La persecuzione della Chiesa cattolica in Albania dal 1944 al 1990

…Dal Simposio internazionale svoltosi a Tirana su «Il Cristianesimo nei secoli». Riproponiamo il testo dell’intervento di Monsignor Zef Simoni, Vescovo Ausiliare di Scutari….

La persecuzione della Chiesa cattolica in Albania dal 1944 al 1990


Il Simposio internazionale svoltosi a Tirana su «Il Cristianesimo nei secoli»


 


«La persecuzione della Chiesa cattolica in Albania dal 1944 al 1990» è il tema dell’intervento di Monsignor Zef Simoni , Vescovo Ausiliare di Scutari, al Simposio Internazionale «Il Cristianesimo nei secoli», svoltosi a Tirana dal 16 al 19 novembre dello scorso anno. Riproponiamo qui di seguito il testo.


 


Il 16 agosto del 1944, per la festa di s. Rocco che si svolge a Shiroka, un villaggio sulle sponde del lago di Scutari, durante la processione, Don Ndre Zadeja rivolse questo breve discorso al popolo e alla gioventù: «Due parole devo dire oggi a voi, specialmente a voi, o giovani; una nuvola nera, portatrice di una ideologia rossa sta per piombare sulle vostre teste. La sua intenzione è quella di scaricarsi su di voi. Allora non potrete fare niente contro di essa, solo sopportarla con tutti i suoi mali, e tra questi la negazione di Dio».


Don Ndre Zadeja, sacerdote ardente e valoroso, pronunciò queste parole tre mesi prima che in Albania facesse il suo ingresso il comunismo e circa sette mesi prima di essere fucilato, primo tra i sacerdoti di Scutari, dietro il muro del cimitero cattolico, domenica 25 marzo 1945. Questo fatto fece tremare tutta Scutari, le montagne e l’intera Albania.


 


L’inizio della grande persecuzione


Iniziò così la grande persecuzione, una persecuzione unica nella storia della nostra patria albanese. Tra le prime cose che il governo comunista fece contro la Chiesa fu, nel 1945, il rifiuto d’ingresso al Nunzio Apostolico, Mons. Leone G.B. Nigris, di ritorno da Roma dove aveva incontrato il Papa. Mons. Gasper Thaçi e Mons. Vinçenc Prennushi furono chiamati da Enver Hoxha per cercare una collaborazione a condizione che si staccassero dalla Santa Sede. Tutti e due rifiutarono coraggiosamente la proposta. Dopo la morte di Mons. Gasper Thaçi, Enver Hoxha fece un altro tentativo rinnovando la proposta a Mons. Frano Gjini. Il rifiuto di Mons. Gjini fu netto: «Io non separerò mai il mio gregge dalla Santa Sede».


Il primo sacerdote fucilato in Albania fu, nell’anno 1945, don Lazer Shantoja. Prima dell’esecuzione fu sottoposto a terribili torture durante le quali gli furono spezzati piedi e mani. Il 21 giugno, giorno di s. Luigi, dopo una predica tenuta in chiesa, P. Giacomo Gardini S.J, innalzando l’immagine del Santo, in presenza di alcuni agenti della Sigurimi, fu arrestato e condannato. Nello stesso giorno fu arrestato anche P. Gjergj Vata S.J.


Il 31 dicembre 1945 la polizia scoprì l’organizzazione nazionalista «Bashkimi Shqiptar» composta da cattolici e musulmani e fondata nel Seminario Pontificio Albanese. Per zelo patriottico, alcuni seminaristi, all’insaputa dei superiori, stamparono alcuni scritti. Il fatto causò l’arresto e la fucilazione di P. Giovanni Fausti S.J., italiano, e di P. Daniel Dajani S.J. Al gruppo fu unito anche l’intellettuale albanese P. Gjon Shllaku O.F.M., accusato ingiustamente di avere fondato il partito Democristiano.


Il 18 marzo il Fronte, il Partito, il Sigurimi chiamarono tutti i sacerdoti ad uno ad uno e chiesero che rinunciassero al sacerdozio. Nessuno accettò. Al pomeriggio tutti furono allontanati dal convento.


Monsignor Ernest Çoba, con un piccolo taxi, si rifugiò nella casa della sorella e dei nipoti. Una grande folla lo accompagnava con le lacrime agli occhi sconvolta da questi avvenimenti. Il 19 marzo, giorno di San Giuseppe e la successiva domenica delle Palme non si sentì nessun suono di campana e non si trovò nessuna porta di chiesa aperta in città.


 


La distruzione delle chiese


Nei giorni seguenti in tutta Albania vennero abbattuti campanili e chiese. Molte chiese furono trasformate in sale di cultura, palestre, tribunali, magazzini e stalle di bestiame e maiali. Se alcune non furono distrutte subirono profanazioni anche peggiori.


 


L’ultimo grido dei condannati a morte: «Viva Cristo, perdoniamo...»


Con loro fu fucilato, il 4 marzo 1946, in una giornata bagnata da pioggia e lacrime, anche l’organizzatore principale, il seminarista Mark Çuni. Nei dossier del Ministero degli Interni, sono riportate le parole pronunciate dal giovane nei momenti precedenti alla fucilazione: «Viva Cristo Re e perdoniamo i nostri nemici».


La sommossa anticomunista di Postriba, il 9 settembre 1946, offrì il pretesto per l’incarcerazione di un gran numero di sacerdoti che in realtà non avevano avuto alcuna parte. Fu arrestato Mons. Frano Gjini, Mons. Gjergj Volaj, Mons. Nikollë Deda, Don Tomë Laca. I tre Monsignori furono fucilati. Anche il Provinciale dei Frati Minori, Padre Mati Prennushi O.F.M., e il Guardiano del Convento di Shkoder Padre Ciprian Nika O.F.M., accusati falsamente di aver nascosto armi dentro l’altare di Sant’Antonio nella chiesa di san Francesco-Gjuhadol, dopo un processo-farsa, morirono martiri davanti al plotone di esecuzione. Il Convento dei francescani di Gjuhadol fu trasformato in luogo di sanguinosi interrogatori e in prigione, dove furono reclusi fino a 700 prigionieri.


Molti altri sacerdoti e religiosi furono arrestati, torturati, condannati e imprigionati. Padre Serafin Koda O.F.M. spirò con la trachea strappata. Papas Pandit, prete cattolico di rito bizantino di Korça, fu decapitato e la testa fu lasciata in mostra sul petto, e Papas Josif, anche lui prete di rito orientale di Elbasan, fu sepolto vivo nel campo di lavoro della palude di Maliq. A dom Mark Gjini, torturandolo, fu chiesto di rinnegare Cristo. Al contrario le sue ultime parole in mezzo alle sofferenze furono: «Viva Cristo Re!». Morì legato in modo da soffocare e il suo corpo fu gettato ai cani; i resti poi furono buttati nel fiume. In tal modo si erano comportati i turchi con le ossa di Gjergj Kastrioti e con il Vescovo Mons. Pjetër Bogdani. In questo modo ancora agirono più tardi i comunisti, tirando fuori dalla tomba le ossa di Mons. Jak Serreqit, Mons. Lazër Mjeda, Mons. Gaspër Thaçit, Mons. Ernest Cozzit, Mons. Bernardin Shllakut O.F.M. e P. Gjergj Fishta O.F.M., e insieme con lui, senza saperlo, le ossa dell’eroe nazionale Dedë Gjon Luli, che i francescani avevano custodito nel loro sepolcro in attesa di innalzare per loro un monumento.


 


Torture inumane alle persone consacrate


Suor Maria Tuci, consacrata al Signore, fu arrestata e sottoposta a torture inumane, nelle quali serbò eroicamente fede e onore. Morì all’ospedale di Scutari poco dopo gli interrogatori. Padre Frano Kiri O.F.M. soffrì per tre giorni e tre notti, legato con un cadavere in decomposizione. Padre Gjon Karma S.J. fu messo vivo in una cassa da morto; gli posero sopra anche il coperchio. Nell’anno 1946 si chiusero tutte le scuole private di Albania, comprese naturalmente quelle tenute dai religiosi. Le tipografie del clero, come quelle dei gesuiti e dei francescani, furono sequestrate e non fu più permesso di stampare nessun libro e rivista. Furono sequestrati anche tutti gli oggetti dei musei dei gesuiti e dei francescani, le collezioni di tutte le loro biblioteche, come quella dei gesuiti con circa 40.000 volumi. Furono soppresse anche le associazioni religiose pur senza fini politici.


Con la morte dell’Arcivescovo di Scutari Mons. Gasper Thaçit, avvenuta il 26 maggio del 1946, dopo una grave malattia e dopo un duro interrogatorio, cominciarono a mancare i sacerdoti. «La gente andava a Messa, entrava e usciva in silenzio. C’era paura. Era spaventosa la situazione, la strada, l’aurora, le ore della notte, la sveglia, il buio nero».


Dopo la rottura dei rapporti con la Jugoslavia di Tito, inizia un’altra fase. Lo Stato chiedeva che si regolassero i rapporti con tutte le istituzioni religiose e principalmente con la Chiesa Cattolica mediante uno Statuto. Così si arrivò a uno statuto che in realtà non rappresentava uno scisma.


Durante la dittatura comunista non c’erano organi di stampa libera. Si stampava solo il calendario religioso a Tirana, nella tipografia statale «Mihal Duri». Il Seminario era aperto, però la sua attività era strettamente controllata dagli sbirri della Sigurimi.


 


Una Chiesa in catene


La Chiesa era nella prova e in catene. Poco dopo la consacrazione della chiesa Cattedrale il 19 aprile 1958, centenario dell’inizio dei lavori, nel mese di novembre cominciò un terribile processo che si tenne nel «Cinema Republica», contro il sacerdote innocente Dom Ejll Kovaçit. Nel mese di aprile dell’anno 1959 venne fucilato il parroco di Bregu i Bunës, l’ardente Dom Malaj, mentre Padre Konrad Gjolaj O.F.M. fu condannato a 25 anni di prigione. La lotta di classe era al culmine.


Intorno al 1960 l’Albania interruppe i rapporti con l’Unione Sovietica e si rivolse alla Cina di Mao. Cominciò segretamente uno stretto controllo sulla gente che andava in Chiesa, soprattutto sugli insegnanti, sugli impiegati e sui giovani. Particolarmente nelle scuole si faceva una forte propaganda ateista. Nei giornali e nei libri si scrivevano solo cose odiose, fanatiche, false, piene di calunnie e di offese senza che qualcuno potesse dare risposta. Mancava del tutto la libertà di parola. C’era solo la libertà di parlare e di scrivere cose cattive e coloro che lo facevano ricevevano gradi e titoli accademici.


Con astuzia iniziò anche il sequestro delle chiese, a cominciare da quella dei Gesuiti e delle suore Stimmatine a Scutari. La Vigilia di Pentecoste di quest’anno, il Capo del Comitato, Bilal Parruca, avvertì il Monsignore che le cresime si dovevano amministrare nella chiesa e non di nascosto nell’Arcivescovato perché «Non ce n’è bisogno – disse – la religione è libera». Lo scopo, in realtà, era quello di venire a conoscenza di chi prendeva parte alle cresime. Per portare a compimento questo progetto erano stati organizzati diversi gruppi di controllo per i cresimandi.


 


L’inganno nel giorno di Pentecoste


Il giorno di Pentecoste poi alcuni gruppi organizzati dal governo individuavano i bambini vestiti verosimilmente meglio degli altri, perché protagonisti della celebrazione e cercavano di trattenerli per il braccio. Questi, però, riuscivano a scappare. Era una manovra comunista eseguita con perfide modalità orientali. Il comunismo, infatti, ha avvicinato e rivestito di potere, generalmente, i musulmani.


I fatti si succedevano sempre più gravi. Si vedevano chiaramente i primi segni dei nuovi avvenimenti. Il 6 febbraio del 1967, a Tirana in una riunione di alcune organizzazioni del Partito, Enver Hoxha dava il grande segnale della «rivoluzione culturale», cioè di una guerra feroce «contro le tradizioni antiquate e i pregiudizi religiosi». Questa scintilla accesa «contro le tradizioni antiquate e i pregiudizi religiosi» fu sufficiente per divenire un grande incendio il giorno 7 febbraio: cominciavano a girare i «manifesti di critica» che assomigliavano ai tazebao cinesi. Questa fiamma divorante arse per tanti e tanti anni come un inferno terrestre in Albania.


La città di Durrës vide gruppi di giovani accecati distruggere il Santuario ortodosso di san Biagio. Si stabilì a Scutari un comando generale per l’intera Albania sotto il comando di Ramiz Alia.


Il 15 febbraio 1967, alle ore 10, su tutte le porte delle chiese e delle moschee e nei luoghi della città dove si dovevano svolgere le dimostrazioni comparvero i «manifesti di critica», invenzione cinese. Qualche chiesa però riuscì a restare ancora aperta. La chiesa del villaggio di Gurez, per esempio, il cui parroco don Anton Doçi morì in carcere, fu una delle ultime ad essere chiuse, perché il popolo ne aveva preso le chiavi e non le consegnava al «Fronte della gioventù».


Quando gli aderenti all’organizzazione tentarono di forzare la porta della chiesa, la gente del paese, e specialmente le donne, usciva con i badili in mano per impedirlo.


La chiesa del Cuore di Gesù di Tirana, con Mons. Ndoc Sahatçia, fu chiusa il 26 giugno 1967. E questo fu l’ultimo giorno della chiusura ufficiale delle chiese in Albania.


Il Venerdì Santo, 24 marzo dell’anno 1967, nei quartieri cattolici di Scutari entrarono nelle case alcuni gruppi dell’organizzazione dei «Pionieri», per controllare la situazione e la pulizia. Tuttavia lo scopo principale era quello di riferire al centro in quali case si stavano preparando dolci o si coloravano le uova, oppure dove si trovavano rosari, croci e immagini sacre.


Questa azione esecranda si proponeva anche di spingere i bambini all’odiosa abitudine della denuncia e dello spionaggio. Presto ricominciarono gli arresti dei sacerdoti seguiti da processi sommari costruiti per condannare gli innocenti.


Il 7 aprile, alle 5 del pomeriggio, nell’Istituto Pedagogico «Luigi Gurakuqi» si tenne il processo contro Dom Mark Hasi. Un grande terrore regnava ovunque. Il popolo sentiva intensamente questa oppressione. Molti fedeli, vedendo molto spesso sacerdoti, lavoratori, personalità del mondo del lavoro e della cultura sul banco degli imputati, si sentivano calpestati nella loro dignità. Un anno più tardi doveva comparire in giudizio Dom Mark Hasi insieme a Don Frano Illia, Don Zef Bicin, Don Mark Dushin e Padre Gegë Lumaj O.F.M. Don Zef Bici e Don Mark Dushi finirono condannati a morte. Il giorno 29 aprile dell’anno 1967 venne arrestato, nell’Istituto Pedagogico «Luigi Gurakuqi» di Scutari Padre Pjetër Meshkalla S.J. Dopo la riunione le forze della Sigurimi picchiarono furiosamente l’ancora energico 67enne gesuita con i pugni, i calci e canne di fucili. Nel 1968 fu arrestato e fucilato Don Marin Shkurti.


Il sacerdote Don Shtjefën Kurti fu arrestato e fucilato nell’anno 1971 a causa di false accuse di vari crimini, solo perché aveva battezzato un bambino. Il giorno 11 giugno, a Scutari, nella chiesa Cattedrale, divenuto ormai palazzo dello sport, si svolse il «Congresso della Donna». In questa chiesa storica, che fu il centro della vita religiosa cattolica, risuonò la parola terribile delle guide comuniste come Enver Hoxha e Mehmet Shehu e di altri relatori che parlavano contro la religione cattolica, accompagnati dagli applausi delle donne che con tanto entusiasmo animavano il loro sciagurato congresso. Quando venne il grande terremoto del 15 aprile 1979, Enver Hoxha, in occasione della ricostruzione delle case del quartiere scutarino di Bahçallek, tenne un discorso, inveendo contro la Madonna Immacolata, violentando così i sentimenti più profondi dei cristiani.


 


Il comunismo ha calpestato la dignità umana


La dittatura comunista in sintesi, ha calpestato i diritti umani e la dignità dell’uomo. Ha organizzato una grande lotta contro la religione, tutte le religioni, il clero e tutti i suoi fedeli allo scopo di annientarli. La lotta furiosa era contro il clero e gli elementi ad esso fedeli, per il solo fatto di essere cattolici. Dunque una lotta non solo di ispirazione diabolica, ma combattuta direttamente dal diavolo. Del resto il clero e i cattolici erano rimasti vivaci anche dopo la caduta di Costantinopoli nelle mani dei Turchi, perché erano portatori di cultura occidentale, della civilizzazione europea, atlantica e della cultura cristiana in tutto il mondo. Era in gioco la scomparsa del cattolicesimo, la sua esistenza e la sua realtà storica e morale. Il culmine arriverà nel 1976 quando l’Albania si proclamerà nella Costituzione stato ateo e si proibirà per legge qualsiasi azione religiosa.


Il giorno 3 aprile 1976 venne arrestato Mons. Ernest Çoba. In giudizio insieme al Monsignore compariranno alcuni sacerdoti: Don Lec Sahatqia, Don Kolec Toni e Don Zef Simoni. Un mese dopo venne arrestato anche Don Gjergj Simoni, perché dopo un controllo fatto nella sua casa furono trovati vasi sacri, libri dalla biblioteca dell’arcivescovado e suoi scritti personali. Il processo contro il vescovo finirà il 29 aprile 1977. Il 10 gennaio 1980 morirà nell’infermeria della prigione, dopo una misteriosa iniezione. Nello stesso modo, Don Mikel Koliqi, parroco di Scutari, fu incarcerato e poi confinato per un totale di 36 anni. 26 anni toccarono a Don Simon Jubani mentre suo fratello Don Lazri fu avvelenato con dei pomodori sul luogo di lavoro. Don Nikollë Mazreku scontò 12 anni di confine e 25 anni di prigione, P. Zef Pllumi, O.F.M. altri 25 anni. Fino al 4 novembre 1990 anche sotto Ramiz Alia non mancheranno le forme subdole della dittatura comunista contro le diverse religioni e specialmente quella cattolica.


La guerra contro il cristianesimo è antica: risale al dominio romano nei primi tre secoli, arricchiti da molti martiri famosi, all’invasione della nostra patria da parte dei turchi. Anche in quell’epoca si videro distruzioni di chiese e trasformazione in moschee, uccisioni di sacerdoti, di vescovi, oppressione fiscale dei cristiani, odiati e discriminati, e divenuti schiavi nel loro paese. Questo, però, non impedì loro di compiere ogni sforzo per poter restituire alla libertà la loro patria schiavizzata e arretrata.


 


Il ritorno della libertà religiosa


Il 4 novembre 1990 riaprì l’epoca della libertà religiosa cattolica e così ritornarono anche per noi cattolici giorni veramente belli. Oggi la nazione e la società albanese hanno gli occhi e la mente rivolti a occidente. La Chiesa Cattolica oggi in Albania va per la sua strada, progredendo senza ostacoli. La Chiesa cattolica non è solo gerarchia, chiese, scuole, stampa e tante altre cose importanti, ma è fatta soprattutto di popolo. I fedeli cattolici sono un elemento della nazione, ricco di valore e di storia.


Per la verità, anche oggi, e perché no mai più di oggi, l’elemento cattolico in rapporto agli altri non ha un giusto peso. Possiamo dire che è sottovalutato e discriminato. Quasi nessun cattolico ha delle funzioni pubbliche, non si danno ai cattolici posti di responsabilità nell’organizzazione statale. Una delle cause certo è che per 50 anni di comunismo sono state loro vietate le università per escluderli dai livelli più alti della società. Le conseguenze degli sbagli maggiori e delle più grandi colpe degli albanesi, le conseguenze e le sofferenze continue non le deve subire sempre l’elemento cattolico.


Sono ormai 10 anni che siamo in democrazia e nessun tentativo serio è stato fatto per dare aiuto a questa componente così importante della società: né con le scuole, né con il lavoro.


Non c’è libertà senza giustizia, e l’Albania ha molto cammino da fare, noi vogliamo il rispetto della dignità umana, senza il quale non si va positivamente in Europa. La patria, ormai liberata, darà al cristianesimo, che è stato perseguitato per secoli e che ha contribuito energicamente al progresso della nazione albanese, il ruolo che gli spetta.


Il cristianesimo ha subìto persecuzioni sanguinose per tanti secoli, ma la Chiesa e il cristianesimo hanno la loro vittoria nel perdono, nell’amore e nella resurrezione. Il migliore esempio è la persona di Gesù Cristo, che visse amando l’umanità, morì sulla croce perdonando e fu risuscitato vincendo la morte. Noi non solo perdoneremo sempre i nostri nemici, ma per di più li ameremo. Questo sembrerà strano e impossibile, ma per capire bisogna conoscere l’essenza del cristianesimo, perché in questo consiste la forza morale, perfetta. Si arriva al culmine della vita civile, lì dove inizia e si elabora la vera libertà, perché come dice anche s. Paolo: «Dove è lo spirito di Dio, lì è la libertà».


Perdono e amore sono in sintesi la testimonianza dei veri martiri del Cristianesimo albanese, che presto saranno beatificati. In questo modo la nuova epoca che inizierà con il terzo millennio sarà nutrita con gli ideali di fraternità, amore e rispetto della dignità umana.


 


L’OSSERVATORE ROMANO Domenica 30 Gennaio 2000.