Prof. A. Torresani. 14. 1 La difficile successione di Filippo II. 14. 2 La guerra dei Trent’anni: fase boemo-palatina (1618-1623). 14. 3 La guerra dei Trent’anni: fase danese (1624-1629). 14. 4 La guerra dei Trent’anni: fase svedese (1630-1634). 14. 5 La guerra dei Trent’anni: fase francese (1635-1648). 14. 6 Cronologia essenziale. 14. 7 Il documento storico. 14. 8 In biblioteca
Cap. 14 La guerra dei Trent’anni
Nella penisola iberica la successione di Filippo II appariva difficile perché il paese era spossato dalle guerre combattute in Europa, Africa e America. La Spagna sarebbe rimasta ancora per mezzo secolo la massima potenza militare, ma il suo impero appariva troppo disperso e difficile da controllare. La Francia, invece, si mostrava sempre più compatta, popolosa, vitale. Fino al 1610 durò la pace imposta alla Spagna da circostanze politiche sempre più favorevoli ai suoi avversari. L’uccisione d’Enrico IV, proprio quando il re stava per scatenare la guerra, precipitò la Francia nel caos sotto la debole reggenza di Maria de’Medici, fatto che assicurò all’Europa alcuni anni di pace. Nel 1618 iniziò un conflitto locale in Germania, ma presto divenuto guerra generale. Nel 1621 spirava la tregua di dodici anni stabilita tra Spagna e Province Unite nel 1609: data l’esistenza di un patto di famiglia tra i due rami dei regni d’Absburgo, le guerre di Boemia e dei Paesi Bassi si saldarono insieme, dando vita alla guerra dei Trent’anni.
Il conflitto fu favorevole agli Absburgo fino all’intervento di Gustavo Adolfo di Svezia; poi si mantenne in sostanziale equilibrio fino al 1635; infine volse a vantaggio della Francia che aveva apprestato un esercito rinnovato per disciplina ed efficienza. Poiché il teatro principale delle operazioni militari rimase limitato alla Germania, quel paese alla fine risultò spopolato e impoverito. Il conflitto per l’egemonia europea continuò tra Spagna e Francia fino al 1659, ossia fino alla pace dei Pirenei che sancì l’egemonia francese sul continente, mentre la Spagna accentuava la sua decadenza militare e civile. La difficile situazione interna della Spagna ebbe profondi riflessi anche sul suo impero d’America che perdette lo slancio posseduto nel XVI secolo.
14. 1 La difficile successione di Filippo II
Quando Filippo II morì, nel 1598, alcuni dei suoi obiettivi politici erano stati raggiunti: l’Italia appariva saldamente in mano agli spagnoli; il Mediterraneo sembrava pacificato con la sconfitta dei Turchi; le colonie d’America continuavano a inviare il loro argento. Rimaneva insoluto, invece, il problema delle Province Unite, caratterizzate da un travolgente sviluppo economico, e il conflitto con l’Inghilterra. Nei Paesi Bassi spagnoli era stato inviato l’arciduca Alberto d’Absburgo, genero del re, assistito da generali che dovevano prendere ordini direttamente dal re di Spagna per evitare una politica autonoma di quel viceré. Per intervenire in Inghilterra si attendeva la morte della regina Elisabetta: infatti la sua successione appariva problematica per la mancanza di un erede diretto. Questi progetti di Filippo II furono inattuabili sotto il regno di Filippo III a causa soprattutto della Francia che, con Enrico IV, conobbe un costante rafforzamento della sua potenza politica ed economica.
Cresce la potenza francese La rinata potenza francese costrinse la Spagna di Filippo III a porre fine ai conflitti europei: nel 1604, dopo un’infelice spedizione in Irlanda e la successione di Giacomo Stuart sul regno di Scozia e d’Inghilterra, la Spagna accettò di sottoscrivere la pace. Il conflitto con le Province Unite, invece, continuò fino al 1609: l’arciduca Alberto stipulò una tregua della durata di dodici anni con le Province Unite.
Enrico IV a capo della lega antispagnola Le paci stipulate con la Francia, con l’Inghilterra e con le Province Unite erano precarie, mentre la Francia diveniva sempre più attiva. Nell’anno 1600 Enrico IV aveva ottenuto dal duca di Savoia il marchesato di Saluzzo, equivalente al possesso della strada di accesso in Italia, e agli inizi del 1610 Carlo Emanuele di Savoia si era impegnato ad attaccare Milano. Sul Reno, il conte del Palatinato aveva riunito in alleanza i prìncipi protestanti tedeschi, e l’anno dopo la Baviera aveva risposto con una Lega che riuniva i principati cattolici. Un ulteriore motivo d’attrito era che nel 1605 era morto il duca di Jülich-Cleve (basso Reno): i parenti protestanti si erano affrettati a occupare quel territorio, mentre l’imperatore del Sacro Romano Impero reclamava il ducato per diritto di devoluzione.
Assassinio di Enrico IV Per parare il colpo nel maggio 1610 Enrico IV era pronto a scatenare la guerra sul Reno e in Italia, per tagliare quel corridoio che assicurava il passaggio delle truppe spagnole dall’Italia ai Paesi Bassi. Enrico IV fece proclamare reggente la moglie Maria de’Medici per partire verso il fronte, ma un sicario riuscì a pugnalarlo. La Francia ripiombò nell’anarchia della grande feudalità sotto una reggente debole; la Spagna riacquistò la supremazia militare in Europa. Gli Stati minori d’Italia e Germania, dopo la morte di Enrico IV, furono costretti a tornare all’obbedienza spagnola: il comandante delle truppe imperiali Ambrogio Spinola risolse la questione di Jülich-Cleve invadendo il Palatinato.
Si allontana il pericolo di guerra Filippo III e il suo favorito il duca di Lerma crearono in Francia – ricorrendo alla politica matrimoniale – una situazione favorevole alla Spagna: infatti, gli eredi al trono di Francia e di Spagna sposavano ciascuno la sorella dell’altro. La condizione posta dalla Spagna furono le dimissioni del primo ministro di Enrico IV, il duca di Sully. Occorse molto denaro spagnolo per realizzare questi progetti che dovevano assicurare un altro decennio di pace all’Europa. Motivi di tensione continuavano a sussistere: in Europa le monarchie tendevano ad assumere su di sé il potere con un accentuato carattere conservatore; i ceti emergenti, piccola nobiltà e borghesia che controllavano l’industria e il commercio, assumevano un atteggiamento puritano, ostile al lusso e allo sfarzo pomposo che la grande nobiltà ostentava con funzione celebrativa del proprio potere. Un poco alla volta sorse la pericolosa tentazione di risolvere con una guerra i problemi politici e sociali d’Europa: solo così si spiegano alcuni incidenti diplomatici provocati da ambasciatori.
La questione dell’interdetto di Venezia A Venezia c’era già stata un momento di grave tensione che ebbe carattere internazionale fin dal tempo della questione dell’interdetto. I fatti si possono riassumere in breve. Due ecclesiastici si erano resi colpevoli di delitto. Il papa Paolo V esigeva che il giudizio avvenisse di fronte a un tribunale ecclesiastico, mentre la repubblica di Venezia esigeva il processo davanti a un tribunale civile. Il papa decretò l’interdetto, ossia la sospensione di ogni attività religiosa sul territorio dello Stato veneziano. A sua volta il governo di Venezia reagì, vietando la pubblicazione di quella pena ecclesiastica, minacciando l’espulsione dei religiosi che avessero obbedito al papa. Il clero secolare obbedì al governo, ma così non poterono fare i Gesuiti e i Cappuccini che avevano i loro superiori generali a Roma accanto al papa: i membri dei due Ordini furono espulsi dal territorio della repubblica. Spagna e impero si schierarono dalla parte del papa minacciando la guerra, mentre Venezia ricevette assicurazioni dalla Francia di Enrico IV. La guerra sembrò vicina, e solo un compromesso riuscì a porre termine al dissidio: i due ecclesiastici furono affidati all’ambasciatore francese che a sua volta li consegnò al tribunale del papa. L’incidente fu famoso perché la repubblica di Venezia fu assistita da un eccezionale avvocato, il frate servita Paolo Sarpi, brillante difensore del principio di assoluta sovranità dello Stato sui propri cittadini in materia di diritto penale. Il risentimento generato dall’episodio fu esteso alla Spagna per la sua adesione al papa e ai canoni del concilio di Trento da lui invocati. Perciò, il Sarpi scrisse una monumentale Historia del concilio di Trento fondata sul presupposto che le deliberazioni di quel concilio erano scaturite da fattori di natura politica utilizzati a vantaggio della Spagna e a danno del vero cristianesimo.
Incidenti tra Venezia e l’impero Nel 1615 l’arciduca Ferdinando di Stiria attaccò Venezia sull’Isonzo cercando l’alleanza coi pirati uscocchi che dovevano disturbare sul mare la flotta veneziana: a seguito di questo attacco, truppe olandesi e inglesi furono messe a disposizione di Venezia.
La congiura di Bedmar Nel 1616 avvenne un fatto rimasto in larga misura misterioso: a Venezia furono trovati i cadaveri di due individui ritenuti agenti segreti del viceré di Napoli Osuna, appesi per i piedi a una forca e con le membra spezzate. Nella simbologia del tempo la tragica messinscena significava tradimento. Una settimana più tardi fu trovato il cadavere di un’altra persona sottoposta a tortura e poi strangolata. Le autorità veneziane non fornirono alcuna spiegazione, ma gli abitanti della città compresero, e presero d’assalto la casa dell’ambasciatore spagnolo Bedmar, prontamente fuggito da Venezia senza attendere istruzioni dal suo governo.
14. 2 La guerra dei Trent’anni: fase boemo-palatina (1618-1623)
La guerra non scoppiò in Italia bensì in Boemia, a Praga, divenuta per molti anni la capitale degli imperatori Rodolfo II e Mattia.
Il problema della successione dell’imperatore Mattia Quest’ultimo non aveva figli e perciò la diplomazia spagnola aveva brigato a lungo perché il trono di Boemia e il titolo imperiale rimanessero uniti nella stessa persona e che essa fosse favorevole alla Spagna. Il candidato che riuniva questi requisiti era Ferdinando d’Absburgo del ramo di Stiria. Costui si era impegnato a cedere agli Absburgo di Spagna l’Alsazia, posta lungo la vitale via per raggiungere i Paesi Bassi, e inoltre il Tirolo che col passo del Brennero poteva rappresentare una strada di riserva. Queste operazioni di alta diplomazia avevano l’inconveniente di non tener conto della volontà dei nobili boemi, in maggioranza calvinisti.
La defenestrazione di Praga Nel maggio 1618, un conflitto sorto a seguito del progetto di costruire due chiese protestanti su terreni appartenenti all’imperatore, condusse all’arresto di alcuni borghesi protestanti. Fu indetta un’assemblea di nobili boemi per il 21 maggio, nonostante l’opposizione del governatore cattolico. Il giorno successivo la folla inferocita occupò il castello reale di Hradcany: in una sala del primo piano furono catturati due ambasciatori che recavano gli ordini dell’imperatore e, dopo aver aperto una finestra, essi furono scaraventati nel cortile sottostante. Dopo aver compiuto la defenestrazione, sporgendosi, notarono con meraviglia che gli ambasciatori erano malconci ma vivi. La defenestrazione di Praga divenne l’argomento principale delle corti europee. Infatti, si trattava di un colpo di Stato perché i nobili boemi proclamarono un governo provvisorio in Boemia che, come primo atto, stanziò i fondi per reclutare 16.000 soldati.
Federico V del Palatinato re di Boemia I nobili boemi avevano bisogno di un principe rivoluzionario, ossia tanto audace da accettare la corona di Boemia anche a costo della guerra, e perciò la scelta cadde su Federico V del Palatinato, genero del re d’Inghilterra e capo dell’Unione protestante.
La coalizione antispagnola Subito gli oppositori della Spagna si coalizzarono: in Valtellina il partito protestante attaccò e massacrò i cattolici, impadronendosi dei forti che chiudevano il passaggio tra Milano e la valle del Reno; la Savoia e Venezia stipularono un trattato di alleanza contro future aggressioni; nelle Province Unite Maurizio d’Orange ordinò l’arresto e in seguito l’assassinio di Oldenbarneveldt, colui che aveva sottoscritto la tregua del 1609 con la Spagna. Nel 1619 morì l’imperatore Mattia e la dieta di Francoforte elesse imperatore Ferdinando II d’Absburgo-Stiria, mentre Federico V del Palatinato accettava la corona di Boemia.
Reazioni degli Absburgo Nel 1620 Federico V fu incoronato a Praga, ma Ambrogio Spinola, comandante delle truppe spagnole nelle Fiandre, marciò sul Palatinato per riaprire da Nord la via di comunicazione con l’Italia, mentre il governatore di Milano operava con successo un colpo di mano in Valtellina che gli permise la riconquista dei forti. I cattolici della Valtellina insorsero e massacrarono i propri governanti protestanti (sacro macello). In Boemia, con la battaglia della Montagna Bianca del novembre 1620, il comandante delle truppe imperiali Tilly sconfisse Federico V che fu posto al bando dell’impero: fuggì in Olanda perdendo il titolo di elettore, trasferito alla Baviera.
La guerra prosegue La guerra europea sembrava evitata, ma a voler la prosecuzione furono gli uomini che in quegli anni presero il potere in Spagna. Nel 1617 era caduto il duca di Lerma fautore della pace; nel 1620 era morto Filippo III e gli era succeduto il figlio Filippo IV, sedicenne, dominato da Baltasar de Zúñiga e dal nipote Gaspar de Guzman, il futuro conte-duca di Olivares che si proponeva di realizzare i disegni di Filippo II. Il partito della guerra era sostenuto da una serie di funzionari che avevano operato all’estero negli anni precedenti avendo modo di costatare la crescente potenza dei nemici. Il loro ragionamento era semplice: la pace favoriva solo i nemici della Spagna. Gondomar in Inghilterra aveva assistito al grande sviluppo del commercio britannico avvenuto al tempo di Giacomo I e si era convinto che la Spagna, con le sue miniere e le sue colonie, non faceva altro che trasferire le sue ricchezze alle principali nazioni europee, rimanendo essa stessa spopolata e impoverita a vantaggio di nemici che si arricchivano e odiavano sempre più la Spagna. Gondomar, mediante un famoso memoriale, consigliò che se si voleva conservare la pace, si doveva abbandonare il vecchio sistema iberico fondato sull’aristocrazia, a vantaggio del ceto industriale, delle compagnie commerciali, dei nuovi sistemi di politica economica e della flotta. Nel 1621 a Bruxelles morì l’arciduca Alberto proprio quando stava per spirare la tregua dei dodici anni: la guerra divampò subito saldandosi con la questione boema nel momento in cui le due monarchie absburgiche avevano stabilito un’unità d’azione quanto mai salda.
14. 3 La guerra dei Trent’anni: fase danese (1624-1629)
Sul piano politico, la guerra in Germania si poteva considerare conclusa.
Richelieu comprende l’importanza della Valtellina Nel 1624 sembrava che ogni opposizione alla Spagna, tolta la resistenza degli Olandesi, fosse caduta. In Francia, tuttavia, l’arrivo al potere di Armand du Plessis duca di Richelieu aveva capovolto la politica filoabsburgica fin allora seguita e la sua prima mossa riguardò la Valtellina, abitata da una comunità cattolica, ma dipendente dalla lega protestante dei Grigioni: nel 1622 la repubblica svizzera cedette la sovranità della valle alla Spagna. Allarmata da queste vittorie, la Francia strinse nel 1623 un trattato con Venezia e con la Savoia per riconquistare la Valtellina. Il pontefice Gregorio XV temendo l’estendersi della guerra all’Italia, ottenne che la Valtellina fosse presidiata da truppe pontificie, e quindi in un certo senso neutralizzata.
La Francia riprende la politica antispagnola Ancora più importante fu il matrimonio della sorella del re di Francia, Enrichetta Maria con Carlo, erede del trono inglese, con evidente funzione antispagnola. Nel 1624 il cardinale di Richelieu divenne primo ministro di Luigi XIII e subito chiarì la sua politica: ottenere l’unità interna della Francia e spezzare l’egemonia spagnola in Europa. Per ottenere questo secondo obiettivo stipulò un trattato con le Province Unite che prevedeva la fornitura di aiuti economici. Anche l’Inghilterra divenne attiva in politica estera per merito del duca di Buckingham, l’unico amico di Carlo I che nel 1625 iniziava il suo regno.
Rivolta degli ugonotti di Francia Nel gennaio 1625 era scoppiata in Francia una grande rivolta degli ugonotti che paralizzò le forze francesi per alcuni anni. In grado di entrare nella grande coalizione antiabsburgica rimaneva solo la Danimarca di Cristiano IV e la Svezia di Gustavo Adolfo. Il secondo fu uno dei più grandi sovrani del secolo, energico, risoluto, dotato di grande acume politico. Egli chiese all’Inghilterra uomini e mezzi finanziari in misura eccessiva: Giacomo I gli fece rispondere che era sovrano di due povere e piccole isole. Gustavo Adolfo reagì riprendendo la guerra contro la Polonia, disinteressandosi in apparenza della guerra in Germania. Cristiano IV, invece, chiese molti meno uomini e nessun anticipo di denaro agli Inglesi, ma anche i suoi obiettivi erano più modesti: mirava a espandere il regno danese sui territori posti alle foci dell’Elba e del Weser.
Cristiano IV di Danimarca contro la Spagna Cristiano IV concluse l’alleanza con l’Inghilterra di Carlo I e ricevette un primo pagamento che fu anche l’ultimo, perché il Parlamento britannico negò ulteriori stanziamenti. Nessun altro principe tedesco protestante prese le armi contro l’imperatore; la Francia era impegnata in problemi interni al punto che dovette ritirare le sue truppe dalla Valtellina, tornata alla Spagna col trattato di Monzon (1626).
Albrecht von Wallenstein Fece in quel momento la sua comparsa un grande esercito imperiale, comandato da Albrecht von Wallenstein, uno dei personaggi più singolari di questo periodo. Nato in una famiglia protestante boema, in seguito si fece cattolico. Il Wallenstein era divenuto l’uomo più ricco dell’impero, facendo incetta di terre in Boemia confiscate agli insorti protestanti dopo la sconfitta della Montagna Bianca. Radunò un esercito di 20.000 uomini, impegnandosi a mantenerli a sue spese finché l’imperatore non avesse trovato i fondi necessari per finanziare la spedizione. Naturalmente l’imperatore fu costretto a cedergli il ducato di Friedland in garanzia dei debiti contratti nei suoi confronti.
Assedio di Stralsunda Wallenstein cominciò una sistematica occupazione delle città del Baltico e nel 1628 ricevette il singolare titolo di Generale del Mare del Nord e del Baltico, occupò il Meclemburgo e la Pomerania, ma presto insorse contro di lui la lega delle città della Hansa: riuscì ad occupare Wismar, ma per completare l’opera gli occorreva anche il porto e la città di Stralsunda che fieramente resistette.
Primo intervento di Gustavo Adolfo di Svezia Gustavo Adolfo sentì minacciati gli equilibri politici oltre che le sorti della riforma decidendo l’alleanza con Cristiano IV di Danimarca. Mentre il Wallenstein assediava senza successo la città di Stralsunda, il suo porto fu occupato da un reggimento scozzese al servizio di Gustavo Adolfo. Cristiano IV fece un ultimo tentativo per risollevare le fortune del suo esercito: sbarcò in Pomerania e cercò di invadere il Meclemburgo, ma Wallenstein accorse prontamente e l’esercito danese fu distrutto (1628). Cristiano IV fuggì di nuovo sulle isole danesi e nel giugno 1629 sottoscrisse la pace di Lubecca, in base alla quale rinunciava a ogni pretesa sui territori tedeschi, conservando i suoi domini ereditari.
Editto di restituzione Apparentemente la vittoria degli imperiali sembrava assicurata e Ferdinando II ritenne giunto il momento di riaffermare il cattolicesimo, ma commise l’errore di voler ripristinare la proprietà ecclesiastica con un Editto di restituzione per cui tutte le terre appartenute ai cattolici e passate in mano ai protestanti dopo il 1552 dovevano essere restituite. Fu approvata l’espulsione dei calvinisti dai domini dei prìncipi cattolici, mentre i luterani ottenevano il riconoscimento legale. Cinque vescovati, trenta città imperiali, un centinaio di conventi e numerose parrocchie ritornarono ai cattolici, mentre migliaia di protestanti furono espulsi o costretti alla conversione. Ben presto, tuttavia, la lega cattolica cominciò a incrinarsi.
Affiorano contrasti nel campo imperiale Il papa Urbano VIII voleva riservare a sé la nomina dei commissari destinati all’applicazione dell’editto di restituzione per salvaguardare gli aspetti propriamente ecclesiastici e per evitare conflitti internazionali; Massimiliano di Baviera era irritato con l’imperatore perché in una decisione tanto importante era passato sopra i diritti della dieta dell’impero; il Wallenstein era oggetto di timore sempre crescente, specie dopo aver ricevuto il titolo di duca del Meclemburgo: invidiato e temuto per la sua potenza, per la sua ricchezza e odiato perché era un boemo con potestà su popolazioni tedesche. L’esercito imperiale era composto di circa 100.000 uomini e le esazioni per il suo mantenimento apparivano insopportabili: tutte queste lamentele si appuntavano sul comandante in capo, ma i prìncipi cattolici dell’impero temevano soprattutto che il Wallenstein volesse instaurare l’assolutismo.
Caduta di La Rochelle Mentre l’impero era lacerato da questi opposti interessi, all’estero la situazione diveniva pericolosa. Nel 1628 la piazzaforte di La Rochelle era caduta in mano del Richelieu e il pericolo rappresentato dagli ugonotti fu evitato per sempre. Nel 1629 il Richelieu presentò al re Luigi XIII un memorandum in cui affermava che per entrare in Germania, si doveva fortificare Metz e conquistare Strasburgo. Per intanto occorreva intervenire in Italia per risolvere a vantaggio della Francia la crisi di Mantova aperta dalla morte dell’ultimo dei Gonzaga senza figli. Il candidato francese era Carlo di Gonzaga-Nevers, lontano parente del duca scomparso, appoggiato anche da Venezia. Il duca di Savoia si alleò con la Spagna nella speranza di mettere le mani sul Monferrato. Nel 1629, senza neppure dichiarare guerra, un esercito francese scese in Italia e sconfisse l’esercito del duca di Savoia. Gli Spagnoli furono costretti a togliere l’assedio di Casale, mentre l’imperatore scendeva per circondare Mantova, sostenendo che gli apparteneva per diritto di devoluzione. Parte dell’esercito di Wallenstein transitò attraverso la Valtellina diretto a Mantova: durante quel passaggio la peste si diffuse in Italia, falcidiando la popolazione.
14. 4 La guerra dei Trent’anni: fase svedese (1630-1634)
Nell’anno 1630 in piena stagione invernale, un esercito francese varcò le Alpi e prese Pinerolo, occupando la Savoia. In aprile cadde Mantova.
La Francia finanzia i nemici della Spagna Il Richelieu non aveva dimenticato il teatro d’operazioni della Germania settentrionale. Un suo ambasciatore fece stipulare tra Polonia e Svezia una tregua di sei anni. Poi il Richelieu strinse un trattato tra le Province Unite della durata di sette anni, con un sussidio che permise agli Olandesi di combattere gli spagnoli.
Inizia la campagna di Gustavo Adolfo Nel 1630 a Ratisbona l’imperatore Ferdinando II fece appello agli elettori per avere sussidi e sostenere la guerra in Italia e in Olanda. Gustavo Adolfo, tre giorni dopo, sbarcava in Pomerania e iniziava la sua memorabile cavalcata in Germania che cancellò tutti i successi imperiali degli ultimi anni. I lavori della dieta di Ratisbona procedettero male per l’imperatore: fu costretto a licenziare il Wallenstein apparso ai prìncipi elettori più pericoloso di Gustavo Adolfo. In Italia il duca Carlo di Gonzaga-Nevers fu riconosciuto signore di Mantova e del Monferrato (Trattato di Cherasco, 1631).
Personalità di Gustavo Adolfo Gustavo Adolfo fu uno di quegli uomini che imprimono agli avvenimenti storici una svolta decisiva: salvò il protestantesimo e rese la Svezia una grande potenza. Lo strumento impiegato fu un piccolo, ma efficiente esercito in cui per la prima volta comparvero le uniformi, i gradi militari nella loro gamma completa, la suddivisione dei soldati in corpi addestrati a un particolare impiego.
La visione politico-religiosa di Gustavo Adolfo Gustavo Adolfo, inoltre, aveva unito strettamente la causa del protestantesimo con la causa della sicurezza del suo regno, ottenendo perciò dai suoi uomini una completa dedizione alla causa per cui combattere. La guerra contro la Polonia doveva fiaccare il cattolicesimo; la guerra in Germania doveva trasformare in una miriade di piccoli Stati quella che poteva essere una grande potenza capace di minacciare la Svezia; ciascuno, inoltre, doveva contribuire a rialzare le sorti del protestantesimo. L’aiuto della cattolica Francia, guidata da un cardinale, appariva un’astuzia della ragione che fiaccava i nemici coi mezzi forniti dai nemici.
Incendio di Magdeburgo Le truppe imperiali al comando del Tilly, stavano assediando Magdeburgo. Gustavo Adolfo sperava di salvare la città che si era dichiarata per lui, mettendo in opera alcune manovre diversive. Nel maggio 1631 Magdeburgo cadde e un incendio provocò la morte di almeno 20.000 persone. Gustavo Adolfo prese l’iniziativa: sloggiò l’ultimo caposaldo imperiale in Pomerania e conquistò il Meclemburgo. Poi marciò verso l’Elba a Verden, dove si trincerò. Il Tilly vanamente cercò di sloggiarlo nell’agosto 1631, ma dovette ritirarsi, dirigendosi in Sassonia mentre le truppe, rese libere in Italia per la fine della guerra di Mantova, poterono congiungersi con lui.
Battaglia di Breitenfeld A settembre le forze della Svezia e della Sassonia si riunirono poco lontano da Lipsia che fu occupata dal Tilly. Nei pressi del villaggio di Breitenfeld avvenne la grande battaglia nel corso della quale le truppe imperiali furono sconfitte, e il Tilly ferito, dopo aver perduto 20.000 uomini. A Gustavo Adolfo si presentavano tre possibilità: inseguire il Tilly; oppure marciare sul Reno attraverso la Turingia e la Franconia; infine attaccare Vienna. Il re trascurò la prima possibilità, forse la più realistica, e si decise per una grande cavalcata verso Ovest, sul Reno, per rafforzarsi mediante il collegamento con la Francia e di lì muovere contro Vienna.
Ritorno del Wallenstein Gustavo Adolfo tra il 1631 e il 1632 ebbe grandi problemi amministrativi specie in Sassonia. L’imperatore Ferdinando II fu costretto a richiamare il suo ex comandante supremo, il Wallenstein, che nell’aprile 1632 ricevette pieni poteri, anche quello di trattare col nemico le condizioni della pace.
Gustavo Adolfo in Baviera Nel marzo 1632 Gustavo Adolfo lasciò Magonza per inseguire il Tilly e conquistare la Baviera. Nell’aprile, a Donauwörth, il Tilly fu sconfitto e due settimane dopo morì, mentre la Baviera fu abbandonata al saccheggio. Ma la possibilità di attaccare Vienna fu vanificata dalle notizie che giungevano dalla Sassonia dove il Wallenstein cercava di far passare l’elettore Giovanni Giorgio nel partito dell’imperatore con la promessa di ripristinare la situazione del 1618. Di fronte al rifiuto di tali proposte, il Wallenstein occupò Praga, sloggiando le truppe sassoni, mentre Gustavo Adolfo entrava in Norimberga. A giugno Gustavo Adolfo capì che il Wallenstein, per tagliare le linee di comunicazione svedesi, non si apprestava ad attaccare la Sassonia, bensì proprio Norimberga. Subito il re svedese si trincerò nella città chiedendo rinforzi al suo cancelliere Oxenstierna che operò in modo mirabile, facendogli pervenire un esercito di 30.000 uomini. Wallenstein, a sua volta, si trincerò in Alte Veste dove fu vanamente attaccato da Gustavo Adolfo. A seguito di questo scacco il re svedese fu costretto a lasciare Norimberga. Wallenstein entrò allora in Sassonia e occupò Lipsia (2 ottobre).
Battaglia di Lützen A novembre Wallenstein commise l’errore di sparpagliare i suoi uomini negli alloggi invernali: Gustavo Adolfo comprese che poteva cogliere il nemico impreparato, ma anch’egli agì troppo presto. Lo scontro avvenne a Lützen a Ovest di Lipsia: nel corso di una carica di cavalleria Gustavo Adolfo fu ferito, morendo sul campo di battaglia. Un suo generale riuscì a battere il Wallenstein, costringendolo a ritirarsi nella città di Lipsia: agli Svedesi rimase aperto il passaggio verso il Baltico.
Axel Oxenstierna Il compito di continuare la guerra fu assunta dal grande cancelliere Axel Oxenstierna, dal momento che l’erede al trono, Cristina di Svezia, aveva solo sei anni. Oxenstierna mise d’accordo i prìncipi tedeschi protestanti (Lega di Heilbronn) e riuscì anche a ricevere nuovi finanziamenti dalla Francia. Wallenstein, invece, assumeva atteggiamenti sempre più indipendenti dall’imperatore che nel gennaio 1634 arrivò a firmare un decreto di destituzione del generale da ogni incarico, e ne ordinò l’arresto. Il 25 febbraio il Wallenstein, mentre era a letto febbricitante, fu assalito presso il confine della Sassonia e ucciso. La morte del generale riportò l’unità nell’esercito imperiale, comandato dal figlio dell’imperatore, il futuro Ferdinando III. Le truppe svedesi si erano spinte ancora una volta in Baviera, a Ratisbona, per portare soccorso a un distaccamento svedese assediato a Nördlingen. Qui le truppe imperiali, nel settembre 1634, sconfissero duramente gli Svedesi.
La sconfitta svedese a Nördlingen La battaglia di Nördlingen significò la fine di tutte le conquiste di Gustavo Adolfo.
14. 5 La guerra dei Trent’anni: fase francese (1635-1648)
Il Richelieu non defletteva dalla sua politica che prevedeva di bloccare l’ascesa della Spagna e di occupare basi d’accesso permanenti in Germania.
Intervento militare diretto della Francia La vittoria absburgica di Nördlingen ai suoi occhi modificava l’equilibrio europeo: perciò fece occupare le città dell’Alsazia, già conquistate da Gustavo Adolfo, e la Lorena sottratta al duca Carlo, troppo favorevole agli Absburgo.
Aiuti francesi alle Province Unite e alla Svezia Nel 1635 il Richelieu strinse un trattato con le Province Unite che prevedeva la conquista dei Paesi Bassi Spagnoli e riconfermò il trattato con la Svezia. Il Richelieu proponeva di attaccare nei Paesi Bassi e in Italia, ma la campagna del 1635 fu poco concludente. L’anno dopo la Francia subì l’attacco congiunto dell’impero e della Spagna che all’inizio fu vittorioso per le armi imperiali, tanto da far pensare a una possibile caduta del Richelieu; in seguito avvenne un rovesciamento della situazione.
Riforma dell’esercito francese Nel 1637 morì Ferdinando II e gli successe il figlio Ferdinando III. Ora le due parti in conflitto avevano come obiettivo principale il rafforzamento del proprio sistema militare. Il Richelieu operò una radicale riforma dell’esercito: in primo luogo cercò abili comandanti che fossero giovani ed energici, e li trovò nel visconte di Turenne e nel principe di Condé. A somiglianza di quanto era avvenuto nell’esercito svedese, anche in quello francese furono apprestate uniformi più igieniche e pratiche; fu introdotta la specializzazione e l’armamento standardizzato per ogni corpo; fu istituito un servizio di sussistenza che assicurava i pasti ai soldati. I risultati non si fecero attendere.
La caduta di Breisach Nel marzo 1638 Bernardo di Weimar, passato al servizio diretto della Francia, sconfisse a Rheinfelden l’esercito imperiale. Poi scese lungo la valle del Reno e a Breisach si congiunse col Turenne ponendo l’assedio intorno alla città che cadde in dicembre. Nel corso di questa campagna gli imperiali non poterono ricevere aiuti dagli Spagnoli tenuti agganciati dagli Olandesi che riconquistarono Breda. Il fatto grave era proprio la caduta di Breisach perché tagliava la vitale via di comunicazione tra l’Italia e i Paesi Bassi. Gli Spagnoli furono perciò costretti a tentare di rifornirsi per via di mare, ma anche questa via di comunicazione fu chiusa dalla vittoria navale dell’ammiraglio olandese van Tromp che distrusse una grande flotta spagnola nei pressi di Dover (Battaglia delle dune, 1639).
Ribellione della Catalogna Nel 1640 la Catalogna insorse contro il governo centrale di Madrid, e nominò Luigi XIII conte di Barcellona. Il conte-duca di Olivares tentò di riannodare trattative di pace col Richelieu, che finirono in nulla perché la Francia sentiva aria di vittoria completa.
Inizio delle trattative di pace Il papa Urbano VIII, nel 1635 e nel 1638, aveva tentato senza successo di farsi mediatore tra le parti in conflitto. Nel 1641 gli ambasciatori dei vari paesi in guerra si accordarono perché si aprissero due conferenze in Vestfalia: a Münster dove l’imperatore avrebbe negoziato con la Francia, mediatori il papa e Venezia; e a Osnabrück dove l’imperatore avrebbe negoziato con la Svezia. L’accordo preliminare fu firmato nel 1642 da Luigi XIII e dall’imperatore Ferdinando III: tuttavia non fu stabilito alcun armistizio e i negoziatori attendevano le notizie dei combattimenti per rincarare le loro pretese.
Morte del Richelieu e di Luigi XIII Nel 1641 le truppe francesi furono fortunate: sul fronte Nord fu occupato l’Artois e nel fronte Sud il Rossiglione nella regione dei Pirenei. Nel 1642 il Richelieu morì: il successore fu un altro cardinale raccomandato al re dal morente, Giulio Mazarino. Il re Luigi XIII morì nel 1643: poiché il figlio Luigi XIV era un bambino, il potere fu assunto dalla madre Anna d’Austria, ma in pratica esercitato dal Mazarino.
La battaglia di Rocroi Pochi giorni dopo avvenne la battaglia di Rocroi che decise la guerra: i migliori reggimenti spagnoli, mai sconfitti nell’ultimo secolo e mezzo dai francesi, furono decimati. La sconfitta di Rocroi fu l’equivalente della distruzione dell’Armada.
Le paci di Vestfalia Gli ultimi cinque anni del conflitto furono i più paurosi: sembrava a molti che la guerra fosse un’istituzione permanente; i soldati non sapevano fare altro mestiere per procurarsi il pane; i vincitori si trovavano nelle stesse condizioni dei vinti e dopo la vittoria non avevano la forza di sfruttarla. Nel 1646 il principe di Condé e il Turenne vinsero una seconda battaglia di Nördlingen, ma dovettero tornare in Alsazia. Sul fronte orientale l’esercito svedese sconfisse in Boemia un esercito imperiale, ma non poté prendere Vienna. Nel 1646 e nel 1648 Turenne e Wrangel invasero e devastarono la Baviera. Dopo queste gravi disfatte all’imperatore non rimase altra soluzione che chiedere la pace, finalmente sottoscritta dopo estenuanti trattative iniziate a Münster e Osnabrück fin dal dicembre 1644.
La Francia si annetta l’Alsazia e la Lorena La Francia ricevette nel corso della conferenza la piena sovranità sui vescovati di Metz, Toul e Verdun in Lorena e inoltre l’Alsazia, in una forma confusa sul piano del diritto.
La Svezia occupa la Pomerania La Svezia ricevette la Pomerania occidentale tra Stettino e la foce dell’Oder, l’isola di Rügen, i vescovati di Brema e di Verden, e il porto di Wismar. Il duca Federico Guglielmo di Brandeburgo ricevette, in compenso della perdita di parte della Pomerania, i vescovati secolarizzati di Halberstadt, di Minden e di Magdeburgo.
Potenza del Brandeburgo In Germania, dopo quello degli Absburgo, il Brandeburgo diveniva lo Stato più vasto. Gli altri prìncipi tedeschi ricevettero la “suprema autorità territoriale in tutte le questioni sia ecclesiastiche che politiche”: ciò equivaleva alla vera e propria indipendenza dall’impero. A conti fatti, la Germania appariva divisa in almeno trecento piccoli Stati. Sul piano religioso avvenne il riconoscimento del calvinismo; infine, la questione della proprietà ecclesiastica non fu più ripresentata. La pace fu affrettata nel 1648 anche dalle vicende interne della Francia che richiesero il ritorno dei soldati per sedare i tumulti interni provocati dalla rivolta dei nobili e del Parlamento, dietro promessa che l’imperatore sarebbe rimasto neutrale nel corso del conflitto ancora aperto tra Francia e Spagna.
Le Province Unite, dopo aver firmato la pace con la Spagna, furono riconosciute indipendenti e sovrane.
14. 6 Cronologia essenziale
1609 È stipulata una tregua di dodici anni tra Spagna e Province Unite.
1610 Enrico IV, già in procinto di scatenare la guerra in Germania, è pugnalato. Durante la reggenza di Maria de’Medici la Francia ripiomba nell’anarchia.
1618 A Praga avviene la famosa defenestrazione degli ambasciatori imperiali e la proclamazione di un governo provvisorio.
1619 La dieta imperiale riunita a Francoforte elegge al trono imperiale Ferdinando II di Stiria.
1620 Federico V del Palatinato è eletto re di Boemia, ma è sconfitto dal comandante delle truppe imperiali Tilly.
1624 Il cardinale di Richelieu diviene primo ministro di Luigi XIII.
1628 Richelieu riconquista la fortezza di La Rochelle presidiata dagli ugonotti.
1629 Cristiano IV di Danimarca sottoscrive la pace di Lubecca.
1630 Gustavo II di Svezia entra in guerra con un esercito moderno sostenuto da finanziamenti francesi.
1632 Gustavo Adolfo muore nel corso della battaglia di Lützen.
1634 Il Wallenstein è assassinato; nel corso della prima battaglia di Nördlingen gli Svedesi sono sconfitti dagli imperiali.
1642 Muore il cardinale di Richelieu, sostituito dal cardinale Giulio Mazarino.
1643 I Francesi colgono un grande successo nella battaglia di Rocroi.
1648 L’imperatore è costretto a chiedere la pace, firmata a Münster e Osnabrück alle condizioni dettate da Francia e Svezia.
14. 7 Il documento storico
La guerra dei Trent’anni è stata una vera e propria tragedia per la Germania, in balia di eserciti che si finanziavano da sé saccheggiando città e campagne. L’unica grande espressione letteraria di quel periodo è un romanzo picaresco di Hans J. Grimmelshausen, intitolato L’avventuroso Simplicissimus: nel brano scelto, l’autore racconta come fu distrutta la sua famiglia e come cominciarono le sue avventure attraverso la Germania devastata dalla guerra cercando di apprendere la difficile arte di sopravvivere.
“Sebbene non abbia intenzione di condurre il pacifico lettore con questa schiera ribalda e scervellata nella casa e nella corte di mio padre, perché vi sarà là un gran brutto vedere, tuttavia la continuazione della mia storia esige che io tramandi ai cari posteri quali atrocità orribili e inaudite siano state compiute in questa nostra terra tedesca, tanto più che posso attestare con il mio proprio esempio che spesso l’Altissimo, nella sua bontà, ha dovuto colpirci con simili mali per il nostro bene; perché, caro lettore, chi mi avrebbe detto che vi è un Dio in cielo se nessun guerriero avesse distrutto la casa del mio pa’ e non fossi così stato costretto a capitar fra gente da cui ricevetti sufficienti lumi? Fino a poco tempo prima, io non sapevo altro né altro potevo immaginare se non che mi’ pa’, mi’ ma’, Ursula e io e il resto della servitù fossimo soli sulla terra, visto che non conoscevo altro uomo né mi era nota altra abitazione umana che non fosse la nobile sede di mio padre più sopra descritta, dove io entravo e da cui uscivo quotidianamente. Poco dopo appresi come l’uomo venga in questo mondo, dove non possiede un’abitazione stabile, ma, molto spesso, prima che se l’aspetti, lo deve abbandonare. Ero un uomo solo nell’aspetto e un cristiano solo di nome, ma per il resto ero una bestia. L’Altissimo guardò tuttavia con occhi misericordiosi la mia innocenza e volle elevarmi alla conoscenza di Lui e di me stesso. E, per quanto Egli potesse disporre di mille vie per questo scopo, volle senza dubbio servirsi solo di quella secondo cui mi’ pa’ e mi’ ma’, a edificazione altrui, vennero castigati per la loro sbagliata educazione.
La prima cosa che quei cavalieri fecero, appena entrati negli appartamenti dipinti di nero di mi’ pa’, fu di mettervi al riparo i loro cavalli; poi ognuno ebbe da eseguire un suo particolare lavoro che annunziava rovina e distruzione. Alcuni si misero a macellare, a mettere a lesso e ad arrosto come se si stesse preparando un gran banchetto. Altri rovistarono e misero sossopra tutta la casa senza risparmiar nemmeno la latrina, quasi ci fosse nascosto il vello d’oro di Colchide; altri ancora fecero grossi pacchi di panni, di vestiti e di tutti gli arnesi di casa, che pareva volesser mettere su un mercato di rivenduglioli, e quello che non credettero opportuno prender con sé lo misero in pezzi. Alcuni infilavan le daghe nel fieno e nella paglia come se non avessero avuto abbastanza pecore e porci da infilzare, altri tolsero le piume dai materassi e li riempirono di lardo, carne affumicata e altre vivande come se così ci si potesse dormir meglio. Altri distrussero il focolare e le finestre, che sembrava volessero annunziare un’eterna estate, spezzarono gli utensili di rame e di peltro e fecero fagotto dei rottami informi. Appiccarono fuoco ai letti, alle sedie, alle panche sebbene in cortile ci fossero molte cataste di legna secche. Pentole e stoviglie vennero fatte a pezzi, sia perché preferivano mangiar carne arrosto, sia perché pensavano tener lì un unico pasto.
La nostra serva, nella stalla, fu trattata in tal modo che non ne poté più uscire, cosa che riferisco con gran vergogna. Stesero a terra, legato, il nostro garzone, gli misero un bastone attraverso la bocca e gli cacciarono in corpo una schifosa secchia di colaticcio di stalla che chiamavano bibita svedese. Questa però non gli piacque affatto e provocò sul suo volto strane smorfie; con questo mezzo lo obbligarono a guidare un loro gruppo nei dintorni dove presero uomini e bestie, fra i quali c’erano anche il mi’ pa’, mi’ ma’ e Ursula e li condussero nel nostro cortile.
Allora cominciarono a toglier dalle pistole le pietre focaie e a metterci invece il pollice dei contadini, e si diedero a torturare in tal modo quei poveri diavoli che nemmeno se fossero stati streghe da mettere sul fuoco. Uno poi di quei prigionieri lo ficcarono nel forno e gli furono addosso col fuoco sebbene non avesse ancora confessato nulla; e un altro gli misero una corda intorno al capo e strinsero tanto, torcendola con un randello, che gli uscì sangue dalla bocca, dal naso e dalle orecchie: in summa ognuno aveva una sua propria invenzione per tormentare i disgraziati contadini, e di conseguenza ogni contadino ebbe il suo martirio particolare. Il meno disgraziato, a quanto mi parve allora, fu mi’ pa’, perché gli toccò di confessare con bocca ridente quel che gli altri dovettero dire tra gemiti e tormenti; e questo onore gli toccò di certo perché era il padron di casa; lo misero davanti al fuoco, lo legarono che non poteva muovere né mani né piedi e gli strofinarono con sale umido le piante dei piedi facendogliele poi leccare dalla nostra vecchia capra; ne ebbe un tal solletico che quasi schiantò dalle risa. La cosa mi parve così graziosa e divertente (ché non avevo mai udito rider tanto mi’ pa’) che io, per amor di compagnia, o perché non sapevo capir più in là, mi misi a ridere di cuore con lui. Così ridendo, mi’ pa’ riconobbe il suo debito e svelò il tesoro nascosto: poiché era molto più ricco di oro, gemme e gioielli di quanto si potesse supporre di un contadino”.
Fonte: H.J. GRIMMELSHAUSEN, L’avventuroso Simplicissimus, Mondadori, Milano 1982, pp. 15-17.
14. 8 In biblioteca
Il capolavoro della storiografia relativa alla guerra dei Trent’anni è di C.V. WEDGWOOD, La guerra dei Trent’anni, Dall’Oglio, Milano 1964. Ottima la biografia scritta da G. MANN, Wallenstein, Sansoni, Firenze 1981. Per le questioni della frontiera orientale si consulti di V.L. TAPIE, Monarchia e popoli del Danubio, Sei, Torino 1973. Per gli aspetti sociali di quest’epoca turbata si consulti di G. HUPPERT, Il borghese gentiluomo, il Mulino, Bologna 1982.