Del P. R.-Th. Calmel O.P. (Titolo originale: Della civiltà cristiana. Appendice a Per una teologia della storia, Borla 1967). Una riflessione sulle caratteristiche distintive della Rivoluzione.
Riflettendo sulla rivoluzione nelle sue improvvise esplosioni o nelle sue ramificazioni nascoste, possiamo agevolmente notare tre caratteristiche distintive: non rimedia agli abusi, ma colpisce la natura stessa delle cose; non realizza le nobili, generose e oneste aspirazioni al rinnovamento, ma le mette in disparte a profitto della distruzione, giungendo persino a corromperle; non domina per mezzo di un’autorità visibile, magari tirannica, ma riduce in schiavitù tramite un’autorità occulta, contro la quale ogni intervento è pressoché impossibile, poiché è come un veleno iniettato nei tessuti del corpo sociale.
Esaminiamo queste tre caratteristiche una alla volta.
Aver decretato che la legge civile sarebbe legittima unicamente in base alla maggioranza dei voti e non perché conforme a un ordine naturale venutoci da Dio, tenendo conto delle giuste tradizioni di un paese; aver privato i genitori e i corpi costituiti degli insegnanti – le università – del diritto di educazione e di insegnamento per farne un monopolio di stato; aver dichiarato che lo stato non riconosce alcuna religione e non si inchina di fronte a nessuna di esse; mirare insidiosamente alla statalizzazione del commercio, dell’agricoltura e della sanità, tutte queste piaghe politiche e molte altre ancora rivelano una sinistra volontà di colpire le radici stesse della società con un movimento sacrilego e veramente satanico. E non è certo per il fatto che molti uomini vi ci siano ormai abituati, o che siano condizionati dalla propaganda, che la rivoluzione ha smesso di essere abominevole. Un cancro smette forse di essere mortale perché l’organismo vi si è in qualche modo adattato?
Il riformatore degno di questo nome comincia col rispettare la natura:
che si tratti di una persona o di una istituzione, non lotta contro i vizi, le deformazioni, le incrostazioni, se non per favorire il compiersi della natura in ciò che essa ha di autentico e di originale. Il rivoluzionario invece se la prende con la natura in se stessa, spinto da chissà quale febbre o gelosia, più che le consuetudini o gli abusi, e la natura stessa degli esseri e delle cose che egli intende abbattere per trasformarla. E’ cosi che il rivoluzionario attacca non solo gli ingiusti privilegi ma ogni sana gerarchia e le prerogative inevitabilmente collegato; parimenti, non vuole soltanto correggere gli abusi della proprietà, ma distruggere quest’ultima; non vuole mettere soltanto un freno all’invadenza clericale nella vita pubblica ma pretende di laicizzare la vita pubblica, interdire alla Chiesa di far valere il diritto; o, ancor peggio, vorrebbe che il magistero ecclesiastico decretasse “motu proprio” il laicismo delle leggi e dei costumi. Non finiremmo mai di citare degli esempi. Da parte mia, anche se comprendo, pur disapprovandola con tutte le mie forze, la disperazione di fronte allo spettacolo di uno scandalo a volte enorme nella società o fra la gente di Chiesa, mi riesce mollo più difficile capire che si possa avere coscienza della condizione di creatura e tuttavia consacrare la propria vita a quello sconvolgimento essenziale in cui consiste la rivoluzione. Ma questa è la realtà. La gratuità e la mostruosità del male raggiungono una simile profondità. Per essere giusti, guardiamoci tuttavia dal dimenticare la responsabilità di certe persone per bene, che non sono per nulla rivoluzionarie nella genesi dell’atteggiamento rivoluzionario. Forse vi è capitato d’incontrare degli ex allievi della scuola laica, che non sono affatto degli esseri volgari, e che custodiscono nel cuore un odio inesauribile e attivo nei confronti della scuola libera; oppure avrete potuto notare dei preti che pur non essendo né mediocri né eretici, detestano ferocemente la gerarchia ecclesiastica e i suoi organi esecutivi, agendo di conseguenza. Che cosa c’è all’origine di tali atteggiamenti rivoluzionari? A volte un orribile scandalo in seno alla scuola religiosa o agli organi della gerarchia che li ha colpiti. Non sono riusciti a superarlo. E’ mancato loro un desiderio sufficientemente umile da assomigliare a Cristo crocifisso. “Ne ho viste troppe”, dicono. Il guaio è che non hanno saputo vedere l’agonia del Signore e la sofferenza tranquilla dei veri discepoli confessori o martiri (Possiamo leggere su questo tema il capitolo: Réponse integrale aux iniquités del nostro libro; Sur nos routes d’exil, les béatitudes, già citato).
Ma in definitiva ogni sforzo rivoluzionario non avrebbe una vasta portata, se non riuscisse a far entrate nella sua orbita e a utilizzare per la sua opera distruttrice, i sentimenti nobili e coraggiosi. Se la sollevazione dell’89 fosse stata fatta solo da banditi o da tarati, se non avesse affascinato e posto al proprio servizio dei caratteri fieri, degli uomini puri (ma v’erano delle macchie nella loro purezza), questo movimento sarebbe finito ben presto nel nulla, incapace di scuotere la Francia e il mondo.
Per andare in fondo alle cose diremo che, se il demonio non fosse così abile nel fuorviare le nostre migliori aspirazioni, se non avesse imparato a farle entrare nel suo sinistro gioco di falsificazione, non gli servirebbe molto essere puro spirito e totalmente immerso nel male. In realtà tutta la sua astuzia può essere sventata da una fede semplice e fiduciosa. “Haec est victoria quae vincit mundum [et diabolum], fides nostra”, insomma, i disegni di Satana sono votati all’insuccesso dall’alba ineffabile dell’Immacolata Concezione: “Ipsa conteret caput tuum“.
Conosciamo molto bene il carattere perfido dei metodi e delle manovre rivoluzionarie; captare le più veementi aspirazioni di giustizia e di pace, o quelle, colme di linfa, di necessari rinnovamenti per impiegarle contro la giustizia e la vita. Ad esempio, basta che in un momento della storia della Chiesa si faccia sentire il bisogno di un rinnovamento biblico o liturgico, missionario o “laico”, e che questo rinnovamento sia nell’aria, e subito lo spirito rivoluzionario tenterà di circuirlo, captarlo e falsarlo. Si incomincia col mettere in disparte coloro che avrebbero fatto fiorire il rinnovamento rimanendo fedeli alla tradizione, sostituendoli con uomini che vogliono “nuove sorgenti” in antitesi con la costituzione della Chiesa; poco alla volta si insegna al popolo cristiano, odiosamente ingannato, a interpretare la Scrittura in senso contrario alla teologia, a celebrare la liturgia a detrimento dell’adorazione e del raccoglimento, a magnificare il matrimonio in odio alla verginità consacrata, a esaltare la povertà evangelica strumentalizzandola contro la proprietà privata, a divenire apostoli dei miscredenti astraendosi dalla fede e dal battesimo.
A questo punto bisognerebbe riflettere sull’evangelismo ambiguo e sui cristiani illusi che ne sono insieme i seguaci e le vittime. Hanno fatto cadere il Vangelo dalla sua altezza soprannaturale per appiattirlo al livello delle aspirazioni impure dell’uomo carnale.
Hanno perfettamente capito, per esempio, che la Chiesa deve essere vicina al mondo per salvarlo ma, non avendo accettato pienamente che tale vicinanza fosse quella della misericordia divina anziché la prossimità miserabilmente umana della debolezza e della connivenza, finiscono con l’abbandonare la Chiesa proprio quando pretendono di avvicinarla al mondo. Sanno anche che il Vangelo è mistico e che trascende le società umane; ma, non avendo accettato totalmente il concetto che questa mistica porti a compimento la legge naturale, finiscono col predicare il Vangelo contro il diritto naturale e persino contro le istituzioni naturali della società. Sanno che i ministri di Cristo, per il loro stato, sono i servitori dei loro fratelli in vista del regno di Dio ma, non avendo accettato pienamente che questo servizio fosse quello di un cristiano riconosciuto anche formalmente nella sua dignità che proviene dall’alto, che non si ha il diritto di disprezzare, essi finiscono col reclamare una Chiesa povera che si sbarazzi della dignità dei suoi ministri. Se ne avessero la possibilità (ma la cosa non si avvererà), edificherebbero una pseudo-Chiesa, impegnandosi a promuovere ciò che chiamano una “Chiesa povera”. Costituirebbero una Chiesa svuotata dai poteri gerarchici, immaginandosi così di renderla più viva nella fede e nell’amore.
Ma se i rimproveri pieni di sospetto che investono la Chiesa libera e svincolata da compromessi, o la Chiesa serva e povera o ancora la Chiesa apostolica e presente nel mondo, sono tanto numerosi, se tante dottrine equivoche esercitano un enorme fascino, è perché vengono predicate da apostoli fuorviati. Una grazia apostolica deviata: ecco che cosa si indovina nei loro propositi. Da qui deriva il loro strano magnetismo, la loro particolare attitudine a sedurre le anime generose ma troppo deboli e non abbastanza pure. Questi falsi apostoli, questi apostoli dell’illusione, ci colpiscono nelle regioni mistiche dell’anima senza contraddire ciò che d’impuro e di troppo umano vi si trova celato. Ci farebbero credere che tutto in noi può egualmente venir soddisfatto dal Vangelo del Signore: lo spirito servile e la vigliaccheria a sostegno della nostra dignità; l’amore della giustizia ma anche il risentimento; lo zelo delle anime come il consenso del mondo. I danni che ne derivano sono incalcolabili; niente mi appare tanto devastatore per il popolo cristiano come una grazia apostolica, non dico rinnegata e calpestata, ma fuorviata. Forse, la rivoluzione non ha migliori alleati all’interno della Chiesa di Cristo (e persino nel mondo in generale) degli apostoli fuorviati, e tanti cristiani illusi che si sono schierati con loro.
Di questa illusione mortale una delle maggiori fonti è la mediocrità, il consenso alla tiepidezza. E il rimedio non verrà trovato in una lucidità dura e senza compassione, ma in una lucidità permeata d’amore, tenera e forte.
È per ciò che chiediamo con l’Apostolo (Et. 1,17-18) che “Iddio di Nostro Signore Gesù Cristo, il Padre della gloria, ci dia lo spirito di sapienza e… illumini gli occhi del vostro cuore”.