Le scoperte geografiche


Prof. A. Torresani. 5. 1 L’arrivo dei Portoghesi in India. 5. 2 Il felice errore di Colombo. 5. 3 Le nuove carte geografiche. 5. 4 Il crollo della popolazione americana. 5. 5 Cronologia essenziale. 5. 6 Il documento storico. 5. 7 In biblioteca


Cap. 5 Le scoperte geografiche



Nei secoli XIV e XV le navi erano migliorate, la velatura era aumentata tanto da poter fare a meno dei remi, l’orientamento era effettuato mediante la bussola e l’astrolabio che, in mano a piloti esperti, permettevano di giungere alla meta senza seguire la navigazione a vista lungo la costa. Il Portogallo mise a punto per primo il progetto di nuove rotte, sia per la maggiore esperienza dell’Oceano Atlantico, sia per la munifica attività del principe Enrico il Navigatore che seppe organizzare spedizioni al solo fine di verificare un’ipotesi, finanziandole in modo continuo. Il gran problema che affascinava geografi, armatori, capitani e commercianti di spezie era di scoprire se, con una rotta marittima, si potesse giungere in Oriente, nei luoghi di produzione delle spezie di cui si avevano notizie che apparivano poco meno che fantasiose. La stampa, il nuovo atteggiamento critico introdotto dall’Umanesimo, la conoscenza delle testimonianze dei geografi antichi si potevano raccogliere e confrontare con le esperienze dei navigatori più audaci, permettendo di scoprire le Azzorre e le Canarie, di raggiungere il Golfo di Guinea, di arrivare al Capo di Buona Speranza, di risalire il Canale del Mozambico e infine di approdare in India, entrando in contatto con i navigatori arabi che, da parte loro, avevano risolto il problema di raggiungere le isole delle spezie (Indonesia), la Cina e il Giappone.


A Colombo, che navigava per conto dei sovrani spagnoli, venne l’idea, studiata per anni prima di poterla realizzare, di arrivare in Oriente percorrendo una rotta diretta sempre verso Occidente. I suoi calcoli circa la dimensione della terra erano notevolmente errati: se non avesse incontrato l’America, che si affrettò a identificare con le Indie, il suo viaggio avrebbe avuto esito tragico.



5. 1 L’arrivo dei Portoghesi in India



Da millenni la navigazione nel Mediterraneo non presentava problemi. Le numerose isole permettono la navigazione a vista e quindi non occorrevano strumenti per fare il punto. Le navi viaggiavano dall’alba al tramonto perché di notte i capitani preferivano mettersi all’ancora o, ancor meglio, entrare in un porto. Non c’erano problemi di viveri perché la navigazione avveniva tra paesi densamente popolati.


I pirati Tranne in alcuni periodi felici, ci furono sempre pirati, in particolare lungo le coste africane e nel Mediterraneo orientale. Il modello di nave che finì per affermarsi era la galea o nave lunga con scarsa velatura e numerosi rematori. Il pericolo dei pirati rendeva necessaria la presenza a bordo di balestrieri, rendendo esiguo lo spazio riservato alle merci, che perciò dovevano essere poco ingombranti e di notevole valore per giustificare le spese di viaggio. Le navi in genere navigavano in convoglio per potersi prestare aiuto in caso di pericolo. Le galee erano navi da guerra, e quindi appartenevano allo Stato, che tuttavia ne concedeva l’uso ai privati che si riunivano in società per azioni.


Le caracche del Baltico Nell’Europa del Nord, invece, finì per affermarsi un modello di nave più tozza, con due alti castelli di prua e di poppa, con abbondanti vele. La caracca o nave tonda non aveva rematori e la manovra alle vele richiedeva un numero limitato di marinai; inoltre, la rarità dei pirati nei mari del Nord non esigeva la presenza di scorta militare.


La caravella iberica I costruttori e capitani iberici, avvezzi a navigare in un oceano, seppero unire le caratteristiche positive dei modelli di navi prevalenti nel Mediterraneo e nel Mare del Nord, mettendo a punto una nave slanciata che teneva bene il mare, con ampia velatura per fare a meno dei rematori, con stive abbastanza capaci e un alto castello di poppa: la caravella. Tali navi avevano una stazza da cento a duecento tonnellate e quindi erano relativamente piccole. La loro lunghezza non era superiore a trenta metri e perciò assomigliavano più a pescherecci, sebbene alberi e vele conferissero loro un aspetto maestoso. La caravella si dimostrò la nave più idonea per le esplorazioni geografiche. Una chiglia adeguata le permetteva di navigare anche con vento trasversale e la presenza di qualche cannone sulle fiancate la rendeva temibile.


La vita a bordo La vita sulle navi di allora non era piacevole. Il cibo era monotono, senza frutta e verdura: spesso, perciò, gli equipaggi si ammalavano di scorbuto. Solo verso la fine del XVI secolo i capitani inglesi cominciarono a imbarcare limoni. Non si conoscevano le malattie tropicali né le cause che le scatenavano. L’igiene sulle navi era primitiva e i marinai raramente praticavano costumi da gentiluomo. Le cure mediche erano primitive. Il capitano e il pilota erano gli unici ufficiali: dovevano imporre una disciplina rigorosa ricorrendo a mezzi severi senza esitazioni perché in caso di ammutinamento non era raro che fossero buttati in mare.


L’esplorazione dell’Africa Come abbiamo accennato, le tappe delle esplorazioni compiute sotto il patronato di Enrico il Navigatore iniziarono nel 1415 con la conquista di Ceuta in Marocco; nel 1435 avvenne l’occupazione di Madeira e delle Azzorre, mentre fallì la conquista delle Canarie occupate da qualche anno dai castigliani. Seguì un periodo di insuccessi dovuto al fallimento della conquista di Tangeri. A partire dal 1439 Nuño Tristan arrivò al Capo Blanco, stabilendo in Guinea le basi di un commercio fruttuoso di oro, avorio e schiavi. A Lagos fu fondata una compagnia commerciale, la prima d’oltremare. Sempre Nuño Tristan superò la foce del fiume Senegal. Infine due italiani, Alvise Ca’ da Mosto e Antoniotto Usodimare, al servizio di Enrico, giunsero alle isole del Capo Verde. Alla morte di Enrico il Navigatore, nel 1460, non era stato ancora risolto il problema del punto in cui si poteva doppiare la punta meridionale dell’Africa.


Viaggio di Bartolomeo Diaz Il Capo di Buona Speranza fu raggiunto per primo da Bartolomeo Diaz. Questi partì con tre navi nel 1486, giungendo verso la fine dell’anno nelle acque tempestose del Capo. Nel febbraio 1487 entrò nella Baia di Mosselbay dove gli indigeni apparvero ostili. Le navi proseguirono finché giunsero al Capo di Buona Speranza. Durante il viaggio furono lasciati due testimoni di pietra come segno della presa di possesso del luogo, in seguito ritrovati. Era così stata aperta la rotta per l’India.


Viaggio di Vasco de Gama A Vasco de Gama andò il merito di averla percorsa per primo. Partì da Lisbona con quattro caravelle nel luglio 1497. Fece scalo alle isole del Capo Verde, poi, invece di scegliere una navigazione sottocosta, prese il largo per superare la zona delle calme equatoriali in cui l’assenza di vento aveva disturbato non poco la precedente spedizione, trovando una corrente favorevole. Ancora una volta il doppiaggio del Capo di Buona Speranza fu reso difficile dalle cattive condizioni del mare. A Natale del 1497 arrivarono in vista della regione che da allora si chiama Natal. Proseguendo trovarono la foce del fiume Zambesi e poi dovettero fermarsi un mese per curare lo scorbuto. Si fermarono a lungo anche nel Mozambico dove incontrarono per la prima volta i mercanti arabi che non li accolsero di buon animo, sapendo di aver a che fare con futuri concorrenti. Approdarono a Mombasa nel Kenya e poi a Malindi, dove contrattarono i servizi di un pilota arabo che li guidò in India, approdando al porto di Calicut vicino a Goa.


Il ritorno in Portogallo Vasco de Gama e i suoi uomini si trattennero a Calicut tre mesi, impiegati per stringere accordi commerciali, ma ancora una volta i mercanti arabi provocarono incidenti. La partenza fu affrettata per cogliere il momento favorevole alla navigazione, perché spiravano i monsoni di terra favorevoli a chi lascia l’India. Dopo tre mesi giunsero in Africa, a Malindi. Poi la navigazione fu abbastanza tranquilla anche se la flotta giunse dimezzata in Guinea. Il ritorno a Lisbona fu ugualmente felice (1499).


Nuovi viaggi di Vasco de Gama In seguito Vasco de Gama tornò in India per reprimere ogni tentativo di ostacolare la presenza della flotta portoghese nell’Oceano Indiano e poi, nel 1524, per assumere la carica di viceré delle Indie con giurisdizione su un’area estesissima che il Portogallo cercava di controllare imponendo una specie di talassocrazia. Questa carica gli fu affidata per le sue doti eminenti di uomo atto al comando che sapeva essere terribile quando occorreva, ma anche prudente e flessibile quando superiori interessi lo esigevano.



5. 2 Il felice errore di Colombo



Scoperta e monopolizzata la rotta per l’Oriente intorno all’Africa, rimaneva l’altra possibilità, di attraversare l’Atlantico e di giungere alle Indie mediante una rotta che puntasse sempre a Occidente.


Cristoforo Colombo Cristoforo Colombo aveva meditato a lungo sulle carte geografiche e si era convinto della possibilità di un viaggio che mantenesse la rotta sempre diretta a Occidente. Chiese aiuto a un matematico, Paolo dal Pozzo Toscanelli, e infine (1484) propose il progetto a Giovanni II re del Portogallo per avere i necessari finanziamenti. Proprio in quel momento la rotta africana dava i suoi frutti e quindi mancava l’interesse di aprire un’altra rotta che poteva rivelarsi concorrenziale.


Colombo in Castiglia Colombo perciò si rivolse a Isabella di Castiglia, facendole intravedere l’aspetto religioso dell’impresa, ossia la diffusione del cristianesimo. La regina prese tempo, ma dopo la felice conclusione della guerra di Granada, Colombo ebbe tre caravelle e un equipaggio di novanta marinai col compito di “scoprire e conquistare isole e continenti dell’Oceano”.


Partenza della flotta di Colombo Le tre famose caravelle erano la Santa Maria, la Pinta e la Niña. La partenza avvenne dal porto di Palos il 2 agosto 1492. La prima tappa fu alle Canarie per effettuare alcuni lavori alle vele, poi fu dato l’ordine di salpare verso Ovest. Il viaggio fu fortunato, privo di particolari pericoli, tranne il mancato avvistamento di terra. Finalmente, quando le provviste d’acqua avevano raggiunto il livello di guardia, furono avvistate di notte alcune montagne. Il mattino del 12 ottobre furono poste le ancore in una grande baia dove ben presto si affollarono numerosi indigeni nudi. Il capitano generale della spedizione prese posto in una scialuppa, accompagnato dalla bandiera di Castiglia: appena sbarcato si inginocchiò, ringraziando Dio del felice esito del viaggio e chiamò l’isola San Salvatore (Bahamas).


Cuba e Haiti Sempre nel corso del primo viaggio Colombo approdò a Cuba e Haiti senza ancora esplorarle. La nave ammiraglia andò perduta a causa di uno scoglio sommerso. Tracce di oro furono trovate a Cuba, ma in misura ridotta. Colombo si rese conto che per ricavare frutti dalla sua scoperta occorreva tornare quanto prima in Spagna per procurarsi uomini, navi, cavalli, attrezzi, rifornimenti, armi. Lasciò l’equipaggio della nave affondata in un piccolo campo trincerato nell’isola di Haiti e riprese il mare. Ai sovrani spagnoli si proponeva di recare sei indiani, foglie di piante esotiche, un pappagallo e le tracce d’oro trovato.


Il viaggio di ritorno Il viaggio di ritorno fu travagliato: le due navi incapparono in furiose tempeste e si separarono. Finalmente arrivarono a Madeira dove poterono riunirsi. Ripartirono nel febbraio 1493 e la tempesta riprese finché arrivarono in prossimità delle coste del Portogallo, entrando nell’estuario del Tago. Il re del Portogallo Giovanni II voleva incontrare il fortunato comandante della spedizione, ma Colombo temeva complicazioni, e decise di partire appena le navi fossero in grado di riprendere il mare. Il 15 marzo Colombo entrò nel porto di Palos.


Secondo viaggio di Colombo Colombo doveva ripartire subito per quella terra che si ostinava a chiamare Indie, per portare aiuto ai 39 marinai rimasti e per sfruttare i vantaggi della scoperta. Fu allestita una flotta di 17 navi che partì nel settembre 1493, tenendo una rotta più meridionale rispetto al primo viaggio. Colombo fondò un altro insediamento a Nord-Est di Haiti chiamato Isabella. Poi esplorò la costa meridionale di Cuba e l’isola di Giamaica. Infine tornò a Isabella (Haiti) dove trovò la confusione più completa perché i coloni si erano dispersi alla ricerca di oro. Nel 1496 tornò a Cadice con una caravella, preceduto dal ritorno di altre 14.


Terzo viaggio di Colombo Nel maggio 1498 cominciò il terzo viaggio di Colombo, seguendo una rotta ancor più meridionale delle precedenti arrivando fino alle isole del Capo Verde, poi deviò verso Ovest, approdando a Trinidad al largo del Venezuela, sempre alla ricerca di un passaggio verso le isole delle spezie e dell’oro. Non essendo riuscito a mettere ordine nel caos che regnava a Haiti perdette la fiducia della corte di Spagna che inviò a Haiti un giudice per arrestare Colombo. Nel corso del processo Cristoforo Colombo fu riabilitato, ma la sua ora era passata.


Quarto viaggio di Colombo Nel 1502 Colombo iniziò il suo ultimo viaggio approdando alla Martinica, poi si diresse verso l’Honduras sempre alla ricerca di un passaggio verso Ovest, ma senza esito quindi la spedizione fu costretta a tornare in Spagna senza offrire nulla ai finanziatori. In seguito, fino alla morte, avvenuta in Valladolid nel 1506, Colombo non poté far altro che seguire i processi dai quali si riprometteva di riacquistare per sé e per il figlio i titoli e le prerogative che gli erano stati tolti, perché la scoperta era troppo grande per tenere in vita il primo contratto stipulato nel 1492, quando nessuno poteva immaginare l’esistenza di un nuovo continente.


Grandezza di Colombo La grandezza di Colombo va cercata nella formulazione di un’ipotesi razionale e nella capacità di trovare nella letteratura geografica antica e moderna gli elementi che la suffragassero. Partito da un errore iniziale, mantenuto a lungo, Colombo ha compiuto la più grande delle scoperte geografiche. Il nuovo continente non si chiama Colombia perché solo il Vespucci chiarì definitivamente l’errore. Fu, tuttavia, un errore felice che aprì la porta a una colonizzazione che, nonostante gli abusi, ha gettato le basi della civiltà atlantica.



5. 3 Le nuove carte geografiche



La notizia della scoperta del Nuovo Mondo si diffuse rapidamente: le rotte atlantiche, a differenza di quelle circumafricane non si potevano tener segrete perché bastava navigare sempre verso Ovest con la sicurezza di trovare qualcosa.


Giovanni e Sebastiano Caboto Due veneziani, Giovanni e Sebastiano Caboto, residenti a Bristol, convinsero il re Enrico VII ad affidare loro una nave per seguire una rotta settentrionale, alla latitudine dell’Inghilterra. Partirono nel 1497 e dopo 54 giorni approdarono nella Nuova Scozia, forse nei pressi di Cape Breton. Anch’essi pensarono di esser giunti nel Giappone, ma non trovarono né oro né spezie: solo densissimi banchi di merluzzi intorno all’isola di Terranova. L’opera di esplorazione fu proseguita da Sebastiano Caboto che raggiunse la foce dello Hudson.


I viaggi di Amerigo Vespucci Poi fu la volta del fiorentino Amerigo Vespucci che per conto della Spagna e del Portogallo compì quattro viaggi verso l’America meridionale, descrivendo per primo le coste del Brasile. Vespucci era un abile agente commerciale e anche un buon scrittore. Le sue relazioni di viaggio divennero una delle fonti più conosciute per tracciare la geografia del nuovo continente: fu tra i primi a intuire la verità, ossia che le terre da poco scoperte formavano come una barriera tra l’Europa e l’Estremo Oriente. Bisognava assegnare un nome al nuovo continente.


Il nuovo continente è chiamato America Questa iniziativa fu presa da un gruppo di dotti riuniti per preparare la prima edizione a stampa della Geografia di Claudio Tolomeo. Nell’introduzione del libro fu utilizzata una lettera del Vespucci che contraddiceva Tolomeo il quale citava solo tre continenti: il quarto fu perciò chiamato America. Subito fu posto il nuovo problema geografico di superare per mare questa barriera tra Europa e Asia. Le possibilità erano due: o attraverso un braccio di mare da Nord-Ovest, o attraverso uno da Sud-Ovest. L’unico passaggio realmente percorribile era il secondo e fu esplorato per la prima volta da Magellano.


Attriti tra Spagna e Portogallo Come si è detto, tranne che per i viaggi dei Caboto compiuti per conto dell’Inghilterra, che raggiunsero terre considerate inospitali, la maggior parte delle scoperte geografiche furono finanziate dai due Stati iberici, Spagna e Portogallo. Era inevitabile che sorgessero attriti tra i due paesi e perciò, prima di arrivare al conflitto si preferì ricorrere a un arbitrato per delimitare con chiarezza le sfere d’influenza.


Arbitrato del Papa A Tordesillas i rappresentanti delle due monarchie accettarono la decisione del papa Alessandro VI di dividere il mondo in due emisferi: la linea di demarcazione fu fissata a 600 leghe a Ovest delle isole del Capo Verde per includere le coste del Brasile esplorato per conto del Portogallo. Le terre a Ovest di quel meridiano appartenevano alla Spagna, se i suoi esploratori arrivavano per primi. Il papa esigeva in cambio di tale concessione che i regni iberici si impegnassero in un serio sforzo di evangelizzazione delle popolazioni indigene, che perciò andavano protette dalla rapacità dei conquistatori.


Pietro Martire di Anghiera L’interesse degli europei per il nuovo mondo cresceva sempre più. Enorme diffusione ebbero le Lettere dal Nuovo Mondo di Pietro Martire d’Anghiera, un prelato italiano che, trovandosi in Spagna, poteva avere informazioni di prima mano. Le notizie diffuse in Europa attirarono in America numerosi individui appartenenti al ceto della piccola nobiltà e una folla di irrequieti che contraevano debiti pur di procacciarsi un’armatura e un cavallo, cercando di arruolarsi al servizio di qualche capitano munito di patente per intraprendere una spedizione. Pochi di quegli avventurieri partivano con la famiglia. Appena sbarcati nelle Antille i nuovi venuti entravano in conflitto coi primi arrivati, i quali desideravano tranquilli coloni per coltivare la terra coi prodotti occidentali, dal momento che il cibo indigeno era poco appetitoso. Desideravano artigiani per costruire e rendere più confortevoli le case, e invece avevano a che fare con indisciplinati soldati in cerca di avventure per diventare ricchi e famosi.


Vasco Nuñez de Balboa Un esempio famoso è quello di Vasco Nuñez de Balboa, lo scopritore del Pacifico, o Mare del Sud come fu allora chiamato. Nuñez, dopo una giovinezza irrequieta, si imbarcò per l’America. Prese parte a una spedizione che costeggiò le isole dei Caraibi e poi raggiunse l’attuale Venezuela. Infine si fermò in una fattoria di Haiti. Ma il lavoro sedentario non gli andava bene e di nascosto si imbarcò su una nave destinata a una spedizione di soccorso nel Darien. Quando sbarcarono trovarono la situazione compromessa: gli indigeni avevano bruciato la piccola fortezza e le trenta case della città di San Sebastiano. Con la caratteristica democrazia dei conquistatori fecero un’assemblea per decidere che cosa fare. Nuñez de Balboa affermò che in un viaggio precedente era già entrato in quel golfo e che più a Occidente avevano trovato buona terra, un gran fiume e indiani che avvelenavano le frecce. Perciò decisero la fondazione di una nuova città, Santa Maria la Antigua, di cui il Nuñez fu nominato alcalde.


Presa di possesso del Pacifico Per accreditare la sua posizione, Nuñez de Balboa intraprese una spedizione contro gli indigeni. Avendo avuto notizia che a Occidente esisteva un gran mare, passato il quale c’era un paese ricco d’oro (è la prima allusione al Perù), il Nuñez allestì una spedizione di mille uomini, tra spagnoli e indigeni, a bordo di una nave e di dieci grandi canoe che sbarcò a Portobello nell’attuale Panama. Iniziò la scalata della catena di montagne che passa attraverso l’America centrale. Alcuni prigionieri divennero guide dell’impresa. Quando costoro fecero capire al Nuñez de Balboa che la cresta stava per esser raggiunta, egli fece fermare tutti e da solo si affrettò verso la vetta per osservare le acque del Mare del Sud, ordinando in seguito a un notaio di stilare la presa di possesso del nuovo Oceano e delle terre che ne erano bagnate (1513).


Seconda traversata del continente americano Se a Vasco Nuñez de Balboa toccò in sorte di attraversare il continente nel suo tratto più stretto, a un altro conquistatore, Alvaro Nuñez Cabeza de Vaca toccò in sorte di attraversare il continente americano più a Nord, dalla Florida allo Stato di Sonora nel Messico, nel corso di avventure che hanno dell’incredibile, rivelando la tempra di cui erano fatti quegli uomini. Alvaro Nuñez Cabeza de Vaca prese parte a una spedizione di 300 uomini al comando di Panfilo de Narvaez. Dopo essere sbarcati nella Baia di Tampa la spedizione penetrò all’interno raggiungendo le propaggini meridionali dei monti Appalachi. Inseguiti dagli indigeni raggiunsero il Mississippi dove costruirono alcune canoe per tornare nei pressi del mare. La fame li ridusse a quindici persone che praticarono l’antropofagia per la mancanza di qualunque alimento, praticamente schiavi degli indigeni. Ricorrendo a qualcosa di intermedio tra la medicina e lo sciamanesimo, in quattro tra cui un negro, passarono di tribù in tribù procedendo sempre verso Occidente fino a raggiungere il Rio Bravo all’altezza di El Paso, poi proseguirono fino allo Stato di Sonora dove trovarono alcuni spagnoli che li fecero tornare alla vita civile. L’avventura durò sette anni, rivelando l’enorme estensione del Texas e l’importanza del Mississippi come via d’acqua, peraltro non utilizzata perché le praterie risultarono inospitali.



5. 4 Il tracollo della popolazione americana



Dagli esempi citati appare chiaro che i rapporti dei conquistatori con gli indigeni non furono pacifici. Gli spagnoli si mostrarono in qualche caso crudeli e combatterono contro gli indigeni con l’astio di chi si sente solo in un ambiente ostile. Ci furono esecuzioni sommarie a scopo terroristico, massacri, ma non furono queste le cause del declino della popolazione delle Antille e dell’altopiano dell’Anahuac che si stende dal Messico fino al Perù.


Shock microbico Ora sappiamo che la densa popolazione incontrata da Colombo nei suoi primi viaggi e che è calcolata in circa 75 milioni di persone tracollò riducendosi a circa un decimo a causa dello shock microbico. Le popolazioni americane, vissute in completa segregazione dagli altri continenti, non avevano anticorpi immunizzanti contro certi agenti patogeni importati dagli europei e che non erano letali per costoro. Il morbillo, il vaiolo, la polmonite, la scarlattina fecero strage di indigeni, lasciando in vita solo quegli organismi che seppero produrre in tempo gli anticorpi. Il fatto che una così densa popolazione abbia potuto vivere in un’area non troppo estesa si spiega con le abitudini alimentari piuttosto limitate degli americani che si accontentavano di manioca e mais. Gli spagnoli, al contrario, gradivano carne, vino e pane di frumento quindi sconvolsero le coltivazioni tradizionali, introducendo piante nuove e animali come le vacche e le pecore, oltre ai cavalli, sconosciuti nel Nuovo Mondo.


Shock tecnologico In secondo luogo, l’introduzione presso popolazioni che avevano una tecnologia da età della pietra (non conoscevano l’uso dei metalli duri né la ruota, né avevano animali da traino), dei congegni meccanici europei e soprattutto della fretta europea, del dinamismo individualista che ogni colono impiegava per arricchire rapidamente, sconvolsero l’organizzazione sociale, il sistema di valori e ogni altra possibilità degli indigeni di conservare la propria cultura e la propria identità nazionale. I religiosi, soprattutto Francescani e Domenicani cercarono di apprendere le lingue locali, difendendo talora con successo gli americani da peggiori condizioni.


Las Casas Bartolomé de Las Casas dedicò la sua vita alla difesa degli indiani, inviando relazioni in Europa quanto mai opportune per promuovere una legislazione a favore degli indiani. L’imperatore Carlo V intervenne con la sua autorità lontana, ma pur sempre rispettata. Il sistema dell’encomienda, ossia l’affidamento di grandi estensioni di terra con gli indios residenti a un feudatario che finiva per trattarli da schiavi, fu gradualmente abbandonato. Gli indigeni temevano soprattutto il lavoro nelle miniere d’argento, estratto ancora con sistemi primitivi: portati lontano dal villaggio natale essi cadevano in una specie d’inerzia che li conduceva a morte.


Crollo delle società precolombiane Anche le società sviluppate degli Aztechi e degli Inca, appena entravano in contatto con la società occidentale crollavano come un castello di carte, non solo per la potenza delle armi da fuoco, ma anche perché non avevano nulla da contrapporre alla concezione economica, sociale e religiosa dei nuovi venuti, i quali, a loro volta, non capivano il dramma degli indigeni. Se qualche europeo cadeva nelle loro mani essi sapevano escogitare torture di inaudita ferocia che poi si ritorcevano contro di loro, peggiorandone la condizione.


Espansione della colonizzazione Lo slancio della colonizzazione continuò impetuoso: l’arrivo di donne dalla Spagna permetteva di formare nuove famiglie. Si costruirono città, chiese e perfino università ancora nel XVI secolo. I vescovi suddivisero il territorio in diocesi e cominciarono una regolare amministrazione ecclesiastica che abbastanza presto si rivolse all’evangelizzazione degli indigeni per i quali il battesimo significava l’acquisizione dei diritti civili. Furono frequenti i matrimoni o le unioni di fatto dei conquistatori di rango inferiore con donne indigene che misero al mondo figli meticci più resistenti alle malattie tanto micidiali nei primi anni della conquista.


Colonizzazione iberica e anglosassone Di fatto i conquistatori non praticarono un razzismo che segregasse gli indigeni entro riserve o che li votasse alla distruzione, come avvenne nell’America settentrionale da parte dei coloni anglosassoni, i quali si recarono nel Nuovo Mondo con le loro famiglie, insediandosi come agricoltori che distruggevano le foreste e abbattevano i bisonti, togliendo le basi di sussistenza dei pellerossa, sentiti come nemici da allontanare o da distruggere come inassimilabili.



5. 5 Cronologia essenziale



1415 Enrico il Navigatore inizia le esplorazioni africane.


1435 Il Portogallo occupa Madeira e le Azzorre qualche anno dopo l’occupazione delle Canarie da parte della Spagna.


1460 Morte di Enrico il Navigatore.


1488 Bartolomeo Diaz doppia il Capo di Buona Speranza.


1492 Cristoforo Colombo approda il 12 ottobre nelle Bahamas.


1493 Divisione del mondo colonizzabile, mediante arbitrato del papa Alessandro VI, tra Spagna e Portogallo mediante la bolla Inter coetera.


1497 I veneziani Giovanni e Sebastiano Caboto, per conto del re d’Inghilterra Enrico VII, raggiungono l’isola di Terranova.


1499 Vasco de Gama ritorna a Lisbona dall’India raggiunta dopo aver circumnavigato l’Africa.


1513 Vasco Nuñez de Balboa scopre l’Oceano Pacifico.



5. 6 Il documento storico



La lettura di Naufragi di Alvar Nuñez Cabeza de Vaca risulta quanto mai illuminante sulle condizioni di vita degli indigeni incontrati dai conquistatori, esseri sempre al limite dell’inedia per mancanza di cibo, di abiti, di abitazioni. Sono interessanti le annotazioni di costume che l’Autore inserisce nel suo racconto, certamente omettendo gli aspetti più crudi della sua singolare esperienza.



“Tutti gli indios che incontrammo, dall’isola di Mala Sorte fin qui, sogliono separarsi dalle proprie donne dal giorno in cui sono gravide finché i figli non hanno compiuto il secondo anno di vita. Le donne li allattano fino ai dodici anni, età in cui sono in grado di procurarsi il cibo da soli. Ci informammo sui motivi di questa loro abitudine e ci risposero che dipendeva dalla grande carestia che affliggeva quella terra e che spesso li costringeva, come anche noi ben sapevamo, a resistere per due, tre e perfino quattro giorni senza mangiare. Questo era il motivo di quel prolungato allattamento, unico modo per evitare che i bambini morissero di fame. Infatti, quei pochi che fossero sopravvissuti alla fame sarebbero cresciuti gracili e malaticci. E se per caso se ne ammalava uno orfano, lo lasciavano morire nei campi insieme a quanti, allo stremo delle forze, erano costretti a rimanere lì; se invece il malato era un parente, un figlio o un fratello, se lo caricavano sulle spalle e se lo portavano appresso. Hanno l’abitudine di abbandonare la propria donna quando viene meno l’accordo e sono liberi di risposarsi con chi vogliono. Questo però è consentito soltanto ai giovani, mentre chi ha figli resta accanto alla propria donna. In alcuni villaggi, per un semplice dissidio non esitano a colpirsi e a maltrattarsi e così continuano fino al limite della resistenza; di solito sono le donne a dividerli, intromettendosi tra loro e mai gli uomini. Per quanto violente siano le loro liti, mai ricorrono all’uso di archi e di frecce; infatti, dopo che si sono colpiti a dovere e hanno risolto le loro controversie, si caricano le loro case sulle spalle e con le loro donne se ne vanno a vivere nei campi circostanti, isolati dagli altri finché hanno smaltito l’ira. Una volta calmati, ritornano al villaggio e da quel momento intrattengono rapporti di buona vicinanza come se niente fosse accaduto e senza ricorrere all’aiuto di nessuno. Se, poi, quelli che litigano non sono sposati, si trasferiscono presso i vicini, che, seppure loro nemici, li accolgono con generosità e simpatia offrendo loro ogni bene. È proprio per questa ragione che, una volta smaltita la rabbia, quelli che hanno subito l’offesa ritornano più ricchi di quanto non fossero prima”.



Fonte A. NUÑEZ CABEZA DE VACA, Naufragi, Einaudi, Torino 1989, pp. 82-83.



5. 7 In biblioteca



Per le scoperte geografiche si esamini il bel libro di J.H. PARRY, Le grandi scoperte geografiche, il Saggiatore, Milano 1963. Tra le fonti dei primi viaggi di esplorazione si legga la raccolta comprendente: M. POLO, Il milione; A. PIGAFETTA, Il primo viaggio intorno al mondo; A. CA’ DA MOSTO, Le navigazioni atlantiche; L. DA VARTHEMA, Itinerario; G. DA PIAN DEL CARPINE, Viaggio ai Tartari; PIETRO MARTIRE DI ANGHIERA, Mondo nuovo; ecc. Ist. Edit. It., Milano 1960. Per il crollo demografico accaduto in America si legga di P. CHAUNU, La durata, lo spazio e l’uomo nell’epoca moderna, Liguori, Napoli 1983. Stupendo il libro di A. GERBI, La disputa del nuovo mondo, Ricciardi, Milano-Napoli 1983. Notevole anche di R. ROMEO, Le scoperte americane nella coscienza italiana del Cinquecento, Ricciardi, Milano-Napoli 1954.