stesso, in tutto il discorso di addio, svela quei legami che uniscono reciprocamente il Padre, il Figlio e il Paraclito. Pertanto, “lo Spirito… procede dal Padre” e il Padre “dà” lo Spirito. Il Padre “manda” lo Spirito nel nome del Figlio, lo Spirito “rende testimonianza” al Figlio. Il Figlio chiede al Padre di mandare lo Spirito consolatore, ma afferma e promette, altresì, in relazione alla sua “dipartita” mediante la Croce: “Quando me ne sarò andato, ve lo manderò”. Dunque il Padre manda lo Spirito Santo nella potenza della sua paternità, come ha mandato il Figlio. ma, al tempo stesso, lo manda nella potenza della redenzione compiuta da Cristo — e in questo senso lo Spirito Santo viene mandato anche dal Figlio: “Ve lo manderò”. Bisogna qui notare che, se tutte le altre promesse fatte nel Cenacolo annunciavano la venuta dello Spirito Santo dopo la partenza di Cristo, quella contenuta nel testo di Giovanni 16, 7 s. include e sottolinea chiaramente anche il rapporto di interdipendenza, che si direbbe causale tra la manifestazione dell’uno e dell’altro: “Quando me ne sarò andato, ve lo manderò”. Lo Spirito Santo verrà, in quanto Cristo se ne andrà mediante la Croce: verrà non solo in seguito, ma a causa della redenzione compiuta da Cristo, per volontà ed opera del Padre.


9. Così nel discorso pasquale di addio si tocca — possiamo dire — l’apice della rivelazione trinitaria. Al tempo stesso, ci troviamo sulla soglia di eventi definitivi e di parole supreme, che alla fine si tradurranno nel grande mandato missionario, rivolto agli apostoli e, per loro mezzo, alla Chiesa: “Andate, dunque, e ammaestrate tutte le nazioni”, mandato che contiene, in certo senso, la formula trinitaria del battesimo: “Battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”. La formula rispecchia l’intimo mistero di Dio, della vita divina che è il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, divina unità della Trinità. Si può leggere il discorso di addio come una speciale preparazione a questa formula trinitaria, nella quale si esprime la potenza vivificante del Sacramento, che opera la partecipazione alla vita di Dio uno e trino, perché dà la grazia santificante come dono soprannaturale all’uomo. Per mezzo di essa questi viene chiamato e reso “capace” di partecipare all’imperscrutabile vita di Dio.


10. Nella sua vita intima Dio “è amore”, amore essenziale, comune alle tre divine Persone: amore personale è lo Spirito Santo, come Spirito del Padre e del Figlio. Per questo, egli “scruta le profondità di Dio”, come amore-dono increato. Si può dire che nello Spirito Santo la vita intima del Dio uno e trino si fa tutta dono, scambio di reciproco amore tra le divine Persone, e che per lo Spirito Santo Dio “esiste” a modo di dono. È lo Spirito Santo l’espressione personale di un tale donarsi, di questo essere-amore. È Persona-amore. È Persona-dono. Abbiamo qui una ricchezza insondabile della realtà e un approfondimento ineffabile del concetto di persona in Dio, che solo la Rivelazione ci fa conoscere. Al tempo stesso, lo Spirito Santo, in quanto consostanziale al Padre e al Figlio nella divinità, è amore e dono (increato), da cui deriva come da fonte (fons vivus) ogni elargizione nei riguardi delle creature (dono creato): la donazione dell’esistenza a tutte le cose mediante la creazione. la donazione della grazia agli uomini mediante l’intera economia della salvezza. Come scrive l’apostolo Paolo: “L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che ci è stato dato”.


3. Il donarsi salvifico di Dio nello Spirito Santo


11. Il discorso di addio di Cristo durante la Cena pasquale è in particolare riferimento a questo “donare” e “donarsi” dello Spirito Santo. Nel Vangelo di Giovanni si svela quasi la “logica” più profonda del mistero salvifico contenuto nell’eterno disegno di Dio, come espansione dell’ineffabile comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. È la “logica” divina, che dal mistero della Trinità porta al mistero della redenzione del mondo in Gesù Cristo. La redenzione compiuta dal Figlio nelle dimensioni della storia terrena dell’uomo — compiuta nella sua “dipartita” per mezzo della Croce e della Risurrezione — viene, al tempo stesso, nella sua intera potenza salvifica, trasmessa allo Spirito Santo colui che “prenderà del mio”. Le parole del testo giovanneo indicano che, secondo il disegno divino, la “dipartita” di Cristo è condizione indispensabile dell'”invio” e della venuta dello Spirito Santo, ma dicono anche che allora comincia la nuova comunicazione salvifica di Dio nello Spirito Santo.


12. È un nuovo inizio in rapporto al primo, originario inizio del donarsi salvifico di Dio, che si identifica con lo stesso mistero della creazione. Ecco che cosa leggiamo già nelle prime parole del Libro della Genesi: “In principio Dio creò il cielo e la terra…, e lo spirito di Dio (ruah Elohim) aleggiava sulle acque”. Questo concetto biblico di creazione comporta non solo la chiamata all’esistenza dell’essere stesso del cosmo, cioè il donare l’esistenza, ma anche la presenza dello Spirito di Dio nella creazione, cioè l’inizio del comunicarsi salvifico di Dio alle cose che crea. Il che vale prima di tutto per l’uomo il quale è stato creato ad immagine e somiglianza di Dio: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza”. “Facciamo”: si può ritenere che il plurale, che il Creatore qui usa parlando di sé, suggerisca già in qualche modo il mistero trinitario, la presenza della Trinità nell’opera della creazione dell’uomo? Il lettore cristiano che conosce già la rivelazione di questo mistero, può scoprirne il riflesso anche in quelle parole. In ogni caso, il contesto del Libro della Genesi ci permette di vedere nella creazione dell’uomo il primo inizio del donarsi salvifico di Dio a misura dell'”immagine e somiglianza” di sé, da Lui concessa all’uomo.


13. Sembra, dunque che anche le parole pronunciate da Gesù nel discorso di addio debbano essere rilette in riferimento a quell'”inizio” così lontano, ma fondamentale, che conosciamo dalla Genesi “Se non me ne vado non verrà a voi il consolatore; ma, quando me ne sarò andato, ve lo manderò”. Descrivendo la sua “dipartita” come condizione della “venuta” del consolatore, Cristo collega il nuovo inizio della comunicazione salvifica di Dio nello Spirito Santo al mistero della redenzione. Questo è un nuovo inizio, prima di tutto perché tra il primo inizio e tutta la storia dell’uomo — cominciando dalla caduta originale — si è frapposto il peccato, che è contraddizione alla presenza dello Spirito di Dio nella creazione ed è, soprattutto, contraddizione alla comunicazione salifica di Dio all’uomo. Scrive san Paolo che, proprio a causa del peccato, “la creazione… è stata sottomessa alla caducità…, geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto” e “attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio”.


14. Perciò, Gesù Cristo dice nel Cenacolo: “È bene per voi che io me ne vada”. “Quando me ne sarò andato, ve lo manderò”. La “dipartita” di Cristo mediante la Croce ha la potenza della redenzione — e ciò significa anche una nuova presenza dello Spirito di Dio nella creazione: il nuovo inizio del comunicarsi di Dio all’uomo nello Spirito Santo. “E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, che grida: Abbà, Padre!”: scrive l’apostolo Paolo nella Lettera ai Galati. Lo Spirito Santo è lo Spirito del Padre, come testimoniano le parole del discorso di addio nel Cenacolo. Egli è, al tempo stesso, lo Spirito del Figlio: è lo Spirito di Gesù Cristo, come testimonieranno gli apostoli e, in particolare, Paolo di Tarso. Nell’invio di questo Spirito “nei nostri cuori” inizia a compiersi ciò che “la creazione stessa attende con impazienza”, come leggiamo nella Lettera ai Romani. Lo Spirito Santo viene a prezzo della “dipartita” di Cristo. Se tale “dipartita” ha causato la tristezza degli apostoli, e questa doveva raggiungere il suo culmine nella passione e nella morte del Venerdì Santo, a sua volta “questa afflizione si cambierà in gioia”. Cristo, infatti, inserirà nella sua “dipartita” redentrice la gloria della risurrezione e dell’ascensione al Padre. Pertanto, la tristezza, attraverso la quale traspare la gioia, è la parte che tocca agli apostoli nel quadro della “dipartita” del loro Maestro, una dipartita “benefica”, perché grazie ad essa un altro “consolatore” sarebbe venuto. A prezzo della Croce, operatrice della redenzione, nella potenza di tutto il mistero pasquale di Gesù Cristo, lo Spirito Santo viene per rimanere sin dal giorno della Pentecoste con gli apostoli, per rimanere con la Chiesa e nella Chiesa e, mediante essa, nel mondo. In questo modo si realizza definitivamente quel nuovo inizio della comunicazione del Dio uno e trino nello Spirito Santo per opera di Gesù Cristo, Redentore dell’uomo e del mondo.


4. Il Messia, unto con lo Spirito Santo


15. Si realizza anche fino in fondo la missione del Messia, cioè di colui che ha ricevuto la pienezza dello Spirito Santo per il Popolo eletto di Dio e per l’umanità intera. Letteralmente “Messia” significa “Cristo”, cioè “unto” e, nella storia della salvezza, significa “unto con lo Spirito Santo”. Tale era la tradizione profetica dell’Antico Testamento. Seguendola, Simon Pietro dirà nella casa di Cornelio: “Voi conoscete ciò che è accaduto in tutta la Giudea… dopo il battesimo predicato da Giovanni; cioè, come Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nazareth”. Da queste parole di Pietro e da molte altre simili occorre risalire prima di tutto alla profezia di Isaia, chiamata a volte “il quinto Vangelo” oppure “il Vangelo dell’Antico Testamento”. Alludendo alla venuta di un personaggio misterioso, che la rivelazione neotestamentaria identificherà con Gesù, Isaia ne collega la persona e la missione con una speciale azione dello Spirito di Dio Spirito del Signore. Ecco le parole del Profeta:


“Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse,


un virgulto germoglierà dalle sue radici.


Su di lui si poserà lo spirito del Signore,


spirito di sapienza e di intelligenza,


spirito di consiglio e di fortezza,


spirito di conoscenza e di timore del Signore.


Si compiacerà del timore del Signore”.


Questo testo è importante per l’intera pneumatologia dell’Antico Testamento, perché costituisce quasi un ponte tra l’antico concetto biblico dello “spirito”, inteso prima di tutto come “soffio carismatico”, e lo “Spirito” come persona e come dono, dono per la persona. Il Messia della stirpe di Davide (“dal tronco di Iesse”) è proprio quella persona, sulla quale “si poserà” lo Spirito del Signore. È ovvio che in questo caso non si può ancora parlare della rivelazione del Paraclito: tuttavia, con quell’accenno velato alla figura del futuro Messia si apre, per cosi dire, la via sulla quale vien preparata la piena rivelazione dello Spirito Santo nell’unità del mistero trinitario, che si manifesterà infine nella Nuova Alleanza.


16. Proprio il Messia stesso è questa via. Nell’Antica Alleanza l’unzione era divenuta il simbolo esterno del dono dello Spirito. Il Messia, ben più di ogni altro personaggio unto nell’Antica Alleanza, è quell’unico grande Unto da Dio stesso. È l’Unto nel senso che possiede la pienezza dello Spirito di Dio. Egli stesso sarà anche il mediatore nel concedere questo Spirito all’intero Popolo. Ecco, infatti, altre parole del Profeta:


“Lo Spirito del Signore Dio è su di me,


perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione;


mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai poveri,


a fasciare le piaghe dei cuori spezzati,


a proclamare la libertà degli schiavi,


la scarcerazione dei prigionieri,


a promulgare l’anno di misericordia del Signore”.


L’Unto è anche mandato “con lo Spirito del Signore”:


“Ora il Signore Dio ha mandato me insieme col suo spirito”. (Is. 48,16)


Secondo il Libro di Isaia l’Unto e l’Inviato insieme con lo Spirito del Signore è anche l’eletto Servo del Signore, sul quale si posa lo Spirito di Dio:


 


“Ecco il mio servo che io sostengo,


il mio eletto in cui mi compiaccio;


ho posto il mio spirito su di lui”.


Si sa che il Servo del Signore è rivelato nel Libro di Isaia come il vero uomo dei dolori: il Messia sofferente per i peccati del mondo. Ed insieme egli è proprio colui la cui missione porterà per l’intera umanità veri frutti di salvezza:


“Egli porterà il diritto alle nazioni…”. e diventerà “l’alleanza del popolo e luce delle nazioni…”; “perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra”.


Poiché:


“Il mio spirito, che è sopra di te, e le parole, che ti ho messo in bocca, non si allontaneranno dalla tua bocca né dalla bocca della tua discendenza né dalla bocca dei discendenti, dice il Signore, ora e sempre”.


I testi profetici, qui riportati, devono essere letti da noi alla luce del Vangelo — come, a sua volta, il Nuovo Testamento acquista una particolare chiarificazione dalla mirabile luce contenuta in questi testi vetero-testamentari. Il profeta presenta il Messia come colui che viene nello Spirito Santo, come colui che possiede la pienezza di questo Spirito in se e, al tempo stesso, per gli altri per Israele, per tutte le nazioni, per tutta l’umanità. La pienezza dello Spirito di Dio viene accompagnata da molteplici doni, i beni della salvezza, destinati in modo particolare ai poveri e ai sofferenti, a tutti coloro che a questi doni aprono i loro cuori — a volte mediante le dolorose esperienze della propria esistenza, ma, prima di tutto, con quella disponibilità interiore che viene dalla fede. Ciò intuiva il vecchio Simeone, “uomo giusto e pio”, sul quale “era lo Spirito Santo”, al momento della presentazione di Gesù al Tempio, quando scorgeva in lui la “salvezza preparata dinanzi a tutti i popoli” a prezzo della grande sofferenza — la Croce —, che avrebbe dovuto abbracciare insieme con sua Madre. Ciò intuiva ancor meglio la Vergine Maria, che “aveva concepito di Spirito Santo”, quando meditava in cuor suo sopra i “misteri” del Messia, a cui era associata.


17. Occorre quindi sottolineare che chiaramente lo “spirito del Signore”, che “si posa” sul futuro Messia, è, anzitutto, un dono di Dio per la persona di quel Servo del Signore. Ma costui non è una persona isolata e a sé stante, perché opera per volontà del Signore, in forza della sua decisione o scelta. Anche se alla luce dei testi di Isaia l’operare salvifico del Messia, Servo del Signore, include l’azione dello Spirito che si svolge mediante lui stesso, tuttavia nel contesto veterotestamentario non è suggerita la distinzione dei soggetti, o delle Persone divine, quali sussistono nel mistero trinitario e sono poi rivelate nel Nuovo Testamento. Sia in Isaia sia in tutto l’Antico Testamento la personalità dello Spirito Santo è completamente nascosta: nascosta nella rivelazione dell’unico Dio, come anche nell’annuncio del futuro Messia.


l8. Gesù Cristo si richiamerà a questo annuncio, contenuto nelle parole di Isaia, all’inizio della sua attività messianica. Ciò avverrà nella stessa Nazareth, nella quale aveva trascorso trent’anni di vita nella casa di Giuseppe, il carpentiere, accanto a Maria, sua Madre vergine. Quando ebbe occasione di prendere la parola nella Sinagoga, aperto il Libro di Isaia, egli trovò il passo in cui era scritto: “Lo spirito del Signore è sopra di me; per questo, mi ha consacrato con l’unzione” e, dopo aver letto questo brano, disse ai presenti: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura, che voi avete udito”. In questo modo confessò e proclarnò di esser colui che “è stato unto” dal Padre, di essere il Messia, cioè colui nel quale dimora lo Spirito Santo come dono di Dio stesso, colui che possiede la pienezza di questo Spirito, colui che segna il “nuovo inizio” del dono che Dio fa all’umanità nello Spirito.


 


 


5. Gesù di Nazareth, “elevato” nello Spirito Santo


19. Anche se nella sua patria di Nazareth Gesù non è accolto come Messia, tuttavia, all’inizio dell’attività pubblica la sua missione messianica nello Spirito Santo viene rivelata al popolo da Giovanni Battista. Questi, figlio di Zaccaria e di Elisabetta, annuncia presso il Giordano la venuta del Messia ed amministra il battesimo di penitenza. Egli dice: “Io vi battezzo con acqua, ma viene uno che è più forte di me, al quale io non son degno di sciogliere neppure il legaccio dei sandali: costui vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco”. Giovanni Battista annuncia il Messia-Cristo non solo come colui che “viene” nello Spirito Santo, ma anche come colui che “porta” lo Spirito Santo, come rivelerà meglio Gesù nel Cenacolo. Giovanni è qui l’eco fedele delle parole di Isaia, le quali nell’antico Profeta riguardavano il futuro, mentre nel suo proprio insegnamento lungo le rive del Giordano costituiscono l’introduzione immediata alla nuova realtà messianica. Giovanni è non solo un profeta, ma anche un messaggero: è il precursore di Cristo. Ciò che egli annuncia si realizza davanti agli occhi di tutti. Gesù di Nazareth viene al Giordano per ricevere anch’egli il battesimo di penitenza. Alla vista di colui che arriva, Giovanni proclama: “Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo”. Ciò dice per ispirazione dello Spirito Santo, rendendo testimonianza al compimento della profezia di Isaia. Al tempo stesso, egli confessa la fede nella missione redentrice di Gesù di Nazareth. Sulle labbra di Giovanni Battista “Agnello di Dio” è un’affermazione della verità intorno al Redentore, non meno significativa di quella usata da Isaia: “Servo del Signore”. Così, con la testimonianza di Giovanni al Giordano, Gesù di Nazareth, rifiutato dai propri concittadini, viene elevato agli occhi di Israele come Messia, cioè “Unto” con lo Spirito Santo. E tale testimonianza viene corroborata da un’altra testimonianza di ordine superiore, menzionata dai tre Sinottici. Infatti, quando tutto il popolo fu battezzato e mentre Gesù, ricevuto il battesimo, stava in preghiera, “il cielo si aprì e scese su di lui lo Spirito Santo in apparenza corporea, come una colomba” e, contemporaneamente, “vi fu una voce dal cielo, che disse: Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto “. E una teofania trinitaria, che rende testimonianza all’esaltazione di Cristo in occasione del battesimo al Giordano. Essa non solo conferma la testimonianza di Giovanni Battista, ma svela una dimensione ancora più profonda della verità su Gesù di Nazareth come Messia. Ecco: il Messia è il Figlio prediletto del Padre. La sua solenne esaltazione non si riduce alla missione messianica del “Servo del Signore”. Alla luce della teofania del Giordano, questa esaltazione raggiunge il mistero della stessa persona del Messia. Egli è esaltato, perché è il Figlio del divino compiacimento.


La voce dall’alto dice: “Il Figlio mio”.


20. La teofania del Giordano rischiara solo fugacemente il mistero di Gesù di Nazareth, la cui intera attività si svolgerà sotto la presenza attiva dello Spirito Santo. Tale mistero sarebbe stato da Gesù stesso svelato e confermato gradualmente mediante tutto ciò che “fece e insegnò”. Sulla linea di questo insegnamento e dei segni messianici che Gesù compì prima di giungere al discorso di addio nel Cenacolo, troviamo eventi e parole che costituiscono momenti particolarmente importanti di questa progressiva rivelazione. Così l’evangelista Luca, che ha già presentato Gesù “pieno di Spirito Santo” e “condotto dallo Spirito nel deserto”, ci fa sapere che, dopo il ritorno dei settantadue discepoli dalla missione affidata loro dal Maestro, mentre pieni di gioia gli raccontavano i frutti del loro lavoro, “in quello stesso istante Gesù esultò nello Spirito Santo e disse: — Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così ti è piaciuto”. Gesù esulta per la paternità divina; esulta, perché gli è dato di rivelare questa paternità; esulta, infine, quasi per una speciale irradiazione di questa paternità divina sui “piccoli”. E l’evangelista qualifica tutto questo come “esultanza nello Spirito Santo”. Una tale esultanza, in un certo senso, sollecita Gesù a dire ancora di più. Ascoltiamo: “Ogni cosa mi è stata affidata dal Padre mio, e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare”.


21. Ciò che durante la teofania del Giordano è venuto, per così dire, “dall’esterno”, dall’Alto, qui proviene “dall’interno”, cioè dal profondo di ciò che è Gesù. È un’altra rivelazione del Padre e del Figlio, uniti nello Spirito Santo, Gesù parla solo della paternità di Dio e della propria figliolanza — non parla direttamente dello Spirito che è amore e, per questo, unione del Padre e del Figlio. Nondimeno, quello che dice del Padre e di sé-Figlio scaturisce da quella pienezza dello Spirito, che è in lui e che si riversa nel suo cuore, pervade il suo stesso “io” ispira e vivifica dal profondo la sua azione. Di qui quell'”esultare nello Spirito Santo”. L’unione di Cristo con lo Spirito Santo, di cui egli ha perfetta coscienza, si esprime in quell'”esultanza”, che in certo modo rende percepibile la sua arcana sorgente. Si ha così una speciale manifestazione ed esaltazione, che è propria del Figlio dell’uomo, di Cristo-Messia la cui umanità appartiene alla Persona del Figlio di Dio, sostanzialmente uno con lo Spirito Santo nella divinità. Nella magnifica confessione della paternità di Dio Gesù di Nazareth manifesta anche se stesso, il suo “io” divino: egli, infatti, è il Figlio “della stessa sostanza” e, perciò, “nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio”, quel Figlio che “per noi uomini e per la nostra salvezza” si è fatto uomo per opera dello Spirito Santo ed è nato da una vergine, il cui nome era Maria.


6. Cristo risorto dice: “Ricevete lo Spirito Santo”


22. Grazie alla sua narrazione Luca ci conduce alla massima vicinanza con la verità contenuta nel discorso del Cenacolo. Gesù di Nazareth, “elevato” nello Spirito Santo, durante questo discorso-colloquio, si manifesta come colui che “porta” lo Spirito, come colui che lo deve portare e “dare” agli apostoli e alla Chiesa a prezzo della sua “dipartita” mediante la Croce. Col verbo “portare” qui si vuol dire, prima di tutto “rivelare”. Nell’Antico Testamento, fin dal Libro della Genesi lo spirito di Dio è stato in qualche modo fatto conoscere dapprima come “soffio” di Dio che dà la vita, come “soffio vitale” soprannaturale. Nel Libro di Isaia è presentato come un “dono” per la persona del Messia come colui che su di lui si posa, per guidare dall’interno tutta la sua attività salvifica. Presso il Giordano l’annuncio di Isaia si è rivestito di una forma concreta: Gesù di Nazareth è colui che viene nello Spirito Santo e lo porta come dono proprio della sua stessa persona, per espanderlo attraverso la sua umanità: “Egli vi battezzerà in Spirito Santo”. Nel Vangelo di Luca è confermata e arricchita questa rivelazione dello Spirito Santo, come intima sorgente della vita e dell’azione messianica di Gesù Cristo. Alla luce di ciò che Gesù dice nel discorso del Cenacolo, lo Spirito Santo viene rivelato in un modo nuovo e più pieno. Egli è non solo il dono alla persona (alla persona del Messia), ma è una Persona-dono. Gesù ne annuncia la venuta come quella di “un altro consolatore”, il quale, essendo lo Spirito di verità, condurrà gli apostoli e la Chiesa “alla verità tutta intera”. Ciò si compirà in ragione della speciale comunione tra lo Spirito Santo e Cristo: “Prenderà del mio e ve l’annuncerà”. Questa comunione ha la sua fonte originaria nel Padre “Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo, ho detto che prenderà del mio e ve l’annuncerà”. Provenendo dal Padre, lo Spirito Santo è mandato dal Padre. Lo Spirito Santo prima è stato mandato come dono per il Figlio che si è fatto uomo, per adempiere gli annunci messianici. Dopo la “dipartita” di Cristo-Figlio, secondo il testo giovanneo, lo Spirito Santo ” verrà” direttamente — è la sua nuova missione — a completare l’opera stessa del Figlio. Così sarà lui a portare a compimento la nuova èra della storia della salvezza.


23. Ci troviamo sulla soglia degli eventi pasquali. La nuova, definitiva rivelazione dello Spirito Santo come Persona che è il dono, si compie proprio in questo momento. Gli eventi pasquali — la passione, la morte e la risurrezione di Cristo — sono anche il tempo della nuova venuta dello Spirito Santo, come Paraclito e Spirito di verità. Sono il tempo del “nuovo inizio” della comunicazione del Dio uno e trino all’umanità nello Spirito Santo, per opera di Cristo Redentore. Questo nuovo inizio è la redenzione del mondo: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito”.


Già nel “dare” il Figlio, nel dono del Figlio si esprime la più profonda essenza di Dio, il quale, come amore, è fonte inesauribile dell’elargizione. Nel dono fatto dal Figlio si completano la rivelazione e l’elargizione dell’eterno amore: lo Spirito Santo, che nelle imperscrutabili profondità della divinità è una Persona-dono, per opera del Figlio, cioè mediante il mistero pasquale, in modo nuovo viene dato agli apostoli e alla Chiesa e, per mezzo di essi, all’umanità e al mondo intero.


 


24. L’espressione definitiva di questo mistero si ha nel giorno della Risurrezione. In questo giorno Gesù di Nazareth, “nato dalla stirpe di Davide secondo la carne” — come scrive l’apostolo Paolo — viene “costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti”. Si può dire così che l'”elevazione” messianica di Cristo nello Spirito Santo raggiunga il suo zenit nella Risurrezione, nella quale egli si rivela anche come Figlio di Dio, “pieno di potenza”. E questa potenza, le cui fonti zampillano nell’imperscrutabile comunione trinitaria, si manifesta, prima di tutto, nel fatto che il Cristo risorto, se da una parte adempie la promessa di Dio, già espressa per bocca del Profeta: “Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, …il mio spirito”, dall’altra compie la sua stessa promessa, fatta agli apostoli con le parole: “Quando me ne sarò andato, ve lo manderò”. È lui: lo Spirito di verità, il Paraclito, mandato da Cristo risorto per trasformarci nella sua stessa immagine di risorto. Ecco: “La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”. Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”. Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo””. Tutti i particolari di questo testo-chiave del Vangelo di Giovanni hanno una loro eloquenza, specialmente se li rileggiamo in riferimento alle parole pronunciate nello stesso Cenacolo all’inizio degli eventi pasquali. Ormai questi eventi — il triduum sacrum di Gesù, che il Padre ha consacrato con l’unzione e mandato nel mondo — raggiungono il loro compimento. Il Cristo, che “aveva reso lo spirito” sulla Croce”, come Figlio dell’uomo e Agnello di Dio, una volta risorto, va dagli apostoli per “alitare su di loro” con quella potenza, di cui parla la Lettera ai Romani. La venuta del Signore riempie di gioia i presenti: “La loro afflizione si cambia in gioia”, come già aveva egli stesso promesso prima della sua passione. E soprattutto si avvera il principale annuncio del discorso di addio: il Cristo risorto, quasi avviando una nuova creazione, “porta” agli apostoli lo Spirito Santo. Lo porta a prezzo della sua “dipartita”: dà loro questo Spirito quasi attraverso le ferite della sua crocifissione: “Mostrò loro le mani e il costato”. È in forza di questa crocifissione che egli dice loro: “Ricevete lo Spirito Santo”. Si stabilisce così uno stretto legame tra l’invio del Figlio e quello dello Spirito Santo. Non c’è invio dello Spirito Santo (dopo il peccato originale) senza la Croce e la Risurrezione: “Se non me ne vado, non verrà a voi il consolatore”. Si stabilisce anche uno stretto legame tra la missione dello Spirito Santo e quella del Figlio nella redenzione. La missione del Figlio, in un certo senso, trova il suo “compimento” nella redenzione. La missione dello Spirito Santo “attinge” alla redenzione: “Egli prenderà del mio e ve l’annuncerà”. La redenzione viene totalmente operata dal Figlio come dall’Unto, che è venuto ed ha agito nella potenza dello Spirito Santo, offrendosi alla fine in sacrificio sul legno della Croce. E questa redenzione viene, al tempo stesso, operata costantemente nei cuori e nelle coscienze umane — nella storia del mondo — dallo Spirito Santo, che è l'”altro consolatore”.


7. Lo Spirito Santo e il tempo della Chiesa


25. “Compiuta l’opera che il Padre aveva affidato al Figlio sulla terra (cfr. Gv 17, 4), il giorno di Pentecoste fu inviato lo Spirito Santo per santificare di continuo la Chiesa, e i credenti avessero così, mediante Cristo, accesso al Padre in un solo Spirito” (cfr. Ef 7, 18). È questi lo Spirito di vita, la sorgente dell’acqua zampillante fino alla vita eterna (cfr. Gv 4, 14; 7, 38 s.), colui per mezzo del quale il Padre ridona la vita agli uomini, morti per il peccato, finché un giorno risusciterà in Cristo i loro corpi mortali (cfr. Rm 8, 10 s.)”. In questo modo il Concilio Vaticano II parla della nascita della Chiesa nel giorno della Pentecoste. Questo evento costituisce la definitiva manifestazione di ciò che si era compiuto nello stesso Cenacolo già la domenica di Pasqua. Il Cristo risorto venne e “portò” agli apostoli lo Spirito Santo. Lo diede loro dicendo: “Ricevete lo Spirito Santo”. Ciò che era avvenuto allora all’interno del Cenacolo, “a porte chiuse, più tardi, il giorno della Pentecoste si manifesta anche all’esterno, davanti agli uomini. Si aprono le porte del Cenacolo, e gli apostoli si dirigono verso gli abitanti e i pellegrini convenuti a Gerusalemme in occasione della festa, per rendere testimonianza a Cristo nella potenza dello Spirito Santo. In questo modo si adempie l’annuncio: “Egli mi renderà testimonianza; e anche voi mi renderete testimonianza, perché siete stati con me fin dal principio”. Leggiamo in un altro documento del Vaticano II: “Indubbiamente lo Spirito Santo operava nel mondo prima ancora che Cristo fosse glorificato. Ma fu nel giorno della Pentecoste che egli discese sui discepoli, per rimanere con loro in eterno, e la Chiesa apparve pubblicamente di fronte alla moltitudine, ed ebbe inizio mediante la predicazione e la diffusione del Vangelo in mezzo ai pagani”. Il tempo della Chiesa ha avuto inizio con la “venuta”, cioè con la discesa dello Spirito Santo sugli apostoli riuniti nel Cenacolo di Gerusalemme insieme con Maria, la Madre del Signore. Il tempo della Chiesa ha avuto inizio nel momento in cui le promesse e gli annunci, che così esplicitamente si riferivano al consolatore, allo Spirito di verità, hanno cominciato ad avverarsi in tutta potenza ed evidenza sugli apostoli, determinando così la nascita della Chiesa. Di questo parlano diffusamente e in molti passi gli Atti degli Apostoli dai quali risulta che, secondo la coscienza della prima comunità, di cui Luca esprime le certezze, lo Spirito Santo ha assunto la guida invisibile — ma in certo modo “percepibile” — di coloro che, dopo la dipartita del Signore Gesù, sentivano profondamente di essere rimasti orfani. Con la venuta dello Spirito essi si sono sentiti idonei a compiere la missione loro affidata. Si sono sentiti pieni di fortezza. Proprio questo ha operato in loro lo Spirito Santo, e questo egli opera continuamente nella Chiesa mediante i loro successori. La grazia dello Spirito Santo, infatti, che gli apostoli con l’imposizione delle mani diedero ai loro collaboratori, continua ad essere trasmessa nell’Ordinazione episcopale. I Vescovi poi col Sacramento dell’ordine rendono partecipi di tale dono spirituale i sacri ministri e provvedono a che, mediante il Sacramento della confermazione, ne siano corroborati tutti i rinati dall’acqua e dallo Spirito. Così, in certo modo, si perpetua nella Chiesa la grazia di Pentecoste. Come scrive il Concilio, “lo Spirito dimora nella Chiesa e nei cuori dei fedeli come in un tempio (cfr. I Cor 3, 16; 6,19), e in essi prega e rende testimonianza della loro adozione a figli (cfr. Gal 4, 6; Rm 8, 15-16.26). Egli introduce la Chiesa in tutta intera la verità (cfr. Gv 16,13), la unifica nella comunione e nel ministero, la edifica e dirige con i diversi doni gerarchici e carismatici, la arricchisce dei suoi frutti (cfr. Ef 4, 11;12; 1 Cor 12, 4; Gal 5, 22). Con la forza del Vangelo mantiene la Chiesa continuamente giovane, costantamente la rinnova e la conduce alla perfetta unione col suo Sposo”.


26. I passi riportati dalla Costituzione conciliare Lumen gentium ci dicono che, con la venuta dello Spirito Santo, ebbe inizio il tempo della Chiesa. Essi ci dicono pure che questo tempo, il tempo della Chiesa, perdura. Perdura attraverso i secoli e le generazioni Nel nostro secolo, in cui l’umanità si è ormai avvicinata al termine del secondo Millennio dopo Cristo, questo tempo della Chiesa si è espresso in modo speciale mediante il Concilio Vaticano II, come Concilio del nostro secolo. Si sa, infatti, che questo è stato in maniera speciale un Concilio “ecclesiologico”: un concilio sul tema della Chiesa. Al tempo stesso, l’insegnamento di questo Concilio è essenzialmente “pneumatologico”: permeato della verità sullo Spirito Santo, come anima della Chiesa. Possiamo dire che nel suo ricco magistero il Concilio Vaticano II contiene propriamente tutto ciò “che lo Spirito dice alle Chiese” in ordine alla presente fase della storia della salvezza. Seguendo la guida dello Spirito di verità e rendendo testimonianza insieme con lui, il Concilio ha dato una speciale conferma della presenza dello Spirito Santo consolatore. In certo senso, esso l’ha reso nuovamente “presente” nella nostra difficile epoca. Alla luce di questa convinzione si comprende meglio la grande importanza di tutte le iniziative miranti alla realizzazione del Vaticano II, del suo magistero e del suo indirizzo pastorale ed ecumenico. In questo senso vanno anche ben considerate e valutate le successive Assemblee del Sinodo dei Vescovi che mirano a far sì che i frutti della verità e dell’amore — i frutti autentici dello Spirito Santo — diventino un bene duraturo del Popolo di Dio nel suo pellegrinare terreno lungo il corso dei secoli. È indispensabile questo lavoro della Chiesa, mirante alla verifica ed al consolidamento dei frutti salvifici dello Spirito, elargiti nel Concilio. A questo scopo bisogna saperli attentamente “discernere” da tutto ciò che, invece, può provenire soprattutto dal “principe di questo mondo”. Questo discernimento è tanto più necessario nella realizzazione dell’opera del Concilio, in quanto questo si è aperto largamente al mondo contemporaneo, come appare chiaramente dalle importanti Costituzioni conciliari Gaudium et spes e Lumen gentium. Leggiamo nella Costituzione pastorale: “La loro comunità (dei discepoli di Cristo)… è composta di uomini, i quali, riuniti insieme in Cristo, sono guidati dallo Spirito Santo nel loro pellegrinaggio verso il Regno del Padre, e hanno ricevuto un messaggio di salvezza da propagare a tutti. Perciò, essa si sente realmente ed intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia”. “La Chiesa sa bene che soltanto Dio, al cui servizio è consacrata, dà risposta ai più profondi desideri del cuore umano, che non può mai essere pienamente saziato dai beni terreni”. “Lo Spirito di Dio… con mirabile provvidenza dirige il corso dei tempi e rinnova la faccia della terra”.


PARTE II – LO SPIRITO CHE CONVINCE IL MONDO QUANTO AL PECCATO


1. Peccato, giustizia e giudizio


27. Allorché Gesù, durante il discorso nel Cenacolo, annuncia la venuta dello Spirito Santo “a prezzo” della propria dipartita e promette: “Quando me ne sarò andato, ve lo manderò”, proprio nello stesso contesto aggiunge: “E quando sarà venuto, egli convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio”. Il medesimo consolatore e Spirito di verità, già promesso come colui che “insegnerà” e “ricorderà”, come colui che “renderà testimonianza”, come colui che “guiderà alla verità tutta intera”, con le parole ora citate viene annunciato come colui che “convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio”. Significativo sembra anche il contesto. Gesù collega questo annuncio dello Spirito Santo alle parole che indicano la propria “dipartita” mediante la Croce, ed anzi ne sottolineano la necessità: “E bene per voi che io me ne vada, perché se non me ne vado, non verrà a voi il consolatore”. Ma ciò che più conta è la spiegazione che Gesù stesso aggiunge a queste tre parole: peccato, giustizia, giudizio. Dice infatti così: “Egli convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio. Quanto al peccato, perché non credono in me; quanto alla giustizia, perché vado al Padre e non mi vedrete più; quanto al giudizio, perché il principe di questo mondo è stato giudicato”. Nel pensiero di Gesù il peccato, la giustizia, il giudizio hanno un senso ben preciso, diverso da quello che forse qualcuno sarebbe propenso ad attribuire a queste parole indipendentemente dalla spiegazione di chi parla. Questa spiegazione indica, altresì, come sia da intendere quel “convincere il mondo”, che è proprio dell’azione dello Spirito Santo. Qui è importante sia il significato delle singole parole, sia il fatto che Gesù le abbia unite tra loro nella stessa frase. “Il peccato”, in questo passo, significa l’incredulità che Gesù incontrò in mezzo ai “suoi”, cominciando dai concittadini di Nazareth. Significa il rifiuto della sua missione, che porterà gli uomini a condannarlo a morte. Quando successivamente parla della “giustizia”, Gesù sembra avere in mente quella giustizia definitiva, che il Padre gli renderà circondandolo con la gloria della risurrezione e dell’ascensione al Cielo: “Vado al Padre”. A sua volta, nel contesto del “peccato” e della “giustizia” così intesi, “il giudizio” significa che lo Spirito di verità dimostrerà la colpa del “mondo” nella condanna di Gesù alla morte di Croce. Tuttavia, il Cristo non è venuto nel mondo solamente per giudicarlo e condannarlo: egli è venuto per salvarlo. Il convincere del peccato e della giustizia ha come scopo la salvezza del mondo, la salvezza degli uomini. Proprio questa verità sembra essere sottolineata dall’affermazione che “il giudizio” riguarda solamente il “principe di questo mondo”, cioè Satana colui che sin dall’inizio sfrutta l’opera della creazione contro la salvezza, contro l’alleanza e l’unione dell’uomo con Dio: egli è “già giudicato” sin dall’inizio. Se lo Spirito consolatore deve convincere il mondo proprio quanto al giudizio, e per continuare in esso l’opera salvifica di Cristo.


28. Qui vogliamo concentrare la nostra attenzione principalmente su questa missione dello Spirito Santo che è di “convincere il mondo quanto al peccato”, ma rispettando al tempo stesso il contesto generale delle parole di Gesù nel Cenacolo. Lo Spirito Santo, che assume dal Figlio l’opera della redenzione del mondo, assume con ciò stesso il compito del salvifico “convincere del peccato”. Questo convincere è in costante riferimento alla “giustizia”, cioè alla definitiva salvezza in Dio, al compimento dell’economia che ha come centro il Cristo crocifisso e glorificato. E questa economia salvifca di Dio sottrae, in certo senso, l’uomo dal “giudizio”, cioè dalla dannazione, con la quale è stato colpito il peccato di Satana, “principe di questo mondo”, colui che a causa del suo peccato è divenuto “dominatore di questo mondo di tenebra”. Ed ecco che, mediante tale riferimento al “giudizio”, si schiudono vasti orizzonti per la comprensione del “peccato”, nonché della “giustizia”. Lo Spirito Santo, mostrando sullo sfondo della Croce di Cristo il peccato nell’economia della salvezza (si potrebbe dire: “il peccato salvato”), fa comprendere come sia sua missione “convincere” anche del peccato che è già stato giudicato definitivamente (“il peccato condannato”).


29. Tutte le parole, pronunciate dal Redentore nel Cenacolo alla vigilia della sua passione, si inscrivono nel tempo della Chiesa; prima di tutto, quelle sullo Spirito Santo come Paraclito e Spirito di verità. Esse vi si inscrivono in modo sempre nuovo, in ogni generazione, in ogni epoca. Ciò è confermato, per quanto riguarda il nostro secolo, dall’insieme dell’insegnamento del Concilio Vaticano II, specialmente della Costituzione pastorale “Gaudium et spes”. Molti passi di questo documento indicano chiaramente che il Concilio, aprendosi alla luce dello Spirito di verità, si presenta come l’autentico depositario degli annunci e delle promesse fatte da Cristo agli apostoli ed alla Chiesa nel discorso di addio: in modo particolare, di quell’annuncio, secondo il quale lo Spirito Santo deve “convincere il mondo quanto al peccato alla giustizia e al giudizio”. Ciò indica già il testo, nel quale il Concilio spiega come intende il “mondo”: “Il mondo che esso (il Concilio stesso) ha presente è perciò quello degli uomini, ossia l’intera famiglia umana nel contesto di tutte quelle realtà, entro le quali essa vive. il mondo che è teatro della storia del genere umano e reca i segni dei suoi sforzi, delle sue sconfitte e delle sue vittorie; il mondo che i cristiani credono creato e conservato dall’amore del Creatore, mondo certamente posto sotto la schiavitù del peccato, ma liberato da Cristo crocifisso e risorto, con la sconfitta del Maligno, affinché, secondo il disegno di Dio, sia trasformato e giunga al suo compimento”. In riferimento a questo testo molto sintetico bisogna leggere nella medesima Costituzione gli altri passi, intesi ad esporre con tutto il realismo della fede la situazione del peccato nel mondo contemporaneo, nonché di spiegare la sua essenza, partendo da diversi punti di vista. Quando Gesù, la vigilia di Pasqua, parla dello Spirito Santo come di colui che “convincerà il mondo quanto al peccato”, da una parte si deve dare a questa sua affermazione la portata più vasta possibile, in quanto comprende tutto l’insieme dei peccati nella storia dell’umanità. D’altra parte, però, quando Gesù spiega che questo peccato consiste nel fatto che “non credono in lui”, tale portata sembra restringersi a coloro che hanno rifiutato la missione messianica del Figlio dell’uomo, condannandolo alla morte di Croce. Ma è difficile non notare come questa portata più “ridotta” e storicamente precisata del significato del peccato si dilati fino ad assumere un’ampiezza universale a motivo dell’universalità della redenzione, che si è compiuta per mezzo della Croce. La rivelazione del mistero della redenzione apre la strada a una comprensione, nella quale ogni peccato, dovunque ed in qualsiasi momento commesso, viene riferito alla Croce di Cristo — e, dunque, indirettamente anche al peccato di coloro che “non hanno creduto in lui” condannando Gesù Cristo alla morte di Croce. Da questo punto di vista occorre ritornare all’evento della Pentecoste.


2. La testimonianza del giorno della Pentecoste


30. Nel giorno della Pentecoste trovarono la loro più esatta e diretta conferma gli annunci di Cristo nel discorso di addio e, in particolare, l’annuncio del quale stiamo trattando: “Il consolatore… convincerà il mondo quanto al peccato”. Quel giorno, sugli apostoli raccolti in preghiera insieme con Maria, Madre di Gesù, nello stesso Cenacolo, discese lo Spirito Santo promesso, come leggiamo negli Atti degli Apostoli: “Ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere di esprimersi”, “riconducendo in tal modo all’unità le razze disperse e offrendo al Padre le primizie di tutte le nazioni”. È chiaro il rapporto tra l’annuncio fatto da Cristo e questo evento. Noi vi scorgiamo il primo e fondamentale compimento della promessa del Paraclito. Questi viene mandato dal Padre, “dopo” la dipartita di Cristo, “a prezzo” di essa. Questa è dapprima una dipartita mediante la morte in Croce, e poi, quaranta giorni dopo la risurrezione, mediante l’ascensione al Cielo. Ancora nel momento dell’ascensione Gesù ordina agli apostoli “di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere che si adempisse la promessa del Padre”; “sarete battezzati in Spirito Santo, fra non molti giorni”; “riceverete forza dallo Spirito Santo, che scenderà su di voi, e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra””‘. Queste ultime parole racchiudono un’eco, o un ricordo dell’annuncio fatto nel Cenacolo. E il giorno della Pentecoste tale annuncio si avvera in tutta esattezza. Agendo sotto l’influsso dello Spirito Santo, ricevuto dagli apostoli durante la preghiera nel Cenacolo, davanti ad una moltitudine di gente di diverse lingue, radunata per la festa, Pietro si presenta e parla. Proclama ciò che certamente non avrebbe avuto il coraggio di dire in precedenza: “Uomini d’Israele, … Gesù di Nazareth — uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso operò fra voi per opera sua — dopo che, secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, fu consegnato a voi, voi l’avete inchiodato sulla croce per mano di empi e l’avete ucciso. Ma Dio lo ha risuscitato, sciogliendolo dalle angosce della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere”. Gesù aveva predetto e promesso: “Egli mi renderà testimonianza, … e anche voi mi renderete testimonianza”. Nel primo discorso di Pietro a Gerusalemme tale “testimonianza” trova il suo chiaro inizio: è la testimonianza intorno a Cristo crocifisso e risorto. Quella dello Spirito-Paraclito e degli apostoli. E nel contenuto stesso di tale prima testimonianza lo Spirito di verità per bocca di Pietro “convince il mondo quanto al peccato”: prima di tutto, quanto a quel peccato che è il rifiuto del Cristo fino alla condanna a morte, fino alla Croce sul Golgota. Proclamazioni di analogo contenuto si ripeteranno, secondo il testo degli Atti degli Apostoli, in altre occasioni e in diversi luoghi.


31. Fin da questa iniziale testimonianza della Pentecoste, l’azione dello Spirito di verità, che “convince il mondo quanto al peccato” del rifiuto di Cristo, è legata in modo organico con la testimonianza da rendere al mistero pasquale: al mistero del Crocifsso e del Risorto. E in questo legame lo stesso “convincere quanto al peccato” rivela la propria dimensione salvifica. È, infatti, un “convincere” che ha come scopo non la sola accusa del mondo, tanto meno la sua condanna. Gesù Cristo non è venuto nel mondo per giudicarlo e condannarlo, ma per salvarlo. Ciò viene sottolineato già in questo primo discorso, quando Pietro esclama: “Sappia, dunque, con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù, che voi avete crocifisso”. E in seguito, quando i presenti domandano a Pietro e agli apostoli: “Che cosa dobbiamo fare, fratelli?”, ecco la risposta: “Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo”. In questo modo il “convincere quanto al peccato” diventa insieme un convincere circa la remissione dei peccati, nella potenza dello Spirito Santo. Pietro nel suo discorso di Gerusalemme esorta alla conversione, come Gesù esortava i suoi ascoltatori all’inizio della sua attività messianica. La conversione richiede la convinzione del peccato, contiene in sé il giudizio interiore della coscienza, e questo, essendo una verifica dell’azione dello Spirito di verità nell’intimo dell’uomo, diventa nello stesso tempo il nuovo inizio dell’elargizione della grazia e dell’amore: “Ricevete lo Spirito Santo”. Così in questo “convincere quanto al peccato” scopriamo una duplice elargizione: il dono della verità della coscienza e il dono della certezza della redenzione. Lo Spirito di verità è il consolatore. Il convincere del peccato, mediante il ministero dell’annuncio apostolico nella Chiesa nascente, viene riferito — sotto l’impulso dello Spirito effuso nella Pentecoste — alla potenza redentrice di Cristo crocifisso e risorto. Così si adempie la promessa relativa allo Spirito Santo, fatta prima di pasqua: “Egli prenderà del mio e ve l’annuncerà”. Quando dunque, durante l’evento della Pentecoste, Pietro parla del peccato di coloro che “non hanno creduto” ed hanno consegnato ad una morte ignominiosa Gesù di Nazareth, egli rende testimonianza alla vittoria sul peccato: vittoria che si è compiuta, in certo senso, mediante il peccato più grande che l’uomo poteva commettere: l’uccisione di Gesù, Figlio di Dio, consostanziale al Padre! Similmente, la morte del Figlio di Dio vince la morte umana: “Ero mors tua, o mors”, come il peccato di aver crocifisso il Figlio di Dio “vince” il peccato umano! Quel peccato che si consumò a Gerusalemme il giorno del Venerdì santo — e anche ogni peccato dell’uomo. Infatti, al più grande peccato da parte dell’uomo corrisponde, nel cuore del Redentore, l’oblazione del supremo amore, che supera il male di tutti i peccati degli uomini. Sulla base di questa certezza la Chiesa nella liturgia romana non esita a ripetere ogni anno, durante la Veglia pasquale, “Ofelix culpa!”, nell’annuncio della risurrezione dato dal diacono col canto dell'”Exsultet!”.


32. Di questa verità ineffabile, però, nessuno può “convincere il mondo”, l’uomo, l’umana coscienza, se non egli stesso, lo Spirito di verità. Egli è lo Spirito, che “scruta le profondità di Dio”. Di fronte al mistero del peccato bisogna scrutare “le profondità di Dio” fino in fondo. Non basta scrutare la coscienza umana, quale intimo mistero dell’uomo, ma bisogna penetrare nell’intimo mistero di Dio, in quelle “profondità di Dio” che si riassumono nella sintesi: al Padre — nel Figlio — per mezzo dello Spirito Santo. È proprio lo Spirito Santo che le “scruta”, e da esse trae la risposta di Dio al peccato dell’uomo. Con questa risposta si chiude il procedimento del “convincere quanto al peccato”, come mette in evidenza l’eve