Di Ignace de la Potterie, S.J.
Conferenza tenuta il 29 Settembre 1998 nel Seminario religioso “Santa Maria, Madre del Verbo Incarnato”, di San Rafael, Mendoza, Argentina. Pronunziata in italiano con traduzione simultanea in spagnolo. Per il carattere stesso della dissertazione, ha un chiaro stile colloquiale.
1. I padri e l’esegesi moderna.
Un recente saggio dello specialista d’esegesi patristica Charles Kannengiesser, pubblicato sulla rivista teologica internazionale Concilium, ha attirato la nostra attenzione, non fosse altro che per la schiettezza un po’ brutale con cui l’autore espone le sue idee sullo status dell’esegesi contemporanea nella Chiesa. Confrontando l’esegesi patristica con quella odierna, egli giudica improponibile ogni tentativo di recupero dei metodi e dello spirito dei Padri nel quadro dell’attuale ricerca esegetica. Sostiene senza esitazioni l’autore: “Non ha nessun senso paragonare l’esegesi patristica a quella contemporanea (…); l’esegesi dei Padri era un’esegesi dottrinale, anche apologetica e orientata alla spiritualità e alla religiosità. Nel suo aspetto migliore l’esegesi patristica comunica più l’esperienza ecclesiastica passata degli esegeti vissuti tra il II e VII secolo (grande epoca patristica) che i dati che riguardano direttamente il testo sacro. Adesso l’esegesi moderna, al contrario, come risposta all’illuminismo (pensiamo a Kant), si sofferma unicamente su questi dati. Come disciplina la sua motivazione non è più teologica. Il suo scopo (dell’esegesi moderna) non è più quello di incontrare il Dio vivente nella Scrittura. Si tratta di un esercizio professionale di critica testuale, e di un’indagine storica che dispensa gli interpreti dall’essere credenti e cristiani”. Secondo lui dunque – e cito di nuovo Kannengiesser- “l’esegesi patristica è acritica e perciò irrilevante per il lettore moderno della Bibbia”. Due caratteristiche dell’esegesi patristica la rendono per Kannengiesser inassimilabile alle metodologie moderne.
1. Innanzitutto, il considerare la Scrittura Sacra come “divina” non ha più senso oggi. La Sacra Scrittura forniva un accesso a Dio, un modo di comunicare con Dio che era in se stesso una disposizione divina.
2. Il secondo punto di frattura tra l’antichità cristiana e il nostro tempo sta (compendio un po’ il suo pensiero) nella sua connotazione ecclesiale dell’esegesi patristica: nella tradizione dei Padri, la Scrittura ha senso solo in quanto viene interpretata nella Chiesa e per la Chiesa. Un’impostazione che i moderni sistemi tendono a rifiutare in quanto non sarebbe “scientifica”. Dopo aver elencato i motivi che rendono improponibile un ritorno ai Padri, l’autore pone inquietanti riserve sul presente dell’esegesi. Questa, nata come risposta -dice lui- all’illuminismo, rimane succuube della mentalità che l’ha generata, oppure, per rigetto, decade nel fondamentalismo inteso come accostamento acritico alle Scritture. Secondo la lettera soltanto.
Prendo adesso posizione di fronte a questa presentazione. Il quadro delineato da Kannengiesser sembra senza via d’uscita, sospeso tra un passato irrecuperabile e un nichilismo presente. Ci troviamo di fronte a una sfida cui occorre rispondere punto per punto.
Primo punto: Il paragone tra esegesi patristica e esegesi moderna sarebbe improponibile – dice Kannengiesser – perché i Padri considerano la Scrittura come divina. Ora questo è oggi irrimediabilmente superato? Io dico che non solo i Padri, ma tutta la tradizione cristiana fino al Vaticano II ha tenuto per buona questa dottrina: Deus Auctor Sacrae Scripturae. Non solo: per il Concilio Vaticano II, l’ispirazione divina non è soltanto principio costitutivo, ma anche interpretativo della Bibbia. Il fatto che Dio abbia ispirato il testo sacro ha delle conseguenze anche sul modo in cui esso va letto e interpretato, e quindi sull’esegesi. Come dice la formula della Dei Verbum, “la Sacra Scrittura (testo commentato ieri, cito il brano centrale) (deve) essere letta e interpretata nello stesso Spirito nel quale è stata scritta” (n.12). È un principio del tutto tradizionale e inalienabile se vogliamo essere non solo professori di università ma anche cristiani. Domando: se un professore scientifico ben formato insegna all’università, può farlo come cristiano o non?…
Secondo punto: un recupero dell’esegesi dei Padri sarebbe – secondo Kannengiesser – improponibile oggi per la sua connotazione “ecclesiale”. Oggi possiamo ancora dire che la Scrittura è un libro della Chiesa, e va interpretata all’interno della sua valenza ecclesiale? Per alcuni sembra impossibile parlare così. Eppure la Dei Verbum ha un capitolo intero (il VI, paragrafi 21-26) sulla presenza della Sacra Scrittura nella vita della Chiesa, nella liturgia, nella pastorale, nella spiritualità. E nel paragrafo 24 sottolinea che la Sacra Scrittura deve diventare l’anima di tutta la teologia. Ratzinger, già nel’67, definiva questo principio come rivoluzionario nella storia della teologia moderna, perché nella teologia astrattamente razionalista del secolo XIX la Scrittura aveva poca importanza.
Terzo punto: l’impasse dell’esegesi moderna, sospesa tra una deriva “illuminista”, che la trasforma in scienza indifferente alla fede e alla vita della Chiesa, e le tentazioni di fuga nel fondamentalismo. Come si supera quest’impasse? È ancora possibile, oggi, un’esegesi cristiana? Paradossalmente, la via per rispondere a questa domanda mi sembra proprio quella di un “ritorno ai Padri”. Non si tratta di raccomandare un puro e semplice recupero della pratica esegetica del medioevo e dei tempi patristici, così come si era sviluppata nei primi secoli. Oggi i contributi della moderna filologia e della precisione critica sono non solo ammessi, ma addirittura richiesti dalla Chiesa nell’approfondimento del testo sacro. Dobbiamo fare, dunque, non solo filologia scientifica ma anche ritorno ai Padri, questa è la proposta per rispondere a questa sfida. Mi riferisco al ritorno allo spirito profondo con cui i Padri si accostavano alla Bibbia: spirito ecclesiale, spirito di fede, ma anche nutrito dalla tradizione della Chiesa. Tale prospettiva libera innanzitutto l’esegesi moderna da quel “dogmatismo critico” che deriva da una concezione illuministica di “ragione” (Kant sta dietro di tutto questo, razionalismo dunque, “la sola ragione e basta”, dice Kant); una ragione chiusa su se stessa intesa come misura di tutte le cose, e non come apertura alla rivelazione che viene dall’alto, da Dio in tutti i suoi fattori. Ma questo non è scientifico! si dice… C’è qui una concezione che mi sembra alla radice della crisi esegetica moderna. Inoltre, tale prospettiva permette di recuperare la validità delle indicazioni del Vaticano II, che invita a leggere e interpretare la Sacra Scrittura “nello stesso Spirito in cui è stata scritta”. La soluzione sta dunque nella grande intuizione dei Padri della Chiesa e del medioevo fino alla Riforma per i quali lo Spirito sta nella lettera perché la Scrittura per loro è ispirata. Se la lettera della Scrittura è ispirata, densa di Spirito, devo io esegeta cristiano e cattolico moderno seguire quelle indicazioni metodologiche di fondo. Se la lettera della Scrittura è densa di Spirito devo condurre il mio analisi del testo biblico fino a raggiungere il suo livello spirituale che sta nella lettera stessa. Quel livello che anima tutto il testo, e che gli dà forma unitaria. Cito adesso, un testo conosciuto, del dodicesimo secolo: Omnis Sacra Scriptura unus liber est, et ille unus liber Christus est (Tutta la Sacra Scrittura è un solo libro e quel libro è Gesù Cristo), dunque Cristo sta al centro di tutta la Sacra Scrittura, dalla Genesi all’Apocalisse.
Il principio ispirante deve guidare anche la lettura di noi moderni, affinché si abbia un’esegesi che sia insieme critica, filologica, rispettosa dei moderni metodi filologici e storici, ma anche aperta alla profondità del testo che va al di là de la lettera. Lettera e Spirito: questo lavoro è in gran parte ancora tutto da fare da noi moderni.
II. La Dei Verbum oggi.
La Dei Verbum è una delle quattro costituzioni conciliari dogmatiche (si tratta di una questione dogmatica dunque di gran importanza), è quella che tratta sulla Scrittura. Il 1995 si è concluso con numerose rievocazioni della chiusura del Concilio Ecumenico Vaticano II, avvenuta trent’anni fa, per essere precisi il 8 dicembre 1965. Questo trentennio è stato segnato da periodici bilanci sul livello di ricezione all’interno della Chiesa dei documenti dell’ultimo Concilio, e in particolare sono stati fatti alcuni studi su come viene accolto oggi ciò che dice il Concilio particolarmente sulla Parola di Dio. Dunque le quattro costituzioni del Concilio sono: Sacrosantum concilium, sulla liturgia; Gaudium et spes, sui rapporti tra la Chiesa e mondo moderno; e le due costituzioni dogmatiche, Lumen Gentium, sulla Chiesa e Dei Verbum, sulla divina rivelazione. Però proprio per quest’ultimo documento, che era la sintesi della discussione conciliare intorno alla rivelazione, alla Tradizione, alla Sacra Scrittura e all’esatto approccio a essa, una cosa colpisce: nel passare degli anni, invece di diventare punto di riferimento della ricerca esegetica nel mondo cattolico (al meno), la Dei Verbum è rimasta più o meno ignorata, lettera morta. Già nel ‘70 il compianto cardinale domenicano Yves Congar scriveva al padre Betti –francescano che è stato rettore del Laterano fino a due anni fa- una lettera che è stata pubblicata dopo; una lettera privata pubblicata di recente, per rammaricarsi; cito un brano di questa lettera di padre Congar a padre Betti: “Questo testo molto bello è purtroppo quasi dimenticato…; la seconda costituzione dogmatica del Vaticano II (la Dei Verbum) è passata sotto silenzio”, questo diceva nell’anno ‘70 padre Congar a padre Betti. Dunque la Dei Verbum è stata quasi ignorata scriveva venti anni fa Congar. Anche il Sinodo straordinario dei vescovi dell’85 ribadì la scarsa ricezione nella Chiesa della Dei Verbum. Un cambiamento è avvenuto più recentemente col Catechismo della Chiesa cattolica pubblicato nel ‘92, dunque sei anni fa. Nella sezione dedicata alla Scrittura, fa continuamente riferimento alla Dei Verbum come appare evidente fin dai titoli dei diversi paragrafi:
1. Cristo, parola unica della Sacra Scrittura;
2. Ispirazione e verità della Sacra Scrittura;
3. Lo Spirito Santo e l’interpretazione della Scrittura.
sono questi i titoli principali del Catechismo del ‘92.
Il Catechismo ripropone anche il distico medievale (di cui abbiamo sentito parlare mezz’ora fa) sui quattro sensi della Scrittura, invitandoci quindi alla ricerca e alla proposta oggi del senso spirituale (“quid credas allegoria, moralis quid agas, quo tendas anagogia”: un senso letterale e tre divisioni del senso spirituale). De Lubac riguardo al distico famoso ha detto: “queste tre suddivisioni del senso spirituale corrispondono alle tre virtù teologali”: Quid credas allegoria (dunque la visione di fede sulla Scritura); moralis quid agas (senso morale, la Bibbia insegna la morale cristiana, illuminata dalla fede e l’agire cristiano che è la carità); quo tendas anagogia (dove vai nel futuro, cioè la speranza). Dunque De Lubac ha fatto notare in questo caso che i tre aspetti del senso spirituale corrispondono alle tre virtù teologali: fede, carità, speranza sulla base del senso letterale. Il Catechismo ripropone dunque anche il distico medievale che ho un po’ commentato adesso. L’esegesi cristiana non può essere soltanto filologica e storica, dev’essere anche teologica, tenendo conto del fatto che la Sacra Scrittura di Dio ha come scopo di comunicare la rivelazione e quindi di far vedere la trama del mistero a cui alludono i fatti narrati. Rincresce un po’ che un successivo documento della Pontificia Commissione Biblica del ‘93 il cui titolo è: L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa (Città del Vaticano 1993) non abbia fatto nessun riferimento a quelle indicazioni del Catechismo del ‘92. Indicazioni che comunque erano già contenute nella Dei Verbum stessa, questo trent’anni prima. Dunque si tratta (questo è un po’ cattivo da parte mia) di un’omissione voluta. C’era soltanto un anno che era stato pubblicato il Catechismo e hanno voluto ignorarlo sebbene conoscevano la Dei Verbum di trent’anni prima.
In tempo ancora più recente, nel dicembre ‘95, un volume intitolato La “Dei Verbum” trent’anni dopo è stato pubblicato dalla Pontificia Università Lateranense, un volume in omaggio di padre Betti. Si tratta dunque di una miscellanea in onore di padre Umberto Betti, che, oltre ad aver partecipato alla stesura del documento conciliare, è stato fino a pochi mesi fa dicevo allora, rettore dell’Ateneo romano. Nel volume della miscellanea hanno collaborato diversi esegeti, anche patrologi, filosofi, storici, ecc.; non mancano contributi interessanti sui temi dell’attività esegetica dopo il documento conciliare. Ma nel complesso quest’opera conferma ulteriormente che oggi la Dei Verbum non è ancora stata recepita.
Anche il volume della Lateranense (tre anni dopo il Catechismo), non cita mai la sezione dedicata alla Sacra Scrittura del Catechismo della Chiesa Cattolica. E nessun contributo fa emergere quali erano gli aspetti di novità della Dei Verbum. Comparati i due titoli: il Laterano dice trent’anni dopo il Concilio, ma ciò che ha fatto il Concilio, cioè la Dei Verbum stessa, non viene spiegato. Anzi, qualcuno (un esegeta dell’Antico Testamento al Laterano… non devo dire il suo nome) affronta in maniera critica uno dei punti qualificanti della Costituzione (Dei Verbum, IV, 16), nel quale si ripete il grande principio che viene da Sant’Agostino: lo conoscete…: Vetus Testamentum in Novo patet, cioè il senso profondo dell’Antico Testamento appare in chiarezza nel Nuovo e il Nuovo è già nascosto nel Vecchio: et Novum Testamento in Vetere latet. Un gioco linguistico di Sant’Agostino: latet… patet, fatto in buono stile agostiniano. Allora su questo principio ripreso dalla Dei Verbum dice il volume del Laterano, che l’eccessiva sottolineatura del legame tra Antico e Nuovo Testamento va a scapito del valore autonomo dell’Antico Testamento. Dunque dobbiamo difendere noi biblisti l’autonomia dell’Antico Testamento… Ma io vi domando: l’Antico Testamento è autonomo?…
Di fronte a questa protratta rimozione operata dagli esegeti, mi sembra doveroso riaffermare alcuni dei punti di novità contenuti nella Dei Verbum e ripresi poi nel recente Catechismo della Chiesa Cattolica.
Primo punto: la Dei Verbum dedica tutto il terzo capitolo all’ispirazione divina e all’interpretazione della Sacra Scrittura. In particolare il paragrafo 12 dopo aver legittimato le esigenze della critica storica secondo cui bisogna tenere conto dei generi letterari, del tempo e del contesto culturale in cui i vari testi biblici sono stati scritti, prosegue dicendo (questo paragrafo è praticamente un riassunto della Divino afflante Spiritu, anche ieri abbiamo parlato su questo): “dovendo la Sacra Scrittura essere letta e interpretata alla luce dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta, per ricavare – dice sempre la Dei Verbum al n. 12- con esattezza il senso dei sacri testi, si deve badare con non minore diligenza al contenuto e all’unità di tutta la Scrittura, tenuto debito conto della viva Tradizione di tutta la Chiesa e dell’analogia della fede”. Per gran parte dell’esegesi moderna il fatto che la Scrittura sia ispirata da Dio non ha nessuna importanza per la lettura e l’interpretazione di essa. Secondo questa impostazione, il testo biblico per essere compreso in tutti i suoi risvolti e contenuti dovrebbe essere analizzato esclusivamente attraverso gli strumenti della filologia, della critica storica, ecc…, e altri mezzi moderni d’interpretazione. La Dei Verbum al contrario riprende il grande principio della Tradizione: la Sacra Scrittura deve essere letta e interpretata “alla luce dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta”. Dunque l’ispirazione divina degli autori umani della Bibbia diventa criterio di lettura e d’interpretazione per noi. Dobbiamo leggere e interpretare la Scrittura alla luce dell’ispirazione. Come si spiega sempre nella Dei Verbum nel paragrafo 19: “gli apostoli, dopo l’ascensione del Signore, hanno trasmesso ai loro ascoltatori ciò che Egli aveva detto e fatto, con quella più completa intelligenza di cui essi, ammaestrati dagli eventi gloriosi del Cristo e illuminati dallo Spirito di verità di cui godevano. E gli autori sacri hanno scritto i quattro Vangeli, scegliendo alcune cose fra le molte che venivano tramandate dalla tradizione apostolica a voce o anche per iscritto, sintetizzandone alcune, spiegandone altre in rapporto alla situazione della Chiesa, conservando infine il carattere di annuncio, sempre in modo tale da riferire su Gesù con sincerità e verità”. Dunque gli evangelisti non hanno inteso dare un esatto rapporto storico di ciò che Gesù ha fatto e ha detto (ciò che hanno fatto è una sintesi alla luce dal fatto pasquale). Ci hanno raccontato dei fatti accaduti (certo non tutti i fatti accaduti), consegnatici dal ricordo di testimoni diretti, mossi dall’urgenza e dall’imperativo di farne conoscere la portata reale ai singoli e alle Chiese. Il loro annuncio è stato fatto alla luce della resurrezione e della venuta dello Spirito della Verità, che permetteva loro una più completa intelligenza del mistero di salvezza presente nei fatti narrati. La Dei Verbum illustra come anche la lettura e la ricezione oggi della Sacra Scrittura avviene per i cristiani nello Spirito. È stata scritta nello Spirito, ed è necessaria leggerla, accoglierla e interpretarla nello Spirito; noi siamo partecipi del dono dello Spirito fatto alla Chiesa dal tempo degli apostoli fino ad oggi. Solo l’esperienza presente dell’azione dello Spirito Santo che investe il cristiano nella fede può anche oggi illuminare, rendere cioè più aperta e acuta l’intelligenza umana nella lettura della Sacra Scrittura. Senza l’esperienza presente dell’azione dello Spirito di Gesù stesso, anche la Sacra Scrittura rimarrebbe solo un libro del passato, e ci lascerebbe ultimamente indifferenti per la nostra vita. Guardini, nell’articolo ripreso nel volume collettivo a cui ho fatto accenno, dice: “In fine dei conti la lettura scientifica moderna è una cosa che ci lascia indifferenti”. Cosa accademica ma che per noi non ha nessuna importanza. Quest’azione dello Spirito Santo, necessaria in tutti gli aspetti della vita cristiana, lo è anche per la lettura del Vangelo (“Sine tuo numine, nihil est in homine, nihil est innoxium” dice un inno liturgico). Lo aveva già promesso Gesù stesso; nella seconda delle cinque promesse del Paracleto, Gesù diceva così: “Queste cose vi ho detto quando ero ancora tra voi. Ma il Paracleto, lo Spirito che il Padre manderà nel mio nome, egli v’insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto” o fatto (Gv 14,25-26).
E devo dire che una lettura cristiana della Bibbia richiede due cose: riferimento a Cristo ma riferimento anche allo Spirito che viene dopo la morte di Cristo. Quinta promessa del Paracleto: “lo Spirito della verità vi introdurrà in tutta la verità” (Gv 16,13). Gli esegeti cristiani, a livello ermeneutico, dovrebbero mettere queste parole di Giovanni in relazione con la loro attività esegetica: le parole e i gesti di Gesù, tramandati dalla prima tradizione e narrati dai Vangeli, possono essere riconosciuti, accolti e compresi come appartenenti al mistero della salvezza: Storia e mistero. Al di fuori di questa possibilità l’evoluzione filologica, storica, archeologica rimane una ricerca che può interessare solo gli addetti ai lavori. Il testo non è più Parola di Dio per noi.
Secondo punto: la novità della Dei Verbum che mi preme ricordare è la sottolineatura dell’unità di tutta la Scrittura. Un aspetto ricordato anche dal cardinale Ratzinger nella sua grande conferenza sull’esegesi moderna tenuta a New York nell’87 e ripresa nel nostro volume L’esegesi cristiana oggi: – cito Ratzinger – “L’esegeta deve rendersi conto di non abitare una regione neutra al di sopra o al di fuori della storia e della Chiesa (no!, si inserisce nella storia della Chiesa). Pretendere che si possa accedere direttamente a ciò che è puramente storico non può che produrre corto circuiti. Il primo presupposto – è sempre Ratzinger che parla – di ogni esegesi è accettare la Bibbia come un unico libro (questo è ciò che abbiamo citato sopra di Ugo di San Victor del XII secolo). Facendo questo l’esegesi ha già scelto una posizione che non risulta da un approccio solamente letterario e storico. L’esegeta che fa questo ha compreso che questo testo letterario è prodotto da una storia che ha una sua coesione interna, e che questa storia è il vero luogo della comprensione della Scrittura”. Anche questo aspetto viene ripreso dal Catechismo della Chiesa Cattolica, che nel paragrafo 134 cita un testo medievale che già ho citato un momento fa, lo ripeto adesso qui: “Omnis Scriptura divina unus liber est, et ille unus liber Christus est, quia omnis Scriptura divina de Christo loquitur, et omnis Scriptura divina in Christo impletur” (“tutta la divina Scrittura è un libro solo e quest’unico libro è Cristo. Infatti tutta la divina Scrittura parla di Cristo e in Cristo trova compimento”). Allora si capisce bene: poiché tutta la Scrittura è ispirata dallo stesso Spirito, è che si trova al di sopra dei secoli della Storia. Se quel libro è ispirato dallo Spirito, è allora un solo libro in cui viene presentato tra noi uomini della storia antica e presente il disegno di salvezza (non dimentichiamo che la Dei Verbum è un documento sulla rivelazione) narrato dalla Bibbia, che unifica i settanta autori del testo sacro in un libro solo, il cui contenuto ultimo, reale e attuale è Gesù Cristo.
Terzo punto: il terzo punto troppo ignorato, su cui mi sembra urgente una riflessione, è l’unità tra Sacra Scrittura e Tradizione. Leggo la Dei Verbum n.9: “La Sacra Tradizione e la Sacra Scrittura sono tra loro strettamente congiunte e comunicanti. Poiché ambedue scaturiscono dalla stessa divina sorgente, esse formano in certo qual modo una cosa sola e tendono allo stesso fine”. Si tratta del famoso problema al Concilio delle due fonti della teologia. Problema che è stato superato: le due fonti sono alla fine dei conti una sola fonte. In questo senso, un recupero dello spirito con cui i Padri della Chiesa si accostavano al testo sacro sarebbe salutare e fecondo anche per l’esegesi contemporanea, permettendo di leggere e interpretare la Sacra Scrittura “alla luce dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta”. Se la lettera della Scrittura è ispirata, cioè carica di Spirito, lo Spirito sta nella lettera e dunque la lettera è importante; però si deve notare che c’è densità di Spirito in quella lettera, per un esegesi che sia insieme critica, rispettosa dei moderni metodi filologici, storici, archeologici, ecc., e aperta alla profondità contenuta nel testo stesso, secondo la grande analogia del Verbum caro factum est (titolo della vostra congregazione). Per gli autori medievali, il Verbo Incarnato era il Verbum abbreviatum (una formula molto bene analizzata dal padre De Lubac). Tutta la Sacra Scrittura è un Verbo unico a fine dei conti: tante parole in tanti libri, migliaia di parole bibliche tutte quelle parole si riconducono al Verbo fatto carne il Verbum abbreviatum che è la sintesi della Scrittura, la sintesi di tutto ciò che Dio voleva dire agli uomini.
È vero, potrei qui ancora aggiungere due o tre altri aspetti; ma vedete che quella Costituzione Dei Verbum, un regalo del Concilio a noi, non venga analizzata dal recente volume dal Laterano mi lascia perplesso, notate i titoli… Questa ultima referenza ho fatto adesso: la Dei Verbum oggi; ma il Laterano diceva la Dei Verbum trent’anni dopo. Dunque sembra secondo quella impostazione che l’attualità della Dei Verbum è sorpassata, forse avremo fatto nel frattempo molte altre cose, buone, non c’è dubbio.., pero non c’è nessun analisi preciso delle novità della Dei Verbum rispetto alla tradizione anteriore. Questo mi pare ci obbliga a riflettere e a riflettere bene, dove siamo?, e perché siamo lì?, quale influsso ha giocato in questi diversi approcci moderni? Cosa rimane da fare? Mi pare che molto rimane ancora da fare! Aspetto a voi i giovani!