di Jean Ousset. (Traduzione a cura di totustuus.it del Cap. IV (La Revolución. Su Quinta columna) del volume “Para que El reine” (Affinché Egli regni), Speiro, Madrid 1972, pp. 191-237.) [LA METAMORFOSI DEI CATTOLICI-LIBERALI] Il cattolicesimo liberale fu chiaramente condannato dalla Chiesa ed era perciò obbligato ad alcune precauzioni. Non è strano, pertanto, che il cattolicesimo liberale abbia sempre cercato formule nuove, capaci di sfuggire alle censure romane. L’Americanismo fu uno dei “sottoprodotti” del cattolicesimo liberale come disse Augusto Sabatier, decano della facoltà di teologia protestante di Parigi affermando che «l’americanismo è figlio del liberalismo».
LA METAMORFOSI DEI CATTOLICI-LIBERALI
Nel giungere a quella che fu chiamata “la prova del potere”, il cattolicesimo liberale era chiaramente condannato dalla Chiesa ed era perciò obbligato ad alcune precauzioni.
Non è strano, pertanto, che il cattolicesimo liberale, condannato benché vittorioso, abbia sempre cercato formule nuove, capaci di sfuggire alle censure romane. I suoi fedeli ritenevano, infatti, che le condanne fossero dovute più all’uso di formule imprudenti, al significato letterale delle parole, molto più che dal loro contenuto ideologico. Perciò ebbero la costante tendenza a dire le stesse cose con modi differenti.
L’Americanismo fu uno dei “sottoprodotti” del cattolicesimo liberale e Augusto Sabatier, allora decano della facoltà di teologia protestante di Parigi, certamente non si sbagliò affermando che «l’americanismo è figlio del liberalismo».
D’altra parte, qualunque sia stata la sincerità di coloro che lo professavano, si deve convenire sul fatto che le loro nuove tesi erano più efficaci. Non c’era più la pretesa di affermare che la Rivoluzione venisse dal Vangelo o che era necessario operare per la riconciliazione tra Chiesa e sovversione. Non si doveva più nemmeno parlare di Rivoluzione: al suo posto si doveva utilizzare l’espressione “civiltà moderna”.
«Il pensiero dominante – scriveva Augusto Sabatier – è quello d’unire il secolo con la Chiesa, di cercare una conciliazione tra la tradizione della Chiesa e le aspirazioni del secolo, di far cessare il conflitto tra la teologia dei seminari e le scienze moderne …».
Molto più chiaramente, Leone XIII scriveva nella sua Lettera al Card. Gibbons: «Il fondamento dunque delle nuove opinioni accennate a questo si può ridurre: perché coloro che dissentono possano più facilmente essere condotti alla dottrina cattolica, la chiesa deve avvicinarsi maggiormente alla civiltà del mondo progredito, e, allentata l\’antica severità, deve accondiscendere alle recenti teorie e alle esigenze dei popoli. E molti pensano che ciò debba intendersi, non solo della disciplina del vivere, ma anche delle dottrine che costituiscono il "deposito della fede". Pretendono perciò che sia opportuno, per accattivarsi gli animi dei dissidenti, che alcuni capitoli di dottrina, per così dire di minore importanza, vengano messi da parte o siano attenuati, così da non mantenere più il medesimo senso che la chiesa ha tenuto costantemente per fermo» (Lett. Enc. Testem benevolentiae, 22-1-1899).
Tratto significativo: l’atteggiamento degli americanisti di fronte alla condanna di Leone XIII fu quello dei giansenisti. Approvarono pubblicamente gli insegnamenti del Papa nella Testem benevolentiae, ma proclamarono per ogni dove che tale eresia non era mai esistita e che il condannarla era lottare contro castelli in aria (18). Tuttavia, per i sostenitori della tesi della “eresia fantasma”, è deplorevole che i nemici della Chiesa abbiano dato un’importanza sorprendente alla realtà del pericolo denunciato da Leone XIII.
«I vinti – scriverà in “Le Siècle” Raoul Ollier (del 12 marzo 1899) – sono uomini che potranno anche avere ristrettezza di vedute, ma sognavano un inizio di riconciliazione tra la loro fede religiosa e il loro amore alla libertà. I vincitori sono i più furibondi apologisti del fanatismo, sono gli ispiratori e i redattori di fogli che vorrebbero riportarci ai tempi delle guerre di religione».
“Le Temps” (del 24 marzo 1899), organo del protestantesimo, era meno pessimista: «Coloro che, nel clero come tra i laici, cercano un rinnovamento, un’azione sociale più profonda, un rapporto più cordiale con la società moderna, non hanno motivo di perdersi d’animo … ».
Il protestante Sabatier indica come gli americanisti potrebbero «trionfare di tutte le resistenze …». «Raddoppiando – affermava – i loro atti di sottomissione alla Santa Sede, motivando tutto con l’autorità del Papa e facendo professione di una piena obbedienza alle sue direttive» (Cfr. i due articoli apparsi nel Journal de Genéve Il 20 ottobre 1898 e il 19 marzo 1899).
Sempre di taglio protestante, ne “La Revue Chrétienne» (1 ottobre 1899), uno dei protagonisti del movimento, il rinnegato Abate Charbonnel, non dubitava di scrivere: «E’ proprio quello che succederà, è il modo con cui si produrrà il guadagno più temibile per la Chiesa Cattolica. L’abate X, come tutti i difensori dell’americanismo, senza voler ascoltare ragioni , si chiuderà nelle sue promesse di obbedienza e di fedeltà, continuando a diffondere le idee attive che risveglieranno l’indipendenza personale e la libera vitalità delle coscienze. Tanto meglio! Noi non dobbiamo fare altro che osservare come poco a poco si svilupperà la loro opera».
Di conseguenza, si tratta di un pericolo derivane da una tattica posta intelligentemente in luce dal P. Charles Maignen in “Nouveau catholicisme et nouveau clergé” (pp. 435-436): «I moderni innovatori non pretendono assolutamente di farla finita con Roma, né di sollevarsi apertamente contro l’autorità pontificia, ma hanno confessato chiaramente di accoppiare, in un certo senso, l’influenza di quella stessa autorità e di farla servire all’avvento del loro partito. Nel campo della teoria, per gli innovatori non si tratta già di negare un dogma, ma di dare, a seconda dell’occasione che si presenta, un senso nuovo a tutti dogmi. Nel campo dei fatti, la questione non è se resistere al Papa, ma di far credere alla pubblica opinione che quanti guidano il partito sono gli unici interpreti fedeli del pensiero del Papa. Gli innovatori dispongono di mezzi potenti per conseguire i loro scopi: uno – che è di ogni tempo – è l’intrigo, attraverso il quale si sforzano di far penetrare i propri partigiani all’interno della Chiesa e dello Stato. Un altro, molto moderno e molto temibile, è la stampa, che sanno usare abilmente per creare un clima di generale simpatia verso tali correnti d’opinione, tanto più perniciose alla vita della Chiesa quanto più sembrano inoffensive e spontanee».
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Fu pertanto naturale vedere come l’onda modernista irrompesse poco dopo questo americanismo che, secondo quanto si diceva, non era mai esistito. Con il modernismo, si otterrà il trionfo della tattica dell’eresia – consistente nel non abbandonare la Chiesa per operare segretamente al suo interno – come mai era accaduto.
La stessa Enciclica Pascendi, sebbene dovesse riuscire nello smascherare l’errore, non riuscirà a far abbandonare ai settari «il disegno di turbare la pace della Chiesa», come si legge nel Motu proprio Sacrorum Antistitum (del 1 settembre 1910) di San Pio X: «Non cessano, infatti, di attrarre e congregare in assemblee segrete nuovi aderenti e, grazie alla loro mediazione, inoculare nelle vene della società cristiana il veleno delle loro opinioni pubblicando libri e riviste nelle quali nascondono o mascherano i nomi dei redattori … ».
Orbene, cosa fu il modernismo se non un nuovo tentativo, il più insidioso, il più abile, il più universale di tutti, per cercare di realizzare l’impossibile sogno dei cattolici liberali e degli americanisti?
Infatti, nella Pascendi, San Pio X parla dei modernisti «che fanno propri» i principi degli americanisti. Nell’Enciclica condanna, ancora una volta, la preferenza concessa alle cosiddette “virtù attive” a detrimento di quelle virtù evangeliche qualificate come “passive”.
«Più che mai – segnala Mons. Cauly (19) – il nemico ha compreso che per trionfare, invece di lottare frontalmente contro il cattolicesimo, era necessario crearsi degli alleati nel suo seno, che lavorassero per trasformarlo e distruggerlo. Per conseguire questo fine, il liberalismo cerca, sotto il nome di modernismo, di penetrare al cuore stesso della Chiesa per strapparle non solo i laici ma anche i sacerdoti, incaricati della cura d’anime. Gli innovatori, che professano le opinioni più contraddittorie, sono d’accordo nel chiedere che, nella Chiesa come nella società civile, il popolo sia sovrano e che le idee da questo successivamente formulate, o trasformate e ringiovanite dalla coscienza universale, vengano introdotte nell’insegnamento impartito al clero …».
Cosa ha fatto il modernismo?
Una rivista che difendeva la causa della Chiesa, “Corrispondenza romana”, disse: «Il modernismo è stato vinto da Pio X, ma si tratta del modernismo organizzato, dottrinale. Resta lo stato dell’anima modernista …».
Sarà temerario attribuire troppa importanza a certe ammissioni?
Per esempio a quella del modernista tedesco Schell, dopo che fu inserito nell’"Indice" dei libri proibiti: «Facendo ciò, si credeva di screditarci nell’anima dei nostri partigiani; ancor più, mi si forzava a separarmi dalla Chiesa per una mancata sottomissione … Questo sarebbe stato il trionfo dei miei avversari. I miei numerosi partigiani non vogliono separarsi dalla Chiesa: nonostante tutte le misure che possa prendere la reazione, vogliono introdurre in essa tali tendenze» (Estratti dalla corrispondenza di Schell citati da Mons. Cauly, op. cit.).
«I modernisti rimangono nel cattolicesimo – scriverà a sua volta un modernista inglese, nel “Journal de Genève” (Cit. da Mons. Cauly, op. cit., p. 142) – perché per essi è l’unica maniera per continuare ad essere qualcosa. Il giorno in cui fossero cacciati, si smetterebbe di occuparsi di loro e del loro sistema. Ciò non è molto leale da parte loro, ma è molto abile».
Tutto ciò spiega perché Paolo VI abbia creduto sua dovere denunciare, non molto tempo fa, il permanere di un modernismo sempre attuale. Il modernismo dei tempi di San Pio X che, nel suo Paysan de la Garonne, Jacques Maritain ha sfrontatamente definito una modesta allergia rispetto a quello che oggi trionfa.
Note
(18) Il Card. Gibbons, arcivescovo di Baltimora; Monsignor Ireland, arcivescovo di Saint-Paul; Mons. Keane, rettore del’Università Cattolica di Washington, furono i più sospettati di americanismo. E’ ad essi che, verosimilmente, fa allusione questo passaggio di un articolo de La Vie Intellectuelle (giugno 1950), nel quale si può leggere: «… I vescovi negarono che tali errori fossero mai stati sostenuti in America e si sottomisero … ». Diversamente, sembra che si sia dimenticato ciò che altri quattro vescovi americani scrissero a Leone XIII per affermare che l’americanismo non era una “eresia fantasma”: «Posto che molti sembrano abusare del nostro silenzio e della nostra astensione – precisavano -, abbiamo giudicato opportuno non differire ulteriormente la nostra risposta e di esprimere a Vostra Santità la più profonda gratitudine per la Lettera davvero apostolica con la quale Sua Santità ha represso, con tanta fermezza quanta violenza, quegli errori dai quali non sono esenti alcuni dei nostri concittadini … Allo stesso tempo non possiamo evitare di esprimere il nostro dolore e la nostra giusta indignazione nel vedere un gran numero di cittadini e, soprattutto, un gran numero di giornalisti cattolici, affermare di riprovare e rifiutare tali errori e, tuttavia, non mancare di proclamare in ogni occasione, al modo dei giansenisti, che quasi nessun americano ha sostenuto tali false opinioni e che perseguitato un fantasma …». Alla luce di queste parole, non ci si sorprende che l’abate Klein, il cui nome fu anch’esso coinvolto in questo affare, abbia scelto come titolo per il suo quarto libro di “Memorie”: Un’eresia fantasma: L’Americanismo (edito nel 1948).
(19) Cfr. Liberalisme et Modernisme (de Gigord, 1911), p. 89. Il 28 luglio 1906, nella sua Enciclica Pieni l’animo, San Pio X scriveva: «E\’ similmente da riprovare nelle pubblicazioni cattoliche ogni parlare, che ispirandosi a novità malsana, derida la pietà dei fedeli ed accenni a nuovi orientamenti della Chiesa, nuove aspirazioni dell\’anima moderna, nuova vocazione sociale del clero, nuova civiltà cristiana, e simili».